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Il processo costituzionale e il ruolo della Corte dopo lo smaltimento dell’arretrato

La Corte costituzionale italiana e il potere di selezione dei cas

2. La Corte costituzionale italiana 1 Lo smaltimento dell’arretrato 1 Lo smaltimento dell’arretrato

2.2. Il processo costituzionale e il ruolo della Corte dopo lo smaltimento dell’arretrato

Alla luce dei rilievi sopra effettuati, sembra che non sia utile porsi domande circa la possibilità di introdurre presso la Corte una qualche forma di selezione che si aggiunga al filtro operato dal giudice a quo, visto che, nonostante il raggiungimento dell’obiettivo dello smaltimento dell’arretrato, la Corte non ha cessato di far uso degli strumenti e delle tipologie decisorie sopra menzionate, fatto per cui l’operatività della selezione dei casi non può considerarsi una mera ipotesi, ma un fenomeno in atto. Anzi, si può affermare che la Corte costituzionale svolge un’opera di case selection persino maggiore della Corte suprema americana, anzitutto perché la selezione non avviene in una fase anteriore, ma interna al processo, ed inoltre perché tale attività non è espressamente consentita da alcuna norma, mentre nel sistema americano la selezione dei casi è prevista dalla legge350. Per questo,

più che un’indagine teorica circa l’effettiva praticabilità di un meccanismo che abbiamo visto essere già operativo, si rende più interessante una verifica in ordine ai riflessi che la prassi sopra descritta ha prodotto sulle caratteristiche del processo costituzionale.

Anzitutto, un primo ordine di effetti è riscontrabile in ordine alla maggior politicità del giudizio, un concetto che può essere declinato in una duplice accezione. In un primo senso, il giudizio si fa più politico e meno giurisdizionale, in quanto dal potere di scegliere i casi da

decidere deriva che l’interesse della Corte è posto non tanto sul caso, quanto sulla questione; di conseguenza, in ordine ai casi scartati, il diritto individuale di cui si lamenta la lesione è trascurato. È possibile scorgere dietro questa osservazione i rischi derivanti dall’introduzione di un esplicito procedimento di selezione in un sistema di giustizia costituzionale accentrato: se la Corte non decide la questione, il giudice a quo che l’ha ritenuta rilevante per la soluzione della controversia potrebbe trovarsi senza risposta351. Nella seconda

accezione, l’aumento di politicità del giudizio è dato dal fatto per cui, grazie alla ritrovata efficienza, la Corte è in grado di pronunciarsi su leggi entrate in vigore da pochissimo tempo352, giudicando “a ridosso

delle scelte della politica”353. Segnatamente, se prima dello

smaltimento dell’arretrato per decidere una questione di costituzionalità erano necessari dai tre ai cinque anni, nei primi anni novanta il termine era di quattro-sei mesi354; oggi si registrano

comunque intervalli inferiori ad un anno per la trattazione della questione. In un simile quadro355, in cui addirittura la Corte, in qualche

351 BARSOTTI, op. cit., p. 322.

352 V. Corte Costituzionale, Relazione del prof. Piero Alberto Capotosti, 2001,

rinvenibile al sito

https://www.cortecostituzionale.it/documenti/relazioni_internazionali/CC_relint _Capotosti2001.pdf .

353 Così LUCIANI, Corte costituzionale e unità nel nome dei valori, in La giustizia

costituzionale a una svolta, supra nota 331, a p. 377.

354 V. ROMBOLI, Aggiornamenti (1993-95), p. 193.

355 Romboli parla dell’inizio di una “terza fase”: se in un primo momento la Corte era

chiamata a ripulire l’ordinamento dalla legislazione fascista, ed in seguito a giudicare sulla correttezza costituzionale delle leggi del periodo repubblicano, ma a causa della lunghezza del giudizio ormai in vigore da diversi anni, o addirittura approvate da un Parlamento non più in carica, a seguito dello smaltimento dell’arretrato essa decide subito dopo l’approvazione della legge, quando “non si è ancora spenta l’eco dei dibattiti parlamentari e non si è ancora creata una giurisprudenza da parte dei giudici comuni, ed in particolare della Corte di cassazione”. Cfr. ROMBOLI, Aggiornamenti

