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Le ricerche di Peter Brown hanno posto in evidenza il significato dello holy man1 nella tarda

antichità, specialmente nella sua funzione religiosa e sociale, quindi come uomo che si relaziona alle comunità periferiche di villaggio esercitando un ruolo di patronato conseguito attraverso l’autorità percepita.

Fino al IV secolo convivono ancora due tipologie diverse di individui definibili come holy man, una riconoscibile nell’uomo pagano dotato di qualità carismatiche e l’altra nell’uomo cristiano. Nel primo caso si tratta generalmente di uomini che godono di un’origine socio-economica agiata, la figura più diffusa è quella del filosofo2; nel secondo caso invece la reale provenienza e la condizione originaria assumono minore rilevanza, uno stato sociale riconosciuto e di prestigio è infatti acquisito nel corso della vita per una condotta di straordinaria virtù.

Gli studi che hanno indagato il concetto di holy man tuttavia si sono finora concentrati sul preciso arco cronologico tra V e VI secolo e hanno considerato soprattutto fonti orientali3; è doveroso quindi interrogarsi su quali siano le analogie e differenze in rapporto al sacro tra mondo tardo antico orientale e occidentale. Infatti soltanto sulla base di tale comparazione ritengo possibile una identificazione di Severino del Norico come holy man, con caratteristiche proprie, non del tutto confacenti né al modello occidentale né a quello orientale.

Prima di procedere nell’analisi è tuttavia necessario accennare brevemente alla nozione di sacralità, che risulta fondante sia per la comprensione del significato moderno dell’espressione holy man sia per la formulazione corrispondente e originaria del mondo antico latino: homo sacer4.

Il concetto di sacer designa originariamente colui che non può essere toccato senza essere purificati, ma anche senza diventare impuro, nel doppio senso di “sacro” o “maledetto”. Si tratta di un’individualità esterna sia allo ius diuinum sia allo ius humanum5, che proprio per questa peculiarità si può collocare in uno spazio della prassi in senso assoluto, svincolata dal contesto sia religioso sia profano.

Brown comincia il suo esame sullo holy man confrontando le diverse esperienze della Siria e dell’Egitto, in seguito estende l’indagine a un ambito pan-mediterraneo, giacché ricorda, citando Gibbon, che l’unica effettiva divisione si può individuare tra nord e sud, piuttosto che tra est e ovest6. Forse il V secolo rappresenta l’ultimo periodo anche per individuare esperienze paragonabili a quelle siriache, prestando attenzione alle debite distinzioni, non troppo a nord del mondo mediterraneo: nel Norico nel quale vive Severino, che con quell’ambiente mantiene ancora alcuni contatti.

Nella Siria tardo antica si assiste a un continuo afflusso, transito, di contadini, mercanti, pellegrini, ma soprattutto soldati; in definitiva a una presenza costante di folle, determinanti e necessarie per l’affermazione e la diffusione della fama di un uomo carismatico7.

Specialmente la figura del soldato può richiamare la nostra attenzione, perché menzionata anche nella narrazione della Vita Seuerini (VS 4,2.3;20,1.2;44,2) e perché condivide con lo holy man la

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Analisi specifiche in Brown 1971b:80-101, 1976:1-24, 1981. Un recente contributo di studio relativo alle ricerche di Brown si trova in Hayward, Howard-Johnston 2002, in particolare per la definizione di holy man cfr. Cameron Av. 2002:27. La studiosa chiarisce da subito che oggetto di studio è lo holy man, non il santo; si tratta quindi di una attribuzione di sacralità, non santità. Si deve infatti ricordare che nel periodo tardo antico non esistono ancora processi di santificazione e canonizzazione.

2

Per lo holy man pagano nella tarda antichità cfr. Fowden 1982:33-59.

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Considerazioni riepilogative dei numerosi studi precedenti e alcuni appunti critici alle considerazioni di Brown in Hayward 2002:115-123.

4

Per il preciso richiamo alla definizione linguistica di sacer come termine ambivalente, indicante sia la qualifica di santità sia di maledizione cfr. supra p. 23, n. 21.

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Per la problematizzazione antropologica del concetto di homo sacer cfr. Agamben 1995:79-96.

