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Processi di internazionalizzazione e l’organizzazione aziendale

2. Processi di internazionalizzazione 1 Modelli di internazionalizzazione

2.3 Processi di internazionalizzazione e l’organizzazione aziendale

2.3.1 L’organizzazione delle imprese internazionalizzate

Il contesto internazionale per le imprese viene identificato come la sorgente primaria di opportunità, ma anche di minacce. Per confrontarsi con l’ambiente soprannazionale quindi, gli operatori economici, oltre a decidere strategie e modalità d’ingresso, devono anche prestare particolare attenzione alle decisioni inerenti alla progettazione della loro struttura organizzativa. Questa non si riduce soltanto alla visione semplicistica della scelta più appropriata di un modello organizzativo, valutato efficace in condizioni relative ad un macroambiente simile, ma rappresenta una vera e propria integrazione di una serie di fattori, come le responsabilità organizzative o la migliore allocazione delle esigenze decisionali, che risultano sempre mutevoli e instabili, spinti dalle pressioni di un contesto globale. Quindi, in prima analisi, l’impresa deve riuscire a sincronizzare la necessità di standardizzazione a livello centrale, definita come global standardization, e l’adattamento ai vari contesti locali in cui decide di operare, ossia le local responsiveness. I tre approcci organizzativi che sono andati a consolidarsi nel corso di questi ultimi decenni vengono fatti risalire alle aziende giapponesi, europee ed americane. Nonostante le imprese di ogni paese che intendono aprirsi e collocarsi presso un mercato estero, sfruttano tecniche e strumenti appartenenti a ciascun modello essi sono caratteristici ognuno delle proprie differenze socio-culturali. Le aziende giapponesi nella loro apertura verso mercati esteri hanno solitamente adottato sistemi di organizzazione che si fondano sostanzialmente sulla centralizzazione.

Questo modello prevede che tutte quante le decisioni e le attività al di fuori della nazione vengano coordinate dal top management delle sedi centrali. Tra i principali vantaggi di quest’approccio c’è senza dubbio l’espansione della conoscenza e delle risorse, raggiunte a livello centrale, che permettono di armonizzare le diverse unità raggiungendo una buona efficienza globale ed evitando lotte all’interno del gruppo.

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Per permettere che tutto ciò avvenga in maniera ordinata deve essere senza dubbio presente un alto grado di comunicazione tra le varie sedi e la dirigenza centrale, per far sì che i manager siano aggiornati e pienamente coinvolti nelle decisioni strategiche. I limiti riconosciuti a tale modello si possono però facilmente ricondurre proprio a quest’ultimo aspetto, infatti, all’espandersi dell’organizzazione, il top management può trovarsi in situazioni di sovraccarico d’informazioni provocando così un notevole rallentamento decisionale, senza considerare poi che anche la qualità di tali decisioni perde notevolmente di efficacia, poiché la sede centrale non può conoscere tutte le sfaccettature che riguardano ogni singola regione. A differenza delle imprese nipponiche, quelle europee hanno generalmente adottato un approccio totalmente contrastante, puntando cioè ad una forte decentralizzazione. Le unità internazionali, infatti, godono di un elevato grado di indipendenza e di autonomia decisionale, il coordinamento tra queste è dovuto ad una forte cultura aziendale e ad una profonda credenza nella missione aziendale puntando sulla condivisione dei valori e sulle relazioni interne svolte in maniera informale. Questo prevede, quindi, una particolare attenzione nella scelta e formazione dei manager che verranno messi a capo di ogni singola unità estera. Il vantaggio principale è una forte aderenza allo scenario locale da parte di ogni singola unità organizzativa, permettendo così all’impresa di soddisfare le particolari esigenze che si presentano di volta in volta. Anche in questo modello però il principale svantaggio è insito proprio nella sua particolarità principale; infatti, potrebbero essere molto elevati i costi di formazione e sviluppo di tutti i manager, specialmente quando l’organizzazione raggiunge grandi dimensioni. Inoltre il processo decisionale potrebbe soffrire dei vari conflitti che possono nascere tra le varie divisioni. Un approccio che si colloca tra i due precedenti è quello utilizzato dalle imprese statunitensi che si sono sviluppate in ambito internazionale, tanto è vero che queste ultime pur delegando le principali responsabilità alle unità organizzative internazionali, mantengono il controllo generale dell’impresa nella sede centrale, mediante l’uso di complessi sistemi di controllo e la specializzazione di staff qualificati. I mezzi principali sfruttati dalla sede direzionale per il controllo e il coordinamento delle varie divisioni sono rappresentati da dei sistemi formali basati su standard di performance che portano ad un regolare flusso di informazioni che confluiscono alla casa-madre.

