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2. Intensificazione sostenibile: prospettive globali

2.1. Un concetto controverso

Risulta necessario innanzitutto soffermarsi sul concetto di intensificazione sostenibile e considerarne brevemente le caratteristiche, calandolo poi nel contesto europeo.

Come menzionato, l’intensificazione sostenibile si qualifica come un concetto controverso che ad oggi continua a dividere il mondo accademico e la produzione scientifica generando un ventaglio di posizioni dottrinali che spaziano da visioni estremamente ottimiste, a punti di vista più moderati, a vera e propria avversione. Alcuni infatti ritengono che concrete soluzioni di intensificazione sostenibile già esistano e siano poste in essere, garantendo migliori rese produttive a fronte di un impatto ambientale ridotto, mentre posizioni più scettiche o avverse fanno notare come il concetto stesso assuma tratti ossimorici e che, per definizione, non sia possibile concepire l’aumento di quantità di beni alimentari prodotta senza, come conseguenza, un aumento degli spazi dedicati all’agricoltura o prescindendo da un più massiccio ed invasivo sfruttamento delle

risorse ambientali97. Ancora, a prescindere dal fatto che quella di intensificazione sostenibile sia una denominazione appropriata in relazione alle finalità che essa si propone di perseguire98, il dibattito verte anche su quali siano effettivamente gli obiettivi prioritari per quanto riguarda il futuro della produzione agricola, se quelli di sostenibilità o quelli di intensificazione della produzione.

Sotto tale profilo risultano di particolare interesse le valutazioni relative alla reale necessità di aumento della produzione su scala globale, laddove voci più critiche fanno notare come, in termini di approvvigionamento di risorse alimentari, il reale problema non sia la mancanza di cibo, quanto quello della possibilità di accesso economico ad esso99. L’attuale approccio all’intensificazione sostenibile sembra infatti perdere di vista

97 A tal proposito si veda GARNETT T., GODFRAY C., Ibidem, pp. 10-11. In merito al disaccordo esistente nella comunità scientifica circa il concetto di intensificazione sostenibile si veda PETERSEN B., SNAPP S.,“What is sustainable intensification? Views from experts”, in Land Use Policy, 46, 2015, p. 1 e ss. Di particolare interesse è l’aspetto, fatto emergere dagli Autori, di come taluni esperti ritengano che il concetto di intensificazione sostenibile, nella sua essenza, vari a seconda di chi è il soggetto che lo definisce. Tale considerazione per porre in evidenza la circostanza per la quale anche l’impresa della grande distribuzione agro-alimentare si sia “impossessata” del concetto di intensificazione sostenibile di fatto decontestualizzandolo ed utilizzandolo come strumento di propaganda verso un pubblico ormai maggiormente sensibilizzato rispetto alle questioni ambientali (p. 7 e ss.).

98 Un acceso dibattito è sorto anche in merito all’esistenza di discipline alternative legate al concetto di intensificazione sostenibile e che potrebbero prenderne il posto come soluzione sistemica di riferimento e che, a detta di alcuni, sembrano essere di più facile implementazione. A tal proposito di nuovo GARNETT T., GODFRAY C., Ibidem, pp. 19-20. PETERSEN B., SNAPP S., Ibidem, a pag. 3 riportano un elenco di approcci alla produzione agricola che permettono una riduzione dell’impatto ambientale e che potrebbero sostituirsi almeno in parte a quello di intensificazione sostenibile. Si veda poi il rapporto tra i diversi concetti di “sviluppo sostenibile”, “sostenibilità”, “intensificazione” e “intensificazione sostenibile” sinteticamente ma chiaramente delineati da LOOS J. et Al., “Putting back meaning into “sustainable intensification”, in Frontiers in Ecology and the Environment, 12, 2014, p. 357. Ancora con un approccio critico sul concetto di intensificazione sostenibile in agricoltura si veda STRUIK P., KUYPER T., “Sustainable intensification in agriculture: the richer shade of green. A review”, in Agronomy for Sustainable Developement, 39, 2017, p. 1 e ss.

99 A tal proposito sembrano calzanti le valutazioni di HUNTER C. et Al., “Agriculture in 2050: Recalibrating Targets for Sustainable Intensification”, in BioScience, 67, 2017, p. 386 e ss. Gli Autori pongono in evidenza come le stime circa la necessità di un aumento produttivo di beni alimentari su scala globale spesso siano esagerate e valutate a partire da stime di base ormai superate. In altri termini spesso e volentieri la produzione scientifica non tiene conto dell’incremento produttivo già ottenuto ed elabora le stime circa le necessità di approvvigionamenti a partire da dati ormai superati. In particolar modo gli Autori sostengono che l’attuale produzione agricola mondiale dovrebbe crescere del 25%-70% circa per rispondere al fabbisogno della popolazione globale nel 2050, a fronte invece delle stime spesso proposte

