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Il ribaltamento della regola della convocazione della Corte in udienza pubblica; il rafforzamento dei poteri presidenziali e la

La Corte costituzionale italiana e il potere di selezione dei cas

2. La Corte costituzionale italiana 1 Lo smaltimento dell’arretrato 1 Lo smaltimento dell’arretrato

2.1.1. Il ribaltamento della regola della convocazione della Corte in udienza pubblica; il rafforzamento dei poteri presidenziali e la

specializzazione dei relatori

Dagli artt. 26 della L. 87/53 e 9 delle N.I. sembra potersi ricavare la regola per cui la Corte è convocata in udienza pubblica, salvo alcune eccezioni per le ipotesi in cui nessuna della parti si sia costituita in giudizio ovvero qualora il Presidente, sentito il giudice per l’istruzione, “ravvisi che possa ricorrere il caso di manifesta infondatezza, di manifesta inammissibilità, di estinzione ovvero di restituzione degli atti al giudice rimettente”; in questi casi, il Presidente può convocare la Corte in camera di consiglio. Tuttavia, è opportuno precisare come quella appena riportata sia la nuova formulazione dell’art. 9, frutto

330 P. ZICCHITTU, Le “zone franche” del potere legislativo, Torino, Giappichelli,

2017, p.373, rileva un impiego “sostanzialmente alternativo e intercambiabile delle pronunce di infondatezza e di quelle di inammissibilità, le quali venivano adottate, senza alcuna distinzione, in casi analoghi e sulla base di argomentazioni del tutto simili”. Per approfondimenti, v. infra, § 2.1.2.

331 Cfr. M.LUCIANI, Corte costituzionale e unità nel nome dei valori, in La giustizia

costituzionale a una svolta, a cura di R. Romboli, Torino, Giappichelli, 1991, p. 170

ss., a p. 177.

332 Così BARSOTTI, op.cit., p. 319. ROMBOLI, Aggiornamenti (1990- 1992), p.

della novella intervenuta nel 2008; in precedenza, la norma contemplava espressamente solo le ipotesi della mancata costituzione delle parti e della presunta manifesta infondatezza333. Ebbene, in

considerazione dell’enorme carico di procedimenti pendenti, fin dai primi anni ottanta la Corte ha avvertito la necessità di intervenire sul punto mediante interventi sia normativi che giurisprudenziali: con deliberazione del 5 maggio 1981 ha esteso alle ipotesi di presumibile manifesta inammissibilità la convocazione in camera di consiglio, mentre attraverso la sentenza n. 210 del 1983 ha fornito un’interpretazione restrittiva del concetto di parte del processo costituzionale incidentale, considerando tale solo la parte del processo a quo e differenziando la posizione del Presidente del Consiglio. A questi interventi si aggiunga quanto esplicitato dal Presidente Saja in occasione della relazione di fine anno del 1987, nel senso della convocazione della Corte in camera di consiglio, salva la rimessione in udienza pubblica qualora, eccezionalmente, la decisione in camera di consiglio non fosse stata possibile; il quadro che ne deriva è quello di un totale sovvertimento del rapporto regola-eccezione tra la convocazione in udienza pubblica e quella in camera in consiglio334.

Se durante gli anni ottanta e nei primi anni novanta tale scelta ha trovato giustificazione nell’esigenza di accelerare i lavori in vista dell’emergenza costituita dall’arretrato, i dati dimostrano come, nei

333 Nel caso di manifesta infondatezza, la camera di consiglio trova giustificazione

“nella semplicità e reale inconsistenza della questione proposta”; nel caso di mancata costituzione delle parti, “nella pratica inutilità dell’udienza pubblica”. Così R. ROMBOLI, Il giudizio di costituzionalità delle leggi in via incidentale, in

Aggiornamenti (1987-1989), p. 90.

primi anni successivi al superamento dell’emergenza, la camera di consiglio sia diventata il modo di svolgimento “ordinario” del processo costituzionale, utilizzato in oltre il 75 % dei casi nel biennio 1997/98. Ad oggi, lo scenario è cambiato: se nel primo decennio del nuovo millennio la percentuale delle decisioni rese in udienza pubblica, tranne alcune eccezioni335, non ha mai superato il 40% del totale, dal

2011 è in atto un’inversione di tendenza, che nel 2017 ha portato a registrare una percentuale del 60,14%. Peraltro, il dato deve essere contestualizzato alla luce del diverso peso assunto dalle varie competenze della Corte negli ultimi anni, ed in particolare della diminuzione del giudizio incidentale, che dal 2010 al 2017 non ha mai raggiunto la soglia del 60% del totale delle decisioni336.

