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Fin dalla lettura delle prime pagine della Vita sancti Seuerini (BHL 7656) è possibile selezionare alcune espressioni che forniscono dati biografici relativi al protagonista della narrazione agiografica: Severino del Norico.

L’autore della Vita, Eugippio, scrive in prefazione che ignora l’origine di Severino: Sane patria, de

qua fuerit oriundus, fortasse necessario a nobis inquiritur, unde, sicut moris est, texendae cuiuspiam uitae sumatur exordium. De qua me fateor nullum euidens habere documentum (Eug.

ad Pasch. 7).

Nonostante l’assenza di documentazione probante, Eugippio continua nella trattazione di questa problematica e aggiunge che un giorno giunge dall’Italia un prete di nome Primenio, nobilis et

totius auctoritatis uir, che è turbato per l’assassinio del patrizio Oreste, padre dell’imperatore

Romolo Augustolo e ucciso da Odoacre presso Piacenza nel 476. Primenio, uelut pater per Oreste, è l’unico che interroga Severino con le seguenti parole: domine sancte, de qua prouincia deus his

regionibus tale lumen donare dignatus est? (Eug. ad Pasch. 8)1.

Severino fornisce due risposte al quesito, una prima in tono scherzoso e una seconda divenuto serio; in quest’ultima peraltro ribadendo soltanto il topos di indicibilità della provenienza di un uir dei al fine di evitare la vanagloria. Forse è quindi la prima replica quella meritevole di maggiore attenzione: “si fugitiuum putas, para tibi pretium, quod pro me possis, cum fuero requisitus,

offerre”.

L’immagine che traspare, benché velata dall’ironia, potrebbe essere quella di un uomo capace di muoversi fuori dall’ordine sociale costituito2; non sembra infatti casuale la scelta di evocare la figura del fugitiuus, tra le varie categorie ai margini in un Impero che fatica sempre più a controllare i propri confini.

Eugippio usa solo in questa occorrenza questo termine e l’unica definizione di fugitiuus, ancora valida nella tarda antichità, è rintracciabile già nelle formulazioni dei giuristi di epoca imperiale; in merito alla vendita degli schiavi si apprende dal lessicografo Aulo Gellio la concessione all’acquirente alla risoluzione del contratto in caso di schiavo con morbi et uitii, oltre che alla qualifica dello stesso come vagabondo abituale (erro) o fuggitivo (fugitiuus)3.

1

Introduco subito una possibile comparazione con le fonti orientali, funzionale all’analisi di Severino del Norico come

holy man, che nel prossimo paragrafo svilupperò. Segnalo quindi una prima variazione tematica: l’Oriente risulta

permeato dal continuo dialogo interagente sul binomio spiritualità-umanità, mentre l’Occidente si mostra più preoccupato dell’individuazione concreta di uno spazio per le due componenti. Il tono della richiesta avanzata da Primenio è molto diverso da quanto si riscontra in analoga situazione, ma in contesto siriaco, esemplare al proposito quanto scritto in Theod. HR: ἄνθρωπος εἶ, ἢ ἀσώματος φύσις; (PG LXXXII, col. 1481B). Per questo aspetto concordo con l’analisi comparatista proposta in Brown 1971b:95.

2

Il santo in una definizione già di Sofia Boesch Gajano deve possedere un certo numero di qualità, ma soprattutto deve dimostrare di saper infrangere certe regole sociali – cfr. Boesch Gajano 1982:131.

3

Gell. noct. att. 4,2,1: In edicto aedilium curulium, qua parte de mancipiis uendundis cautum est, scriptum sic fuit: ‘Titulus seruorum singulorum scriptus sit curato ita, ut intellegi recte possit, quid morbi uitiiue cuique sit, quis fugitiuus erroue sit noxaue solutus non sit’. Ancora nel codice giustinianeo (CJ I,6,1,6) si trova una disposizione che regola il caso di chi abbia favorito la fuga di uno schiavo o lo abbia accolto.

L’autore della Vita Seuerini introduce e sviluppa una metafora ideale al protagonista del suo racconto: Severino appena giunto nel Norico si presenta come seruus fugitiuus, è quindi un uomo straniero, privo di padroni, che ha scelto un’esistenza nomadica4.

Le parole conclusive della risposta a Primenio, cum fuero requisitus, chiariscono ulteriormente le motivazioni del viaggio di Severino e permettono inoltre di intuire l’identità metaforica suggerita dall’agiografo e le finalità dell’opera da lui composta.

In una sola frase è infatti delineata l’evoluzione del protagonista: si introduce come schiavo in fuga, ma è consapevole che lungo il percorso acquisirà fama e sarà ricercato. La legge tardo antica persegue chi favorisce la fuga o accoglie un fugitiuus, tuttavia contemporaneamente l’Impero tra IV e VI secolo è costretto a includere nel proprio esercito, a protezione del proprio territorio, barbari non cittadini e serui fugitiui5.

