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INCONT URINARIA

1.6 PROLASSO UROGENITALE

Il prolasso è un disturbo molto comune tra le donne adulte; ne soffre circa il 50% delle donne che hanno avuto almeno un figlio per via vaginale anche se è sintomatico solo nel 10-20% dei casi (Slieker-ten Hove MCP, 2004). Circa una ogni 10 donne avrà bisogno di essere operata per prolasso vaginale e circa un terzo di queste richiederà un reintervento (Olsen AL, 1997), molte più donne sono quelle che comunque necessiteranno di una terapia conservativa.

Fattori di rischio per lo sviluppo primario del prolasso sono stati messi in evidenza da svariati studi epidemiologici. Responsabili dello sviluppo del prolasso sono l’obesità (BMI>30) (Mant J, 1997; Progetto Menopausa Italia, 2000), la tosse cronica (Rinne KM, 1999), lo sforzo cronico alla defecazione (Mellgren A, 1995; Van Dam JM, 2000), l’aver partorito neonati superiori ai 4 kg (Van DamJH, 2000; Olsen AL, 1997).

Fattori secondari implicano una pregressa chirurgia correttiva del prolasso.

Il prolasso genitale vede come importante momento eziopatogenico proprio il danno

neuromuscolare provocato principalmente dal trauma del parto per via vaginale (soprattutto se operativo) e si manifesta o si accentua nelle vicinanze della menopausa per i concomitanti processi involutivi a carico delle strutture fascio-legamentose connettivali del pavimento pelvico. Come già ricordato nel capitolo introduttivo, la muscolatura del pavimento pelvico forma un piatto orizzontale su cui riposano i visceri e la fascia endopelvica, in presenza di una muscolatura normofunzionante, ha il solo e unico compito di stabilizzare gli organi pelvici sul piatto orizzontale dei muscoli elevatori dell'ano. In presenza di un danno anatomico, neuropatico e miopatico il diaframma pelvico e il piatto dei muscoli elevatori dell'ano da orizzontali diventano verticali. Le pressioni si scaricano non più su una solida base muscolare, ma interamente sulle connessioni fasciolegamentose della pelvi, così esposte a cedimenti e rotture.

La sintomatologia legata al prolasso degli organi endopelvici può essere schematizzata in 4 categorie (Bump RC, 2000):

Sintomi primari del prolasso: sensazione di peso perineale, sensazione di

ingombro, dolore perineale, osservazione e palpazione di una massa a livello dell'introito vaginale....

Sintomi urinari: incontinenza da sforzo (per cedimento della parte

sottouretrale della fascia endopelvica con perdita della sua funzione di amaca), frequenza (diurna e notturna per incompleto svuotamento), urgenza, incontinenza da urgenza (per ostruzione cervico uretrale), difficoltà ad iniziare il flusso minzionale, flusso urinario debole o prolungato, sensazione di incompleto svuotamento, necessità di riduzione manuale del prolasso o di posture particolari per iniziare o completare la minzione.

Sintomi intestinali: defecazione difficile, incontinenza fecale, defecazione

imperiosa, necessità di manipolazione digitale della vagina, dell'ano o del perineo per completare la defecazione, senso di incompleta defecazione, protrusione rettale durante o

Sintomi sessuali: riduzione dell'attività sessuale per difficoltà o impossibilità

al coito vaginale, dispareunia, incontinenza urinaria durante i rapporti.

E' caratteristica l'evoluzione dei sintomi urinari che si accompagna al prolasso della parete vaginale anteriore. Inizialmente un prolasso lieve si associa a incontinenza urinaria da sforzo (entrambi dovuti al cedimento delle strutture fasciolegamentose di sospensione); poi quando il danno fasciale e neuromuscolare da stiramento si aggravano ad un aumento del grado di prolasso corrisponde un miglioramento (illusorio!) della sintomatologia urinaria con la ricomparsa della continenza per inginocchiamento e ostruzione dell'uretra. Un grado di ostruzione severa si riflette in un proporzionale grado di iperattività detrusoriale reattiva che con il tempo si scompensa esitando in una vescica di “elevata compliance” e ipocontrattile. Il flusso che può rimanere normale nella fase di iperattività detrusoriale tende a ridursi e ad accompagnarsi ad elevato residuo post-minzionale nella fase di scompenso.

La terapia chirurgica ristabilisce la normale anatomia ma una neuropatia pudenda sottostante con la conseguente miopatia da denervazione necessiterà di un adeguato retraining muscolare con Biofeedback e elettrostimolazione secondo i protocolli dettati dal particolare tipo di lesione.

CORREZIONE CHIRURGICA DEL PROLASSO E RISCHIO DI DPPF

La correzione del prolasso può implicare la rimozione o meno del corpo uterino, sia questo interessato o meno dallo stesso.

La scelta sul tipo di intervento deve tener conto di variabili quali: la volontà della donna di mantenere la sua fertilità o la sua idea di sé come donna (se questa è legata alla presenza dell’utero e/o delle mestruazioni) e la personale scelta del chirurgo guidata dalla propria esperienza chirurgica, dalla durata stimata/auspicata dell’intervento, dalle perdite ematiche previste e dal tempo di convalescenza o recupero postoperatorio desiderato in relazione alle condizioni della donna.

Queste considerazioni devono guidare la scelta della rimozione dell’utero o meno.

Non esistono studi randomizzati controllati che valutino le differenti tecniche chirurgiche. Una recente review (Dietz V, 2009) confronta le complicazioni, gli outcome anatomici e funzionali e la qualità di vita dopo chirurgia per correzione del prolasso senza conservazione del viscere uterino (isterectomia vaginale) e con la sua conservazione (isteropessi al sacrospinoso, intervento di Manchester e intervento di utero-sospensione a sling infravaginale posteriore.