Per evitare conflitti tra le varie unità le decisioni vengono basate su dati oggettivi, politiche e procedure queste che garantiscono un elevato livello di efficienza operativa.

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I limiti che presenta tale modello però stanno nella necessità di un elevato numero di personale nella sede centrale che ha il compito di visionare, interpretare e condividere le informazioni che in essa confluiscono, portando così ad un aumento dei costi. Inoltre la continua ricerca della standardizzazione delle operazioni porta ad una sorta di cecità nei confronti dei numerosi cambiamenti ai quali sono esposte le varie divisioni internazionali. Gli aspetti negativi della triade dei modelli adottati dalle imprese che hanno intenzione di internazionalizzare si trovano ad emergere quando il gruppo raggiunge dimensioni maggiori. Per ovviare a tali difficoltà, un numero sempre più rilevante d’imprese sta optando per una nuova tipologia di apparato organizzativo che riesce a concentrare in esso un elevato grado di differenziazione, per fronteggiare le complessità ambientali, e un buon livello di coordinamento, apprendimento e trasferimento del sapere aziendale: il modello transnazionale. Mediante tale approccio si focalizza l’attenzione dell’impresa sulla ricerca di una competitività locale, di una flessibilità multinazionale e del trasferimento del know-how. Il modello transnazionale opera come un network integrato delle singole attività che sono tra loro connesse con il fine di raggiungere obiettivi multi-dimensionali dell’organizzazione complessiva. Il controllo in tale organizzazione sarà dunque suddiviso secondo la tipologia di processi e su base temporale. L’interdipendenza delle varie unità internazionali fa sì che questa struttura non è configurabile come un semplice organigramma, ma come uno stato d’animo, o un interesse comune a tutto il gruppo, che si fonda su desiderio di funzionalità di tale sistema e su quello di competenza a livello globale. Infatti, l’autonomia delle diverse parti, oltre a rafforzare la posizione delle unità minori, consente anche all’azienda di adattarsi meglio alle varie realtà locali, mentre, l’esaltazione dell’interdipendenza aiuta ad ottenere efficienze globali e apprendimento organizzativo. Come tutti i modelli organizzativi però queste soluzioni appena esposte non rappresentano l’opzione di struttura in senso assoluto ma offrono soltanto una base da cui le imprese traggono spunto per intraprendere la loro avventura internazionale.

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2.3.2 Orientamento della cultura aziendale e imprenditoriale verso l’internazionalizzazione.

Agli inizi degli anni ’70 già si proponeva una distinzione che è divenuta un classico dell’internazionalizzazione: l’“orientamento di base” dell’impresa. Si tratta del modo in cui l’impresa “intende”, “vede” l’internazionalizzazione. È un concetto intercambiabile e versatile, sintetizza i concetti propri di ciascun orientamento, rispetto ad alcuni tratti rilevanti di strategia, organizzazione, gestione delle risorse umane.

L’orientamento di base è causa ed effetto della mentalità imprenditoriale, dello stadio di sviluppo raggiunto, della strategia competitiva, dell’organizzazione adottata. È un elemento “soft” che si manifesta al momento del confronto della cultura aziendale con ambienti nazionali diversi. Infatti, i due orientamenti significano:

• differenziazione culturale: la distanza culturale che l’impresa percepisce tra l’ambiente nazionale e quello internazionale (i paesi mercato in cui vuole internazionalizzare); • adattamento culturale: la capacità dell’impresa di adattarsi con efficacia alle nuove situazioni culturali in cui viene ad operare.

È evidente che il pensiero originario è rivolto alla grande impresa. Il modello etnocentrico è quello della grande impresa al primo approccio con i mercati internazionali; quello policentrico configura la multinazionale “classica”, organizzata per aree geografiche tendenzialmente separate tra loro; il modello globale comprende le forme evolute della grande impresa internazionale con migliaia di dipendenti, il cui tratto distintivo è saper trarre vantaggio dal coordinamento di realtà locali (le unità operative localizzate in tutto il mondo) con ruoli e competenze differenziate. La piccola impresa si riconosce tipicamente nell’orientamento etnocentrico. In realtà, le imprese più brillanti potrebbero assumere connotati più evoluti, quando non si guardi esclusivamente all’aspetto della configurazione geografica delle strutture o alla nazionalità dei dirigenti. Depperu afferma che “… il vincolo che le imprese di dimensioni minori incontrano nell’adozione di tale forma organizzativa -l’impresa transnazionale- è dovuto più a carenze nell’organismo personale e nella cultura aziendale, che non alla limitata disponibilità di risorse finanziarie. Il modello transnazionale, infatti, risulta molto costoso quando realizzato da imprese che hanno un raggio d’azione molto esteso …”. Insomma, nella piccola impresa la cultura dipende dal personale e dalla figura dell’imprenditore e dei familiari che collaborano alla direzione aziendale. Gli “orientamenti di base” possono essere descritti come segue.

