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Il Management Control System nelle Aziende ad Alta Intensita di Conoscenza

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

CORSO DI LAUREA IN STRATEGIA, MANAGEMENT E

CONTROLLO

Tesi di laurea

Il management control system nelle aziende ad alta

intensità di conoscenza

Candidato: Gabriele Lancioni Relatore: Prof. Riccardo Giannetti

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INDICE

Ringraziamenti Introduzione

1. Le aziende ad elevata intensità di conoscenza (Knowledge-Intensive Firms): una definizione

1.1 Le caratteristiche delle aziende knowledge-intensive

1.2 La gestione della conoscenza nelle aziende knowledge-intensive 1.3 Il concetto di conoscenza nelle aziende knowledge-intensive 1.4 Perché avvalersi dei servizi di un’azienda knowledge-intensive

2. Il management control system nelle aziende ad alta intensità di conoscenza 2.1 Il problema dell’incertezza e dell’integrazione della conoscenza 2.2 Il problema del trasferimento delle conoscenze

2.3 Il ruolo della crescita nel ciclo di vita: quale impatto sul sistema di controllo di un’azienda ad alta intensità di conoscenza?

2.4 I problemi dell’implementazione del controllo di gestione nelle aziende ad alta intensità di conoscenza

3. Analisi di alcune proposte di progettazione del Management Control System nelle Knowledge-Intensive Firms

3.1 Il ruolo dei Team e del Controllo di Gestione

3.2 La matrice Grado di Affinità delle Conoscenze/Ambiguità Causale

3.3 L’Uso del Management Control System proposto da Malmi e Brown in una Knowledge-Intensive Firm

4. Casi di studio

4.1 Il caso di un’azienda di software: il problema dell’incertezza

4.2 Il caso di un’azienda di software: il problema della circolazione della conoscenza

4.3 Il caso“Engineering Ltd”

4.4 Analisi di tre casi di Information Technologies Companies Svedesi 4.5 Analisi conclusiva dei casi aziendali Conclusioni

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RINGRAZIAMENTI

Ringrazio innanzitutto la mia famiglia, alla quale va il più smisurato affetto per il sostegno che mi ha garantito per tutta la durata di questo lungo percorso di studi; ringrazio la mia ragazza per avermi sempre supportato e sopportato durante tutte le difficoltà incontrate negli ultimi anni, grazie Chiarina, senza di te non ce l’avrei mai fatta; infine un ultimo ringraziamento ai miei amici, compagni di moltissime disavventure, senza i quali non sarebbe lo stesso festeggiare questo traguardo.

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INTRODUZIONE

Con questo elaborato si intende presentare ed esaminare alcune delle problematiche connesse all’implementazione di un controllo di gestione all’interno delle aziende ad alta intensità di conoscenza. Queste costituiscono un ramo aziendale del settore dei servizi di recente sviluppo che desta crescente attenzione da parte dei ricercatori, e meritano particolare attenzione in quanto costituiscono il futuro del settore dei servizi. Nel corso dell’elaborato vengono utilizzati recenti studi per presentare quali sono le principali difficoltà e quali particolarità ha la costituzione del controllo di gestione all’interno di questo tipo particolare di aziende; utilizzando diversi contributi si osservano delle opinioni tutto sommato soggettive sulle risoluzioni di tali problematiche, ma che possono però avere un unico grande punto in comune: l’importanza rivestita dal processo di costituzione del controllo di gestione nelle aziende ad alta intensità di conoscenza, il che di per sé crea problematiche che invece non sussistono in altre aziende non ad alta intensità di conoscenza. Le problematiche affrontate vengono studiate dai ricercatori sulla base di esperienze empiriche che sono sintetizzate nel capitolo conclusivo dell’elaborato. Questo lavoro si pone l’obiettivo di analizzare tali problematiche secondo la letteratura più recente, ponendo particolare attenzione a come si può realizzare un efficace sistema di controllo di gestione all’interno delle aziende ad alta intensità di conoscenza.

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1. LE AZIENDE AD ELEVATA INTENSITA’ DI CONOSCENZA (KNOWLEDGE-INTENSIVE FIRMS): UNA DEFINIZIONE

Al giorno d’oggi si assiste alla grande diffusione del fenomeno imprenditoriale delle cosiddette aziende ad alta intensità di conoscenza (in inglese si ha la sigla KIF, che sta per l’appunto per knowledge-intensive firms) (Alvesson, 1993, 1995; Ditillo, 2004, 2005; Homburg and Stebel, 2009). Ma che cosa sono? Esse sono una branca particolare di un insieme più grande, che sono le aziende che offrono servizi professionali, ovvero le professional service firms (PSF); l’erogazione di servizi professionali riguarda la fornitura di una conoscenza molto specifica per un intero processo produttivo (o parte di esso), questo è utile perché molto spesso le aziende non hanno delle competenze tali da espletare nel migliore dei modi i processi produttivi, così ricorrono alle consulenze di aziende di servizi che erogano tali servizi.

I primi studi sulle aziende che offrono servizi professionali si collocano nel periodo degli anni sessanta, al tempo queste forme di organizzazioni destavano indubbiamente curiosità, in quanto si riteneva che ci fossero forme di incompatibilità fra la classica gestione burocratica di un’azienda e l’impiego di un professionista al suo interno (Barley, 2005; Blau & Scott, 1962). Allora chiaramente si riteneva che il professionista operasse in una logica che andava totalmente fuori da ogni rigido schema, il fatto stesso di parlare di schemi ci porta a pensare immediatamente ad aspetti burocratici, che quindi contrastano apertamente con la figura del professionista. Tuttavia durante gli anni sessanta ci si accorge della persistente e crescente presenza di queste figure all’interno dei comparti aziendali, questo porta a superare il tabù azienda-professionisti e ad approfondire il tema, classificandole inizialmente come burocrazie professionali o organizzazioni professionali (Bucher & Stelling, 1969; Friedson, 1970; Hall, 1968; Kornhauser, 1962; Litwak, 1961; Miller, 1967; Montagna, 1968; Scott, 1965; Smigel, 1964).

I primi studi erano centrati sugli aspetti “canonici” di un’impresa professionale, cioè la maggiore autonomia concessa ai professionisti e la partecipazione alla governance organizzativa; di conseguenza questi studi erano più centrati su ambiti classici come la medicina, la legge e la contabilità, che facevano forte affidamento sulla figura del professionista.

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A partire dagli anni novanta emergono alcuni studi che sono più incentrati sull’analisi della gestione aziendale, guardando più all’aspetto manageriale. Questa nuova focalizzazione è collegata all’emergere di studi incentrati sulle aziende ad alta intensità di conoscenza, di cui le aziende di servizi professionali sono considerate degli esempi primari (Alvesson, 1995; Starbuck, 1992; Winch & Schneider, 1993).

In realtà gli studi su questo tipo di azienda sono generici e spesso contraddittori, rimangono dei dubbi se alcune teorie siano oggettivamente applicabili a tutte le professional service firms oppure solo ad alcune; per esempio le teorie elaborate durante l’analisi degli studi legali possono essere applicate agli ospedali, alle agenzie pubblicitarie o ai laboratori di ricerca e sviluppo? Non abbiamo una risposta in merito (Von Nordenflycht, 2010). Tuttavia è evidente il fatto che il professionista è un soggetto dotato di determinate competenze di base o conoscenze di cui ha una grandissima padronanza. Di conseguenza il carattere centrale di tutte le professional service firms è quello di essere aziende che sono in qualche modo dipendenti da questa forza lavoro (i professionisti) dotata di una grande esperienza sostanziale, in questo modo ci si avvicina sempre di più al tema della conoscenza e delle abilità, il quale ci porta a riflettere sul tema delle knowledge-intensive firms, oggetto di esame.

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1.1 LE CARATTERISTICHE DELLE AZIENDE KNOWLEGE-INTENSIVE

Von Nordenflycht, nel suo paper del 2010, fa un’analisi accurata di quelli che ritiene siano i caratteri fondanti delle professional service firms, ne individua tre per la precisione:

1. Intensità della conoscenza (knowledge intensity); 2. Bassa intensità di capitale (low capital intensity);

3. Forza lavoro professionalizzata (professionalized workforce);

Chiaramente ai fini della nostra analisi ciò che ci preme di più è analizzare proprio il primo carattere, rimandando per l’analisi degli altri due ad altri ambiti. L’intensità della conoscenza infatti, secondo Von Nordenflycht, è probabilmente la caratteristica più importante delle professional service firms, ed è riferendosi proprio a questo carattere che si può parlare di knowledge-intensive firms.