le diverse dimensioni della food security comunemente intesa, la quale, come ampiamente esposto nel corso del precedente Capitolo, oltre a delineare l’accesso fisico ai beni alimentari, prevede che gli individui abbiano accesso economico al cibo e siano quindi posti nella condizione tale da poter provvedere in modo autonomo all’approvvigionamento per il proprio fabbisogno100. Ebbene, su scala globale, il problema, sebbene non ovunque, sembra essere riconducibile non tanto a necessità di un massiccio aumento produttivo, quanto piuttosto all’elaborazione di un sistema di approvvigionamento delle risorse alimentari maggiormente efficiente nella re- distribuzione del cibo dal luogo di produzione alle zone dove risulta maggiormente necessario, introducendo quindi questioni maggiormente legate a problematiche di giustizia sociale, anche intesa in senso intergenerazionale101.

Ciononostante, a prescindere al momento dalle valutazioni di carattere sociale, un aumento della produzione e/o della produttività dei terreni si configura ciononostante come una necessità, tanto a livello globale, quanto a livello europeo. Ancora, nonostante l’attenzione dedicata all’aspetto di sostenibilità, a fronte dell’aumento della popolazione mondiale precedentemente prospettato, la produzione di beni alimentari dovrà necessariamente aumentare, per quanto ottimali possano rivelarsi le modalità di redistribuzione.

100 Come si è avuto modo di delineare nel corso del Capitolo I, la definizione oggi universalmente condivisa di food security, sebbene non quella definitiva nel suo contenuto, è quella proposta ad opera della FAO in occasione del World Food Summit del 1996 tenutosi a Roma, in cui si è stabilito che «food security exists when all people, at all times, have physical and economic access to sufficient, safe and nutritious food that meets their dietary needs and food preferences for an active and healthy life». Il report ufficiale del World

Food Summit di Roma 1996 si reperisce su http://www.fao.org/docrep/003/w3548e/w3548e00.htm. La

letteratura in merito è vastissima, a titolo di esempio si veda i Policy Briefs della FAO su: http://www.fao.org/fileadmin/templates/faoitaly/documents/pdf/pdf_Food_Security_Cocept_Note.pdf, dove viene offerta una più precisa definizione e il concetto viene sviscerato in tutte le sue componenti principali.

101 A tal proposito si veda LOOS J. et Al., Idem, p. 356 e ss. Gli Autori, con riferimento a copiosa bibliografia, pongono in evidenza come il concetto di intensificazione sostenibile a cui attualmente si ricorre, possa fraintendere quelle che sono le reali priorità da perseguire, tanto in termini di produzione quanto in termini di sostenibilità. Tra i vari aspetti di critica viene posto in evidenza proprio il problema della “giustizia”, intesa anche in senso intergenerazionale, ribadendo proprio l’aspetto dell’accesso al cibo delineato dal concetto di food security e di come questo venga spesso trascurato a favore di una maggiore attenzione per le questioni legate all’incremento della produzione agricola (si veda pp. 357-358).

Nonostante il concetto di intensificazione sostenibile si focalizzi su come modificare il regime produttivo agricolo globale, al fine di rendere possibile una condizione di food

security dinamica e quindi garantire approvvigionamento di beni alimentari alle

popolazioni mondiali per il futuro, un secondo ed altrettanto determinante ambito di intervento che i legislatori delle diverse realtà economico-produttive globali dovranno andare a considerare è quello relativo alle abitudini alimentari dei propri popoli. In altri termini, al fine di favorire l’intensificazione sostenibile, oltre ad intervenire dal lato dell’offerta di beni alimentari tramite un aumento della produzione globale e un miglioramento della resa dei terreni, sarà necessario intervenire anche dal lato della domanda di cibo.

È di estremo interesse osservare come analizzando le diete delle popolazioni globali si possa infatti stimare l’impatto che determinate scelte alimentari hanno a livello ambientale, prendendo in considerazione l’effetto causato dalla retrostante attività produttiva necessaria per la realizzazione di determinati cibi102. Ad esempio, l’aumento di consumo di carne e di cibi derivanti da attività di allevamento, così come la produzione dei c.d. “luxury crops” (coltivazioni per la produzione di alcol, tabacco, biofuel, mangimi etc.) ha incrementato l’impatto ambientale generato dall’agricoltura. Gli allevamenti, in particolar modo quelli intensivi, richiedono un più elevato utilizzo di energia per il mantenimento e l’eventuale aumento produttivo, dirottando inoltre lo sfruttamento dei terreni verso la produzione di mangimi o destinandoli a pascolo, mentre la preferenza per il consumo di luxury crops richiede un’estensione delle superfici coltivate che vengono però sottratte alla produzione di beni alimentari per il consumo umano 103. Recenti studi 102 A tal proposito si veda il lavoro di SPRINGMANN M. et Al., “Health and nutritional aspects of sustainable diet strategies and their association with environmental impacts: a global modelling analysis with country-level detail”, in Planetary Health, 2, 2018, p. 451 e ss.