Gli autori pur evidenziando i limiti delle loro conclusioni, dovuti essenzialmente all’eterogeneità degli studi analizzati, concludono che tutte le tre procedure che contemplano la conservazione dell’utero sono ugualmente efficaci riguardo ai risultati anatomici di sospensione della cupola vaginale dopo isterectomia e alla necessità di una seconda chirurgia per recidiva del prolasso, con il vantaggio di una minore morbilità (tempo operatorio, perdita ematica, e tempo di convalescenza) se comparate all’isterectomia vaginale. Concludono che non è necessario sottoporre la donna all’isterectomia per la correzione del prolasso uterino.

Non ci sono vantaggi derivanti dall’isterectomia ma neanche svantaggi. Per molti anni si è pensato che l’isterectomia pregiudicasse il mantenimento delle rispettive relazioni

anatomiche tra i visceri anatomici e che privasse gli organi “viciniori” dell’indispensabile apporto nervoso, così da comprometterne il fisiologico funzionamento e provocare lo sviluppo di sintomi urinari e/o intestinali.

In uno studio prospettico randomizzato in cui si confrontavano l’isterectomia e l’ablazione endometriale per la terapia della menorragia non vi era alcuna differenza rispetto ai tassi d’incontinenza urinaria tra i due gruppi (De Tayrac R, 2004). Thakar in una review del 2005 concludeva che è poco probabile che l’isterectomia possa causare disfunzioni vescicali o intestinali (Thakar, 2005).

Il prolasso vaginale si associa di per sé a sintomi urinari e intestinali che possono essere migliorati o meno dalla correzione del prolasso. Questo rende più difficoltoso il confronto tra tecniche che preservano o meno l’utero per la correzione del prolasso. Nella sua review Dietz conclude che per la scarsità di dati rispetto all’outcome funzionale (quindi relativo ai sintomi urogenitali) di differenti tecniche non è possibile raccomandare una tecnica rispetto ad un’altra.

C’è comunque da considerare che spesso è la donna a richiedere un intervento definitivo che la sollevi dalla paura dell’insorgenza di problematiche future come perdite ematiche atipiche, tumore del collo dell’utero o della cervice. Nello stesso studio vengono anche sottolineati i bias più frequenti di tali studi e i limiti di studi retrospettivi e prospettici: alcune donne con sintomi recidivanti potrebbero andare in un ospedale differente alla ricerca di una terapia più efficace per la loro sintomatologia, o no voler sottoporsi nuovamente ad un intervento chirurgico e quindi non tornare per il follow-up. Alcune poi potrebbero trovare più conveniente l’utilizzo del pessario rispetto ad un nuovo intervento chirurgico. Una recidiva del prolasso potrebbe essere asintomatica e giustificare il non ritorno della donna al controllo post-chirurgico. Inoltre la recidiva può svilupparsi oltre il tempo di osservazione dello studio e quindi non essere riportata dallo studio.

Essenziale inoltre considerare il motivo che ha condotto all’isterectomia per comprendere qualsiasi studio sull’argomento, infatti Dallenbach analizzando oltre 6000 donne sottoposte ad isterectomia tra il 1982 e il 2002 riportava un aumentato rischio di

ulteriore chirurgia per la correzione del prolasso dopo isterectomia se la stessa aveva

come indicazione un prolasso rispetto ad un’altra indicazione ginecologica (miomatosi uterina, menorragia). Precisamente tale rischio era aumentato di 5 volte se il prolasso era già presente e di ben 8 volte se il prolasso presente era superiore o uguale al secondo grado di Baden-Walker (Dallenbach, 2007).

Un recente studio prospettico di Salvatore conferma questo dato, infatti di 360 donne reclutate sottoposte a correzione del prolasso senza l’utilizzo di mesh (166 con prolasso uterino e 215 con prolasso anteriore o posteriore dopo una precedente isterectomia) monitorizzate con un periodo medio di follow-up di 26 mesi il 10% aveva una recidiva. L’unico fattore di rischio che gli autori evidenziavano era un prolasso preoperatorio maggiore o uguale al 3° grado, nessuno dei fattori di rischio primari sopra ricordati raggiungeva una significatività statistica (Salvatore S, 2009). Anche in precedenza comunque era stata rilevata quest’associazione (Whiteside JL, 2004).

recidiva del prolasso della cupola vaginale e di dispareunia rispetto alla sacrospinosocolpopessi per via vaginale; l’utilizzo di mesh per la correzione del cistocele può ridurne il rischio di recidiva; non c’è questa evidenza per il compartimento posteriore dove però l’approccio per via vaginale è senz’altro da preferire a quello per via transanale. L’utilizzo di procedure anti-incontinenza può ridurre la percentuale d’incontinenza urinaria dopo l’intervento chirurgico ma tale beneficio dovrebbe essere confrontato ai costi e soprattutto ai possibili effetti collaterali legati ad un tale intervento aggiuntivo (Maher C, 2008).

Nel 1996 Jackson ipotizzava che ci fosse un legame tra il prolasso e il metabolismo del collagene e negli anni successivi la letteratura ha confermato questa ipotesi. Le caratteristiche del tessuto connettivo delle donne con prolasso hanno le caratteristiche di un tessuto che si sta riparando, è più fragile e più difficile da degradare rispetto a quello di donn senza prolasso. Non sappiamo ancora se questo differente metabolismo del collagene è la causa del prolasso o ne è l’effetto (Kerkhof MH, 2009).

Sicuramente un’anamnesi positiva per prolasso e per correzione chirurgica dello stesso aumenta il rischio di recidiva (Swift SE, 2000; Olsen AL, 1997) e questo rischio è direttamente proporzionale al grado dello stesso (Whiteside JL, 2004; Salvatore S, 2009).