Ci sono dibattiti aperti sul significato preciso dell’espressione “alta intensità di conoscenza”; può essere intesa come una base di conoscenze specifiche e complesse che permette di ottenere un output preciso (Winch & Schneider, 1993) oppure come la conoscenza che viene apportata non solo dagli individui, ma persino dalle apparecchiature, dai prodotti e dalle routine organizzative (Alvesson, 2000; Morris & Empson, 1998; Starbuck, 1992).

Nel suo paper Von Nordenflycht sposa quella che è la prima interpretazione, asserendo che le aziende ad alta intensità di conoscenza fanno affidamento su una forza lavoro estremamente competente dal punto di vista intellettivo. Nelle aziende knowledge-intensive nasce quindi il problema di dover in qualche modo cercare di preservare queste conoscenze e queste abilità, l’obiettivo di cercare di salvaguardarle; la possibilità di sfruttare le competenze altamente specializzate di un gruppo ristretto di lavoratori pone davanti anche allo scopo di elaborare un modo per come “trattenere” questi lavoratori. Essi di per sé si trovano in una posizione contrattuale non del tutto svantaggiosa nei confronti dei loro datori di lavoro, in quanto le loro competenze sono molto specifiche ed assai difficoltose da rimpiazzare, ed è anche molto difficile trasmetterle e farle circolare internamente all’azienda, mentre è facile il loro trasferimento ad aziende concorrenti (Teece, 2003).

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Deve quindi essere creato un sistema che possa permettere a tale tipologia di aziende di gestire al meglio tali soggetti, senza però rinchiudere le loro potenzialità in schemi eccessivamente burocratici, privandosi in questo modo delle loro potenzialità, bisogna cercare di lasciarli liberi, salvaguardando le loro preziose caratteristiche e tenendo conto delle esigenze delle organizzazioni nelle quali operano. Le aziende si trovano quindi di fronte al problema della concorrenza, ci potrebbero essere dei competitor che vorrebbero “accaparrarsi” i professionisti, magari offrendo loro remunerazioni più vantaggiose, essi devono sentirsi preziosi, importanti per l’azienda.

Un altro aspetto degno di nota è sicuramente l’utilizzo di schemi più informali e snelli che garantiscano più autonomia ai dipendenti nei processi organizzativi; questo porta ad un decentramento del processo decisionale dei dipendenti e conseguentemente ad un maggiore coinvolgimento di quest’ultimi nei suddetti processi.

Un’ultima considerazione di Von Nordenflycht degna di nota relativamente al tema delle aziende knowledge-intensive riguarda il concetto di “qualità opaca”, attinente al fatto che il risultato ottenuto grazie ad un esperto spesso risulta di difficile comprensione per i non esperti, cioè i clienti nella maggioranza dei casi (Broschak, 2004; Empson, 2001; Levin & Tadelis, 2005; Lowendahl, 2000). Ecco perché bisognerebbe fare in modo di rendere tali aspetti percepibili anche ai soggetti esterni alle knowledge-intensive firms, i quali non hanno sicuramente le competenze di base per comprendere a pieno le potenzialità o le caratteristiche di un output; ad esempio uno strumento utile in questo senso è indubbiamente la reputazione, la produzione costante di output di alta qualità comporta il fatto di guadagnarsi una buona reputazione, che ovviamente è consigliabile mantenere. Un alto livello qualitativo si raggiunge anche tramite l’assunzione di un numero inferiore di dipendenti, ma caratterizzati da più alti standard competitivi, in questo modo c’è un grado minore di dispersione. Chiaramente a seconda di quale aspetto dei due summenzionati sia più emergente all’interno di una azienda knowledge-intensive, dovranno essere fatte delle scelte organizzative conseguenti, cercando di aumentare la percezione della qualità in caso di una sua difficile comprensione (quindi ideare meccanismi che rendano possibile ciò per i clienti), e cercare di proteggere i professionisti-dipendenti dall’attacco dei competitor tutelando i loro diritti e facilitando la trasmissione delle conoscenze che apportano in azienda tramite apposite strutture organizzative.

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Fino ad ora abbiamo parlato delle professional service firms, ed in particolare abbiamo analizzato quelle le caratteristiche di una tipologia particolare di aziende che offrono servizi professionali, che sono le knowledge-intensive firms.

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1.2 LA GESTIONE DELLA CONOSCENZA NELLE AZIENDE KNOWLEDGE-INTENSIVE

Possiamo dire che la conoscenza è quindi la risorsa principale su cui si basa l’attività di suddette aziende, infatti entra come input all’interno del sapere dei singoli individui, viene utilizzata durante il processo produttivo del servizio, ed infine esce come output, cioè come servizio che viene reso al cliente.

La conoscenza deve essere gestita e trasmessa all’interno di tutta l’azienda, per fare ciò infatti sarà necessario sviluppare determinate strutture organizzative che consentano ciò. La sua trasmissione viene facilitata dall’utilizzo di meccanismi di codificazione e da procedure di lavoro standardizzate, anche se di per sé potrebbe sembrare un controsenso parlare di “standardizzazione” nell’ambito della conoscenza, un contesto che per definizione è in continua evoluzione, a cui bisogna spesso adattarsi a seconda delle esigenze.

L’aspetto della codifica della conoscenza è rilevante per l’aspetto della condivisione della stessa, e per la trasmissione ai collaboratori aziendali ed ai nuovi assunti (in questo caso si è soliti parlare di encoded knowledge). Tale processo potrebbe tuttavia avere dei limiti nell’adattarsi alle necessità del cliente; tuttavia secondo il contributo di Martina Giannecchini del 2017, è comunque possibile standardizzare alcuni aspetti della fornitura di tali servizi, ad esempio introducendo dei sistemi informativi, i quali hanno un’articolazione che permette loro di standardizzare aspetti “core” ed aspetti più periferici rispetto alla principale attività aziendale.

Al di là dell’aspetto della codifica (decisamente utile per gestire le conoscenze), le knowledge-intensive firms necessitano di una gestione collegiale della conoscenza (Giannecchini, 2017), ecco perché si ha la necessità non solo di sistemi informativi efficienti, ma anche di processi di socializzazione e della creazione di pratiche di lavoro. In questo modo si sviluppa un vera e propria cultura di gestione della conoscenza, un cosiddetto knowledge management. Quindi una serie di aspetti, cioè struttura organizzativa, knowledge management e gestione del personale devono svilupparsi in modo coordinato e armonico all’interno di tali aziende.

Questo sviluppo dovrebbe tenere conto oltre che dell’obiettivo della codifica delle conoscenze (facilitando l’applicazione di tali saperi a vari contesti e permettendo

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l’utilizzo nella risoluzione dei problemi dei clienti) anche di quello di creare una base solida per lo sviluppo futuro.

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1.3 IL CONCETTO DI CONOSCENZA NELLE AZIENDE KNOWLEDGE-INTENSIVE

Le aziende knowledge-intensive hanno la caratteristica di fornire consulenze ai propri clienti, erogando ad essi dei servizi che si basano su delle conoscenze altamente specializzate.

Dobbiamo cercare di capire meglio il concetto stesso di “conoscenza”, in special modo quella gestita da questo tipo particolare di aziende. Innanzitutto la conoscenza può essere suddivisa in due categorie principali, che analizziamo, ovvero la conoscenza esplicita (o formale) e la conoscenza tacita (o informale) (Miles et al., 1995):

• Conoscenza esplicita. È decisamente semplice da estrapolare, in quanto risulta essere semplicemente codificata in libri, report, brevetti. È evidente la crescente importanza del tema della conoscenza esplicita nell’economia in generale, visti i crescenti investimenti che vengono fatti in ricerca e sviluppo, nell’ambito dell’istruzione e nell’ottenimento dei brevetti, per i quali essa è funzionale. Questi maggiori investimenti vengono citati a maggiore riprova di come ci si stia muovendo verso un’economia sempre più incentrata sul tema della conoscenza; la sua utilità viene sottolineata nell’ambito delle aziende in generale, ed a maggior ragione in quello delle aziende ad alta intensità di conoscenza (Miles et al., 1995).

