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Il progetto e l’inizio dei lavor

Largo Argentina

V.2.1 Il progetto e l’inizio dei lavor

I progetti per il prolungamento di via Arenula fino al Corso Vittorio Emanuele II e l’allargamento di via delle Botteghe Oscure e di via del Plebiscito, proposti ufficialmente nel Piano Regolatore del 1909 (fig. 16), costituivano un intervento urbanistico moderno volto a riorganizzare la viabilità della zona attraverso la creazione di due strade ad alto scorrimento.

Figura 17. L'area con gli interventi urbanistici all'interno del Piano Regolatore del 1909. (Immagine da www.archiviocapitolinorisorsedigitali.it)

In particolare, nel 1914, l’Assessore al Comune Filippo Galassi studiò una variante al Piano Regolatore che proponeva l’allargamento di via di Torre Argentina da 8 a 20 metri e confermava i piani di demolizione e ricostruzione dell’isolato di S. Nicola de’ Cesarini.188

Con la fine della Prima Guerra Mondiale, poiché era noto che l’isolato presentava al suo interno, tra le varie emergenze monumentali, almeno una torre medievale (la Torre del Papito), un tempio rotondo (il cortile del Convento dei Padri Comaschi) ed uno rettangolare (al di sotto della chiesa di S. Nicola) (fig. pianta Lanciani), l’Assessore richiese il parere alla Soprintendenza alle Antichità e Belle Arti, che approvò il progetto Galassi e avvallò la decisione del Governatorato di affidare a Giuseppe Marchetti Longhi l’incarico di seguire e controllare i lavori di demolizione della zona.189 Già nel 1913

l’archeologo aveva cominciato ad occuparsi della zona segnalando alle autorità competenti la scoperta di altri resti antichi oltre a quelli noti, che lasciava supporre l’esistenza di un’importante area archeologica. Una testimonianza si ritrova nei suoi Giornali di scavo, nei fogli scritti nell’estate del 1929:

Nel 1914 eseguendo ricerche su tutta la zona del Largo Argentina, di V. Botteghe Oscure, fino ad Aracoeli ed a Piazza Montanara e Campitelli, per lo studio dell’antico Circo Flaminio e della zona circostante, cui mi avevano incoraggiato il mio Illustre Maestro Rodolfo Lanciani e mia zia Ersilia Lovatelli, ebbi la buona ventura d’imbattermi, nella quotidiana mia esplorazione di tutti i sotterranei della vasta zona anzidetta, in alcuni ruderi che fino allora erano affatto riconosciuti. Si trattava di due lievi pilastri di grandi conci di tufo in una cantina dello stabile segnato n. 46 in V. di S. Nicola a’Cesarini ed allora proprietà del Sign. Ant. Vernini. Uno di questi pilastri, presumibili fiancate di un fornice, però ricongiunti tra loro da moderne murature, manteneva anche nel suo lato esterno, verso il margine della via, su questa centrato di circa 2 metri, una mezza colonna del suo ornamento originario. Il rinvenimento benchè piccolo pure aveva una non lieve importanza. (…)

In secondo luogo rappresentava un indizio prezioso della esistenza in quella zona di qualche altro antico monumento che non fossero solo il tempio suddetto e la fiancata meridionale dell’altro rettangolare e periptero sotto la chiesa di S. Nicola a’ Cesarini. Il perché proprio in quel torno di tempo si andava maturando il primo progetto per la sistemazione della zona, e ne era autore il compianto assessore Filippo Galassi,

189 Un saggio di scavo compiuto nel 1904 aveva portato alla luce parte del basamento del tempio, già

conosciuto attraverso i celebri disegni del Sangallo (scheda fiorentina 1140) e messo in pianta dal Lanciani nella sua FUR. Per un quadro biografico sul Marchetti Longhi v. GALLUPPI 2007.

così fu mia cura avvertire del ritrovamento la Soprintendenza dei Monumenti e cantieri il capo di questi, Prof. Munoz, insieme all’Assessore suddetto.

