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Il provvedimento della Camera arbitrale di accoglimento o di rigetto della richiesta

accoglimento o di rigetto della richiesta di

nomina del terzo arbitro.

Ciò detto in ordine agli eventuali profili di responsabilità della Camera connessi alla decisione di procedere o meno alla nomina richiesta, si deve affrontare il problema relativo all'individuazione del regime giuridico dell'atto con il quale la Camera arbitrale provvede, positivamente o negativamente, sulla istanza di nomina.

Nell'ipotesi in cui la Camera proceda alla nomina, l'atto di nomina potrebbe essere attaccabile sia perché si contesta lo stesso diritto di ottenere la nomina182, sia perché se ne contestano le specifiche modalità di attuazione183.

Il codice di rito, da un lato, stabilisce espressamente che tra le varie modalità di nomina le parti possono anche decidere di affidarsi alla scelta di un terzo (art. 810,

l'istituzione arbitrale e di responsabilità civile di quest'ultima, op. cit., 38). In caso di esito positivo della valutazione prima facie, in dottrina è controverso se la parte abbia la possibilità tramite la giurisdizione statuale di evitare che l'istituzione amministri l'arbitrato (in senso favorevole, Caponi R., Esame prima facie della clausola compromissoria, responsabilità della camera arbitrale, sindacato giurisdizionale, op. cit., 94; contra, Bernini E., L'arbitrato amministrato, op. cit., 401).

182 Il caso in cui si imputi alla Camera l'errore di aver accettato l'amministrazione di un arbitrato che non avrebbe dovuto accettare per inesistenza o nullità della convenzione di arbitrato o del contratto di amministrazione di arbitrato

183 Il caso in cui si ritenga la nomina non rispettosa delle regole che la disciplinano. come ad esempio allorquando la Camera arbitrale non abbia rispettato i procedimenti da essa stessa predisposti per la nomina.

La disciplina arbitrale nel Codice dei Contratti Pubblici _______________________________________________________________________________

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133 comma 3, c.p.c.), e dall'altro, non prevede alcuna

autonoma impugnazione degli atti di nomina, né di quelli delle parti, né di quello eventualmente effettuato da un terzo184.

Per quanto riguarda la nomina effettuata dalla Camera arbitrale, non vi sono ragioni per non applicare questi principi generali, sicché l'atto di nomina non è autonomamente impugnabile ed ogni contestazione delle parti può essere fatta nei confronti del lodo in sede di impugnazione ex art. 829 c.p.c.185.

Per quanto riguarda il caso in cui, invece, la Camera arbitrale adotti un atto negativo in ordine alla richiesta di nomina, v'è da chiedersi se sia possibile rivolgersi al presidente del tribunale (ai sensi dell' art. 810, comma 3, c.p.c.) il quale prevede l'applicabilità del procedimento di cui all'art. 810, comma 2, c.p.c. anche al caso in cui la nomina sia demandata ad un terzo e questi non vi abbia provveduto.

Sulla questione in generale delle conseguenze sulla convenzione di arbitrato del rifiuto dell'istituzione di amministrare l'arbitrato, è intervenuto il legislatore nel novellato art. 832, comma 6, c.p.c., il quale ha stabilito che “se l'istituzione arbitrale rifiuta di amministrare

184Ciòin quanto qualsiasi vizio relativo alle nomine rifluisce nel lodo,

e qualsiasi contestazione al riguardo può essere effettuata attraverso l'impugnazione dello stesso ex art. 829, comma 1, n. 1, c.p.c. per il caso dì invalidità della convenzione di arbitrato ovvero ex art. 829, comma 1, n. 2, se sono state violate le forme e i modi prescritti dalle parti o dalla legge.

185 Spunti in questo senso possono trarsi in Luiso F.P., L’arbitrato

amministrato nelle controversie con pluralità di parti, in Riv. arb. 2001, 616. Non appare, dunque, in alcun modo condivisibile l'idea di ritenere ammissibile il ricorso alla giurisdizione avverso gli atti con i quali il terzo provvede sulla istanza di nomina.

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l'arbitrato, la convenzione d'arbitrato mantiene efficacia e si applicano i precedenti capi di questo titolo186”.

Come è stato giustamente osservato in dottrina187, tale disposizione non esclude che le parti manifestino una diversa volontà, subordinando, ad esempio, l'efficacia della convenzione di arbitrato allo svolgimento della procedura arbitrale in via amministrata.

Tuttavia, in assenza di una diversa volontà delle parti, la disposizione è chiara nel prevedere che qualora la procedura arbitrale non possa svolgersi per il rifiuto dell’istituzione, la convenzione di arbitrato mantiene la propria efficacia e ciascuna delle parti, pertanto, può rivolgersi al presidente del tribunale per la nomina del terzo arbitro ex art. 810 c.p.c.188.