• Conoscenza tacita. La sua identificazione è molto più problematica rispetto a quella esplicita. La conoscenza tacita comprende la capacità del saper fare (il cosiddetto know-how), sostanzialmente un concetto intangibile che non può essere rappresentato in un libro per esempio, perché è acquisibile principalmente in maniera pratica attraverso l’esperienza e l’espletamento delle attività di routine. Come è ovvio da intuire, è molto più difficoltoso cercare di prevedere gli andamenti futuri e le tendenze delle conoscenze tacite rispetto a quelle esplicite. Molti sono gli sforzi profusi per cercare di estrapolare tale conoscenza dal contesto di riferimento, cercando di formalizzarla, questo perché anche le attività ad alta tecnologia fanno uso di queste informazioni. Essendo legata essenzialmente all’esperienza, la conoscenza tacita spesso rimane in possesso di chi effettua tale esperienza, quindi molto spesso rimane “confinata” all’interno di aziende dove tali esperienze sono avvenute; l’obiettivo è quello di garantirne invece la massima condivisione. Per sottolineare ulteriormente

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l’importanza della conoscenza tacita, si può dire che la sua noncuranza risulta essere una delle ragioni del successo irregolare o del fallimento totale di molti processi imprenditoriali (Miles et al., 1995).

Il termine knowledge-intensive viene spesso utilizzato come sinonimo di information-intensive, e questo non è propriamente corretto, perché alla base di tutto sta una sostanziale differenza tra i due concetti di conoscenza e di informazione (Miles et al., 1995).

Un numero crescente di informazioni non corrispondono necessariamente ad un numero crescente di conoscenze, questo è assodato; infatti la capacità di conoscere a memoria alcuni fatti (che è una chiara testimonianza di informazione) non implica assolutamente la sua padronanza, e quindi la conoscenza non è così immediata come si può erroneamente pensare.

La conoscenza, quindi la capacità di padroneggiare informazioni, fare valutazioni in merito a dei dati in termini di previsioni futuri, fattibilità (nell’immaginario collettivo, utilizzando parole povere, la conoscenza potrebbe anche essere vista così), è decisamente più importante nell’ambito dell’economia e quindi a maggior ragione nelle knowledge-intensive firms. Questo comporta anche che per produrre informazioni utili e valide sarà richiesto un tempo di elaborazione decisamente maggiore.

La conoscenza può essere definita come una forma di informazione organizzata, una definizione che è da una parte abbastanza utile, ma che dall’altra possiamo vedere come eccessivamente statica: la conoscenza infatti non può essere vista soltanto come qualcosa che è stampato su un libro e viene appreso mediante la consultazione o lo studio, è un concetto dinamico che si evolve nel tempo, che cambia, e quindi può essere visto come un processo attivo.

La conoscenza quindi deve basarsi su un continuo processo di apprendimento (l’apprendimento è strumentale affinché la conoscenza progredisca), ma non deve trattarsi di un semplice processo meccanico, ecco perché si sviluppa in molteplici forme, tramite la sperimentazione, la formazione professionale, e anche attraverso il trasferimento (quest’ultimo canale è oggetto di attenzione nel corso di quest’elaborato); infatti il trasferimento conoscitivo presuppone che ci sia un’interazione tra almeno due parti che poggia su una base di conoscenza che però raramente è perfettamente simmetrica. Per questo motivo infatti trasferire le conoscenze è molto più complesso di trasferire le informazioni.

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Perché la conoscenza è un concetto così importante? Sostanzialmente perché molto spesso su di essa si basano i processi produttivi ed il funzionamento di questi. Ad oggi la conoscenza è un concetto sempre più importante e che si sta pian piano diffondendo nell’economia, perché c’è stata una forte presa di coscienza da parte delle aziende della sua rilevanza. La conseguenza di tutto è che vengono poste in essere un numero continuamente crescente di knowledge-intensive firms che offrono la loro utilità non solo nel processo produttivo, ma anche in altre funzioni come la progettazione, il marketing, la distribuzione. L’intensità di conoscenza viene implementata tramite l’applicazione di tecnologie non di routine o tramite l’abilità nell’operare in ambienti sociali e tecnici particolarmente complessi (Miles et al., 1995).

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1.4 PERCHE’ AVVALERSI DEI SERVIZI DI UN’AZIENDA KNOWLEDGE-INTENSIVE

Il motivo principale per cui una qualsiasi azienda dovrebbe avvalersi delle prestazioni offerte dalle knowledge-intensive firms è il rafforzamento della propria posizione sul mercato, possibilmente cercando di maturare un vantaggio competitivo, o quantomeno un ruolo di “first mover”.

L’impatto complessivo dell’utilizzo di queste prestazioni dovrebbe essere tendenzialmente un miglior impiego delle risorse, maggiore grado di efficacia ed efficienza, un miglior coordinamento tra le varie attività che caratterizzano la catena produttiva.

Questo però non è altro che il punto di inizio di un processo dinamico in continua evoluzione, perché il fatto che oggi una determinata azienda si trovi in una posizione vantaggiosa non le assicura che questo continui anche nel futuro, ed è esattamente questo quello che avviene nei rapporti tra knowledge-intensive firms e clienti; il vantaggio competitivo generato nel breve periodo da una particolare prestazione ad alta intensità di conoscenza viene assorbito dall’intero mercato nel medio lungo periodo, diventando praticamente un aspetto di routine; ecco perché bisognerà continuamente cercare strade per rinnovarsi, cercando di avvalersi di prestazioni sempre più all’avanguardia, ed ovviamente questa è una duplice sfida sia per il cliente sia per chi eroga tale servizio. I servizi ad alta intensità di conoscenza che vengono resi dalle knowledge-intensive firms sono utili nell’esecuzione di molti compiti, attraverso l’impiego di propri input nei processi produttivi delle aziende che beneficiano di tali prestazioni (cioè i clienti) (García-Quevedo, Mas-Verdú e Montolio, 2013).

Ci sarà dunque un’interazione intensa e complessa tra l’azienda fornitrice di servizi (cioè la knowledge-intensive firm) e quella cliente (una qualsiasi azienda) finalizzata a trasferire la conoscenza; in questo senso si può osservare la complementarità di esigenze che si realizza durante questo scambio, da una parte abbiamo la knowledge-intensive firm che svolge il proprio ruolo di fornitore di prestazioni specifiche, e dall’altra abbiamo l’esigenza di un’azienda di beneficiarne.

Il contributo di García-Quevedo (García-Quevedo, Mas-Verdú e Montolio, 2013) è utile ai fini dell’individuazione di quali siano le necessità che portano all’acquisizione esterna dei servizi ad elevata intensità di conoscenza, ne individua tre:

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• Caratteristiche specifiche dell’impresa; per caratteristiche specifiche si intendono quelle intrinseche di un’azienda, in particolare età, dimensione, grado di internazionalizzazione e settore. In particolare l’effetto della dimensione dell’azienda è ambiguo, in quanto ci sono studi approfonditi che dimostrano come solitamente nelle imprese di grandi dimensioni ci sia una forte tendenza nel ricorrere all’outsourcing (cioé l’esternalizzazione) e quindi ai servizi prestati dalle knowledge-intensive firms, ma non da meno sono le piccole imprese in questo senso, in quanto hanno grossissime difficoltà nel reperire le risorse per sviluppare internamente tali conoscenze (quindi investendo in ricerca e sviluppo) e quindi optano necessariamente per beneficiare di prestazioni esterne (Narula, 2001). L’età di un’impresa invece incide in termini di esperienza, le giovani aziende sono carenti da questo punto di vista nel gestire le relazioni con altri agenti, mentre le aziende mature hanno quella dose di esperienza e quella disponibilità di tempo da investire in tali relazioni. Il grado di internazionalizzazione di un’azienda rappresenta lo specchio della globalizzazione attuale, e la necessità quindi di elaborare strategie sempre più complesse per dover far fronte a molti più fronti; questo genera l’esigenza di dover distinguere le attività che continuano ad essere gestite internamente all’azienda da quelle che invece vengono svolte esternamente, ricorrendo all’ausilio delle prestazioni svolte dalle aziende ad alta intensità di conoscenza (Pearce e Robbins 2008). Grosse ambiguità invece si hanno sulle considerazioni in merito al settore di appartenenza in cui le aziende si trovano ad operare; in linea di principio chi opera in un settore ad alta intensità di conoscenza è portato ad utilizzare un numero maggiore di risorse esterne, ma ci sono posizioni contrarie che sostengono invece che la tendenza sarebbe quella opposta, cioè cercare di acquisire tali competenze dall’esterno, facendole proprie (García-Quevedo et al., 2013). • Base interna di conoscenza; la conoscenza è cumulativa, motivo per cui delle

fondamenta aziendali che si basano su un substrato di conoscenza rappresentano un punto di partenza cruciale per l’acquisizione e l’assimilazione di risorse esterne. Come si genera tale substrato? Bisogna avere a disposizione un certo budget di risorse da investire in ricerca e sviluppo, ma sarà altrettanto necessario il capitale umano dotato di un alto livello di istruzione, in quanto un personale capace permette una facile acquisizione di conoscenze dall’esterno (García-Quevedo et al., 2013).

