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Le unfair trading practices nei rapporti B2B nella filiera: la Direttiva 633/2019.

5. Il “caso indivia”: nuove prospettive circa il ruolo dell’associazionismo

1.2. Le unfair trading practices nei rapporti B2B nella filiera: la Direttiva 633/2019.

Le dinamiche legate alla price transmission sono sistematicamente poste al centro dell’attenzione come argomento caldo in merito alle problematiche circa gli abusi di posizione dominante e di perseguimento di pratiche sleali che caratterizzano la filiera agro-alimentare, ma concentrarsi solo ed esclusivamente su di una loro analisi per delineare i nessi di causalità che generano le situazioni di asimmetria esistenti tra produttori e distributori/trasformatori appare riduttivo, posto che molteplici sono le modalità di abuso di market power che i secondi possono esercitare sui primi e che non si traducono o non si manifestano necessariamente a livello di prezzo praticato all’acquisto della materia prima294. Questo è vero a maggior ragione se si considera la circostanza per la quale le discriminazioni di prezzo, che si manifestino ad esempio sotto forma di prezzi al ribasso o di ritardo nei pagamenti, risultano le forme meglio osservabili di comportamenti anticoncorrenziali, laddove altre modalità di abuso di posizione dominante o di potere economico appaiono di difficile apprezzabilità da un punto di vista empirico-quantitativo295.

293 Ibidem. Data la circostanza per la quale il retailer non necessita di una effettiva posizione di monopsonio per esercitare il suo buyer power si individua una sorta di “grey-zone” dove le relazioni verticali all’interno della filiera possono effettivamente restringere la concorrenza a valle, ma dove gli strumenti del diritto antitrust sono spesso incapaci o impossibilitati a garantire un intervento efficace per la risoluzione della situazione.

294 FAŁKOWSKI J., CIAIAN P., op. cit., pp. 15-16.

295 FAŁKOWSKI J., “The Economic Aspects of Unfair Trading Practices: Measurement and Indicators”, in FAŁKOWSKI J. C.et Al. (Authors), DI MARCANTONIO F. and P. CIAIAN (Editors), “Unfair trading practices in the food supply chain: A literature review on methodologies, impacts and regulatory aspects”,

Sotto questo profilo si è inserito in particolar modo il tentativo della Commissione Europea di identificare le unfair trading practices (UTP) poste in essere lungo la filiera agro-alimentare, con lo scopo di realizzare una normativa che tutelasse nello specifico i produttori quali soggetti deboli. Tale tentativo si è concretizzato con la recentissima approvazione del testo della Direttiva 633/2019296, che per la prima volta delinea un sistema di tutela business-to-business (B2B), a protezione dei produttori agricoli297.

Preme precisare però come nel contesto dell’attuale PAC un nucleo disciplinare relativo alle relazioni contrattuali all’interno della filiera fosse stato inserito anche nello stesso Reg. 1308/2013, il quale al considerando 127 enuncia che “in assenza di una

legislazione dell’Unione sui contratti scritti formalizzati, gli Stati membri possono, secondo il diritto nazionale in materia di contratti, rendere obbligatorio l’uso di contratti di questo tipo, purché sia rispettato il diritto dell’Unione e in particolare sia rispettato il corretto funzionamento del mercato interno e dell’organizzazione comune dei mercati

[…]”. In particolar modo poi l’art. 168 disciplina che, qualora uno Stato Membro decida che i contratti di compravendita per i prodotti di un dato settore debbano assumere forma

296 Direttiva (UE) 2019/633 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019, in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese operanti nella filiera agricola e alimentare, in GUUE L111/59, 25.04.2019. L’adozione del menzionato testo si è resa necessaria nell’assenza di un corpus normativo che prendesse in considerazione tali aspetti di asimmetria, posto che, in precedenza, i riferimenti normativi a cui appellarsi al fine di bilanciare tali disparità si potevano individuare, senza particolare efficacia: i) nella disciplina della competition law comunitaria (e nazionale); ii) nella disciplina business- to-consumer; iii) nella contract law e quindi caso per caso agendo sui singoli contratti stipulati. Tutti i riferimenti normativi, per le ragioni che si possono immaginare, non risultavano efficaci nel contrastare un fenomeno che ha di fatto richiesto un provvedimento ad hoc.

