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RELAZIONI ENERGETICHE: LA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALEL’infrastrutturazione dei territor

Nel documento Tattiche per il progetto di architettura (pagine 79-81)

03 RELAZIONI ENERGETICHE: LA TERZA RIVOLUZIONE

RELAZIONI ENERGETICHE: LA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALEL’infrastrutturazione dei territor

metropolitani (nel tempo) ha ritagliato fasce e porzioni di territorio (spazio …in,

-tra, -fra) all’interno dei quali si è tessuta

la città difforme: una continuità di parti, di piccole metropoli, che hanno attivato sinapsi in prossimità dei luoghi e degli spazi pubblici, in corrispondenza dei nodi e delle intersezioni, in quei “luoghi delle opportunità”.

All’interno dei “paesaggi ecotonali” del Mediterraneo, caratterizzati dalla «sovrapposizione di più usi e modalità su uno stesso campo»18, nel tempo si è

sovrapposto, aggiunto, insediato un altro sistema si infrastrutturazione: la rete per la distribuzione e l’alimentazione energetica dei territori.

L’architettura della distribuzione di energia ha così definito città basate, pensate, organizzate e gestite su modelli energetici da fonti fossili: una città figlia dell’era del petrolio. Questo vuol significare che le linee elettriche (ad alta, media e bassa tensione) sono infrastrutture di solo trasporto ed alimentazione (approvvigionamento) energetico, lasciando ad “altri territori” (detti hub) la funzione di produzione e stoccaggio/accumulo per una diffusione a rete, ramificata.

Oggi, in riferimento alle teorie della polverizzazione e diffusione (frammentazione e ricombinazione) dei sistemi di produzione energetica (captazione e produzione da rinnovabile), alla luce delle teorie di Jeremy Rifkin sulla creazione del

Worldwide Energy Web, lo spazio, i tessuti,

gli oggetti, le relazioni, i non luoghi, i vuoti, la terraferma, il mare, divengono i nuovi territori per l’autoproduzione, l’accumulo ed il consumo in loco di energia.

A partire dal paradigma energetico di Rifkin, si ipotizza una nuova metafora per l’organizzazione e il funzionamento della città: la Cell-City19, intesa come un

sistema metabolico, un modello capace di

organizzare ed alimentare energeticamente lo spazio della città. Questo cambiamento determina un passaggio da un modello di approvvigionamento a rete ramificata (quella attuale), ad un dispositivo rizomatico, composto di distretti energetici: di “cellule- produttive” (come nelle teorie di Rifkin e nelle ricerche del MIT). In questa visione si supera il concetto di hub centralizzato a servizio di uniche aree, prefigurando uno scenario di «produzione energetica più capillare, diffusa, distribuita e consumata in loco»20 (così da mettere in campo una vera

e propria filiera corta dell’energia). L’auto- produzione è pensata all’interno di congegni spaziali territoriali (cluster o “piattaforme energetiche”) che potremmo facilmente chiamare e concepire come «oggetti isola»21. Ogni “isola” può essere connessa

ad altre isole per la formazione di una “città arcipelago”.

A supporto di questo si riporta quanto descritto nella ricerca progettuale Homines

energetici22 di Italo rota, nella quale

descrive l’evoluzione in atto sul territorio, trasformato secondo criteri enzimatici e non formali; in questa visione – il territorio – si rivela come un giacimento di energie biologiche che mutano nel tempo, producendo trasformazioni stagionali e ambientali che possono essere governate e programmate all’interno di un progetto complessivo. Individuando una serie di funzioni e di attività produttive sul piano agricolo, climatico, energetico e dei servizi alla popolazione, «si realizza una sorta di regia della vita in un determinato territorio, più che un tradizionale intervento di landscape»23.

Un esempio di sperimentazione innovativa in questa direzione è la proposta avanzata per la Città Universitaria della Sapienza di Roma, che prevede modelli di pianificazione energetica di parti urbane, con una Rete

Distribuita di Energia (RDE), sia per la

produzione e sia per la distribuzione di energia stessa.