• Politica di innovazione; la capacità di fare proprie delle conoscenze acquisite esternamente è una capacità intrinseca di un’azienda. L’innovazione sta nel saper far

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propri tali influssi esterni, e sulla base di questi quindi riuscire a rinnovare di le proprie competenze (García-Quevedo et al., 2013).

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2. IL MANAGEMENT CONTROL SYSTEM NELLE AZIENDE AD ALTA INTENSITA’ DI CONOSCENZA

Terminata la fase di introduzione su che cosa siano le aziende knowledge-intensive e su quali siano le loro caratteristiche, in questo capitolo esaminiamo le tematiche legate all’implementazione di un management control system all’interno di questa particolare tipologia di azienda di servizi.

Il management control system è un insieme di strumenti, processi, ruoli e soluzioni informali che si pone l’obiettivo di indirizzare i comportamenti individuali e organizzativi in coerenza con gli obiettivi che l’azienda ha stabilito; questo obiettivo viene raggiunto attraverso l’impiego di opportuni misuratori analitici e responsabilizzazioni sugli obiettivi da perseguire (Marasca, Marchi, Riccaboni, 2013).

Tramite le misurazioni è possibile monitorare determinati aspetti, ed osservando l’eventuale scostamento tra l’obiettivo stabilito ed il risultato consuntivo è possibile rendersi conto se l’azienda è in grado o meno di seguire la strada tracciata. In questo modo è anche possibile intraprendere azioni alternative o correttive.

Il tema oggetto di esame è capire quali possono essere le problematiche connesse all’implementazione di questo necessario strumento-guida all’interno di questo particolare tipo di aziende. Il capitolo è suddiviso in 4 paragrafi, nei quali sono illustrate le problematiche relative al tema oggetto di esame, ovviamente facendo riferimento al lavoro degli studiosi del campo.

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2.1 IL PROBLEMA DELL’INCERTEZZA E DELL’INTEGRAZIONE DELLA CONOSCENZA

Sono pochi i contributi che riscontriamo sulle aziende knowledge-intensive che ci spiegano quali siano le problematiche connesse all’implementazione all’interno di esse di un management control system (Ditillo, 2004, 2012). In questo paragrafo analizzo il contributo in questo senso di Angelo Ditillo (2004). Negli ultimi venti anni la gestione della conoscenza all’interno di un’azienda è diventato un tema meritevole di maggiore attenzione, sostanzialmente perché esso è stato identificato come un fattore decisivo nel raggiungimento di un vantaggio competitivo (Prahalad & Hamel, 1990; Nelson, 1991; Henderson & Cockburn, 1994; Nonaka & Takeuchi, 1995; Boland & Tenkasi, 1995; Grant, 1996; Kogut & Zander, 1996; Nonaka et al., 2000).

Ci sono delle problematiche connesse a questo tipo particolare di aziende, le quali forniscono soluzioni intangibili ai loro clienti, in particolare durante la costruzione di un management control system, tale questione tuttavia è stata completamente ignorata nel tempo, ed è riemersa soltanto recentemente tramite degli studi più approfonditi.

Inizialmente quindi l’attenzione era rivolta più che altro a temi superficiali del controllo di gestione, come il controllo professionale delle mansioni, forme di coordinamento basate sulla cultura e forme di controllo informali basate più sull’abitudine e la consuetudine (Smigel, 1963; Hall, 1968; Alvesson, 1993, 1995; Abernethy and Stoelwinder, 1995; Cooper et al., 1996; Dirsmith et al., 1997; Montagna, 1968; Morris & Empson, 1998).

In buona sostanza l’approccio d’analisi alle aziende knowledge-intensive era il medesimo di una qualsiasi altra azienda e questo era un errore, perché la maggioranza degli studi sul controllo di gestione si è concentrata sulla progettazione di un management control system nei contesti produttivi tralasciando completamente l’implementazione dello stesso in un contesto che va ben oltre la produzione fisica di un output, nel quale sorgono solitamente problematiche di incertezze correlate al raggiungimento dell’obiettivo finale (Ditillo, 2004); dal momento che il controllo di gestione in un’azienda ad alta intensità di conoscenza è differente rispetto a quello di un’altra azienda (non ad alta intensità di conoscenza) devono esserci di conseguenza degli approcci differenziati. I meccanismi di controllo di gestione nelle aziende ad alta intensità di conoscenza non hanno mai “meritato” un’attenzione approfondita, anzi, come vedremo nell’ultimo paragrafo (2.4),

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ci sono delle casistiche in cui la loro applicazione in certe situazioni può risultare controproducente.

Il tema merita invece una più attenta analisi in quanto il tema delle aziende knowledge-intensive è tutto sommato “nuovo”, ed ha la particolarità di allontanarsi dall’idea classica che comunemente si può avere di un’azienda, ovvero il fatto di produrre un output tangibile, che sia quello finale da destinare al consumatore, oppure un prodotto che si inserisce all’interno di una catena produttiva per l’ottenimento di un output finale (è quindi un prodotto intermedio, è funzionale al raggiungimento di un obiettivo); in questo caso si produce un output che è intangibile, basato quasi esclusivamente sulle competenze e sulle conoscenze di chi lavora all’interno dell’azienda, le quali saranno utili per il cliente finale.

Il contributo di Ditillo rientra in questo filone di analisi, ed è di particolare importanza perché ha il merito di sottolineare il ruolo fortemente influenzante di un concetto che si inserisce nell’ambito conoscitivo in cui tali aziende operano, che è l’incertezza.

Lo svolgimento dei compiti nelle aziende knowledge-intensive è costantemente rivolto all’innovazione ed alla ricerca di soluzioni che possono dare esiti insicuri, viene a mancare quindi l’aspetto tangibile in queste aziende, dal momento che le attività sono immateriali (Austin e Larkey, 2002); l’incertezza nelle aziende ad alta intensità di conoscenza ha origine proprio in questo modo, ed è un aspetto negativo che finisce per affliggere lo svolgimento di qualsiasi compito nelle knowledge-intensive firms.

All’interno di queste aziende le incertezze hanno principalmente una duplice origine: durante lo svolgimento delle attività si può avere una disparità di informazioni e di conoscenze tra il datore di lavoro e l’agente, oppure quando ad un dipendente mancano le competenze necessarie. In entrambi i casi si ha la nascita di un problema che può anche essere persistente, e tutto ciò è amplificato dall’intangibilità dell’output prodotto dall’azienda; questo è un problema che può sussistere non solo nel rapporto tra dipendente e subordinato, ma anche tra individui che operano allo stesso livello, in virtù di un livello differenziato di competenze e di conoscenze apparentemente non comunicanti, che invece dovrebbero essere integrate fra loro.

Nonostante la persistenza delle problematiche legate all’intangibilità dell’output che le aziende ad alta intensità producono, gli studi fatti relativamente a questo tema sono scarsi e molto spesso contraddittori. Il problema è innanzitutto cercare di capire cosa si intende per incertezza, e perché tale fattore sia così meritevole di attenzione. Il concetto di

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sostanzialmente riassunto con la definizione data da Perrow (1970), che considera la capacità di analisi del compito ed il numero di eccezioni oppure la differenza tra la quantità di informazioni richieste per eseguire un compito e le quantità effettivamente possedute come le variabili per misurare il grado di tale incertezza (Perrow, 1970; Galbraith, 1973).