caso, arriva a reagire quasi come “Terza Camera del Parlamento”356, è

di fondamentale importanza munirsi di strumenti che consentano di praticare quel self restraint necessario a rapportarsi in modo equilibrato con il legislatore, graduando l’intensità e gli effetti delle proprie pronunce. A questa esigenza la Corte costituzionale ha risposto elaborando nuove tipologie decisionali, come le pronunce di “incostituzionalità differita”, o dal contenuto monitorio, tra cui le sentenze di “costituzionalità provvisoria” e quelle di “incostituzionalità accertata ma non dichiarata”. Con le prime, nel tentativo di limitare gli effetti retroattivi della sentenza di accoglimento, la Corte differisce nel tempo l’efficacia caducatoria della dichiarazione di incostituzionalità, riducendone l’incidenza sui rapporti giuridici precedentemente insorti e ancora pendenti. Segnatamente, in tali occasioni, nella consapevolezza che la normale efficacia retroattiva di una pronuncia di illegittimità, nel tutelare certi valori costituzionali, finirebbe per lederne altri, la Corte, dopo aver accertato che il contrasto tra norma ordinaria e parametro costituzionale si è effettivamente determinato in un certo momento temporale, “sposta in avanti” tale dies a quo, dichiarando che il vulnus si è manifestato in un momento successivo357

. Diverse sono le sentenze a contenuto monitorio, dette anche “sentenze comandamento” o “di indirizzo”, che si sostanziano in sentenze di infondatezza o inammissibilità con le quali la Corte invita

356 L’espressione è di Capotosti, v. supra, nota 352.

357 R. PINARDI, La Corte, i giudici e il legislatore, Milano, 1993, p. 53 ss., in Le

tipologie decisorie della Corte costituzionale attraverso gli scritti della dottrina, a

cura di Danilo Diaco, Corte costituzionale, 2016, p. 454 ss. Si vedano, ad esempio, le sentenze 266/1988, 501/1988, 50/1989, 1/1991.

il legislatore a modificare la disciplina vigente oggetto del sindacato, in modo da renderla conforme a Costituzione. Tale monito, che può essere generico o molto preciso (a tal punto da farsi parlare di sentenze c.d. “delega”358), in certi casi assume toni molto forti: è il caso delle

decisioni di “costituzionalità provvisoria”, in cui la Corte ritiene che la legge impugnata sia conforme alla Costituzione solamente in ragione del fatto che ha carattere temporaneo, ed avverte il legislatore che se la disciplina non verrà modificata, laddove il medesimo dubbio di costituzionalità venga nuovamente riproposto, la risposta non potrà che sostanziarsi in una decisione di accoglimento359. Molto simili sono le

sentenze di “incostituzionalità accertata, ma non dichiarata”, vale a dire pronunce in cui la Corte riconosce apertamente il contrasto tra la normativa impugnata e il parametro costituzionale, e tuttavia conclude rigettando la questione, o dichiarandola inammissibile, in quanto ritiene che essa rientri nell’ambito delle scelte che spettano alla discrezionalità del legislatore; contemporaneamente, essa rivolge un monito al Parlamento, invitandolo a rimuovere al più presto il vizio di

358 Significativo è l’esempio offerto dalla sentenza 225/1974 sul sistema radio tv, in

cui la Corte, al punto 8 del considerato in diritto, pur riconoscendo la discrezionalità del legislatore, fissa le previsioni minime che la legge deve contenere perché il monopolio statale possa essere considerato conforme ai principi costituzionali.

359 V., ad esempio, la sentenza 826/1988 ancora sul sistema radiotelevisivo, in cui la

Corte, al punto 24 del considerato in diritto, riconosce come decisivo il rilievo per cui la legge impugnata “ha natura chiaramente provvisoria”, ed è destinata “ad essere sostituita dalla legge di riassetto dell’intero settore”, circostanza confermata dal fatto che “un nuovo progetto, recentemente approvato dal Consiglio dei ministri, è attualmente all’esame del Parlamento”. “Naturalmente”, continua la Corte, “se l’approvazione della nuova legge dovesse tardare oltre ogni ragionevole limite temporale, la disciplina impugnata […] non potrebbe più considerarsi provvisoria e assumerebbe di fatto carattere definitivo: sicché questa Corte, nuovamente investita della medesima questione, non potrebbe non effettuare una diversa valutazione con le relative conseguenze”.

costituzionalità rilevato360. Un esempio in tal senso è offerto dalla

sentenza n. 23 del 2013, in cui la Corte precisa che “nel dichiarare l’inammissibilità dell’odierna questione […] questa Corte deve tuttavia affermare come non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al grave problema individuato nella presente pronuncia”361. Dunque, attraverso le “sentenze indirizzo”, la

Corte opera di volta in volta come freno o impulso all’indirizzo sviluppato da altri organi costituzionali, i quali rispondono a tali “domande”, generando una continua interazione tra “politiche”, la prevalente delle quali sarà determinata dai concreti rapporti di forza esistenti in quella determinata contingenza362.

