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La reale portata del divieto di price fixing ex art 209 del Reg 1308/2013

2. La disciplina antitrust statunitense come modello di riferimento

4.1. La reale portata del divieto di price fixing ex art 209 del Reg 1308/2013

Come si è avuto modo di accennare nel precedente paragrafo l’applicazione del diritto

antitrust europeo all’attività svolta dalle OP varia a seconda della natura delle attività

stesse poste in essere nonché dalla diversa forma giuridica (o non) che le OP possono assumere. Tanto premesso, una più precisa analisi del dettato normativo relativo al divieto di price fixing, attualmente contenuto nell’art. 209 del Reg. 1308/2013, permette di circoscrivere il “tabù dei prezzi” a precise casistiche.

Riprendendo il contenuto dell’art. 209, par. 1, del Reg. 1308/2013, così come modificato dal Reg. 2393/2017, questo disciplina che “l'articolo 101, paragrafo 1, TFUE

non si applica agli accordi, alle decisioni e alle pratiche concordate di agricoltori, associazioni di agricoltori o associazioni di dette associazioni, o di organizzazioni di produttori riconosciute in virtù dell'articolo 152 o dell’articolo 161 del presente regolamento, o di associazioni di organizzazioni di produttori riconosciute in virtù dell'articolo 156 del presente regolamento nella misura in cui riguardano la produzione o la vendita di prodotti agricoli o l'utilizzazione di impianti comuni per lo stoccaggio, la manipolazione o la trasformazione di prodotti agricoli, a meno che siano compromessi gli obiettivi di cui all'articolo 39 TFUE. Il presente paragrafo non si applica agli accordi,

alle decisioni e alle pratiche concordate che comportano l'obbligo di applicare prezzi identici o in base alle quali la concorrenza è esclusa”.

A fronte del dato normativo così delineato è possibile operare un doppio confronto che permette da un lato di caratterizzare la disciplina europea da quella statunitense e dall’altro di delineare il concreto ambito applicativo del divieto di price fixing. In merito al primo profilo, ricercando un parallelo con la disciplina nordamericana del Capper-

Volsteadt Act precedentemente analizzata, si può innanzitutto notare229 come il dato normativo dell’art. 209 presenti profili di maggiore flessibilità per quanto riguarda tanto la tipologia di soggetti coinvolti negli accordi essendovi un’apertura, anche se residuale, ai soggetti che non siano strettamente operatori agricoli quali membri minoritari di una OP/AOP230, quanto il contenuto degli accordi che godono dell’esenzione dall’art. 101 TFUE, dal momento che i produttori possono esplicitamente e preventivamente accordarsi anche sulla quantità da produrre a differenza di quanto previsto nella disciplina statunitense231.

Sotto il secondo profilo della fissazione del prezzo assume invece cruciale importanza il contenuto del terzo capoverso, laddove l’art. 209 disciplina il divieto per gli accordi, decisioni e pratiche menzionate di imporre l’obbligo di fissazione di prezzi identici. Tale

229 VELAZQUEZ B. et al., “About farmers’ bargaining power in the new CAP”, in Agricultural and Food Economics, n.5, 2017, pp. 6-7.