A questa definizione preliminare vanno aggiunti dei contributi più moderni, i quali hanno ampliato il significato di tale concetto, abbracciando nuove dimensioni all’interno della sua definizione, infatti sono state introdotte due classificazione del concetto di incertezza: può essere tecnologica, ed ambientale; la prima si riferisce all’incertezza riscontrabile nei fattori interni all’azienda (incertezza sui compiti, sulle azioni da svolgere), mentre la seconda è relativa a fattori esterni all’azienda (Ouchi, 1979; Hirst, 1983).

In sintesi possiamo dire che Ditillo (sulla base di studi pregressi e di altri importanti contributi) definisce l’incertezza come un aspetto negativo proprio delle aziende ad alta intensità di conoscenza che si genera proprio a partire dall’immaterialità dell’output che queste aziende producono; tale aspetto influisce (negativamente) anche sulle conoscenze che vengono impiegate per ottenere un certo risultato, perché l’incertezza sul risultato da ottenere genera incertezza anche sull’effettiva capacità di una conoscenza di produrre un determinato output; l’incertezza assoggetta negativamente la conoscenza anche per quanto riguarda il processo di trasferimento della stessa all’interno dell’azienda ad alta intensità di conoscenza, in quanto sussiste il rischio di una perdita di informazioni e quindi che ci sia un trasferimento incompleto.

Il contributo di Ditillo ha la particolarità di privilegiare il controllo di gestione come strumento per coordinare le diverse attività integrando le fonti di conoscenza (Ditillo ritiene che questo ruolo sia più funzionale all’eliminazione dell’incertezza nelle aziende ad alta intensità di conoscenza), e non assegnandoli un semplice ruolo di informatore per affrontare l’incertezza o riduttore di divergenze dagli obiettivi (come invece ritengono Khandwalla, 1972; Gordon & Narayanan, 1984; Simons, 1987; Davila, 2000). Perché è necessario rivolgere così tanta attenzione all’incertezza? L’incertezza riveste un ruolo negativo nelle aziende ad alta intensità di conoscenza, in quanto inibisce l’integrazione reciproca delle varie forme conoscitive presenti in azienda e crea problemi anche per il trasferimento della stessa ostacolandone di fatto l’efficiente diffusione all’interno dell’azienda, per questo motivo Ditillo sceglie di monitorarla introducendo una nuova variabile chiamata complessità della conoscenza (knowledge complexity), che serve appunto a misurare il grado di incertezza persistente in azienda; l’obiettivo è cercare di

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capire come l’incertezza influisca sui meccanismi di controllo di gestione e quindi anche sull’integrazione conoscitiva in un’azienda ad alta intensità di conoscenza (Ditillo, 2004). Le imprese ad alta intensità di conoscenza possono essere definite come quelle che fanno un uso superiore alla media delle altre di aziende di individui che hanno importanti conoscenze sofisticate, e questo dovrebbe generare un vantaggio competitivo; in alcuni definizioni prettamente formali le aziende di questo tipo sono quelle che hanno almeno un terzo del numero totale di dipendenti formato da esperti altamente specializzati, e tali esperti vengono definiti come “soggetti con un’educazione formale ed esperienza equivalente ad una laurea magistrale o ad un dottorato” (Starbanks, 1992). Quindi è evidente da queste definizioni che il capitale umano rappresenta il vero nucleo portante di queste aziende.

La difficoltà nella gestione delle aziende sensibili alla conoscenza è legata non tanto al fatto che per esse è importante fare una selezione degli individui veramente importanti in termini di competenze e di conoscenze, ma soprattutto al fatto che queste conoscenze devono essere integrate reciprocamente per coloro che poi svolgono attività di vitale importanza all’interno dell’azienda e che sono caratterizzate da incertezza; l’integrazione reciproca delle conoscenze si rende necessaria dal momento che in un’azienda ad alta intensità di conoscenza “convivono” molte forme specifiche di conoscenze (molto differenziate fra loro), per dare all’azienda un carattere di completezza dal punto di vista quantitativo e qualitativo si rende necessario ciò quindi, diminuendone così il grado di incertezza e aumentandone invece l’utilità per gli individui che svolgono le attività aziendali (Winch & Schneider, 1993; Austin & Larkey, 2002). L’incertezza risulta essere un carattere intrinseco di questo ambiente, continuamente proteso verso l’innovazione, la dinamicità e l’imprevedibilità.

All’interno di un’azienda ad alta intensità di conoscenza si creano delle disparità dovute alla diversità di conoscenze specifiche che i manager hanno (a seconda delle unità organizzative in cui i manager operano ad essi saranno richieste specifiche conoscenze), ecco perché è importante una corretta integrazione reciproca delle diverse conoscenze che sono dislocate in azienda. Le disparità conoscitive tra gli individui generano incertezza, ed il ruolo dell’integrazione conoscitiva è quello di permettere il superamento di tale limite annullando le incertezze, ovvero semplificando il numero eccessivo di conoscenze diverse presenti in azienda ed elaborandone un numero minore ma con un grado di applicabilità più grande, in questo modo si eliminano infatti le numerose

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1995). Come ottemperare a ciò? Non sempre il puro e semplice trasferimento conoscitivo risulta essere l’arma più idonea per permettere ciò, anche perché molto spesso le conoscenze più importanti sono quelle implicite (o tacite), le quali per definizione non sono immediatamente trasferibili. Bisogna quindi favorire l’integrazione, evitando trasferimenti conoscitivi incrociati, la chiave di tutto ciò quindi è il compito del management control system.

Un ruolo chiave in questo difficoltoso processo è rivestito dai Team, i quali non sono altro che delle unità organizzative che creano delle sinergie per aumentare l’applicazione integrata di conoscenze specializzate; il Team ha il pregio di combinare le conoscenze di tutti i membri che lo compongono, permettendo quindi l’ottenimento di giudizi di più elevata qualità a seguito delle condivisioni delle informazioni (Casey, Gettys, Pliske, & Mehle, 1984; Azioni & Harrell, 1995). Quindi i Team erogano il massimo della loro utilità proprio in questi contesti dove si confrontano varie conoscenze, le quali vanno integrate fra loro. Chiaramente queste conclusioni sono particolarmente adatte ad un contesto come quello delle knowledge-intensive firms, vista la necessità di dover affrontare un ambiente dinamico che cambia continuamente, ed è quindi in continua evoluzione (Cohen, 1993; Scott & Tiesen, 1999; Boland & Tenkasi, 1995).

Riprendendo il tema dell’incertezza, essa è stato oggetto di studio da parte di molti ricercatori negli ultimi anni, soprattutto per la necessità di capire il suo ruolo nella progettazione di un controllo di gestione; infatti, mentre si da per assodata ormai la rilevanza di tale costrutto in questo preciso contesto, è molto più dubbia la sua incidenza sui sistemi di controllo di gestione, anche perché, e non è un aspetto da poco, un fattore che incide molto è anche il contesto operativo dell’azienda (quindi un conto è un’azienda manifatturiera, un conto è invece un’azienda knowledge-intensive). Tutto è infatti diverso, le due variabili più comuni che sono usate per studiare l’incertezza, ovvero l’analisi delle mansioni ed il numero di eccezioni riscontrabili rispetto alla programmazione aziendale, non sono utilizzabili nel contesto delle knowledge-intensive firms. L’analisi di un compito risulta essere impedita dal fatto stesso che l’output prodotto non è tangibile, quindi difficilmente valutabile, mentre il numero di eccezioni è eccessivamente elevato a causa dell’elevato livello di dinamicità e di cambiamento che è insito nel sistema (la programmazione aziendale nelle knowledge-intensive firms è particolarmente difficoltosa perché sono inserite in un contesto proteso in continuazione al cambiamento, quindi le eccezioni che si verificano rispetto a quanto già programmato sono molto più numerose rispetto ad un’altra tipologia di azienda) (Ditillo, 2004). Ci sono

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dimensioni maggiori di incertezza rispetto ad una normale azienda manifatturiera, il che comporta l’applicazione di una vasta gamma di conoscenze che sono sì differenziate, ma che sono integrabili, e tutto ciò avviene all’interno dei sopra menzionati Team.

