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Prospettive europee e margini di miglioramento

2. Intensificazione sostenibile: prospettive globali

2.2. Prospettive europee e margini di miglioramento

Delineato dunque il concetto ed individuate le criticità relative ad una sua più completa condivisione a livello teorico, un secondo punto che necessita attenzione è quello relativo al perché si debba o si possa parlare di intensificazione sostenibile in Europa, contesto economico-politico caratterizzato dalla presenza di alcune delle realtà produttive più avanzate del pianeta e dove la questione della disponibilità fisica di beni alimentari è stata risolta con decenni di incremento produttivo, sviluppo tecnologico e politiche agricole protezionistiche che hanno garantito all’odierna Unione Europea una condizione ormai stabile di food security. Connesso a questa prima considerazione vi è poi un altro aspetto, vale a dire la circostanza per la quale l’Europa si qualifica anche come una delle aree più antropizzate del pianeta non presentando, almeno apparentemente, le caratteristiche di

tener conto dei diversi contesti geografici che si prendono in considerazione e non aspirare ad un’omologazione dei regimi alimentari su scala globale, dal momento che il cibo, come peraltro più volte rimarcato nelle condivise definizione di food security riportate anche nel presente contributo, deve tener conto, oltre che degli elementi legati alla sua presenza e qualità fisica, anche di aspetti sociali e culturali che ne caratterizzano da sempre il consumo. Questo a maggior ragione se poi si considera, come pongono in evidenza gli Autori, che il cambiamento di dieta verso un maggior consumo di prodotti di origine vegetale comporterebbe in molto paesi in via di sviluppo una estensione e intensificazione delle colture con un conseguente incremento di utilizzo delle risorse, dal momento che, a differenza di contesti maggiormente sviluppati, si dovrebbe andare a costituire un sistema di approvvigionamento al momento spesso e volentieri non adeguato e che possa sostenere la domanda di cibo di tali realtà peraltro quasi sempre maggiormente

territorio in cui poter incrementare più di tanto le produzioni agricole (tramite estensione delle colture o tramite una loro intensificazione).

Sotto il primo profilo è bene ricordare come in realtà la questione circa la sicurezza degli approvvigionamenti in Unione Europea non sia affatto da dare per scontata e di come le prime avvisaglie legate ad una latente insicurezza alimentare fossero emerse con prepotenza con lo scoppio della crisi finanziaria del 2007-2008 e con il conseguente andamento estremamente altalenante dei prezzi delle derrate alimentari che aveva a sua volta generato un clima di incertezza nei mercati agricoli di cui si è parlato nel corso del precedente Capitolo106. Non verificandosi in Europa situazioni di significativa indisponibilità fisica di beni alimentari, la fisionomia di questa food insecurity assume lineamenti di carattere prettamente economico-commerciale essendo di fatto generata, in primo luogo, dall’ormai definitiva globalizzazione ed interconnessione dei mercati di vendita dei prodotti alimentari e, in secondo luogo, dalle interferenze nella circolazione delle merci a livello geografico che possono a loro volta generare situazioni di incertezza circa la frequenza degli approvvigionamenti107. L’instabilità che ha colpito i mercati 106 Il tema è stato affrontato nel precedente Capitolo al quale si rimanda per una più approfondita trattazione. Si ripropone come riferimenti bibliografici, a titolo di menzione, JANNARELLI A., Cibo e diritti, Giappichelli Editore, Taranto, 2015, con riferimento in particolar modo alle valutazioni dell’Autore circa la presenza di un “intervento umano” tra le cause scatenanti la crisi dei prezzi del 2007-2008, non attribuibili a fallimenti legati a dinamiche c.d. “naturali” di mercato. Sulla crisi dei prezzi si veda in particolar modo il lavoro di MCMICHAEL P., “A food regime analysis of the world food crisis”, in Agriculture and Human Values, 26, 2009, p. 281 e ss.