Tali nuovi modi di decidere ricalcano analoghe soluzioni operanti presso i tribunali costituzionali tedesco e austriaco, i quali da tempo si sono dotati di strumenti idonei a graduare nel tempo i propri interventi. Si ricordano le decisioni di “mera incompatibilità”, con le quali il

360 Una parte della dottrina si esprime con voce critica con riguardo a questa tipologia

di pronunce. Esse, infatti, sembrerebbero violare non solo il “principio di costituzionalità in senso soggettivo”, quasi che la Corte si dimenticasse dell’origine incidentale del proprio sindacato, che le impone di tutelare le posizioni soggettive coinvolte nel giudizio a quo, costringendo altresì le parti a vedere valutata la propria controversia secondo una disciplina considerata incostituzionale, ma anche il “principio di costituzionalità in senso oggettivo”, in quanto sembrano essere il frutto dell’abdicazione della Corte rispetto al proprio dovere istituzionale di eliminare le norme in contrasto con la Costituzione. Così A.BONOMI, Quando la Corte può

decidere ma decide di “non decidere”: le decisioni di “inammissibilità per eccesso di fondatezza”, le decisioni interpretative di inammissibilità per omessa interpretazione “conforme a” e alcune decisioni di restituzione degli atti per ius superveniens, 2013, p.4, consultabile presso

http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/pdf/documenti_forum /paper/0430_bonomi.pdf .

361 Cfr. Corte cost., sentenza 23/2013, al punto 4 del considerato in diritto.

362 L.PEGORARO, I rapporti della Corte costituzionale col legislatore e la

sistematica dei modelli di giustizia costituzionale dopo lo smaltimento dell’arretrato,

in La giustizia costituzionale a una svolta, a cura di R. Romboli, Torino, Giappichelli, 1991, p. 185 ss., pp. 187, 188. L’autore, inoltre, sottolinea come la Corte instauri un dialogo col legislatore non solo attraverso particolari “tecniche” quali l’impiego di moniti o forti esortazioni, ma anche mediante le argomentazioni utilizzate, ad esempio richiamando discipline o sentenze straniere.

Bundesverfassungsgerich dichiara l’invalidità della legge e la disapplica solo in riferimento al processo a quo, dando al legislatore un adeguato lasso di tempo per intervenire. Similmente, alla Corte costituzionale austriaca è riconosciuta la possibilità di stabilire un termine differenziato, con riferimento sia al futuro sia al passato, per le pronunce di annullamento, in modo da poter modularne nel tempo gli effetti caducatori363.

A tali nuove tipologie decisorie ha cominciato a guardare con interesse una parte della dottrina americana, la quale, convinta delle necessità di instaurare una judicial review più mite di quella tradizionale, è andata alla ricerca di strumenti alternativi alla semplice non decisione per rapportarsi con gli altri organi costituzionali. In particolare, è il giudice Calabresi che in Vacco v. Quill364 ha proposto un’opzione diversa, che non si sostanzia in un controllo incisivo, ma offre al legislatore la possibilità di riflettere ulteriormente su una certa questione. Segnatamente, se Calabresi concorre nel dispositivo, fornendo il terzo voto necessario per la dichiarazione di incostituzionalità della legge di New York che sanzionava il suicidio assistito, contemporaneamente redige una concurring opinion in cui espone un nuovo modo di approcciarsi alla judicial review, definito dal giudice stesso “constitutional remand”; seguendo tale impostazione, nelle ipotesi di leggi dubbie, obsolete e potenzialmente in grado di incidere su

363 Così BARSOTTI, op.cit., pp. 324, 325.

36480 F.3rd 716 (2nd Cir. 1996). La sentenza dichiarò la legge di New York che

sanzionava il suicidio assistito costituzionalmente illegittima, in quanto contrastante con la equal protection clause del XIV emendamento.

interessi che non trovano espressa protezione nella Costituzione (c.d. penumbra rights), sarebbe opportuno adottare un atteggiamento prudente, e lasciare che sia il Parlamento, organo democraticamente eletto, ad esprimersi sulla questione365. Allora, è interessante notare

come tale tecnica decisoria, c.d. del “second look”, possa essere utilizzata per spingere il legislatore a prendere posizione in merito a questioni difficili, spingendolo a confrontarsi con l’opinione pubblica; si parla, in proposito, di una judicial review “democracy forcing”366. Si tratta, in definitiva, di un giudizio da cui emerge una prudenza non dissimile a quella bickeliana, espressione di quella virtù passiva il cui utilizzo consente di instaurare un proficuo dialogo con il legislatore, richiamandone l’attenzione su questioni dibattute e controverse367.