Severino inoltre potrebbe avere conosciuto abbastanza bene l’Oriente, se si considera che, tra le poche informazioni fornite, il suo agiografo mostra particolare interesse a ricordare che quem

constat prius ad quandam Orientis solitudinem feruore perfectioris uitae fuisse profectum (Eug. ad

Pasch. 10). Si potrebbero trascurare tali affermazioni di Eugippio, del resto la brachilogia dell’autore stesso è possibile dimostrazione di oggettive lacune documentarie a sostegno anche solo della necessità di una chiamata di Severino nel Norico.

Nondimeno è possibile assecondare la supposizione che si tratti di un uomo determinato a compiere una missione particolare, proprio sulla base di quanto scritto nella Vita Seuerini; giacché nel V secolo l’esperienza narrata nel testo sarebbe risultata non soltanto inutile, ma anzi dannosa, per un uomo che avesse voluto perseguire una carriera ufficiale in ambito occidentale.

Mi soffermo ancora sull’episodio relativo a Primenio, il primo fatto sorprendente è che un amico di un rivale di Odoacre abbia cercato protezione presso Severino; nella descrizione agiografica di Eugippio le parole di elogio per il condottiero barbaro sono evidenti. L’unica spiegazione plausibile è che l’uomo giunto nel Norico fosse capace e intendesse relazionarsi sia con una parte sia con l’altra.

Si legge nel testo che la lingua parlata da Severino è quella di un autentico latino (Eug. ad Pasch. 10: Loquela […] hominem omnino Latinum), un’ideale provenienza potrebbe dunque essere l’Italia6. In realtà la lettera prefatoria alla Vita Seuerini che sto considerando sembra attestare di nuovo lo spirito missionario di Severino, che si esplica principalmente attraverso una efficace

4

Il seruus fugitiuus così descritto richiama la figura analoga dell’anacoreta. L’anacoresi (ἀναχώρησις) è termine che in origine designa una situazione politico-amministrativa, uno stato di “assenza illegale” per evitare l’oppressione fiscale, di abbandono delle attività lavorative rifugiandosi in genere in un tempio (Rostovtzeff 2003:435). Anche l’anacoreta cristiano fugge dai poteri della società, per liberarsi dai condizionamenti che la stessa implica e per rigenerarsi dunque, proponendosi come persona rinnovata e per questo idonea a relazionarsi con il divino. Tale obiettivo è conseguito attraverso l’ascesi, che è esito di una specifica cultura e che possiede risvolti sociali; infatti benché l’asceta si ritiri nel deserto viene osservato e imitato – cfr. Rousseau 1971:384-385.

5

Tra i numerosi contributi in merito richiamo lo studio di Lenski 2009:145-175 per la ricchezza e puntualità dei riferimenti specifici alle fonti. Un’ampia e variegata panoramica sulla schiavitù dall’epoca classica fino al Medioevo negli atti del XXXII Colloquio internazionale del Groupe international de recherches sur l’esclavage dans l’antiquité (Arcuri, Caliri, Pinzone 2012).

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A tale riguardo le ipotesi degli studiosi sono numerose e discordanti, personalmente ritengo che l’Italia sia l’ipotesi maggiormente sostenibile, ma non affermabile con totale certezza, tanto più che nella tarda antichità l’educazione allo studio e al recupero dei canoni tipicamente romani, letterari, linguistici e retorici è un ideale diffuso in tutto l’Impero e sostenuto soprattutto dalle classi aristocratiche (cfr. Battaglia 2013:267-275). Il termine usato da Eugippio, loquela, potrebbe alludere alla lingua parlata intesa come capacità di organizzare il discorso, secondo i temi fissi, le formule, l’andamento ritmico dell’autentico latino (OLD, s.v. loquela, p. 1043). Loquela è termine che può significare la parlata propria di una popolazione su un territorio, quindi una lingua, un dialetto, ma parimenti appunto la capacità di parola; Eugippio sembra avvalersi di entrambi i campi semantici (TLL VII/2, s.v. loquela, coll. 1657 s.), ma in realtà scrivendo di Severino credo che intenda rimanere aderente soltanto al secondo significato: Severino (Eug. ad Pasch. 10) e il muto miracolato (VS 45,1:loquente) sono accomunati dal dono della facoltà di articolare il suono della voce, nel primo caso esprimendosi come un perfetto latino per l’educazione ricevuta, nell’altro acquisendo la pura facoltà di emettere parola per intervento divino (Blaise Patristico, s.v. loquela, p. 544: prosa, eloquenza, pretesa su un’eredità, processo, facoltà di deliberare).

dialettica7 e che si prefigge come maggiore scopo quello di soccorrere gli indigenti del Norico nel V secolo.

