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2.7. Alla ricerca della persona fisica dietro la macchina: i soggetti coinvolti

2.7.1. Il programmatore

Un primo soggetto su cui porre l’attenzione è il programmatore del sistema di IA. Costui può essere il titolare del diritto di privativa del programma stesso, ma non necessariamente possiede i diritti sui prodotti futuri creati dalla macchina.

L’idea di individuare questo soggetto come l’unico responsabile del lavoro si basa sulla considerazione che costui è l’unico che conosce e può spiegare l’algoritmo di funzionamento del sistema stesso ed è anche colui che lo ha creato e che pertanto potrebbe essere il titolare dei benefici che da esso derivano. Inoltre, per gli sforzi intellettuali impiegati nella creazione dell’algoritmo stesso, egli dovrebbe essere ricompensato con le positività che derivano dal fatto di esserne l’autore.

Il riconoscimento di diritti di privativa in capo a costui avrebbe la potenzialità di incentivare il soggetto a nuovi investimenti e sviluppi per la produzione di nuove opere

una forte componente umana. L’esposizione viene fatta per fini di completezza, in quanto non è l’approccio che il presente elaborato sostiene. Gli autori che sostengono la presente tesi sono citati nelle note seguenti.

245 Oltreoceano alcuni autori ritengono che il termine “authorship” debba essere ridefinito per includere

sia umani che non-umani. In particolare, C.R.DAVIS, An evolutionary step in Intellectual Property rights- Artificial

Intelligence and Intellectual property, 27 Computer L. and Securety Rev. 601 (2011); R. ABBOT, I think, therefore I invent:

creative computers and the future of patent law, 57 B. C. L. Rev, 57, 1079 (2016) in cui l’autore afferma che

riconoscere i computer come dotati di authorship è un passo innovativo e un nuovo modo per incoraggiare la crescita e lo sviluppo.

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computazionali246. Se questa prima soluzione sembra intuitiva e concettualmente semplice, bisogna tuttavia considerare alcuni aspetti problematici che derivano da essa.

Innanzitutto, da un punto di vista teorico, a causa di alcuni meccanismi di funzionamento che caratterizzano i sistemi più avanzati di IA, tra cui l’imprevedibilità dei risultati, l’originalità e la creatività dei prodotti, che sono sconosciuti al loro programmatore, risulta difficile poter attribuire a quest’ultimo il diritto di proprietà sui risultati, in quanto costui non ha necessariamente contribuito alla loro creazione in modo diretto e spesso non è possibile nemmeno riconoscere alcun riflesso della sua personalità nell’output finale247.

Se, infatti, la macchina riproducesse pedissequamente gli ordini dettati dal suo programmatore, che in questo modo avrebbe un totale controllo su di essa, la proprietà dell’opera creata sarebbe inevitabilmente attribuibile a lui. Questa soluzione ha una sua logica ogni qual volta vi sia una connessione causale tra il programmatore e l’output generato dalla macchina. In alcuni casi, le corti hanno applicato questa soluzione, guidate dalle spiegazioni ed esposizioni sul prodotto da parte del programmatore e sulla base che fosse visibile e documentabile una relazione indissolubile tra macchina ed umano248. Tuttavia, dal momento in cui il meccanismo di funzionamento delle IA si basa per la maggior parte delle volte su scatole nere e le decisioni creative prese dal sistema non possono essere spiegate dal programmatore, è difficile riconoscere in capo a costui un diritto, considerando che non ha esercitato alcun controllo e non è in grado di fornire alcuna spiegazione in merito al risultato ottenuto. Se così fosse, il concetto di originalità verrebbe completamente distorto ed oggettivizzato, rispetto agli standard attuali che richiedono il riconoscimento di un’intima connessione tra opera ed autore.

Inoltre, dal punto di vista legale è necessario distinguere i diritti che il programmatore possiede sul software dai diritti che eventualmente sorgono sull’opera creata dal software stesso, in quanto il riconoscimento automatico di diritti di privativa anche sull’opera della

246 M. PERRY, T. MARGONI, From music tracks to google maps: who owns computer generated-works?”, in

Computer law and security review, 2010, 26(6), 621-629.

247J.HAUGELAND, Artificial intelligence: The very idea, a Bradford Book, The in MIT press, Cambridge,

(MA), 1986, 349-353: “what gets programmed directly is just a bunch of general information and principles, not unlike what

teachers instill in their pupils. What happens after that, what the system does with all this input, is not predictable by the designer (or teacher or anybody else). The most striking current examples are chess machines that outplay their programmers, coming up with brilliant moves that the latter would never have found”.