297 Si veda la Comunicazione della Commissione Europea, “Tackling unfair trading practices in the business-to-business food supply chain”, Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions, European Commission, Strasbourg, 2014. L’interesse della Commissione per le questioni legate alle unfair trading practices nella filiera agro-alimentare è in realtà emerso a partire dal 2009 (vale a dire all’indomani della crisi economica del 2007-2008 e delle conseguenti alterazioni subite dai mercati agricoli) con la pubblicazione di tre documenti: i) la comunicazione della Commissione del 28 ottobre 2009 sul migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa; ii) la menzionata comunicazione della Commissione del 15 luglio 2014 per affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese; iii) la relazione della Commissione del 29 gennaio 2016 sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese.

scritta (esclusi quelle categorie di prodotto per cui esiste una disciplina specifica298), questi siano stipulati prima della consegna del bene e comprendano al loro interno indicazioni circa il prezzo da pagare alla consegna, la quantità e/o la composizione di prodotti che deve essere consegnata, la durata del contratto e le relative clausole di risoluzione, precisazioni circa le procedure e scadenze di pagamento, raccolta e consegna dei prodotti e norme applicabili in caso di forza maggiore (par. 4, art. 168). Tutti gli elementi del contratto sopra menzionati devono essere liberamente negoziati dalle parti, lo Stato Membro può in ogni caso stabilire una durata minima obbligatoria, eventualmente proposta dal fornitore e che il produttore può comunque rifiutare, per i contratti tra produttore e primo acquirente che non comprometta in ogni caso il funzionamento del mercato interno (par. 6, art. 168). L’art. 168 è stato poi modificato dal più recente Reg. 2393/2017 con l’inserimento del par. 1 bis il quale stabilisce che, qualora uno Stato Membro decida di non avvalersi della possibilità di cui al par. 1 del menzionato articolo, “un produttore, un’organizzazione di produttori o un’associazione di

organizzazione di produttori […] può esigere che la consegna dei suoi prodotti a un trasformatore o distributore formi oggetti di un contratto scritto tra le parti […]”.

La Direttiva 633/2019 si inserisce dunque in tale contesto andando a delineare un primo corpus normativo di riferimento per la stesura dei contratti nella filiera e qualificandosi come risultato di un processo decennale di raccolta di pareri e consultazioni tanto con il mondo scientifico quanto con i soggetti diretti interessati, caratterizzato da una successione di tentativi da parte di istituzioni europee e dottrina di settore di individuare quali potessero essere delle pratiche commerciali da considerarsi sleali in rapporti B2B. Un primo approccio aveva innanzitutto individuato una serie di principi-chiave ai quali i soggetti coinvolti in relazioni contrattuali all’interno della filiera agro-alimentare avrebbero dovuto rifarsi, posto che non risulta sufficiente individuare un

comportamento che favorisca una parte contrattuale rispetto ad un’altra, ma debba

emergere una “inherent unfairness” perché questo venga distinto da una normale pratica (anti)concorrenziale299.

Le parti dovrebbero quindi innanzitutto “sempre tener conto degli interessi dei

consumatori e della sostenibilità complessiva della filiera nei loro rapporti tra imprese”

e “garantire la massima efficienza e ottimizzazione delle risorse nella distribuzione dei

beni lungo tutta la filiera alimentare”300. In secondo luogo, è richiesto il rispetto del “reciproco diritto di impostare la propria strategia e politica di gestione, compresa la

libertà di determinare autonomamente se impegnarsi o meno in un accordo”, nonché del

relazionarsi “in maniera responsabile, in buona fede e con diligenza professionale”301.

299 SEXTON R. J., “Unfair Trading Practices in the Food Supply Chain: Defining the Problem and the Policy Issues”, in FAŁKOWSKI J. C.et Al. (Authors), DI MARCANTONIO F. and P. CIAIAN (Editors), “Unfair trading practices in the food supply chain: A literature review on methodologies, impacts and regulatory aspects”, European Commission, Joint Research Centre, 2017, p. 14.

300 Anche l’analisi delle unfair trading practices con riferimento agli effetti sul welfare dei consumatori finali si qualifica come un argomento di complesso approccio, posto che le assunzioni relativamente ad impatti negativi di tali pratiche sui consumatori si basano su assunzioni teoriche difficilmente rilevabili da un punto di vista empirico. Per una più approfondita analisi del tema si veda FAŁKOWSKI J., “The Economic Aspects of Unfair Trading Practices, op. cit., p. 27 e ss.