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NUOVE QUESTIONI PER IL PROGETTO DI ARCHITETTURA

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Nelle ricerche condotte e sperimentate da Livio De Santoli, si immagina una città «organizzata in distretti, ognuno autonomo dal punto di vista energetico e a bilancio ambientale nullo. Ogni distretto farà parte di un network territoriale formato da maglie e si relazionerà in maniera aggregata, sotto forma di relazioni ed interazioni con le maglie limitrofe. Le isole all’interno di uno stesso distretto metteranno a fattor comune tutte le risorse disponibili, diversificate e completate sulla base delle disponibilità del singolo territorio: energia solare, eolica, biomasse, cogenerazione. Tutto il surplus di una isola verrà utilizzato dall’isola dello stesso distretto prima di essere riversata sulla rete esterna»24. A questa visione è legata la

visione organizzativa della Cell-City, che non risulta molto diversa dalla spazialità espressa nell’ideogramma giapponese di “paese” (kuni), dove il recinto contiene gli elementi fondativi della società giapponese (il popolo, ideogrammato con il simbolo bocca, e l’esercito, definito dal simbolo dell’arco). Senza andare molto lontano dai territori mediterranei, dal VI sec.a.C. le tribù dei Sanniti Carricini (i popoli delle rocce) organizzarono gran parte dei villaggi appenninici attraverso l’unità politica, amministrativa e configurativa del

Touto. Il sistema distrettuale del Touto è un

dispositivo composto da un recinto-bordo che contiene al suo interno tutti i materiali della città: i Vicus, i Pagus e gli Oppidum, oltre che il sistema connettivo della strada. Nei dispositivi architettonici e spaziali della ricerca dei Metabolici che si ritrovano i concept formali di un sistema cellulare di crescita per una città proiettata verso il futuro. Dal punto di vista “configurativo” quella che potremmo chiamare la “città- organismo” potrebbe legarsi ad una interpretazione, introiettandone certi valori come una “figura istologica di un tessuto”, composto da elementi connettivi, cordoni, fibre sensitive, nuclei, mucose, tessuti epiteliali, che la fanno apparire un’entità

cellulare, ma senza le derive “organicistiche”. La «configurazione urbana del dispositivo della città-cellula trova legami e modelli»25

nella visione progettuale per il Greater

London Plan (1944), nel quale Sir Patrick

Abercrombie mostra il sistema configurativo di Londra come un sistema di membrane e di “cellule”, immerse in un dispositivo connettivo citoplasmatico (legato agli spazi delle reti, dei flussi, delle infrastrutture, dei vuoti urbani).

L’analogia tra i sistemi urbani e i sistemi biologici non è semplicemente legata a similitudini formali (o di forma), ma individuati in corrispondenza con alcuni concetti chiave, quali: organizzazione, legami e dipendenze. Nei suoi scritti, Raymonde Delavigne, riconosce che «l’organismo città ha molte delle caratteristiche proprie di un ecosistema legato ad un’idea di funzionamento metabolico»26 riconoscendo

nella combinazione energetica una delle occasioni di rilancio, di riorganizzazione e di crescita della città per la definizione di un benessere durevole collettivo.

Nelle ricerche condotte da Tiezzi e Pulselli, il «sistema città viene visto come un organismo vivente, un sistema che respira, si nutre, assume una propria identità e comunica»27; ma nel contempo appartiene

a quella condizione di realtà dinamica e variabile, tipica della fisica evolutiva (in stretta relazione con i concetti chiave sulla “teoria della complessità” di Ilya Prigogine, Nobel per la Chimica (1977) e padre della fisica evolutiva).

Alla luce delle teorie sui sistemi complessi e dei processi di auto-organizzazione (di Ilya Prigogine e Fritjof Capra), si può affermare liberamente che un sistema urbano è un sistema aperto caratterizzato da input di risorse a bassa entropia e output di rifiuti ad alta entropia. Il concetto di entropia (cioè cambiamento, evoluzione, ma anche confusione) dei corpi rivela come i sistemi viventi tendono sempre verso “minimi entropici”. La crescita e lo sviluppo di tali

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ALBERTO ULISSE

RELAZIONI ENERGETICHE: LA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

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