107 Sotto questo profilo assume significativa importanza la situazione del mercato dei beni agro-alimentari (e non solo) del Regno Unito per il periodo post-Brexit. Al momento della stesura del presente contributo, il governo di Londra non può prevedere quali saranno le modalità di regolazione dello scambio di alimenti tanto per quanto attiene alle relazioni con l’UE, tanto per quel che riguarda la posizione del Regno Unito all’interno del WTO e quindi del commercio internazionale. A fronte di possibili se non altamente probabili situazioni di incertezza circa i rifornimenti alimentari per il periodo post-Brexit, il governo britannico è arrivato a nominare un ministro per la gestione del c.d. “stockpiling” (l’accantonamento di alimenti e, forse ancora più significativo, medicinali) in vista di una chiusura delle frontiere o più semplicemente di una molto più probabile impennata dei prezzi. L’esempio appare quanto mai calzante per dimostrare come all’interno della sviluppata Europa uno delle sue realtà più economicamente avanzate possa ritrovarsi a fronteggiare probabili condizioni di incertezza di approvvigionamento alimentare (e di altri beni di prima necessità) non tanto per la loro assenza fisica, ma per questioni legate a rapporti commerciali, in un primo momento, o per inaccessibilità economica da parte dei cittadini del Regno Unito una volta che Brexit entrerà in vigore. Sullo stockpiling e sulla nomina del ministro ad hoc, a titolo informativo, si veda il seguente articolo su https://www.theguardian.com/business/2018/sep/26/uk-appoints-food-supplies-minister-amid- fears-of-no-deal-brexit. Per quanto riguarda alcune valutazioni sull’agricoltura in UK per il periodo post-

agricoli europei nel periodo immediatamente successivo alla crisi finanziaria è figlia tanto della menzionata globalizzazione dei mercati, quanto delle politiche di liberalizzazione della PAC attuate a partire dalla fine degli anni ’90 che hanno portato ad una progressiva riduzione delle forme di aiuto a favore dei produttori agricoli.

Per quanto attiene al secondo profilo, un recente studio108 ha posto in evidenza come il territorio europeo, in termini di stato di intensificazione dell’attività agricola, sia molto diversificato essendo possibile notare infatti come l’agricoltura dell’Europa settentrionale ed occidentale sia già molto intensiva, mentre vi siano spazi per un aumento della produzione soprattutto nelle aree orientali e meridionali dell’Unione. A prescindere da una più approfondita analisi delle diverse realtà geografiche che caratterizzano il Continente, per la quale si rimanda alla bibliografia in nota, non si può non menzionare il fatto relativo alla concreta possibilità di operare un miglioramento a livello europeo in termini di perseguimento di intensificazione sostenibile e con particolare riferimento alla realtà italiana identificata come una delle aree con il maggior potenziale in tali termini109. Come rilevato, nonostante l’immane complessità della tematica e la quasi impossibilità di prendere in considerazione tutte le variabili relative alle dinamiche che caratterizzano la produzione agricola e la sua successiva immissione sui mercati di riferimento, alcuni ambiti di intervento possono essere individuati. Particolare attenzione è dedicata alle possibilità di implementazione di multi cropping (o policolture) per un migliore sfruttamento dei terreni già destinati all’agricoltura riducendo quindi la necessità di utilizzo di nuovi appezzamenti di terreno, di no-till farming (coltivazione senza aratura dei terreni) al fine di preservare maggiormente il benessere del suolo senza tecniche invasive, di deficit irrigation (irrigazione controllata) al fine di ottimizzare l’utilizzo delle risorse idriche e di progressiva riduzione o abbandono delle c.d. “luxury crops” sopra

Brexit si veda, tra i molti, HOUSE OF LORDS, Brexit: Agriculture, 20th Report of Session 2016-2017, 2017.

108 SCHERER L., VERBURG P., SCHULP C., “Opportunities for sustainable intensification in European agriculture”, in Global Environmental Change, 48, 2018, p. 43 e ss.

menzionate le quali sottraggono terreno coltivabile altrimenti destinabile a produzione di beni alimentari per il consumo umano110.