301 Supply Chain Initiative, “Vertical Relationships in the Food Supply Chain: Principles of Good

Practice”, 2011, https://www.supplychaininitiative.eu/sites/default/files/entr-2013-00308-00-00-it-tra-

00_final.pdf.

Oltre ai principi generali riportati in test il documento individua una serie di principi specifici sulla base dei quali la Commissione (e parte della dottrina) ha poi elaborato le categorie di pratiche commerciali scorrette. Questi principi individuano alcuni elementi chiave che dovrebbero caratterizzare le relazioni contrattuali, quali: i) forma scritta degli accordi: “salvo impossibilità o in presenza di accordi orali reciprocamente accettabili e convenienti. Essi devono essere chiari e trasparenti nonché prevedere il maggior numero possibile di elementi pertinenti e prevedibili, ivi inclusi i diritti e le procedure per la conclusione del rapporto”; ii) prevedibilità: “la modifica unilaterale dei termini contrattuali non deve avvenire, a meno che questa possibilità e le relative circostanze e condizioni siano state concordate precedentemente. Gli accordi devono delineare il processo attraverso il quale ogni parte possa discutere con l’altra le modifiche necessarie per l’implementazione dell'accordo o per risolvere circostanze imprevedibili, entrambe situazioni che devono essere contemplate nell’accordo stesso”; iii) conformità: “gli accordi devono essere rispettati”; iv) informazioni: “lo scambio di informazioni deve avvenire nel pieno rispetto delle norme sulla concorrenza e delle altre norme applicabili, e le parti devono assicurarsi che le informazioni fornite siano corrette e non fuorvianti”; v) confidenzialità/riservatezza: “è necessario rispettare la confidenzialità/riservatezza delle informazioni a meno che queste non siano già di dominio pubblico o siano state ottenute in maniera indipendente dalla parte ricevente, legalmente e in buona fede. Le informazioni riservate devono essere utilizzate dalla parte ricevente solo per lo scopo per il quale sono state ad essa trasmesse”; vi) responsabilità per il rischio: “tutte le parti contraenti della filiera devono assumersi il proprio rischio imprenditoriale”; vii) richiesta giustificabile: “una parte contraente non deve

Sulla base di questi principi generali la Commissione ha quindi avuto modo di indentificare forme di pratiche anticoncorrenziali poste sistematicamente in essere nelle relazioni verticali tra produttori e distributori e trasformatori, forme che possono essere ricondotte ai punti seguenti302: i) uso retroattivo di termini contrattuali non specificati, ambigui o incompleti; ii) trasferimento eccessivo e senza preavviso di costi o rischi di un

trading partner sulla controparte commerciale; iii) uso scorretto di informazioni

confidenziali; iv) terminazione scorretta o improvvisa di relazioni commerciali; v) richiesta di prestazioni non dovute in base ai termini contrattuali. Ciò che accomuna le pratiche poste in essere è il trasferimento di rischi e di costi d’impresa sulla controparte debole, nonché la modifica unilaterale delle condizioni contrattuali in violazione dei principi di buona fede e correttezza.

Parte della dottrina aveva fatto notare come l’individuazione delle pratiche sopra menzionate e di principi generali e specifici di riferimento per lo svolgimento delle relazioni contrattuali potesse dar vita ad una disciplina “debole”, eccessivamente basata su clausole generali e lasciata ad un’interpretazione caso per caso che poteva finire per vanificare il tentativo di tutela implementato303, mentre altri ponevano in luce le criticità derivanti dal realizzare una disciplina armonizzata europea poste le difficoltà che tale operazione avrebbe comportato in termini di deviazione della normativa rispetto al social

optimum di ciascuno Stato Membro, di generazione di switching costs amministrativi

legati al passaggio da un tipo di legislazione ad un’altra, nonché in termini di problematiche legate a rischi di over-regulation304.

302 Comunicazione della Commissione Europea, “Tackling unfair trading practices in the business-to-

business food supply chain”, op. cit;European Commission, “Report from the Commission to the European

Parliament and the Council on Unfair Business-to-Business Practices in the Food Supply Chain”, COM(2016) 32 Final, Brussels; Agricultural Markets Task Force, “Enhancing the Position of Farmers in the Supply Chain”, Report of the Agricultural Markets Task Force, 2016, Brussels: European Commission. Le menzionate pratiche sono poi state delineate ed individuate con dovizia di particolari con il dettato dell’art. 3, Dir. 633/2019, al quale si rimanda per dei riferimenti più puntuali. Si vedano anche i Considerando n. 17 e ss. che di fatto replicano contenutisticamente le disposizioni poi riportate all’interno del menzionato art. 3.