Il ceto di appartenenza del protagonista della narrazione agiografica si potrebbe desumere dal ruolo di presbyter di Primenio, che deve tacere dopo le risposte pronunciate da un uomo allora senza alcun grado religioso. La disinvoltura nelle azioni politico-diplomatiche e nelle relazioni con personalità di un certo rilievo potrebbe ulteriormente sostenere un possibile alto rango di provenienza di Severino8. Tuttavia tutto ciò potrebbe anche essere diretta conseguenza di una notorietà acquisita nel corso del tempo9.

A riguardo mi pare significativo il comportamento estremamente rispettoso tenuto dalla moglie di Oreste, Barbaria, nei confronti del corpo di Severino e dei discepoli che lo accompagnano in Campania dopo la morte: uenerabilem presbyterum nostrum Marcianum, sed et cunctam

congregationem litteris frequentibus inuitauit (VS 46,1).

Inoltre papa Gelasio autorizza la deposizione delle spoglie in Lucullanum (Pizzofalcone/Na) e il vescovo napoletano Vittore partecipa alla processione; il fatto che un pontefice e un vescovo siano coinvolti direttamente nella celebrazione accresce la considerazione verso questa figura10.

Nel capitolo trentaduesimo della Vita Seuerini si apprende dell’invio di una lettera da Odoacre a Severino, in cui il condottiero barbaro si esprime così: si qua speranda duceret, dabat suppliciter

optionem (VS 32,1). Il desiderio corrisposto consiste nella concessione di grazia a un uomo esiliato,

di nome Ambrogio.

Eugippio non aggiunge altro riguardo a questa persona, ma è verosimile che si tratti di un avversario politico di Odoacre11, appartenente alla cerchia di Oreste, cui Severino avrebbe accordato la propria protezione parimenti a quanto fatto con Primenio.

Dopo aver analizzato la possibile rete di relazioni costruita dal protagonista della narrazione agiografica con l’ultima famiglia regnante nell’Impero romano occidentale, è possibile evincere dal testo anche alcuni elementi relativi alla familiarità tra Severino e Odoacre. Il padre di quest’ultimo, Edekon, avrebbe combattuto insieme a Oreste tra le schiere degli Unni di Attila12; lo stesso Odoacre sarebbe cresciuto entro il gruppo di guerrieri guidati dal capo unno: un raggruppamento di più

gentes inclusivo anche dei Rugi, che tanto potere avrebbero acquisito nel Norico di Severino, fino

allo scontro definitivo di nuovo con Odoacre13.

Tutti, singoli e gentes appena nominati, entrano in contatto con Severino; non sembra quindi così incredibile la tesi di una sua frequentazione della gens attilana, prima dell’arrivo nel Norico14. Molti studi hanno ipotizzato che un uomo di tale levatura avrebbe potuto essere soltanto un alto funzionario, qualcuno ha sostenuto che fosse un alto ufficiale del servizio di posta15; tuttavia i riscontri più significativi si recuperano probabilmente dalle analisi comparative con le fonti agiografiche coeve alla stesura di Eugippio, in particolare l’opera ennodiana16.

7

Eugippio probabilmente tende a porre in risalto il potere dell’oralità, richiamando così direttamente la tradizione monastica, secondo cui la parola viva possiede funzione dominante – cfr. Mohrmann 2007:LXXX.

8

Basti ricordare che Severino intrattiene corrispondenza epistolare con Odoacre, quando quest’ultimo governa già sull’Italia (VS 32,1).

9

Del resto Primenio raggiunge il Norico dopo l’uccissione di Oreste, quindi dopo il 476, quando Severino opera già da oltre un quindicennio.

10

Cfr. Brown 1971b:95. Nella situazione post mortem qui accennata si palesa ancora quello sviluppo di diversi atteggiamenti nei confronti del sacro tra Oriente e Occidente, come delineato da Peter Brown. A ovest si avverte la necessità di individuare e determinare un singolo locus del potere spirituale, sottolineando anche l’obbligo al rispetto di una precisa gerarchia di accesso alla sacralità; al contrario, a est avviene una proliferazione di centri di potere spirituale che incidono sul territorio, senza essere inseriti nella strutturazione gerarchica ufficiale della Chiesa e dell’Impero. Con richiamo preciso alle esequie di Severino cfr. Kramert 1998:386.

11

NP IV, s.v. exilium, coll. 343s.

12

Per Edekon cfr. infra p. 315, n. 26; per Oreste infra p. 104.

13

Per un’analisi della storia degli Unni cfr. infra pp. 314 s.

14

Cfr. Lotter 1976:191-192.