Tralasciando gli aspetti legati alla coltivazione delle luxury crops che sono direttamente legati alle abitudini di consumo dei consumatori e quindi rientrano in un certo qual senso nelle misure di modifica della domanda di beni alimentari di cui si è discusso sopra, le altre forme di intervento contemplate nello studio menzionato, oltre ad impattare positivamente a livello ambientale e a livello di produttività, supportando quindi la validità del concetto stesso di intensificazione sostenibile, si dimostrano anche soluzioni economicamente più vantaggiose per i produttori stessi i quali, grazie ad una riduzione delle risorse d’acqua utilizzate, ad un minor uso di macchinari agricoli (e quindi di carburanti), nonché grazie ad un miglior sfruttamento dei terreni a propria disposizione, potrebbero trarre vantaggi in termini di riduzione di costi di produzione ed essere quindi motivati a livello economico nell’apportare i cambiamenti proposti.

Come anticipato in fase di introduzione, gli aspetti di maggiore problematicità sorgono se si prendono però in considerazione i soggetti atti ad implementare tali modifiche, vale a dire i produttori. Lo studio citato rileva infatti come ad essere più aperti all’innovazione siano mediamente gli agricoltori più giovani, più istruiti e proprietari di aziende agricole di grandi dimensioni, laddove però la media europea denuncia un’età elevata dei produttori e una altrettanto elevata presenza di piccole e medie imprese operanti nel settore primario, con particolare riferimento alle realtà mediterranee111.

110 Ibidem, p. 48 e ss. Per alcuni esempi di ulteriori tecniche che, a seconda dei casi, incrementino la biodiversità piuttosto che l’intensificazione si veda PETERSEN B., SNAPP S., Ibidem, p. 5.

111 Ibidem, p. 49 ss. Fondamentale rilevare come a guidare le scelte degli agricoltori non sia tanto (o non solo) l’attenzione e l’interesse per le tematiche ambientali, quanto piuttosto la concreta possibilità di un cambiamento in meglio della propria attività produttiva, soprattutto in termini di ritorno economico. A tal proposito, con riferimento alle realtà produttive del Regno Unito, si veda FIRBANK L. et Al., “Evidence of sustainable intensification among British farms”, in Agriculture, Ecosystems and the Environment, 17, 2013, p. 58 e ss. Lo studio pone in evidenza come i drivers che guidano lee scelte degli agricoltori siano sostanzialmente legati alla volontà di controllare l’utilizzo e la gestione dei propri terreni per massimizzare i profitti e quindi, come menzionato nel testo principale, la possibilità di un approccio produttivo che permetta ad esempio di ridurre i costi degli input è ben visto e seguito. Lo studio citato pone in evidenza come anche tra gli agricoltori maggiormente sensibili alle questioni ambientali le motivazioni che spingono al cambiamento dei propri sistemi produttivi in termini di sostenibilità siano prettamente di carattere economico-finanziario e di come, al fine di sostenere tale tendenza, forme di supporto pubblico e di aiuti economici siano di fatto necessarie.

A fronte di tali necessità il legislatore europeo ha tentato di offrire delle soluzioni tramite interventi mirati inseriti nell’ultima versione della PAC e nella proposta di riforma per la PAC 2021-2027 di cui in seguito.

Sotto un primo profilo rilevano le forme di aiuto e supporto per ingiovanire appunto la categoria degli agricoltori e favorire un ricambio generazionale, ma anche l’inserimento di forze innovative in agricoltura112. Più ad ampio raggio è poi il tentativo dell’Unione Europea di favorire la creazione di una categoria di produttori agricoli maggiormente preparata e con una mentalità per così dire maggiormente manageriale- aziendale, volendo far tramontare l’idea dell’agricoltore-contadino e potenziare, favorendone l’emersione, quella dell’imprenditore agricolo, conscio tanto del proprio ruolo produttivo quanto delle responsabilità che caratterizzano il “fare agricoltura”.

Sotto il profilo delle dimensioni mediamente ridotte delle imprese operanti nel settore agricolo di più si dirà nel corso dei successivi due Capitoli, basti qui ricordare come il tema sia presente nel dibattito relativo alla struttura del settore primario sin dagli albori della PAC, come la necessità di rimediare alla frammentazione dell’offerta agricola sia una consapevolezza ben salda in seno alle istituzioni europee e come il legislatore dell’Unione abbia tentato di ovviare a tale problematica tramite la disciplina dell’associazionismo economico dei produttori agricoli.