Per comprendere più precisamente a cosa ci riferiamo quando parliamo di incertezza è necessario approfondire il tema. Vista la difficoltà nell’utilizzo delle due variabili sopra menzionate (analisi delle mansioni e numero di eccezioni rispetto alla programmazione) nelle aziende ad alta intensità di conoscenza, l’incertezza, secondo il contributo di Ditillo, viene misurata utilizzando una nuova variabile che sarebbe la complessità conoscitiva; essa può essere suddivisa in tre tipologie di complessità che possono affliggere la conoscenza (Ditillo, 2004):

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Complessità computazionale; quando la conoscenza è caratterizzata da un numero molto grande di agenti e di interconnessioni esistenti fra essi (Grandori, 1997; Simon, 1962) è consigliabile l’utilizzo di meccanismi di controllo di gestione che eseguano codifiche ed elaborazioni formali delle informazioni (Galbraith, 1977; Mintzberg, 1979; Grandori, 1997). Dal momento che una conoscenza può essere codificata, ed un’attività da eseguire presenta complessità computazionale, Ditillo ritiene che essa debba essere gestita con procedure, regole ed azioni, permettendo in questo modo l’integrazione delle conoscenze. In generale, un grado crescente di complessità computazionale genera difficoltà nell’esecuzione di un compito/attività.

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Complessità tecnica; è attinente alla situazione in cui si assiste ad una conoscenza molto differenziata tra gli agenti (ogni agente ha una conoscenza molto specifica) (Cohen & Levinthal, 1990; Iansiti & Clark, 1994; Zander & Kogut, 1995), e questo porta alla necessità di dover costruire un impianto che permetta la coordinazione tra le diverse conoscenze dei diversi agenti. Un compito/attività è affetta da complessità coordinativa in quanto sorge la necessità di costruire delle relazioni che intercorrono tra gli individui, e più nello specifico si guarda alla forza, ai tempi, al contenuto, ai requisiti di prestazione di tali relazioni.

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Complessità cognitiva; si riferisce alla presenza di nuovi processi particolarmente all’avanguardia per gli agenti che non ne hanno la padronanza, l’elaborazione di soluzioni particolarmente innovative alle problematiche aziendali e l’imprevedibilità dei risultati. Quando la conoscenza è caratterizzata da queste complessità l’attività è caratterizzata da una complessità dinamica. Ditillo ritiene che debbano essere elaborate

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delle apposite forme di controllo culturale che assicurino l’integrazione delle conoscenze.

Più la conoscenza risulta essere differenziata tra gli agenti, più si dovrebbe cercare di ricorrere all’integrazione della conoscenza, e nello specifico implementare una forma di controllo di gestione che permetta ciò. In sintesi possiamo dire che abbiamo visto come si viene a generare l’incertezza all’interno delle knowledge-intensive firms, e come essa possa essere misurata attraverso la complessità conoscitiva, con quest’ultima che ha le tre articolazioni sopra trattate. Il ruolo del management control system è particolarmente delicato, perché se implementato nel modo corretto permette un’integrazione reciproca delle conoscenze, annullando le incertezze, ed è questa la chiave che a noi interessa. Nel capitolo successivo (in particolare nel paragrafo 3.1) osserveremo dei casi pratici in cui le varie tipologie di complessità vengono riscontrate all’interno dei Team, e vedremo come il controllo di gestione permetta di superare tali limiti.

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2.2 IL PROBLEMA DEL TRASFERIMENTO DELLE CONOSCENZE

In questo paragrafo ci apprestiamo ad analizzare il problema del trasferimento delle conoscenze all’interno delle knowledge-intensive firms, e lo facciamo utilizzando il contributo di Ditillo (2012). In particolare, lo studio condotto da Ditillo è utile in quanto offre un modello che ci permette di capire il ruolo che ricopre il controllo di gestione in suddette aziende, favorendo in questo modo il trasferimento delle conoscenze nelle aziende ad alta intensità di conoscenza. Una consapevolezza che è maturata soltanto in anni veramente recenti è quella relativa a come fare in modo che gli strumenti di management control system possano essere utilizzati come meccanismi che trasportano le conoscenze all’interno delle aziende; si sa veramente poco sul reale modo in cui tali strumenti possono essere utili nel contesto dinamico e molto più complesso di un’azienda ad alta intensità di conoscenza. Ditillo ha esaminato tutto ciò grazie ai contributi pregressi ed eseguendo svariate analisi su aziende di software, ed ha in qualche modo integrato il lavoro che lui stesso aveva già svolto nel 2004 oggetto di esame nel paragrafo precedente. Da parte degli studiosi c’è stata una crescita dell’attenzione dedicata ai temi della gestione della conoscenza, studiando quindi i possibili modi in cui essa poteva essere trasferita all’interno delle aziende: chi proponeva lo sviluppo di controlli contabili e strutture di reporting come mezzo per facilitare il trasferimento e l’uso di conoscenze organizzative, oppure chi suggeriva di adottare una combinazione di controlli come meccanismo per il trasferimento delle conoscenze (Hopwood, 1972; Chapman, 1998; Leitner and Warden, 2004; Mouritsen and Larsen, 2005; Roberts, 1990; Davila, 2000; Ditillo, 2004). Ditillo tra tutti i modi possibili sceglie l’approccio dell’Actor-Network Theory, una metodologia che sottolinea quale sia l’importanza della rete nel sostenere l’emergere della conoscenza (McNamara et al., 2004; Callon, 1986, 2001; Latour, 1987; Latour and Woolgar, 1979), il suo contributo si inserisce all’interno di questo filone di analisi, e si contraddistingue per l’utilizzo del controllo di gestione come strumento per veicolare le conoscenze nelle aziende ad alta intensità di conoscenza (Ditillo, 2012).

L’Actor-Network Theory pone le proprie basi sull’importanza assegnata ai rapporti che si instaurano tra diversi individui o diverse unità organizzative aziendali, questi infatti rappresentano il punto iniziale che per Ditillo, che cerca di capire l’importanza rivestita dal controllo di gestione nel processo di trasferimento conoscitivo.

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Le unità organizzative risultano essere legate fra loro sulla base di combinazioni di relazioni di vario tipo, forti/deboli e dirette/indirette, le quali si prestano a favorire il trasferimento di certe tipologie di conoscenze, e sulla base di ciò bisognerà costruire un meccanismo di controllo di gestione che ne permetta il trasferimento; con relazioni forti si intendono dei rapporti frequenti in termini di accadimento tra le unità organizzative, che diano modo all’interazione di essere esaustiva nel trasferimento di una certa conoscenza, mentre con relazioni deboli si intende l’esatto contrario, ovvero dei rapporti tra unità organizzative che avvengono sporadicamente; con relazioni dirette si è soliti indicare dei rapporti tipicamente faccia a faccia tra gli individui o dei colloqui orali che garantiscano la comunicazione diretta di una certa informazione o forma conoscitiva (in questo modo si realizza una spiegazione esaustiva di una forma di conoscenza molto complessa, il trasferimento non tralascia parti di tale conoscenza), per relazioni indirette si intende l’esatto opposto, in quanto i faccia a faccia tra le due parti in causa non hanno luogo, e la comunicazione viene svolta ricorrendo ad un intermediario, solitamente un soggetto terzo esterno (questo perché l’informazione o la conoscenza da trasferire è di semplice interpretazione, quindi un rapporto indiretto è più che sufficiente perché il trasferimento sia efficiente).

Ditillo tiene di conto di due importanti variabili che “affliggono” la conoscenza, e che in qualche modo ne condizionano positivamente o negativamente (a seconda delle varie intensità) il trasferimento, che sono l’ambiguità causale e il grado di similitudine (o affinità) delle conoscenze tra unità organizzative. Riprendendo Hansen (1999), Ditillo è concorde nel definire l’ambiguità causale come un carattere intrinseco della conoscenza, è la difficoltà riscontrata nell’articolarla nelle sue componenti, le quali risultano essere interdipendenti tra loro (Szulanski et al., 2004); la causalità risiede nel carattere di interdipendenza che sussiste fra le singole componenti della conoscenza, come se una componente causasse (o determinasse) l’esistenza di un’altra. La complessità interna che può affliggere la conoscenza può comportare la non piena comprensione delle componenti interne, il che significa alcune di esse vengono involontariamente tralasciate, oppure non ne viene compreso il significato; il processo di trasferimento della conoscenza risulta quindi essere incompleto, e chiaramente questo non va bene, perché di fatto la conoscenza non viene trasferita all’interno dell’azienda.