Tornando all’esperienza italiana, e ribadite le conseguenze in termini di accresciuta politicità che il potere di selezione dei casi ha prodotto sul processo di fronte alla Corte costituzionale, si deve aggiungere come la maggiore rapidità dei tempi del giudizio porti non solo a un avvicinamento della decisione al momento in cui la legge è adottata, ma anche ad un significativo aumento delle probabilità che la sentenza della Corte incida proficuamente sul rapporto oggetto del

365 È bene evidenziare come Calabresi distingua queste ipotesi da quelle in cui “the

Constitution speaks clearly”: in questo secondo caso, “no second look is warranted or appropriate. That law must fall”.

366 Così BARSOTTI, op.cit., p. 270, utilizzando un’espressione di C.R. Sunstein. 367 L’idea di una judicial review mite è portata alle estreme conseguenze da alcuni

autori (tra i quali Burt), secondo i quali le corti dovrebbero sempre operare un controllo di costituzionalità poco incisivo, anche ove il caso ruoti intorno a diritti espressamente tutelati dalla Costituzione. Si tratta di una concezione per la quale la Corte suprema non dovrebbe considerarsi l’interprete ultimo del testo costituzionale, ma condividerebbe tale funzione con gli altri organi costituzionali, e con questi dovrebbe costantemente dialogare. V.BARSOTTI, op.cit., pp. 270, 271.

procedimento nell’ambito del quale è stata sollevata la questione, una circostanza difficile a verificarsi nel precedente contesto di scarsa efficienza. Dunque, se da una parte, verso il legislatore, il giudizio costituzionale si fa più politico, dall’altra, rispetto al giudice rimettente, esso si fa più concreto, consentendo che la domanda di giustizia venga soddisfatta in tempi brevi368.

Un’altra considerazione: se attraverso il potere di selezione dei casi si accentua il carattere politico del processo, parrebbe opportuno che la Corte abbandonasse l’atteggiamento di sostanziale chiusura che, pur con varie oscillazioni, ha scelto di adottare verso la partecipazione di soggetti terzi al giudizio costituzionale incidentale369: una maggiore

apertura al contraddittorio contribuirebbe senz’altro ad attenuare i problemi di legittimazione democratica della Corte, che in un quadro di aumentata politicità tendono a farsi ancora più pressanti. Quanto auspicato è quello che si è verificato presso la Corte suprema americana, che rispetto agli amici curiae è passata dall’adottare maglie ristrette nella valutazione circa la concessione del leave ad accordare il permesso sostanzialmente a tutte le richieste di intervento presentatele370.

Un ultimo aspetto, di grande importanza, attiene alla motivazione delle pronunce di manifesta infondatezza e manifesta inammissibilità, tanto

368 Così BARSOTTI, op.cit., pp. 326, 327.

369 Pur dovendosi registrare la recessività della posizione di rigorosa chiusura,

superata dalla valutazione concreta dell’interesse del terzo, tuttavia “si assiste ad un atteggiamento oscillante, in ogni caso caratterizzato da una certa cautela nell’ammettere l’intervento di soggetti diversi dalle parti originarie del processo a quo”. Cfr. F.BENELLI, Il contraddittorio nel processo sulla legge, p.12, consultabile al sito http://www3.unisi.it/eventi/gruppodipisa2007/benelli.pdf .

povera da potersi dire praticamente inesistente. A preoccupare non è tanto il carattere sommario della motivazione, che potrebbe richiamare in qualche modo le decisioni processuali motivate per curiam della Corte suprema americana371, ma l’assenza di contorni sufficientemente

precisi che determinino i concetti di “manifesta infondatezza” e “manifesta inammissibilità”, cui consegue in dotazione della Corte un ampio margine di discrezionalità, che le consente di liberarsi rapidamente di certi ricorsi senza spiegare la conclusione a cui è giunta. In proposito, sarebbe auspicabile che la Corte provvedesse a nutrire le motivazioni delle proprie ordinanze, così da evitare l’impressione di una scelta essenzialmente libera, legittimandosi così presso l’uditorio; ciò a maggior ragione, in considerazione del ruolo più “politico” che essa ha assunto nel sistema.