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– Etnocentrico: L’orientamento culturale più immediato consiste nell’adottare l’approccio culturale nazionale rispetto a tutti i paesi esteri. Questo è possibile laddove vi sia poca differenza culturale, quindi in paesi abbastanza omogenei rispetto al proprio. Questo modello, quando non si cura delle differenze locali, è definito “coloniale”. Tipicamente, anche le piccole imprese tendono ad avere questo genere di orientamento culturale: ne può essere dimostrazione la ricerca di paesi mercato a simili e omogenei. Il fenomeno della c.d. euroglobalizzazione è dovuto al fatto che le imprese si rivolgono al mercato dell’Unione perché è vicino e omogeneo culturalmente (oltre che come distanza fisica e psichica).

- Policentrico: Un orientamento policentrico tiene conto delle diversità locali e definisce approcci specifici per contesti locali differenziati. Per la grande impresa, lo schema organizzativo consiste di una federazione di unità indipendenti. Per la piccola impresa, policentrismo significa una serie di scelte di adattamento (strategie competitive e organizzative diverse per paesi-mercato diversi); ne consegue un accrescimento della complessità gestionale. Il policentrismo più che una scelta è una imposizione da parte della natura specifica dei paesi-mercato.

- Regiocentrico: Quando è possibile individuare alcuni paesi-mercato omogenei a livello sovranazionale, si parla di orientamento regiocentrico, limitato cioè ad una macro-regione geografica. Questo approccio semplifica la complessità propria del policentrismo: invece che molti paesi diversi, si tratta di gestire un numero abbastanza limitate di macro-regioni.

- Geocentrico (globale): È difficile riscontrare nelle piccole imprese questa concezione.

Essenzialmente, si tratta di pensare il mondo come se i confini degli stati nazionali e le specificità locali non esistessero più. L’impresa globale tende a divenire a-nazionale: non ha più importanza la nazionalità dei massimi dirigenti; la cultura aziendale è depurata dagli elementi di nazionalistici. Il concetto di orientamento globale ha una prima accezione in riferimento alla scelta standardizzazione-adattamento del prodotto e alle economie conseguenti. La cultura imprenditoriale ha avuto un’evoluzione passando da statica (legata al passato e alla produzione) a dinamica (legata alle prospettive di sviluppo – all’innovazione, orientata al mercato).

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Secondo le parole di Valdani, l’obiettivo finale è quello di sviluppare una “propensione strategica all’internazionalizzazione”: si tratta di una risorsa immateriale che può essere ancora più importante di uno stock di risorse e di competenze. (Per estremo, l’impresa globale dovrebbe comunicare in un’unica lingua, l’inglese, indifferentemente rispetto al luogo in cui l’impresa è nata e si è sviluppata). Le forme e gli strumenti in cui può essere sviluppata la cultura imprenditoriale sono vari. Una di esse è la formazione. Percorsi di formazione imprenditoriale specificamente mirati all’internazionalizzazione (corsi di marketing internazionale, seminari sui finanziamenti pubblici ai progetti con l’estero, corsi di lingua straniera, sociologia e psicologia dei consumi del paese estero, …) oppure più generali (tecniche di gestione dell’ intelligenza emotiva, relazionalità, qualità, …) possono sviluppare quelle competenze manageriali che sembrano essere un punto debole delle piccole-medie imprese, spesso centrate sull’aspetto tecnico- produttivo. Altra soluzione è l’inserimento di nuovi dirigenti: l’inserimento di nuove persone in azienda può elevare la qualità della cultura.

L’inserimento di professionisti esterni alla proprietà (come, ad es., l’export manager), può apportare quegli elementi che altrimenti andrebbero sviluppati nell’ambito delle figure già esistenti. Nelle imprese familiari, può verificarsi che il luogo di inserimento dei “giovani” sia proprio l’ufficio estero, dove possono essere messe a frutto le idee di sviluppo. I giovani, poi, tendono ad essere più disponibili alla formazione e alle missioni all’estero. Così come per tutte le situazioni in cui l’impresa incontra il nuovo, risulta molto importante l’esperienza maturata in campo internazionale. Ma l’attività con l’estero non necessariamente implica l’apprendimento dall’estero: per molte imprese, l’apprendimento continua a provenire dalla realtà locale, mentre l’esperienza con l’estero è gestita in modo residuale e come “fare il minimo indispensabile” piuttosto che in ottica proattiva. Viceversa, le imprese culturalmente aperte sanno elaborare i frutti dell’esperienza sull’estero. Queste imprese fanno della capacità di apprendere una risorsa in più rispetto alle altre.