Le relazioni forti (sopra descritte) che si instaurano tra le varie unità organizzative sono efficaci perché il trasferimento conoscitivo sia completo, in quanto grazie a numerose relazioni c’è modo di articolare la conoscenza in tutte le sue componenti; se invece la

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conoscenza è caratterizzata da un basso di grado di ambiguità causale significa che è semplice articolarla e comprendere a pieno le sue componenti, di conseguenza bastano delle relazioni deboli (sopra descritte) perché il trasferimento conoscitivo sia efficace (Ditillo, 2012).

Tuttavia i ricercatori dell’ANT, alla quale si rifa Ditillo, hanno individuato un’altra variabile che deve essere considerata durante il trasferimento delle conoscenze, vale a dire il grado di similitudine delle conoscenze delle varie unità organizzative; ci sono studi che sottolineano come il trasferimento di conoscenze fra unità organizzative aziendali che utilizzano conoscenze tra cui può essere stabilita una relazione (quindi conoscenze che possono essere utilizzate da molteplici unità organizzative) si realizzi in modo più efficace rispetto a quando c’è invece una profonda diversità (Ditillo, 2012; Farjoun, 1998). In particolare quando si è di fronte ad una situazione in cui c’è un alto grado di similitudine (le conoscenze di due unità sono simili) significa che le relazioni indirette (sopra descritte) rappresentano una forma più che sufficiente perché il trasferimento della conoscenza abbia luogo senza alcuna dispersione della stessa (Farjoun, 1998; Hansen, 1999; Ditillo, 2012); viceversa se il grado di similitudine è basso il trasferimento conoscitivo tra le unità incontra delle difficoltà perché le conoscenze delle unità organizzative sono diverse tra loro, ecco quindi che sono necessarie delle relazioni dirette basate su comunicazioni istantanee e sui faccia a faccia (sopra descritte), in modo tale da colmare le lacune che si avrebbero durante il trasferimento (Hansen, 1999; Ditillo, 2012). Ditillo rileva come le due variabili sopra descritte si combinino tra loro con diversi gradi di intensità all’interno di quattro tipologie di conoscenze da lui individuate e che sono oggetto di trasferimento all’interno delle knowledge-intensive firms, ovvero la conoscenza relativa al processo (per conoscenza relativa al processo si intende l’insieme di strumenti da utilizzare e di comportanti da tenere affinché venga raggiunto l’obiettivo organizzativo, secondo la definizione di Turner & Makhija, 2006), la conoscenza relativa ai risultati (per conoscenza relativa ai risultati si intende la comprensione delle relazioni che legano le attività delle unità organizzative finalizzata alla conoscenza dell’obiettivo organizzativo programmato, secondo la definizione di Turner & Makhija, 2006), la conoscenza relativa alla tecnologia (per conoscenza relativa alla tecnologia si intende l’insieme di conoscenze specifiche, know-how, competenze tecnologiche e competenze sull’utilizzo di determinati software, secondo la definizione di Hansen, 1999 e 2002) ed infine la conoscenza relativa alle opportunità (per conoscenza relativa alle opportunità si

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unità organizzative dell’azienda, secondo Ditillo, 2012); ciascuna forma conoscitiva richiede l’attivazione di opportuni legami (sopra affrontati) tra individui che garantiscano l’efficace condivisione, ed è il controllo di gestione che ha il compito di attivare tali legami all’interno delle aziende ad alta intensità di conoscenza.

Ditillo suddivide il controllo di gestione in tre tipologie particolari di controlli, cioè il controllo sui risultati, sulle azioni e sul personale. Con controllo sui risultati si intende l’imposizione di un preciso obiettivo di prestazione che viene misurato, per l’ottenimento di un preciso output (Ouchi, 1979; Abernethy and Brownell, 1997; Merchant, 1998); il controllo della azioni consiste invece nella creazione di una vera e propria scala gerarchica e nell’individuazione di linee di responsabilità, nella codifica e formalizzazione delle procedure lavorative (Ouchi, 1979; Abernethy and Brownell, 1997; Merchant, 1998); il controllo sul personale fa riferimento alle procedure di selezione degli individui, e alla gestione degli stessi attraverso trasferimenti inter-organizzativi (Ouchi, 1979; Abernethy and Brownell, 1997; Merchant, 1998).

Il problema è riuscire a creare un management control system che permetta il trasferimento conoscitivo in un contesto del tutto particolare, come quello delle aziende ad alta intensità di conoscenza. Successivamente, nel prossimo capitolo (in particolare al paragrafo 3.2), vedremo come le tipologie di controllo sopra elencate attivano le relazioni necessarie al trasferimento delle forme conoscitive che individuate da Ditillo, si ottiene quindi un modello che permette il trasferimento delle conoscenze senza che ci siano ridondanze o perdite di informazioni, e soprattutto si tiene di conto delle due variabili chiave che pendono come una spada di Damocle sul trasferimento della conoscenza in termini di capacità di condizionamento, cioè l’ambiguità causale e la relazionalità delle conoscenze.

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2.3 IL RUOLO DELLA CRESCITA NEL CICLO DI VITA: QUALE IMPATTO SUL SISTEMA DI CONTROLLO DI UN’AZIENDA AD ALTA INTENSITA’ DI

CONOSCENZA?

In questo paragrafo viene analizzato il lavoro di Eszter Sibinger e Natasha Widler (2014). Il concetto di knowledge-intensive firms si inserisce nel contesto della terza rivoluzione industriale che è tutt’ora in atto, che ha visto l’affermarsi del settore terziario, quello dei servizi. Questa nuova epoca presta molta attenzione alla conoscenza ed alla sua gestione, ecco perché studiare queste aziende risulta essere importante e funzionale alle prospettive future, anche se in realtà la conoscenza è funzionale a qualsiasi tipo di azienda, non solo alle knowledge-intensive firms; la differenza fra le aziende ad alta intensità di conoscenza e le altre è l’impiego di un personale altamente qualificato, sono le competenze e le conoscenze particolarmente specifiche del capitale umano impiegato a fare la differenza rispetto alle aziende a non alta intensità di conoscenza (Kärreman, Alvesson & Sveningsson, 2002; Ditillo, 2004; Løwendahl et al., 2001). Essendoci stata una presa di coscienza di tutto ciò soltanto in tempi recenti, la strada della costruzione di un meccanismo di controllo di gestione che permetta la gestione efficiente di una knowledge-intensive firm è ancora da costruire, però possiamo vedere chiaramente come ci sia stata una svolta abbastanza decisa in questo senso.

Riprendendo altri studi, Sibinger e Widler (2014) sono concordi nell’affermare come sia meglio seguire un approccio olistico nella creazione di un management control system nelle aziende ad alta intensità di conoscenza, questo perché il controllo di gestione non può assolutamente rimanere vincolato ad aspetti puramente economico-finanziari, ma deve integrare anche quelli più soggettivi ed impliciti, combinando al suo interno componenti sia burocratiche, che culturali di controllo (Bhimani, 2003; Alvesson & Sveningsson, 2008).

Sibinger e Widler (2014) studiando la letteratura recente sulle aziende ad alta intensità di conoscenza notano che gli studi più importanti eseguiti in questo campo si concentrano prevalentemente sull’analisi di aziende di quel ramo di medio-grande dimensione che si trovano in una fase avanzata del ciclo di vita (cioè sono multinazionali oppure aziende già formate ed attive da tempo) (Kärreman, Sveningsson & Alvesson, 2003; Ditillo, 2012; Løwendahl et al., 2001), tralasciando completamente l’analisi delle fasi preliminari di tali

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della nascita sono prevalentemente piccole imprese, raggiungono dimensioni medio-grandi soltanto durante una fase avanzata del proprio ciclo di vita. Questo aspetto è fondamentale, in quanto la dimensione aziendale impatta sulla scelta dei meccanismi di controllo di gestione che l’azienda fa, i quali si evolvono e cambiano di pari passo con il cambiamento che l’azienda subisce nel corso del suo ciclo di vita. L’idea è quella di osservare come impatta la crescita che un’azienda ha durante l’intero ciclo di vita sui meccanismi di controllo di gestione.