Non credo che la vista del breve tronco di colonna e pilastro abbia commosso troppo né l’uno né l’altro rispettivamente nella pianificazione e nell’approvazione di massima del progetto. Perché è ormai a tutti noto che accertata l’esistenza pressoché integra del basamento del tempio circolare, solamente di questo fu prevista la conservazione in un angusto cortile del nuovo fabbricato, mentre dell’altro tempio, quello sotto la chiesa noto per un prezioso disegno del Sangallo non si tenne conto maggiore che di un oggetto da magazzino.

Ma di ogni altra pur presumibile antica vestigia (per esempio il rinvenimento stesso del tempio rettangolare, e del rudero da me riconosciuto) non si tenne conto nessuno. Fu appunto in breve a tale aprioristica noncuranza anche da parte degli organi destinati alla difesa delle antiche memorie di Roma, che io mi ribellai contro una sistemazione che non teneva alcun conto dei monumenti che già si rivelavano di non lieve entità materiale e di non minore importanza atavica, e scrissi contro il progetto Galassi ed a proposta di una sistemazione a giardino dell’area intorno ai tempi l’articolo che è ormai ben noto agli studiosi di topografia romana190.

L’articolo a cui si riferisce il Marchetti Longhi nelle ultime righe è il suo I tempii presso S. Nicola a’ Cesarini e la sistemazione della zona Argentina, uscito sul Bullettino della Commissione Archeologica di Roma n. 46, nel 1918, dove l’autore riprende nuovamente la polemica contro il progetto Galassi e dà una prima ricostruzione topografica dell’area (fig. 17).

Figura 18. L'area secondo lo studio condotto da Marchetti Longhi nel 1918. In nero sono evidenziati i tre pilastri del portico orientali visti nelle cantine dello stabile. (MARCHETTI LONGHI 1918,tav. IV.

Il parere di Marchetti Longhi non servì a modificare la situazione, l’unica concessione alle perplessità espresse dall’archeologo, fu la decisione di conservare i due templi sistemandoli all’interno di un cortile ricavato nel nuovo complesso dove portici e passaggi interni avrebbero consentito di raggiungere il cortile con i resti dei templi (fig. 18).

Figura 19. Pianta del progetto Nori-Venturi. Da ORSINI 1925,p. 201.

Il nuovo progetto, a firma degli architetti Nori e Venturi, prevedeva di sostituire all’isolato esistente nuovi edifici arretrando le linee frontali del nuovo complesso in rapporto all’ampliamento stradale di via di Torre Argentina e di via di S. Nicola dei Cesarini. In quell’occasione il Governatorato incaricò gli architetti Nori e Venturi del Piano Regolatore di apportare le opportune modifiche e di definire le caratteristiche degli alzati degli edifici191. Le pressioni esercitate da Marchetti Longhi portarono però

all’inserimento nella convenzione di una serie di clausole e riserve con l’Istituto dei Beni Stabili, proprietario dell’aria, fino ad arrivare all’eventuale riscatto dell’area qualora se ne fosse dimostrata l’importanza archeologica.

L’Istituto Romano dei Beni Stabili diede così il via, nell’estate del 1926,192 alle

demolizioni che si protrassero fino al 1928 e si svolsero in tre tempi: per primo fu abbattuto l’isolato su via di Torre Argentina, costituito dai palazzi Acquari e Rossi e da una parte del palazzo Chiassi-Cesarini fino al limite della retrostante chiesa di S. Nicola

191 Il progetto Nori-Venturi fu pubblicato sul numero 1 della rivista Capitolium del 1925 da Felice Orsini

(ORSINI 1925,pp. 196-203).

ai Cesarini; in un secondo tempo scomparve il fronte prospettante su Corso Vittorio con la chiesa e quanto rimaneva del palazzo Chiassi; da ultimo furono distrutte le case che si affacciavano su via di S. Nicola ai Cesarini e su via Florida.