2.3.3 Le risorse e competenze quale vincolo all’internazionalizzazione

L’applicazione della prospettiva resource-based all’analisi del processo di espansione internazionale delle PMI richiede, quale chiave di lettura, lo studio delle modalità con le quali le imprese minori si sfruttano, nonché dei percorsi che intraprendono, valutando al contempo le risorse e le competenze di cui hanno bisogno.

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In particolare, l’analisi verrà focalizzata prevalentemente sulle risorse intangibili19

poiché, sono queste ad assumere maggiore rilevanza nella possibilità di influenzare il cambiamento nelle PMI (De Chiara, 1996). Le risorse intangibili, infatti, sono quelle che assumono maggior valore nei contesti internazionali poiché sono caratterizzate da una proprietà di ridondanza, vale a dire da una componente latente che non può essere sfruttata se non attraverso un impego sovradimensionato della risorsa stessa (Itami,1988). Gli studi più recenti hanno portato alla considerazione che il processo di internazionalizzazione delle PMI debba essere inteso come un processo di apprendimento. Le varie modalità organizzative che l’impresa può che l’impresa può attuare per entrare nei mercati esteri, più che da considerarsi come sistema lungo un ipotetico percorso di sviluppo della posizione internazionale, vanno viste quali sinonimi della crescita imprenditoriale che l’impresa ha già raggiunto. Tale crescita verrà allora misurata in termini di risorse e competenze maturate, il che implica la possibilità di identificare una relazione biunivoca tra il grado di maturazione raggiunto dall’impresa sui mercati esteri e lo stock di risorse e competenze disponibili per l’impresa stessa. Sulla base di queste premesse, è possibile individuare tutte quelle risorse e competenze che potremmo definire di base.

Si tratta, nella sostanza di andare ad identificare quelle che sono le condizioni basilari minime per l’implementazione di una strategia di espansione sui mercati esteri. Ad un secondo livello, possiamo definire quelle riscorse e competenze che derivano all’impresa per effetto di un processo di internazionalizzazione già realizzato. L’ingresso su nuovi mercati, comporta per l’impresa l’istaurarsi di nuovi contatti con nuovi attori, la crescita della varietà e della variabilità di situazioni ed esigenze con cui misurarsi, il verificarsi di nuove richieste di qualità e innovazione, nonché la crescente personalizzazione espressa dal mercato (De Toni, Nassimbeni, 2000). In questo secondo livello di aggregazione rientrano in particolare le competenze knowledge-based, le quali risultano fondamentali nello sviluppo internazionale delle imprese, favorendo il processo di apprendimento sottostante (Luo, 2000).

Le modalità con le quali l’insieme delle conoscenze tacita ed esplicita vengono utilizzate dinamicamente nel contesto locale e internazionale, infatti, influiscono pesantemente sulla possibilità di intraprendere un determinato percorso di espansione

19 Con il termine “intangibili” si vuole fare riferimento all’insieme di asset di natura immateriale, il cui valore risulta fondamentale nella condotta strategica aziendale per il perseguimento del vantaggio competitivo.

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internazionale (Kougt, Zander,1992). Inoltre, come sottolineato in passato, le modalità con cui le conoscenze vengono create e trasferite assumono un’importanza centrale per le imprese operanti su scala internazionale potendo sfruttare una base di conoscenze più ampia su scala globale (Kogut, 1992). La focalizzazione sul fenomeno dell’apprendimento consente, di ragionare sulle modalità con cui l’impresa di piccole e medie dimensioni aziona i circuiti interni per la generazione, utilizzazione e sistematizzazione della conoscenza (Casson, 1994). D’altro canto, è proprio l’accumulazione di conoscenza nell’impresa che, rispondendo dinamicamente a una serie di stimoli interni ed esterni, determina la formazione delle competenze distintive (Kogut, Zander, 1992; Leonard- Barton, 1992).