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Cfr. Brown 1976:2.

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condizione di estraneità al territorio; il primo è straniero per servizio, l’altro par excellence, poiché per convenzione del genere agiografico l’origine dello holy man non è terrena.

Forse indirettamente Eugippio, conscio del crescente supporto alle milizie fornito dai fugitiui, impiega proprio tale termine per accostare la condizione di Severino allo status del soldato8.

Severino individua la carenza e interviene nel momento del bisogno; Eugippio scrive di un uomo che si sente chiamato a compiere una missione e attraverso l’opera letteraria propone l’azione del protagonista come modello esistenziale per la futura comunità di discepoli.

La Vita Seuerini è coerente alle usuali rappresentazioni dello holy man, la presenza di un pubblico di discepoli è più volte evocata e la narrazione agiografica si sviluppa in un progressivo processo di riconoscimento e rivelazione delle qualità di Severino, esemplare per virtù ed eroismo9.

Nella tipologia di intervento dello holy man descritta da Eugippio emerge tuttavia la principale differenza rispetto all’omologa funzione10 nell’ambito orientale; in Siria lo holy man agisce soprattutto in risposta a un’esigenza di mediazione tra mondo umano e soprannaturale, nel Norico Severino accorre invece per garantire equilibrio tra diverse etnie: Romani e gentes barbaricae11.

Ho ricordato però che il protagonista della Vita Seuerini compie qualsiasi azione senza accettare mai alcun ruolo all’interno della istituzione ecclesiastica12 e ciò accomuna l’esperienza dello holy

man in ogni parte dell’Impero.

Come facilmente riscontrabile nei corpora agiografici orientali e occidentali la rinuncia alle cariche si tratta di un topos del genere letterario e inoltre non è solamente circoscrivibile al più noto nolo

episcopari, ma anche ad altri incarichi ecclesiastici e a dignità imperiali conseguibili prima di

intraprendere la carriera religiosa13. Il rifiuto di una carica può esprimere il desiderio di anacoresi, ma anche un dissenso politico, quando l’offerta è sottoposta da un eventuale avversario; nel caso di Severino sembra trattarsi della prima possibilità, poiché si legge: Episcopatus quoque honorem […]

praefinita responsione conclusit, sufficere sibi dicens, quod solitudine desiderata priuatus ad illam diuinitus uenisset prouinciam (VS 9,4), ma appare inoltre che Severino non sia sempre in ottimi

rapporti con il clero locale, come dimostra un episodio di resistenza ai suoi avvertimenti silenziosamente sostenuto dal vescovo di Lauriacum, Costanzo (VS 30,2).

Il protagonista della narrazione di Eugippio opera in un territorio di provincia dell’Impero e condivide il sentimento di destituzione del potere imperiale che devono affrontare tutti gli holy men attivi sulle frontiere nella seconda metà del V secolo14, tuttavia Severino, a differenza di quanto avviene in Britannia o nella Gallia settentrionale, non perde totalmente il contatto con il mondo mediterraneo. Il suo biografo vive in provincia di Napoli mentre compone l’agiografia e testimonia la celebrazione postuma del suo holy man in Italia, secondo l’antico modello romano imperiale.

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Per Severino come seruus fugitiuus cfr. supra pp. 26 s. La Vita Seuerini peraltro presenta una notevole frequenza di uso di lessico militare; per Severino è più volte utilizzato l’epiteto topico di Christi miles/dei miles (VS 6,5; 16,2; 18,2; 42,1/ 43,5).

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L’arte della retorica è stata fondamentale per la letteratura cristiana per ottenere la maggiore comprensibilità del messaggio tramandato e permettere così una forma più efficace di inclusione – cfr. Cameron Av. 1991:111-112.

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In Rousseau 2002:47-48 si analizza il significato di holy man come funzione, a partire dagli scritti di Brown, intendendola come immagine autoprodotta dalla società circostante lo holy man. Si esplicita così il valore antropologico della figura evocata; già gli studi di Durkheim sulla religione si sono fondati sulla contrapposizione tra sacro e profano e il sacro, secondo lo studioso, si è sempre riferito a esperienze collettive o sociali. In coerenza con questa corrente di pensiero lo holy man esplica una precisa funzione sociale, è creato e vive all’interno di una determinata situazione sociale; incarna per essa il ruolo di mediatore, risolutore di conflitti. Un’introduzione all’analisi di questo e dei maggiori concetti-chiave dell’antropologia culturale in Dei 2012.