248 Ibidem, Nova Productions Ltd v. Mazooma Games Ltd., in cui si legge: “the programmer devised the appearance

of the various elements of the game and the rules and logic by which each frame is generated and who wrote the relevant computer program”; Atari Inc. v. North American Philips consumer elec. Corp., case 672 F. 2d 607 (7th Cir. 1982), U.S.

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IA, a chi possiede già una privativa sul sistema, rischia di risolversi in un eccessivo riconoscimento di incentivi economici, oltre che non trovare alcun riscontro a livello normativo249. Lo stesso ragionamento è alla base della disciplina sulle fotografie scattate da una fotocamera, per cui il proprietario di essa non è necessariamente anche il proprietario delle fotografie catturate con la macchina.

L’allontanamento tra autore essere umano ed opera, come si manifesta nelle nuove tecnologie, richiede inevitabilmente un’evoluzione interpretativa di alcuni concetti fondamentali della disciplina autoriale, che mal si adattano ai futuri meccanismi di funzionamento di questi sistemi.

Per cercare di attribuire la paternità dell’opera in capo al programmatore, parte della dottrina ha proposto di classificare l’output come opera derivata, così da poter attribuire la paternità del lavoro a chi ha trasformato, rielaborato o riadattato uno o più lavori precedenti250. In concreto, si tratterebbe di considerare il programmatore come autore dell’output generato dalla macchina nella finzione per cui il lavoro risulta derivato dalla

macchina intelligente stessa, e la paternità spetta al suo programmatore.

Entro i confini dei Paesi aderenti alla Convenzione di Berna, un’opera derivata gode degli stessi identici diritti di un’opera originale, senza alcun pregiudizio rispetto ai diritti dell’autore dell’opera principale251. L’opera derivata è di proprietà di colui che l’ha realizzata, senza che vi sia però una limitazione dei diritti che l’autore detiene sull’opera originale, motivo per cui è necessario ottenere la sua approvazione e rispettare i diritti morali. Anche l’opera derivata per poter essere protetta deve dimostrare di possedere una propria originalità.

Nella disciplina nazionale, l’articolo 4 della l.d.a. esplicita che sono proteggibili le “elaborazioni di carattere creativo dell’opera stessa”252.

Anche nella legislazione statunitense, dopo la definizione di “derivative work”, viene disciplinata la protezione per queste particolari opere sulla scia delle disposizioni italiana ed internazionale253.

249S.YANISKY-RAVID, Generating Rembrandt: artificial intelligence, copyright, and accountability in the 3A era-

the human-like authors are already here- a new model, op. loc. cit; di questa opinione anche P. SAMUELSON, Allocating

ownership rights in computer-generated works, 57 U. Pitt. L. Rev 1185, 1119 (1986).

250BIRDY, op. loc. cit.

251 Art. 2, paragrafo III, Convenzione di Berna.

252 Art. 4 l.d.a.: “Senza pregiudizio dei diritti esistenti sull'opera originaria, sono altresì protette le

elaborazioni di carattere creativo dell'opera stessa, quali le traduzioni in altra lingua, le trasformazioni da una in altra forma letteraria od artistica, le modificazioni ed aggiunte che costituiscono un rifacimento sostanziale dell'opera originaria, gli adattamenti, le riduzioni, i compendi, le variazioni non costituenti opera originale”.

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Se l’idea di catalogare l’output come opera derivata appare di facile applicazione, essa non può essere sostenuta, in quanto requisito per essere “opera derivata” è che nella nuova creazione siano contenuti i materiali dei lavori preesistenti. Questo approccio nel futuro è destinato a fallire, dal momento in cui l’output dei sistemi IA è stato riconosciuto come un “original source of the work” e non come un “derivative work”254. Le macchine intelligenti sono capaci di dare vita a lavori che non contengono nulla di opere precedenti e che risultano quindi come nuovi ed originali. Infatti, anche se il sistema viene allenato e alimentato da una grande quantità di dati preesistenti, che possono anche essere opere precedenti, il modo, indipendente e creativo, in cui il prodotto viene generato rende irriconoscibile la presenza di altre opere all’interno dell’output finale. Di conseguenza, la proposta di opera derivata non risulta applicabile.

In conclusione, l’identificazione del programmatore come titolare dei diritti non appare essere la soluzione migliore.