Con l’avvio dei lavori il Governatorato, su proposta del Segretario Generale Antonio Mancini, deliberava di affidare a Marchetti Longhi l’incarico “di seguire e controllare i lavori demolizione e scavo della zona Argentina per segnalare al Governatorato tutte le eventuali scoperte archeologiche per le quali necessitasse l’intervento dell’Amministrazione” e gli consentiva di pubblicare nel Bullettino Archeologico Comunale i risultati dei possibili rinvenimenti193. Iniziò così per lo studioso un biennio di

assidui controlli, di quotidiani sopralluoghi e attraverso la corrispondenza di quel periodo, ma anche i suoi appunti, si coglie bene il disagio per i discutibili criteri con i quali venivano portate avanti le demolizioni, senza fare saggi preliminari od eseguire rilievi grafici e fotografici di ciò che tornava in luce ed interrando anche avanzi interessanti la cui scoperta non veniva spesso nemmeno segnalata agli uffici competenti194.

Durante il 1927 vennero così alla luce: due colonne del tempio rettangolare (A) incorporate nella parete sinistra della chiesa (6 gennaio); l’altare marmoreo di S. Nicola del Calcarario195 e un’altra colonna del tempio (20 gennaio); il lato meridionale dei portici

del Teatro di Pompeo (7 marzo) e gli avanzi di un portichetto medievale inglobato nel cortile annesso alla chiesa (21 novembre)196.

Il progredire delle scoperte non lasciò insensibile il Comitato di Storia ed Arte del Governatorato che nella riunione del 25 giugno 1927 prendeva posizione sul problema ribadendo la necessità di procedere allo sterro generale dell’area “per lo studio degli importanti resti esistenti e per una valutazione esatta di quelli tra essi che fossero degni di esser conservati” e affidando agli uffici del Governatorato l’incarico di studiare una sistemazione adeguata all’importanza dell’area197.

193 Lo stralcio della delibera dell’incarico n. 5712 del 6 agosto 1926 è pubblicata in MARCHETTI LONGHI

1932, p. 256.

194 Cfr. lettere del 6 e 16 ottobre e del 5 novembre 1926 in MESSA 1995, p. 198.

195 V. lettere del 20 gennaio 1927 alla Ripartizione Antichità e Belle Arti del Governatorato e a

Giovannoni, in MESSA 1995,pp. 198-199.

196 V. lettera del 21 novembre 1927 indirizzata alla Ripartizione Antichità e Belle Arti del

Governatorato, in MESSA 1995,p. 199.

Dopo una pausa estiva i lavori ripresero nel settembre del 1927 con un saggio preliminare sulla fronte del futuro tempio A e, nella primavera dell’anno successivo, si scoprirono i resti di un altro tempio rettangolare (tempio C). Quando il 23 agosto 1928 a demolizioni concluse riemersero le strutture di un quarto tempio dalla parte di via Florida (tempio D) la sorprendente scoperta di un’area archeologica complessa e unitaria contenente quattro templi di impianto repubblicano poneva ormai grossi ostacoli alla realizzazione del primo progetto e apriva seri interrogativi sul suo destino.

Nel luglio del 1928 il Comitato Storia ed Arte, sollecitato da Marchetti Longhi, si pronunciò per la salvezza dei templi e il Governatore Spada Podenzani, pur ricordando a Mussolini che l’accoglimento di tale richiesta avrebbe avuto come immediata conseguenza il rimborso ai Beni Stabili di venti milioni di lire, gli chiese di autorizzare il Ministero della Pubblica Istruzione ad emanare un “provvedimento d’imperio” e a porre gli “opportuni vincoli”198. La stampa seguiva l’evolversi della vicenda: mentre da una

parte cresceva il partito favorevole alla conservazione dell’area archeologica, dall’altra rimaneva ancora valido il progetto di rinchiudere i templi nello scantinato della nuova costruzione. Addirittura, si era ventilata l’ipotesi di riseppellirli dopo averne fatto i rilievi199. Arrivò quindi il parere del Ministro della Pubblica Istruzione Belluzzo che,

contro le aspettative degli studiosi, decise di appoggiare la realizzazione del nuovo complesso edilizio per non restituire ai Beni Stabili i soldi già spesi per le demolizioni. A sciogliere i nodi della questione fu alla fine il Capo del Governo Mussolini che, sollecitato da Corrado Ricci, nel corso dell’incontro del 15 ottobre 1928, stabilì di conservare integralmente l’area archeologica, con una scelta che poteva inquadrarsi nel programma celebrativo della romanità, punto di riferimento dell’ideologia fascista200.