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TRANSIZIONI ENERGETICHE: SPAZIO, TEMPO, ENERGIA romani Ad esempio Venafro, allora città

Nel documento Tattiche per il progetto di architettura (pagine 49-51)

SPAZIO, TEMPO, ENERGIA

TRANSIZIONI ENERGETICHE: SPAZIO, TEMPO, ENERGIA romani Ad esempio Venafro, allora città

importante, aveva il suo mulino ad acqua (a ruota “da sotto”), così anche la vicina Pompei. Nelle villae urbane ed agricole e nei forni dei panificatori, veniva dapprima fatta girare da energia umana (schiavi) o da quella animale (di cavalli o specialmente muli) successivamente cominciarono a sfruttare la forza cinetica dell’acqua, cosicché i corsi d’acqua se nell’antica civiltà egizia e mesopotamica venivano scelti quali luoghi per la coltivazione e l’approvvigionamento idrico di bestiame e persone, ora le città cominciano a specializzare edifici-macchina (i mulini) come luoghi della produzione energetica, della produzione e lavorazione di materie prime ed alimenti, per la loro commercializzazione.

I mulini erano così centrale di produzione, fabbrica e mercato. Avevano in sé insito quel carattere di mixitè che la civiltà mediterranea può riconoscersi quale caratteristica

trasversale nel corso della storia delle città. Vicino ad Arles, nella Provenza romana, a Barbegal fu costruito un imponente, importante e singolare sistema di mulini: un complesso di 16 mulini (con ruote di circa 2,7 mt) ciascuna delle quali azionava due macine, alimentate da una derivazione del corso d’acqua che alimentava la città. Era una vera e propria macchina per la produzione energetica, un sistema di “mulini a schiera” che adagiati sul pendio sfruttavano, a cascata consecutiva, i dislivelli per produrre energia meccanica da quella cinetica dell’acqua. Nel corso del tempo l’ingegno dell’uomo ha prodotto vere e proprie “ibridazioni architettoniche”, partendo proprio dal semplice strumento del mulino facendolo divenire una vera e propria macchina abitata, sia per la produzione che per la vita urbana. Anche l’Urbe, che nel secondo secolo d.C. superava un milione di abitanti, aveva numerosi mulini ad acqua sulle pendici del Gianicolo, alimentati a caduta (“da sopra”) dall’acquedotto di Traiano. Anche alle Terme di Caracalla fu costruito un mulino

ad acqua, mentre una produzione di farine, più limitata (e considerata di alta qualità, un “prodotto di qualità legato al modello di lavorazione e di sfruttamento della materia prima dell’energia), veniva ancora effettuata con delle macine tradizionali. Fino al 1870 (anno della disastrosa piena del fiume, per il quale vennero erette le grandi opere d’arginatura, i “muraglioni”) sul Tevere si sperimentò un nuovo dispositivo capace di produrre energia per la lavorazione delle materie prime: i mulini galleggianti (o “moulins bateaux - mulino barca”, che ritroviamo anche nel corso dei fiumi francesi).

L’ibridazione del sistema statico del mulino, fino ad allora considerato costruzione fissa accanto ai corsi d’acqua venne in qualche modo confinata per sfruttare (in loco) l’energia cinetica del corso d’acqua, ma questa volta il dispositivo mulino (quale macchina per la produzione energetica) venne montato su una vera a propria barca (o meglio “chiatta”) che assicurava allo strumento di galleggiare e configurando una nuova macchina e dispositivo per la produzione e lo sfruttamento energetico. L’applicazione di questa attraente macchina trova le sue metamorfosi anche nei territori francesi che, a partire dal XIII secolo sulla Senna, la Loira, il Cher vennero installati i primi dispositivi di un “mulino da sotto”: le moulins pendus, addossati ad un ponte o inseriti sotto le arcate dello stesso ponte, la ruota veniva sospesa sull’acqua, con cremagliere che permettevano di adattarne la posizione al livello variabile delle acque. Nello stesso periodo nella regione della Normandia, ed in particolare a Vernon, furono installati anche i primi esperimenti dei “mulini a maree”.