Quello appena tratteggiato non è l’unico ribaltamento avvenuto: ancora sul piano procedurale, con deliberazione del 7 luglio 1987 fu disposto che l’art. 18 u.c. N.I.337, che recitava “Le ordinanze e le sentenze sono

sottoscritte dal Presidente e da tutti i giudici, senza menzione del

335 Nel 2006 le decisioni rese a seguito di udienza pubblica avevano coperto il 43,

84% del totale, mentre nel 2009 si erano attestate al 42,11%. V. Corte costituzionale,

Relazione sulla giurisprudenza costituzionale del 2011, p. 14, rinvenibile al sito

https://www.cortecostituzionale.it/documenti/relazioni_annuali/Relazione_2011.pdf .

336 V. Corte costituzionale, Relazione sulla giurisprudenza costituzionale del 2017, p.

8, rinvenibile al sito

https://www.cortecostituzionale.it/documenti/relazioni_annuali/grossi2018/dati _2018.pdf . Le percentuali relative alle decisioni rese nel giudizio incidentale nei primi anni del nuovo millennio si aggiravano intorno all’80% del totale. Si è registrata una netta cesura dal 2002 al 2007, periodo in cui le percentuali erano mediamente di poco inferiori al 65%. Solo nel 2008 si è verificato un picco positivo del 74,16%; dopodiché, eccezion fatta per il 2009, il giudizio in via incidentale non ha mai superato il 60%. V. Corte costituzionale, Relazione sulla giurisprudenza

costituzionale del 2008, p. 12, rinvenibile al sito

https://www.cortecostituzionale.it/documenti/relazioni_annuali/Conferenza_stampa _2008.pdf .

337 Attuativo dell’art. 18 l. n. 87/53, il quale dispone al c. 3 che “le sentenze […]

giudice che le ha redatte”, venisse sostituito col disposto “Le ordinanze e le sentenze sono sottoscritte dal Presidente e dal giudice nominato a norma del terzo comma”, vale a dire il giudice relatore, nominato dal Presidente ai sensi dell’art. 7 N.I. . L’attribuzione individuale dell’incarico di redigere le decisioni ha dato luogo ad un fenomeno di “specializzazione” nella redazione delle decisioni, intendendosi con tale espressione “sia la formazione di una giurisprudenza costituzionale su un ambito materiale affidata ad un gruppo ristretto di relatori, sia l’esclusività dell’apporto del singolo giudice, che redigerà decisioni tendenzialmente su poche materie”338; a questo esito

concorrono in modo determinante le scelte del Presidente, il cui potere di nomina del relatore può essere esercitato al fine di agevolare la creazione di un certo indirizzo giurisprudenziale o, comunque, di una giurisprudenza personalizzata. Si prenda ad esempio il triennio 1993- 95, in cui la giurisprudenza della Corte in materia regionale si è retta sulle spalle dei giudici Cheli, Guizzi, Baldassarre e Mirabelli, o ancora l’anno 1994, in cui, delle 43 decisioni redatte da Vassalli, 40 erano attinenti all’ambito penalistico o processualpenalistico339. Le

conseguenze non sono di poco conto, visto che, dato il tempo limitato a disposizione per la discussione collegiale, la motivazione della sentenza è sostanzialmente il frutto della volontà unilaterale del relatore, all’uopo debitamente “aggiustata” dal collegio. A svalutare la dimensione collegiale concorre anche l’operatività di una prassi