303 Si veda SEXTON R. J., “Unfair Trading Practices …”, op. cit., p. 9.

Ciononostante, pur nell’impossibilità (peraltro ovvia) di identificare una casistica puntuale e precisa di tutte le possibili pratiche commerciali sleali implementabili, il testo della Direttiva sembra essere quanto mai specifico nel determinare le soglie (di carattere quantitativo o temporale) oltre o al di sotto delle quali una determinata pratica si debba qualificare come scorretta o meno. In particolar modo l’art. 1 (“Oggetto e l’ambito di

applicazione”) indica, al par. 1, come la Direttiva “[…] definisce un elenco minimo di pratiche commerciali sleali vietate nelle relazioni tra acquirenti e fornitori lungo la filiera agricola e alimentare e stabilisce norme minime concernenti l'applicazione di tali divieti, nonché disposizioni per il coordinamento tra le autorità di contrasto”, laddove il

fornitore può essere un “qualsiasi produttore agricolo o persona fisica o giuridica,

indipendentemente dal suo luogo di stabilimento, che vende prodotti agricoli e alimentari” oppure “un gruppo di tali produttori agricoli o un gruppo di tali persone fisiche e giuridiche, come le organizzazioni di produttori, le organizzazioni di fornitori e le associazioni di tali organizzazioni” (art. 2), mentre l’acquirente si identifica come una

“qualsiasi persona fisica o giuridica, indipendentemente dal luogo di stabilimento di tale

persona, o qualsiasi autorità pubblica nell'Unione che acquista prodotti agricoli e alimentari; il termine «acquirente» può includere un gruppo di tali persone fisiche e giuridiche” (art. 2, punti 2 e 4).

L’art. 3 giunge poi a disciplinare un elenco dettagliato di pratiche commerciali sleali ed opera una distinzione in due categorie principali (per il cui contenuto, per ragione di sintesi, si rimanda al testo dell’art. 3, parr. 1 e 2305): un primo elenco di pratiche che gli Stati membri devono vietare a prescindere (con deroghe minime indicate ai commi secondo e terzo) delineate al par. 1, mentre un secondo insieme di pratiche, individuate al par. 2, che possono essere considerate lecite qualora concordate in termini chiari ed univoci dalle parti nell’accordo di fornitura. Il par. 4 stabilisce poi come “gli Stati membri

provvedono affinché i divieti di cui ai paragrafi 1 e 2 costituiscano disposizioni imperative prioritarie, applicabili a tutte le situazioni che rientrano nel campo di trading practices in the food supply chain: A literature review on methodologies, impacts and regulatory aspects”, European Commission, Joint Research Centre, 2017, pp. 41-42.

305 Il testo della Direttiva è consultabile al seguente indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal- content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32019L0633&from=IT.

applicazione di tali divieti, qualunque sia la legge altrimenti applicabile al contratto di fornitura tra le parti”. Compito degli Stati membri sarà inoltre l’individuazione di autorità di contrasto (art. 4) incaricate di applicare i divieti di cui all’art. 3 e forti dei

poteri di azione delineati dall’art. 6. Il ricorso a tali autorità potrà avvenire anche su iniziativa del singolo produttore, membro o meno di una associazione di produttori, oppure da parte dell’associazione stessa (art. 5).

In generale e come si può apprezzare dalla lettura del testo, il contenuto dell’art. 3 della Direttiva riprende le categorie di pratiche commerciali sleali delineate nel corso degli anni andando però a disciplinare con maggiore precisione le soglie di individuazione delle pratiche stesse, di fatto diminuendo quei tratti di genericità ed indeterminatezza che erano stati oggetto di discussione istituzionale in merito all’individuazione delle pratiche medesime. Allo stesso tempo rimane comunque un certo spazio libero per l’autonomia contrattuale posto che alcune pratiche, qualora chiaramente concordate dalle parti e non frutto dell’imposizione unilaterale del contraente forte, possono comunque essere implementate.