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Entrambe le situazioni richiedono, come qualità comune a qualsiasi holy man, sufficiente potere per soccorrere tutti coloro che si trovano in difficoltà e spesso anche la capacità di sedare le esplosioni di violenza che si manifestano all’interno delle comunità periferiche dell’Impero, specialmente nella criticità che caratterizza l’epoca tardo antica – cfr. Brown 1971b:89. Per la valenza pragmatica della fede manifestata da Severino cfr. Quacquarelli 1976:242-243. Di nuovo Brown 2006:152-153 sottolinea che le questioni puramente religiose, così rilevanti per le città del Mediterraneo, hanno poca importanza in un territorio di frontiera come il Norico, più interessato invece alla propria sicurezza.

12 Cfr. supra p. 29. 13 Cfr. Pratsch 2005:140. 14 Cfr. Brown 2006:151-174.

Dalla narrazione di Eugippio si possono evincere anche palesi tratti caratteriali di Severino: una profonda devozione al proprio incarico, una spiccata e altruistica prontezza operativa, innato rigore e un marcato comportamento ascetico. L’agiografo individua nelle ripetute richieste di soccorso rivolte a Severino una conferma della natura divina della missione, tuttavia, come lo holy man orientale, l’uomo giunto nel Norico non si presenta mai come posseduto da un dio15.

Ciò che il testo sottolinea maggiormente è invece la carità di Severino, che si può desumere dalla descrizione dei suoi ultimi giorni di vita. La Vita Seuerini riferisce della sua incessante volontà di parlare con i discepoli16 in merito all’imminente partenza in dulcedine caritatis, quod quidem facere

nec ante cessauerat (VS 40,4). Il continuo dialogo con gli altri monaci è funzionale al

coinvolgimento totale dell’ambiente in cui vive nell’assistenza ai più umili e ai più deboli.

In questo senso l’uomo raccontato da Eugippio si può definire holy man, giacché impiega il proprio

charisma come fattore di forza vincolante, che legittima la sua autorità e permette inoltre di

preservarla nel tempo e renderla credibile. Egli incentiva lo sviluppo di una comunità fuori dal canone tradizionale, infatti non promuove molteplici centri di evangelizzazione sparsi nella campagna, come nel caso di Marmoutier e nemmeno scuole di formazione ecclesiastica, come in Lérins; Severino esorta gli abitanti a offrire soccorso dove necessario e all’interno dell’usuale spazio quotidiano. Assolve quindi, attraverso il suo prestigio, una funzione trascurata dalle istituzioni politiche.

Un’altra caratteristica da non trascurare è l’imperturbabilità17 dimostrata nell’ascesi, infatti, nonostante il rigore che il protagonista si impone, il suo volto hilaritate fulgebat (VS 39,2). Si tratta di uno stilema agiografico, a richiamo soprattutto delle prime esperienze martiriali18; la citazione letteraria che evoca la situazione primitiva del cristianesimo è voluta dall’autore della Vita Seuerini per conferire ulteriore autorità. Ciò che lo holy man, con il suo esempio pratico e la predicazione, è riuscito ad attuare in vita, è sacralizzato e reso immortale dalla parola scritta del suo biografo. Concordo con gli interrogativi posti da Averil Cameron, a conclusione del suo contributo sull’opera di Brown: l’interpretazione dell’esperienza dello holy man richiede plurime chiavi di lettura, religiosa, antropologica e letteraria; si può decidere di analizzare secondo una sola di tali prospettive oppure di cercare di coordinarle per comprendere meglio la dimensione dell’individuo studiato e del suo contesto19.

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Cfr. Brown 1971b:93.

16

Senza dimenticare che tema centrale nella tarda antichità è l’attenzione verso l’autorità, soprattutto entro la società ascetica l’espressione più importante di autorità si coglie nel rapporto tra maestro e discepoli – cfr. Rousseau 2002:54.

17

Cfr. infra p. 92, n. 3.

18

Act. Mart. Polyc. 12

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