338 BIANCHI, op.cit., p. 284. 339 ID, op.cit., p. 294.

secondo la quale le ordinanze non vengono lette collegialmente, ma si intendono implicitamente approvate se entro 10 giorni non pervengono osservazioni o richieste di rilettura rispetto alla bozza di decisione fatta circolare tra i giudici; in queste situazioni spicca il ruolo dell’assistente del giudice, che tende ad avvicinarsi a quello del relatore in un numero di casi decisamente poco irrisorio, se si considera che mediamente durante gli anni dello smaltimento dell’arretrato sono stati assunti con ordinanza i due terzi dei provvedimenti della Corte. Si tratta di una tendenza che, salvo una ripresa durante i primi anni successivi allo smaltimento, si è confermata fino a tutto il 2002, quando il numero complessivo delle sentenze è risultato appena al di sopra di un quarto del totale340. Dopo

tale picco negativo, e con l’eccezione del 2007, la percentuale di sentenze ha visto una costante progressione che è giunta, a partire dal 2012, ad invertire il rapporto tra sentenze e ordinanze, con le prime che sono arrivate a sfiorare il 67% nel 2017341.

Volendo soffermarsi in una breve riflessione comparatistica, è interessante osservare come, mentre la Corte suprema americana ha reagito all’arretrato attraverso un’accresciuta collaborazione tra i giudici (si ricordi il certiorari pool342), la nostra Corte costituzionale si è orientata in senso opposto, privilegiando l’apporto individuale del relatore. In ogni caso, fermo restando che in entrambi i casi si finisce

340 ROMBOLI, Aggiornamenti (2002- 2004), p. 23.

341 V. Corte costituzionale, Relazione sulla giurisprudenza costituzionale del 2017, p.

16.

per affidare gran parte del lavoro di selezione a soggetti operanti esternamente e precedentemente rispetto alla sede giurisdizionale, non bisogna dimenticare che presso la Corte Suprema si svolge una fase di conference in cui discutere l’agenda proposta dai clerks, mentre la Corte costituzionale non dispone di un luogo di confronto sulle scelte che determinano l’indirizzo dell’organo, essendo la camera di consiglio rivelatasi inadeguata a tale verifica. Nel processo costituzionale italiano, infatti, si finisce per concentrare nella camera di consiglio anche la fase di selezione, per cui la forma della decisione collegiale assunta in camera di consiglio può occultare ciò che nella sostanza è una non decisione frutto di una giurisprudenza costituzionale consolidata, spesso personalizzata, in quanto frutto degli orientamenti di pochi giudici343 .

Infine, tra le novità afferenti all’organizzazione, merita attenzione l’istituzione di una sezione del Servizio studi (oggi abolita344)

denominata “Sezione per la documentazione degli oneri finanziari delle decisioni”, incaricata di fornire valutazioni sugli oneri finanziari derivanti dalle decisioni della Corte. Si tratta di un ulteriore fattore militante in favore del rafforzamento dei poteri del Presidente, che di tale strumento può servirsi in vista dell’assegnazione delle cause e

343 BIANCHI, op.cit., pp. 287 s. e 327 s.

344 La suddetta Sezione, istituita con decreto presidenziale del 29 marzo 1995, n.

8662, era volta all’acquisizione preliminare di informazioni concernenti tutte quelle questioni che facessero presumere effetti finanziari come conseguenza di una pronuncia di accoglimento. Essa ha svolto la sua attività per circa un quinquiennio, fino al 2000. Cfr. e per approfondimenti, M.TROISI, Attività istruttoria, conseguenze

finanziarie e modulazione degli effetti temporali delle decisioni, p. 16 ss., 2017,

consultabile al sito

della formazione del ruolo. Quanto al potere di assegnazione delle cause, è senza dubbio un elemento che, per come nel concreto è esercitato, contribuisce all’opacità del processo decisionale, in quanto non è dato conoscere i criteri in base ai quali il Presidente sceglie un magistrato piuttosto che un altro in qualità di relatore, nell’ambito di un collegio in cui non vi è solo un giudice specializzato in una certa materia. Una delle soluzioni proposte è l’introduzione di un meccanismo automatico di assegnazione delle cause; l’altra potrebbe essere l’eliminazione della figura del relatore, da cui conseguirebbe l’onere per ciascun giudice di seguire in prima persona ogni causa e, probabilmente, il rafforzamento del rapporto col proprio assistente. Naturalmente, non si tratta correttivi privi di costi: al beneficio della maggiore trasparenza, in entrambi i casi si accompagnerebbe un inevitabile rallentamento dei ritmi del lavoro, con serie ricadute in termini di efficienza345.

2.1.2. L’utilizzo strategico delle decisioni di manifesta infondatezza