I margini di libertà garantiti dal dettato normativo della Direttiva, così come la scelta da parte delle istituzioni europee di uno strumento normativo più flessibile in alternativa al Regolamento, è sicuramente risultato di valutazioni in merito alle differenze che caratterizzano le realtà dei singoli Stati Membri in tema di contratti all’interno della filiera agro-alimentare e di normative nazionali applicabili. In generale la realizzazione stessa di un corpus normativo di armonizzazione europea, posta comunque la presenza e l’applicabilità della competition law comunitaria e delle varie contract laws nazionali quali preesistenti sistemi di tutela, si è posta come una necessità al fine di limitare i c.d. “transboundary phenomena” volendo tutelare in modo più specifico e puntuale il mercato unico e garantendo una disciplina omogenea su tutto il territorio dell’Unione. Sotto un profilo più strettamente economico poi l’armonizzazione genera economie di scala a livello amministrativo e riduce i costi di transazione per il recepimento di informazioni tanto per le imprese operanti nel mercato agricolo quanto per i cittadini stessi che non

devono così reperire informazioni circa differenze applicative tra uno Stato Membro e l’altro306.

Rilievi di maggiore interesse attengono invece ad alcune critiche mosse alle conclusioni di base (spesso sostenute dalla Commissione stessa e da altri documenti di dottrina) su cui poggia buona parte del fondamento teorico che propone una disciplina per le pratiche commerciali scorrette. Innanzitutto, partendo dall’assunzione (peraltro in parte introdotta discutendo di buyer power e trasmissione dei prezzi) che con l’implementazione di pratiche sleali il soggetto debole (fornitore) verrebbe spinto fuori dal mercato di riferimento, ci si è chiesti che convenienza effettivamente il soggetto forte (acquirente) trarrebbe da tale circostanza nel lungo termine, posto che, ammesso e non concesso che nuovi fornitori prendessero il loro posto, vi sarebbe un notevole danno in termini di reputazione dell’acquirente, tanto verso nuovi partner commerciali quanto verso i consumatori finali307. Si potrebbe dunque rilevare come obiettivo dell’acquirente dovrebbe essere quello di trovare la giusta condizione di equilibrio tale per cui il fornitore non è spinto ad uscire dal mercato, ma allo stesso tempo non è in grado di individuare alternative che gli permettano di migliorare il proprio trade-off contrattuale.

In generale ciò che si osserva è come la credenza che al crescere del livello di concentrazione della filiera aumentino le pratiche commerciali sleali poste in essere non sia un assunto così solido, o quantomeno sia valido solo laddove una parte della filiera sia altamente concentrata e una meno, condizione che identifica appunto molti settori dei mercati agricoli ed il regime di oligopsonio e/o monopsonio sopra menzionato. Qualora infatti anche i c.d. “procurement markets” presentassero un più elevato grado di concentrazione a beneficiarne sarebbero tanto i fornitori, forti di un accresciuto potere

306 In merito si veda SWINNEN J., VANDEVELDE S., “Unfair Trading Practices – The Way Forward”, in in FAŁKOWSKI J. C.et Al. (Authors), DI MARCANTONIO F. and P. CIAIAN (Editors), “Unfair trading practices in the food supply chain: A literature review on methodologies, impacts and regulatory aspects”, European Commission, Joint Research Centre, 2017, p. 61. Allo stesso modo, degli stessi Autori e all’interno dello stesso contributo, si veda “Regulation UTPs: diversity versus harmonization o f member State rules”, p. 40 e ss.

307 SEXTON R. J., “Unfair Trading Practices …”, op. cit., p. 13. Dello stesso Autore si veda anche “The Unfair Trading Practices in the Food Supply Chain: Types of UTPs”, Paper presented at the workshop on “Unfair Trading Practices in the Food Supply Chain”, European Commission, Brussels 17-18 July 2017.

contrattuale ed economico, quanto gli acquirenti che da un lato ridurrebbero sensibilmente i propri costi di transazione legati al doversi interfacciare con una moltitudine di fornitori da “tenere a bada” (anche tramite le pratiche commerciali scorrette) e dall’altro potrebbero reperire prodotti qualitativamente migliori ed omogenei308.

Tale rilievo permette dunque di introdurre il tema generale delle modalità di associazionismo economico dei produttori agricoli che sarà discusso nei prossimi paragrafi.

Posto che un aumento della concentrazione della filiera in tutte le sue parti sembra ridurre il verificarsi di unfair trading practices e dato il fatto che tale circostanza sembra