Partendo da tali considerazioni è possibile avanzare nell’analisi dell’espansione internazionale delle PMI raggruppando le competenze impiegate in due grandi tipologie:

- Competenze organizzative, le quali, ai fini del successo internazionale, devono permette uno sfruttamento interno delle risorse possedute;

- Competenze strategiche volte alla creazione di network sia con la componente verticale del mercato locale (consumatori, distributori, fornitori), sia con la sua componente orizzontale (alleanze con concorrenti e altre imprese del sistema locale), sia con unità di ricerca (università, centri di ricerca) per accelerare l’innovazione di processo e/o di prodotto (Bellini ed altri, 1996).

In particolare, le competenze organizzative si alimentano originariamente attraverso attività di problem solving, svolte all’interno dell’impresa in modo continuativo e nel tempo (Iansiti, Clark, 1994; Floyd, Woolridge, 1999). La base di conoscenze viene comunque alimentata anche da “occasioni esterne di apprendimento” derivanti dall’instaurarsi di una fitta rete di relazioni e attività con altre entità, quali contratti di collaborazione a carattere non continuativo (ad esempio contratti di sub-fornitura per particolari commesse) e operazioni effettuate sul mercato (ad esempio acquisizione di brevetti, personal agreement e forme di licensing).

Per quanto attiene le competenze strategiche, invece, va rilevata la fondamentale importanza che assume il commitment che è alla base delle relazioni instaurate e che ne determina le condizioni di sviluppo. L’orientamento verso l’apertura a nuove forme di conoscenza è fondamentale per cogliere nuove opportunità a livello locale e soprattutto internazionale, influenzando conseguentemente le

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modalità di espansione sui mercati esteri. Considerando l’internazionalizzazione quale un processo di apprendimento, diventa di fondamentale importanza dunque indagare il sistema di conoscenze e l’insieme delle competenze che esso rappresenta. L’attenzione va perciò focalizzata su due risorse fondamentali: - Il capitale umano, che come vedremo configura un ipotesi di apprendimento

esperienziale, di tipo adattivo;

- Il capitale relazionale, che configura al contrario una situazione di apprendimento anticipativo e generativo nelle PMI.

2.3.3.1 Capitale umano e competenze per l’espansione internazionale delle PMI

In passato è stato efficacemente evidenziato il ruolo che il capitale umano assume all'interno dei processi di internazionalizzazione dell'impresa.

Gli studi sull'espansione internazionale della grande impresa, in prima approssimazione riconducibile a quella che è nota come processo School of MNCs, rivolgono la propria attenzione sui diversi aspetti caratterizzanti il ruolo che il management assume all'interno delle imprese multinazionali che diversificano la propria attività nei paesi d'oltre confini.

Le imprese minori, seppur caratterizzate da numerosi studi sul tema dell'internazionalizzazione, ancora non pervengono a una sistematizzazione relativa al fenomeno di apprendimento che le caratterizza e alla rilevanza esplicita del capitale umano che ne è alla base. Proprio quest'ultimo costituisce la risorsa fondamentale per comprendere compiutamente la propensione al cambiamento delle PMI.

Il background, l'esperienza e l'insieme delle conoscenze tacite ed esplicite che i manager possiedono hanno un impatto più diretto e di maggiore intensità sul comportamento dell'impresa minore, rispetto a quello che assumerebbero all'interno della grande impresa (Bamberger, 1989).

Nel caso delle PMI, il capitale umano è costituito in prima approssimazione dall'imprenditore e dalla compagine dei lavoratori. Caratteristica fondamentale di entrambi è un forte orientamento al problema solving nelle attività quotidiane, che lascia poco spazio a programmi strutturati e pianificazioni pluriennali. In questo contesto, la tipologia di apprendimento che si riscontra è legata prevalentemente alle esperienze accumulate nella risoluzione dei problemi.

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Le esperienze così maturate consentono un continuo sviluppo sulla base di conoscenze inizialmente possedute.

Per comprendere appieno le modalità con cui le forme di apprendimento favoriscono l'espansione internazionale dell’impresa, occorre considerare il sistema di conoscenza nella sua interezza. In questo contesto risulta importante indagare sull'insieme di legami spontanei e di natura emotiva che il capitale umano è in grado di sviluppare e che sono riconducibili al personal network e all'extendend network (Dubini, Aldrich, 1991). Occorre distinguere tra capacità di individuazione delle relazioni di valore e capacità nel recepire e contestualizzare le informazioni e conoscenze offerte dall'ambiente circostante.

(Fig. 1).

In primo luogo occorre considerare il know who, vale a dire l'azione selettiva per l'individuazione dei soggetti che detengono determinate competenze, conoscenze, abilità e risorse (Gandolfi, 1997). L'individuazione di soggetti in vista della