230 Per quanto riguarda il primo aspetto, proprio a partire dall’ultima versione della PAC per le ragioni menzionate nel capitolo precedente e nel corso del presente paragrafo, sono stati esplicitamente inclusi, all’interno degli accordi cui può essere concessa una deroga rispetto alla normale applicazione del diritto antitrust, anche quelli posti in essere da OP riconosciute e quindi da entità economiche composte non esclusivamente da produttori agricoli, laddove invece la disciplina statunitense prevedeva un sistema di esenzione solo ed esclusivamente per associazionismo realizzato da soli farmers. Tale concessione è stata prevista proprio al fine di dotare di maggiore potere economico le OP e di potenziare il fenomeno associativo dei produttori agricoli sotto un punto di vista squisitamente patrimoniale al fine di dotarlo dei mezzi finanziari adeguati. Fondamentale resta comunque il fatto che tali soggetti restino una minoranza all’interno delle OP e che comunque l’apporto finanziario garantito non permetta loro di esercitare un controllo determinante sulle scelte attuate dalle organizzazioni di cui fanno parte. Si veda JANNARELLI A., Profili giuridici..., op. cit., p. 170. In merito e con particolare riferimento ad un confronto sulla diversa profittabilità di OP e OI si veda VAN KERCK C., “Assessing efficiencies generated by agricultural Producers Organizations”, European Commission report, 2014, p. 26 e ss. Per i profili relativi alla governance interna del fenomeno cooperativo dei produttori agricoli si veda BIJMAN J. et al. , op. cit., p. 58 e ss.

previsione, rimasta inalterata sin dal primo Reg. 26/1962 e che di fatto concretizza a livello di dettato normativo il “tabù” dei prezzi, delinea però un divieto di price fixing ben diverso e più circoscritto rispetto a quello disciplinato dall’art. 101 TFUE232. La disciplina antitrust del TFUE infatti individua come anticoncorrenziali tutte le manifestazioni di fissazione del prezzo di vendita del bene, tanto indirette quanto dirette233, mentre l’art. 209 chiaramente prospetta un ferreo divieto per le sole fattispecie di fissazione diretta. Di più, arrivando al punto focale della presente discussione, ciò che l’art. 209 disciplina è il divieto ad una fissazione preventiva del prezzo, rispetto al momento della vendita, da parte dei singoli produttori, il che implica il verificarsi di un’attività di concertazione posta in essere dai singoli soci e quindi un vero e proprio accordo tra soggetti tra loro diversi e singolarmente individuati e/o individuabili.

Tanto premesso e considerando quanto delineato in precedenza circa le diverse modalità con cui i produttori possono giungere a costituire una OP, si può arrivare a concludere come tale divieto di price fixing non sia applicabile alle forme di associazionismo dei produttori che operino una concentrazione diretta dell’offerta dei soci aderenti sul mercato dal momento che, in questo caso, la determinazione del prezzo non sarà frutto di una concertazione collettiva operata tra i singoli soci aderenti, ma una determinazione della singola entità economica rappresentata dall’OP di riferimento che agisce alla stessa stregua di una qualsiasi altra impresa. Di conseguenza, il reale ambito applicativo del divieto di fissazione del prezzo minimo, così come attualmente disciplinato dall’art. 209 del Reg. 1308/2013 sarà riconducibile alle pratiche, decisioni ed accordi posti in essere da due sole fattispecie di OP: quelle normative che per definizione non svolgono un’attività di concentrazione dell’offerta sul mercato e quelle operanti come

bargaining cooperatives che quindi svolgono, se si vuole, un’attività di concentrazione

meno intensa lasciando la fase di effettiva immissione del prodotto sul mercato ai soci aderenti. Solo in questi due casi infatti i produttori aderenti porranno in essere una reale

232 In merito DEL CONT C., JANNARELLI A., op. cit., p. 20.

233 Oltre che al testo dell’art. 101 TFUE si veda GERBER D., op. cit., p. 185 e ss; DEL CONT C., BODIGUEL L., op. cit., p. 17 e ss.

concertazione del prezzo da praticare, stabilendo un livello minimo e scegliendo di vincolarsi ad esso234.

Come si avrà modo di apprezzare in seguito, l’analisi delle disposizioni relative al divieto di price fixing possono essere ulteriormente sviscerate alla luce della pronuncia della Corte di giustizia europea sul c.d. “caso indivia”, la quale ha permesso una più sistematica e, se si vuole, ufficiale interpretazione del sistema di deroga-esenzione delineato dall’art. 209, Reg. 1308/2013.

5. Il “caso indivia”: nuove prospettive circa il ruolo dell’associazionismo