Riassumendo, la presente indagine ha consentito di evidenziare come, dalla fine degli anni ottanta, forti esigenze di economia processuale abbiano indotto la Corte ad utilizzare strategicamente le tipologie decisionali a propria disposizione e ad inventarne di nuove, con la conseguenza che il grado di politicità dell’attività di sindacato costituzionale è sensibilmente aumentato, nel duplice senso sopra precisato. Tuttavia, è opportuno ricordare come la Corte sia un organo “ibrido”, dalla doppia anima politico-giurisdizionale, ed è in virtù di tale “ambiguità” che essa è riuscita a sviluppare una certa flessibilità di azione, espandendo l’una o l’altra anima a seconda della situazione

contingente del sistema politico in cui essa si è trovata ad operare372.

La necessità, per dirla attraverso le parole di Romboli, è quella “di far sì che l’oscillazione del pendolo tra il polo politico e quello giurisdizionale venga mantenuta entro un certo margine, senza mai eccedere in un senso o nell’altro”. La Corte, infatti, non possiede “né le capacità professionali, né la forza politica, indispensabili per esercitare vere e proprie funzioni di indirizzo politico”; ne consegue che “il forzare i confini delle proprie competenze esporrebbe la Corte a confronti politici dai quali non potrebbe che uscire sconfitta”373. Per

questo motivo, essa non deve dimenticare i limiti che la propria natura di giudice le pone: oltre e prima ancora di decidere, dovrà essere

372 Negli ultimi anni al potere di esternazione del Presidente della Corte si è

affiancata la prassi costituita dalla pubblicazione di “comunicati stampa” utilizzati dalla Corte per chiarire a posteriori le ragioni e, talvolta, anche gli effetti che possono derivare da una propria pronuncia. Ne è un esempio il comunicato con cui la Corte, prima dell’adozione della sentenza 56/2015 sulla legge elettorale c.d. Italicum, andò a motivare all’opinione pubblica il rinvio al 24 gennaio dell’udienza di trattazione (vi furono quattro comunicati in totale; gli altri tre avevano carattere tecnico-processuale); oppure, il comunicato adottato dopo la sentenza 70/2015 che aveva dichiarato l’illegittimità del blocco delle pensioni, pubblicato per contestare le notizie della stampa circa la natura “autoapplicativa” della decisione”; o ancora, la precisazione del 26 aprile 2016 sull’ordinanza n.91, con cui la Corte aveva non dichiarato fondato il ricorso in merito alla tutela giurisdizionale dei dipendenti della Camera (come riportato da alcuni quotidiani e siti on line), ma solo ritenuto “in via del tutto preliminare tecnicamente ammissibile l’esame del conflitto di attribuzione promosso dal Tribunale di Roma”, riservando l’esame e la discussione del ricorso in altra data. “Si tratta di atti informali […] indicatori di una trasformazione in atto nella Corte, attenta all’opinione pubblica e alla sua immagine esterna, non tanto per una responsabilità politica che il meccanismo di nomina dei suoi componenti non consente (completamente), ma per un ruolo di arbitro del sistema che in quest’ultimo periodo si è sicuramente accentuato. L’assenza di un ruolo forte dei partiti, il mantenimento di una sostanziale instabilità dei governi […] hanno accentuato l’attesa per le decisioni della Corte costituzionale, come se essa partecipasse alle scelte d’indirizzo politico del Paese al pari del Parlamento e del Governo”. Cfr. e per approfondimenti, E. CATELANI, Giustizia costituzionale tra “anima politica” ed

“anima giurisdizionale” e sua incidenza nella forma di governo”, in federalismi.it, No. 8, Aprile 2017, rivista consultabile al sito www.federalismi.it .

373 Così R. ROMBOLI, La natura della Corte costituzionale alla luce della sua

giurisprudenza più recente, relazione tenuta alla giornata di studi “Dalla

giurisdizione come applicazione della legge alla giurisdizione come creazione di diritto” (Modena,18 gennaio 2007), consultabile al sito

capace di convincere374. In particolare, Romboli ritiene che la Corte non debba ritrarsi di fronte a questioni aventi ad oggetto leggi politicamente scottanti, magari da poco emanate, anzi debba intervenire con pronunce attraverso le quali operare un bilanciamento tra i diversi valori o interessi costituzionalmente tutelati, “contemporaneamente coinvolti ma non congiuntamente realizzabili”, che siano chiaramente e diffusamente motivate; in questo modo la Corte, attraverso la propria giurisprudenza, potrebbe costruire una scala di valori da confrontare con quella emergente dalle scelte operate dal legislatore, ed intervenire senza essere accusata di troppa “politicità”375.

374 V. M.LUCIANI, Corte costituzionale e unità nel nome dei valori, in La giustizia

costituzionale a una svolta, pp. 177, 178. In particolare, l’autore sostiene che la Corte

debba essere “l’isola della ragionevolezza”, sia nell’argomentare che nel valutare.