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PROGETTARE FUTUR

Nel documento Tattiche per il progetto di architettura (pagine 124-126)

di Sara Marini

Futuro, utopia e progetto potrebbero, sotto una precisa luce, ap- parire sinonimi. Nel momento in cui etimologicamente pro-gettare coincide con pre-vedere è evidente che l’azione sottesa è volta al futuro e che ciò che è visto non è ancora dato, non appartiene anco- ra ad alcun luogo ma è solo nella e della mente (utopia)1. Svolgere

un’azione soggettivamente determinante2 è, in architettura, di nuo- vo scontato. Ma, forse, non fino in fondo. Serve appunto la consa- pevolezza di riuscire a realizzare il progetto che coincide anche con la necessità della presenza di un autore. Autore e destino dell’opera sembrano oggi vacillare o vagare in un moltiplicarsi senza sosta di rivoli, salvo, in alcuni casi, trovare un varco temporale.

Il palesamento di destini inattesi delle opere (in senso vasto) sem- bra, dopo l’eroismo del moderno, aver preso il sopravvento. Proget- ti ed architetture (per rimanere nel solco non solo di una disciplina ma di un’idea di futuro) nati con una precisa direzione, si sono tro- vati, loro malgrado, a narrarne altre3. Solo gli intellettuali francesi capirono inizialmente l’unité d’habitation di Le Corbusier a Marsiglia eppure doveva essere un monumento della casa per tutti. Restaura- re le architetture moderne probabilmente equivale a tradirle, stando alla voce dei fautori del movimento che chiedevano di dimenticare il passato a favore di un’incessante flusso di modernità. Il connubio politica e architettura sembra conoscere un sonno eterno da quan- do il mercato ha strappato il sipario, rinunciando a quei filtri che fissavano distinguo. Il backstage si è fatto racconto, è storia. La vita dell’opera non solo è decisamente tortuosa nel suo nascere ma, anche nella sua chiarezza d’intenti, può trovare deviazioni postu- me. La centralità della narrazione in questo tempo (il romanzo non è morto ma esploso in mille rivoli o piani che si voglia) depotenzia la capacità del progetto di tenere la rotta. Las Vegas è un manifesto ma anche ricordi di viaggio più che realtà, New York oltre ad essere delirante è un insieme di storie i cui protagonisti possono solo ca- sualmente incrociarsi, Roma pur essendo interrotta palesa sempre la sua grande bellezza. Architettura e architettura, ovvero (con la A maiuscola) la ricerca e la critica e (con la a minuscola) il vissuto e i desideri quotidiani (distinzione necessaria a marcare quanto è cen- trale la questione nei due mondi), s’incontrano inaspettatamente sul piano del racconto grazie alla moltiplicazione degli autori (tutti svolgono internettianamente un’azione soggettivamente determi-

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nante come narratori). Il punto è manifestare più che agire, perché il manifesto resta e con esso ciò che si vuole affermare mentre l’azione, la trasformazione può incorrere in incidentali devianze. Anche il tempo della moltiplicazione dell’autore chiede i propri mu- sei, atlanti ed archivi come testimoniano la Biennale d’Arte di Ve- nezia del 2013 e quella di Architettura del 2012, oppure cataloghi di realtà da lasciar comporre come gli Elements della Biennale di Ar- chitettura del 2014. In sostanza anche l’era digitale chiede una pro- pria archeologia, chiede di non sparire ma che il materiale prodotto diventi storia attraverso la sua doverosa catalogazione. Tutto tende ad un accumulo infinito e diventa ulteriormente complesso per il progetto trovare direzione oltre le montagne di realtà e di storia. Anche il futuro è oggetto di classificazioni. Tre sono le vie evidenti che lo investono: la prima tende a fare bilanci dei movimenti che si volevano avanguardistici, la seconda propone metodi per intercet- tare il futuro, la terza azzarda ipotesi e tendenze per l’avvenire. Dal primo caso derivano nostalgie, inviti a ripartire da zero, la necessità di imparare dal passato storie irripetibili. Dalla seconda traiettoria si ottiene la centralità del metodo, dell’astrazione, del numero che elaborato dal programma sa e detta; formule e parabole sovrastano senza tener conto del virus o di tutto quello che non è misurabile. Dalla terza traccia arrivano rimandi (ad un tempo a venire), aneliti, desideri di vedere in un’unica direzione.

Al progetto resta il compito di disegnare uno spazio capace di imprigionare, di catturare futuro, sospendendosi, astraendosi dal tempo prima e attraversando poi, come una lama tesa, un luogo in cui le cose dilagano.

Note

1. Si pensi ad esempio alle parole che il Guarnia fa pronunciare a Donato Bramante ormai tra le anime celesti “Prima di tutto io voglio tôr via questa strada sì aspra e difficile a salire, che dalla terra conduce al cielo; io ne costruirò un’altra a chiocciola così larga, che le anime dei vecchi e dei deboli vi possano salire a cavallo. Poi penso buttar giù questo paradiso e farne uno nuovo che offra più eleganti e più allegre abitazioni pei beati. Se queste cose vi accomodano, sono con voi; altrimenti io me ne vado subito a casa di Plutone.” Cit. in Marilena Tommassia (edited by), Disegni di Donato Bramante, Quattro Venti - Biblioteca e Civico Museo, Urbino - Urbania 2014.

2. “Tali potenze, dunque, travolgono la forma del katechon. Ma tale forma era l’unica che permettesse di pre-vedere, poichè è possibile pre-vedere soltanto ciò che in qualche misu- ra sia anche pro-getto. Pre-vedo solo pensando di poter svolgere un’azione soggettivamen- te determinante; pre-vedo nella misura in cui penso di avere l’energia per realizzare il mio pro-getto.” Massimo Cacciari, Il potere che frena, Adelphi, Milano 2013.

3. “AA. I have always been interested in architectural movement that pertain to evolution, such as the Metabolists in 1960s Japan. Even there we can see the evolution of a building as an architectural utopic concept rather than as a reality that includes the building’s func- tion. From the moment a building starts being used, from the moment a city is inhabited, it will never be the same. The moment when the designed object accurately represents the design idea is a fleeting instance between the completion of construction and its inhabi- tation, and that is usually the instance it is captured to record the completed building, it’s the moment it is photographed for publicity. Thus we have an entire history of architecture whereby the buildings are immoralised in a non-real moment of their life. In contrast, ruins, when captured, include in their form all the transmutations they have undergone, they function as an album of memories where all moments are captured in one.” Andreas Angelidakis & Daphne Vitali, A conversation on the occasion of the exhibition Every End is

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