15

Cfr. Miko 1939:66.

16

Nell’approccio a queste testimonianze è preferibile evitare comunque di considerare unicamente l’uso di uno specifico termine come inconfutabile dimostrazione di un’identità storica definita. Nel

De uita beati Antonii (BHL 584), scritto da Ennodio circa nel 520, Severino è definito come

inlustrissimus uir17, ma anche come uomo stimato e devoto oratore (fuit enim, cuius meritis nihil

esset absconditum. Ille hunc sibi futurum participem pia ubique uoce praedicabat18).

Nello stesso testo si menziona un’altra personalità conosciuta da Severino, il vescovo Costanzo di

Lauriacum, citato in entrambe le opere agiografiche19; tuttavia si rileva subito una differenza fra le

due testimonianze. Ennodio esalta le capacità dell’episcopo locale e lo presenta come principale fautore della organizzazione della vita cittadina, Eugippio si limita a un rapidissimo cenno e, in rapporto a Severino, sembra equipararlo a tutti gli altri abitanti: Haec per quadriduum contestatus

aduesperascente iam die Valentem nomine monachum mittens ad sanctum Constantium eiusdem loci pontificem et ad ceteros commanentes […].

Il protagonista della Vita Seuerini agisce dunque fuori dall’istituzione ecclesiastica e si rivolge a un’universalità priva di gerarchie.

Un esame della cronologia interna alla Vita Seuerini può fornire risposte riguardanti un altro naturale quesito oltre al luogo di origine, la data di nascita.

Dal testo si conosce il giorno della morte, Sexto iduum Ianuarium (VS 43,8) e si deduce l’anno poco dopo, quando, in seguito a un’ordinanza del 488, i discepoli sono costretti a lasciare il Norico per raggiungere l’Italia, nam annus sextus depositionis eius effluxerat (VS 44,6); avviene dunque l’otto gennaio del 48220. Eugippio racconta che Severino rivela il decesso al prete Lucillo due anni prima, ma costui appresa la notizia si definisce homo decrepitus, enixius commendaret quasi primitus

transiturus (VS 41,1).

Lucillo dovrebbe avere circa settanta anni, in considerazione del convenzionale usus antico dell’espressione homo decrepitus21, e Severino è probabilmente qualche anno più giovane. È possibile quindi che sia giunto nel Norico tra i trenta e i quaranta anni e sia nato circa nel 420. Il percorso formativo di Severino non è ricostruibile, risulta altrettanto difficoltoso nella sua attività da missionario disgiungere una vocazione soltanto religiosa o piuttosto un’azione dettata da forte motivazione sociale; si può presupporre un’educazione da funzionario imperiale, ma allo stesso modo una preparazione in ambito monastico. Eugippio scrive: Seuerinus euangelium legeret (VS 23,1).

Il livello culturale è sicuramente elevato, oltre alle corrispondenze ufficiali prima ricordate, Severino scrive molto e a destinatari diversi per funzione e per cultura: Norici quoque populos

missis exhortabatur epistolis (VS 17,4), Gibuldus […] receptisque remeauit epistolis (VS 19,4), litteris ad sanctum Paulinum episcopum (VS 25,1). Ancora Ennodio ricorda il suo ruolo di

precettore per il giovane Antonio di Lérins22.

I dati emersi da questa lettura forniscono una scarna rappresentazione di Severino; probabilmente all’agiografo poco importa di delineare un’identità precisa, ciò che riscuote maggiore interesse è la descrizione della funzione esercitata da un individuo che possiede particolari qualità, per cui sembra lecito porsi un interrogativo nel proseguimento di questa ricerca, soffermandosi brevemente sul concetto dello holy man.

17

Inlustrissimus uir è una titolatura onorifica che nel V secolo non è attribuita unicamente ad alti funzionari, ma anche a consoli, senatori e perfino ufficiali di rango inferiore (RE IX, s.v. illustris, coll. 1078 s.). Peraltro Ennodio impiega anche l’epiteto di beatus uir per Severino (de uita beati Ant. 10).

18

Ennod. de uita beati Ant. 9

19

Id. 10,14; VS 30,2

20

Il riferimento al giorno di morte, poco dopo l’Epifania, festa in cui è anche preannunciato l’evento (VS 41,1), è significativo perché rappresenta un’eccezione nel contesto liturgico dell’Italia di VI secolo. Infatti nel calendario romano, agli inizi del VI secolo, l’Epifania ha perso rilevanza. L’unica area in cui la festività possiede ancora una posizione centrale è la Gallia – cfr. Kampert 1998:310. Per il significato liturgico del richiamo all’Epiphaniorum die nella Vita Seuerini cfr. infra p. 386.

21

Cfr. infra p. 381, n. 82.

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