103 È stato rilevato come l’impatto della produzione di carne, prodotti di acquacultura, uova e prodotti lattiero-caseari richiedano l’uso dell’83% dei terreni agricoli mondiali e contribuiscano per il 56%-58% delle emissioni inquinanti derivanti dalla produzione alimentare, contribuendo però solo per il 37% al contributo proteico dell’alimentazione umana e per il 18% a quello calorico (si veda POORE J., NEMECEK T., “Reducing food’s environmental impacts through producers and consumers”, in Science, 360, 2018, p. 987 e ss.). Analoghi rilevamenti sono effettuati per quanto concerne l’impatto della coltivazione di mangimi rispetto a beni alimentari di consumo umano dal momento che oltre ad un maggior uso di risorse richieste per la coltivazione del prodotto stesso, viene richiesto un più massiccio ricorso a mezzi di trasporto per poi

hanno tentato di apprezzare con maggiore precisione l’impatto che il cambiamento di diete alimentari potrebbe avere in termini di sostenibilità e di mutamenti di paradigmi produttivi. A seconda degli obiettivi che possono essere perseguiti emerge in generale come, nei paesi sviluppati, la riduzione di consumo di alimenti di derivazione animale e la loro sostituzione con alimentazione di derivazione vegetale permetta innanzitutto un miglioramento dei livelli nutrizionali, seguito da una riduzione della mortalità prematura dovuta a diete alimentari scorrette o sbilanciate e ad una riduzione di impatto ambientale, soprattutto per quanto riguarda l’emissione di gas serra104.

Questo aspetto della problematica è sicuramente il più spinoso perché si tratta di tentare una modifica delle abitudini alimentari di intere popolazioni andando quindi ad indirizzare le scelte di consumo personali. Mentre a livello di paesi sviluppati la possibilità di intervento e sensibilizzazione dei consumatori può presentare ampi margini di miglioramento, su scala globale la questione è certamente di una complessità enorme soprattutto se si considera la circostanza per la quale in molte realtà dei paesi in via di sviluppo la possibilità di consumo, per riprendere l’esempio sopra proposto, di cibo di derivazione animale (a fronte di un costante aumento del potere d’acquisto) rappresenta un cambiamento in positivo rispetto ad una precedente dieta molto più debole e soprattutto molto meno diversificata. La possibilità di variare la propria alimentazione traduce un raggiungimento di benessere economico in precedenza sconosciuto e certamente non incline al mutamento sulla base di valutazioni di diete alimentari magari elaborate in ambienti accademici e istituzionali europei o nordamericani105.

all’impatto sull’amboente delle attività di allevamento possono essere riscontrate in SPRINGMANN M.et Al., “Options for keeping the food system within environmental limits”, in Nature, 562, 2018, p. 520, dove gli Autori fanno notare come la realizzazione di prodotti di derivazione animale generino, tra le altre cose, il 72%-78% totale delle emissioni di gas serra derivanti dall’attività agricola.

104 POORE J., NEMECEK T., Ibidem. Gli Autori pongono l’accento sulla necessità dei mutamenti di diete alimentari su scala globale pur riconoscendone la difficoltà d’implementazione. Con particolare riferimento alla realtà statunitense, dove il consumo di carne è tre volte quello medio globale, si potrebbe raggiungere una riduzione dal 61% al 71% delle emissioni derivanti dalla produzione di beni alimentari di origine animale. Allo stesso modo SPRINGMANN M.et Al., “Options for keeping…, Idem., p. 521, dove gli Autori riportano come un cambiamento verso “healthier diets” potrebbe ridurre l’emissione di gas serra del 29% a livello globale.

105 In generale, come osservato anche da SPRINGMANN M.et Al., “Health and nutritional aspects…, Ibidem, la discussione relativa ai cambiamenti alimentari da parte dei consumatori a livello globale deve

In generale il problema dell’implementazione di un sistema di produzione basato sull’intensificazione sostenibile deve per forza essere affrontato prendendo in considerazione entrambi gli approcci menzionati e quindi agendo tanto dal lato dell’offerta dei prodotti agricoli, a livello di operato dei produttori e degli altri soggetti che si collocano sulla filiera agro-alimentare, quanto a livello di domanda di beni alimentari andando quindi a sensibilizzare i consumatori relativamente all’impatto che un mutamento dei loro regimi alimentari potrebbe avere tanto sulla loro salute quanto sull’ambiente.