I mulini ad acqua non trovarono

applicazione solo nel settore di lavorazione cerealicola, ma anche una diffusa

applicazione nel campo tessile, tipografico, meccanico, proto-industriale.

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specializzata vennero applicate i mulini a ruota come “dispositivi-macchina” per la produzione energetica che, attraverso opportune opere e sistemi di canali

artificiali, determinavano quella primissima infrastrutturazione per finalità produttive- energetiche delle città.

Così che la risposta al problema della

produzione, strettamente connessa a

quella della “produzione” di lavoro (intesa come forza), e dopo aver sostituito il lavoro muscolare (di schiavi ed animali), l’applicazione evolutiva dei sistemi di produzione energetica ha determinato nuovi modi, usi, dispositivi modelli, strutture, architetture, forme, disposizioni urbane e spazi nella città.

Il mulino è un impianto che può essere considerato uno dei primi “dispositivi energetici” che hanno infrastrutturato un territorio (se lo considerato rispetto alle tecnologie disponibili in epoca

preindustriale), come la Macchina di Marly, non solo per il lavoro e gli usi quotidiani, ma anche per finalità elementari legate al progetto del paesaggio.

Nel 1681 fu costruita la famosa Macchina di Marly, destinata in primo luogo a fornire gli infiniti giochi d’acqua della Reggia di Versailles, vicino la Parigi di Luigi XIV. L’elemento “territoriale” della Macchina di Marly (la Machiné de Marly: serviva a captare 5.000mc d’acqua al giorno dalla Senna, e mediante la stessa forza idraulica a sollevarla per 160m, su una distanza di 1.200m, composta da 14 ruote idrauliche che azionavano circa 250 pompe lungo tutto il percorso) è dato dal fatto che rappresenta l’unico sistema (di cui si è a conoscenza di epoca preindustriale) che ha consentito la trasmissione dell’energia meccanica di origine idraulica lontano dal luogo di produzione e per distanza significative, anche se con perdite di efficienza, costi esorbitanti e per impieghi effimeri. Nel corso del tempo, dopo aver utilizzato altri sistemi, prima a vapore poi tramite energia elettrica,

per trasportare l’acqua, la Machiné de Marly fu demolita nel 1968.

Molto più tardi l’impiego delle prime macchine a vapore, unito all’impiego sempre più esteso ed intensivo del carbone, hanno determinato l’avvento della

prima rivoluzione industriale. La prima macchina a vapore (di Newcomen, la stessa che quarant’anni dopo fu perfezionata da Watt) entrò in uso in Inghilterra nel 1725 principalmente per fornire energia alle pompe per l’estrazione dell’acqua dalle miniere di carbone. Furono molti i miglioramenti apportati da Watt, che hanno consentito le diverse e successive applicazioni delle macchine a vapore nei settori di produzione industriali. Presto la macchina a vapore divenne il simbolo della “nuova era industriale” determinando, al contempo, l’aumento della domanda di carbone e la sua maggiore disponibilità (legata alla facilità di estrazione), grazie, ad esempio, alle tecniche in atto per l’asciugamento delle miniere.

Nel sottosuolo, all’interno di cunicoli scavati nel terreno, a decine e decine di metri di profondità si svolgeva la “vita quotidiana” dei “produttori di energia”: i carbonai: si forma una nuova classe di lavoratori: i carbonai. Si può tranquillamente affermare, per consecuzione logica, che l’era energetica del carbone è stata strettamente connessa a quella dello sfruttamento della forza muscolare umana impiegata nelle miniere. Spesso si dimentica che la forza muscolare, dapprima consentita dal metabolismo animale, poi dalla forza muscolare degli schiavi (o dei carbonai) è «stata la prima principale forza motrice delle civiltà antiche, specialmente nelle città»17.

In riferimento alle classi umane e lavorative, scrive Piero Angela, le «loro braccia e le loro gambe erano i “kilowatt” del tempo; infatti nel passato tutte le civiltà si sono basate su questa fonte energetica»18. È stato

calcolato che il lavoro di braccia e gambe di trenta schiavi corrisponde ad un contatore

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ALBERTO ULISSE

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