Nel contesto studiato da Sibinger e Widler (2014) la crescita è definita come il passaggio realizzato dall’azienda da una fase a quella successiva del suo ciclo di vita, è un concetto che non si traduce semplicemente in una crescita dimensionale dell’azienda (da piccola a medio-grande), comporta infatti il cambiamento di certe strutture organizzative e di certi processi che vi hanno luogo (Lessard et al., 1998).

Ci sono varie teorie legate al ciclo di vita delle aziende, in cui le fasi canoniche sono le medesime (nascita, sviluppo, maturità e declino), per le aziende ad alta intensità di conoscenza c’è la particolarità di dover far fronte ad una crescita continua giustificata dal contesto dinamico ed evolutivo in cui esse sono inserite; crescita e ciclo di vita si legano così: la crescita permette l’avvicendamento delle fasi del ciclo di vita di una azienda ad alta intensità di conoscenza, e questo impatta sul controllo di gestione implementato all’interno dell’azienda.

La crescita che una knowledge-intensive firm subisce nel corso del suo ciclo di vita viene analizzata da Sibinger e Widler (2014) come un fattore contingente, quindi come un fatto che può o meno verificarsi; la spiegazione va fatta risalire agli obiettivi che un’azienda si pone, se per l’appunto vuole diventare una grande impresa, oppure rimanere allo status di PMI (quello iniziale generalmente nel ciclo di vita). Sibinger e Widler (2014) riprendono Granlund e Taipaleenmäki (2005) nel considerare la crescita nelle aziende ad alta intensità di conoscenza un fattore che impatta sulle caratteristiche di come deve essere strutturato il controllo di gestione. La crescita è un fattore che nasce a partire dalla combinazione tra strategia e dimensione aziendale, la pianificazione aziendale programma una crescita, che formalmente dal punto di vista della maggiore dimensione si vede nell’aumento del numero di dipendenti, dal fatturato ottenuto, dalle attività; nelle aziende ad alta intensità di conoscenza la crescita vera e propria si realizza tramite il continuo apprendimento e con la continua introduzione di nuove conoscenze sui cui basare la propria attività. Il continuo cambiamento dovuto a questa tipologia di crescita ha un impatto sulle caratteristiche del controllo di gestione di una knowledge-intensive

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firm, perché questo dovrà essere cambiato per accogliere e valorizzare le nuove conoscenze dovute al processo di crescita subito dall’azienda (Chenhall, 2003; Sibinger e Widler, 2014).

In particolare il controllo di gestione in un’azienda ad alta intensità di conoscenza può essere studiato dal punto di vista del ciclo di vita aziendale; per fare ciò Sibinger e Widler si rifanno agli studi di Granlund & Taipaleenmäki (2005) che individuano una categoria di studio più ampio, cioè le New Economy Firms, all’interno delle quali sono inserite anche le Knowledge-Intensive Firms (che rappresentano un sottoinsieme sostanzialmente).

La crescita è un fattore che si riscontra durante il normale ciclo di vita di una azienda ad alta intensità di conoscenza, di essa bisogna tenerne conto, per ragioni sia interne che esterne all’azienda. Internamente l’azienda ha interesse nell’assumere e nel valorizzare capitale umano competente, mentre esternamente l’azienda cerca di attrarre capitali d’investimento e di ottenere un posizionamento strategico di successo nel mercato di riferimento (Sibinger & Widler, 2014; Canals, 2001). La crescita impatta sul controllo di gestione da questo punto di vista, sorge continuamente la necessità di dover gestire continuamente aspetti emergenti interni ed esterni (dovuti al processo di crescita aziendale), questo risulta possibile solo grazie ad un management control system sempre all’avanguardia, il quale è tenuto ad essere continuamente aggiornato sulle dinamiche aziendali emergenti; questo non significa che è necessario cambiare periodicamente tipologia di management control system, significa che bisogna implementarne uno flessibile che si adatti continuamente, in maniera dinamica.

Un controllo di gestione che si occupa di gestire la crescita di un’azienda ad alta intensità di conoscenza durante il suo ciclo di vita è facilitato nel suo intento facendo proprio il carattere della flessibilità, costituendo in questo modo un management control system che meglio si adatta a tutte le situazioni imprevedibili che possono emergere durante il ciclo di vita aziendale, che non si occupi solo di comunicare ai livelli aziendali i valori basilari, ma che pensi anche a come monitorare le prestazioni aziendali sulla base degli obiettivi che sono stati fissati, che valuti aspetti qualitativi oltre che quantitativi (l’analisi va oltre l’aspetto puramente economico-finanziario) (Sibinger & Widler, 2014).

Il modello di controllo di gestione proposto da Sibinger e Widler (2014) per le knowledge-intensive firms è il modello di Malmi e Brown (2008), analizzato tenendo conto della crescita come fattore contingente.

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Sulla base di altri studi esaminati da Sibinger e Widler, emerge come la noncuranza dell’aspetto della crescita rappresenti l’anticamera per i possibili fallimenti aziendali, il successo e l’ottenimento di un vantaggio competitivo sono aspetti che vanno ricercati perseguendo la gestione della crescita tramite il controllo di gestione.

Nel paragrafo 3.3 è analizzata l’articolazione del Malmi and Brown Management Control System, la particolarità di questo modello di controllo di gestione è quella di cercare di monitorare e gestire il comportamento dei propri dipendenti al fine di indirizzarli verso gli obiettivi aziendali, obiettivo che possiamo anche intendere come l’intento di allineare gli obiettivi individuali con quelli dell’organizzazione (Malmi and Brown, 2008). La gestione e la valorizzazione delle risorse umane pone il modello di Malmi e Brown in linea con l’importanza da assegnare al capitale umano nelle knowledge-intensive firms, con quest’ultime che basano la propria attività sullo sfruttamento delle conoscenze dei propri dipendenti.

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2.4 I PROBLEMI DELL’IMPLEMENTAZIONE DEL CONTROLLO DI GESTIONE NELLE AZIENDE AD ALTA INTENSITA’ DI CONOSCENZA

Nelle aziende attuali c’è un tema emergente che ha acquisito un’importanza strategica indiscutibile, ovvero la condivisione delle conoscenze (il cosiddetto knowledge sharing). Tale condivisione infatti permette di promuovere il valore dell’impresa, e chiaramente in un’economia della conoscenza, caratterizzata dalla presenza di aziende knowledge-intensive che competono sempre di più sulle loro conoscenze e sulle loro risorse intellettuali, diventa di vitale importanza per migliorare le prestazioni aziendali.

Per condivisione della conoscenza si intende tutto quell’insieme di attività di acquisizione, generazione e diffusione delle conoscenze all’interno di un’impresa (Massaro, Pitts, Zanin, Bardy, 2014).

L’implementazione di un management control system deve essere fatta in maniera molto attenta e contestualizzata per il tipo di azienda, in quanto esso rappresenta uno strumento che permette di trasferire le conoscenze all’interno di tutto il comparto aziendale. Negli ultimi quindici anni alcuni studi hanno cominciato ad esaminare le circostanze in cui il controllo di gestione, se utilizzato scorrettamente, riveste un ruolo negativo poiché non favorisce il trasferimento conoscitivo all’interno delle aziende ad alta intensità di conoscenza (Ditillo, 2004, 2012). Un uso improprio di questo prezioso strumento all’interno di un contesto caratterizzato da un alto livello di conoscenza lo trasforma da meccanismo veicolare delle conoscenze ad uno strumento inibitorio di tale diffusione. Per questo motivo orientamenti più recenti suggeriscono un ruolo informativo per questi strumenti (Davila, 2000), piuttosto che quello di mezzo per ridurre le divergenze tra gli obiettivi ed i risultati.

La questione assume una rilevanza assai maggiore all’interno delle aziende ad alta intensità di conoscenza, in cui la generazione e la condivisione di conoscenze è il mezzo che esse utilizzano per fornire ai loro clienti un output di qualità, da intendersi come l’erogazione di un servizio che risponde alle esigenze del cliente in termini di conformità rispetto alle richieste, ed in termini di strumentalità nello svolgere parti di un processo produttivo (se non un processo intero). Nelle aziende ad alta intensità di conoscenza si osserva quindi la generazione di una serie di ostacoli organizzativi (o barriere) in seguito all’uso improprio degli strumenti di controllo di gestione (Massaro, Pitts, Zanin, Bardy,

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