186

Bandini A., L'arbitrato amministrato nella legge di riforma, in I contratti, 2007, 404 ss.; Biavati P., Art. 832. Rinvio a regolamenti arbitrali, in Carpi F (a cura di) , Arbitrato, commentario diretto da Carpi F., Bologna 2007, 2a ed.873 ss.; Briguglio A., La dimensione transnazionale, in Riv. arb. 2005, 679 ss., 696 ss.; Luiso F.P., Il nuovo articolo 832 c.p.c., in Riv. arb. 2007, 356; Sali R., Arbitrato amministrato, cit., 77; Zucconi Galli Fonseca E., La nuova disciplina dell'arbitrato amministrato, Riv. trim. proc. civ., 2008, 1001.

187

Briguglio A., La dimensione transnazionale, op. cit., 698; Zucconi Galli Fonseca E., La nuova disciplina dell'arbitrato amministrato, op. cit., 1001.

188

È ovvio, peraltro, che vi sono dei casi in cui l'art. 832, comma 6, c.p.c. non può trovare applicazione. Tale disposizione trova sicuramente applicazione tutte le volte in cui le parti hanno stipulato una valida convenzione di arbitrato e tuttavia, per i più vari motivi, l'istituzione rifiuta di amministrare l'arbitrato (ad esempio, in quanto le parti hanno imposto l'applicazione al procedimento di alcune regole incompatibili con il proprio regolamento, o in quanto, a suo avviso, la formula utilizzata dalle parti nella convenzione non è sufficiente per radicare l'arbitrato presso quella istituzione). La norma, tuttavia, come è stato subito osservato in dottrina, tende a preservare la volontà compromissoria delle parti, volontà che, pertanto, deve sussistere. Vi sono perciò dei casi in cui il rifiuto dell'istituzione di amministrare l'arbitrato non si traduce necessariamente nella legittima attivazione di un arbitrato ad hoc. Ciò avviene, ad esempio, nel caso in cui l'istituzione rifiuti di amministrare l'arbitrato in quanto ritenga nulla o addirittura inesistente la stessa convenzione di arbitrato. In questa ipotesi è chiaro che, quindi, se si intraprende la strada dell'arbitrato ad hoc si va incontro al rischio di una pronuncia dì incompetenza da parte del collegio arbitrale per nullità o inesistenza della convenzione di arbitrato.

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135 Quanto alle norme da applicare al giudizio arbitrale, in

dottrina alcuni hanno osservato che il venir meno della possibilità dell'arbitrato amministrato non fa tuttavia venir meno l'efficacia del rinvio delle parti al regolamento e che pertanto, limitatamente a quelle parti non coinvolgono l'attività della camera, i1 regolamento continua ad essere applicabile al giudizio arbitrale, il quale, per il resto, si svolgerà secondo le norme dì diritto comune 189.

Altri hanno invece osservato che se in linea di principio ciò è anche possibile, di fatto i vari regolamenti arbitrali prevedono costantemente l'intervento dell'istituzione, sicché gli spazi di applicazione del regolamento risultano in realtà, assai ridotti190.

Secondo altra dottrina191, invece, la disposizione di cui all'art. 832, comma 6, c.p.c. prevede non solo che la convenzione di arbitrato mantiene la propria efficacia, ma anche che “si applicano i precedenti capi di questo titolo” con esclusione quindi del capo VI. Perciò, salvo un’espressa diversa dichiarazione di volontà delle parti, il giudizio arbitrale deve svolgersi secondo le regole di diritto comune, senza possibilità di invocare l’applicabilità delle norme del regolamento, quand'anche non implichino l'attività della camera.

L'applicazione di tali principi all'arbitrato amministrato di cui al codice dei contratti pubblici fa sorgere, tuttavia, un problema, dal momento che mentre normalmente le parti possono liberamente scegliere tra arbitrato ad hoc ed arbitrato amministrato, gli artt. 241 e ss. c.c.p. impongono

189 Briguglio A., La dimensione transnazionale, op. cit., 698.

190 Luiso F.P., Il nuovo articolo 832 c.p.c., op. cit., 356.

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136 nel proprio ambito applicativo solo ed esclusivamente

quest'ultima strada.

Occorre, dunque, chiedersi cosa accade se la Camera arbitrale rifiuta di amministrare un giudizio arbitrale promosso per una delle controversie sottoposte alla disciplina speciale, e se, successivamente, le parti possano legittimamente rivolgersi ad un arbitrato di diritto comune. Poiché legislatore non ha dato una risposta espressa a tale quesito, le soluzioni in astratto ipotizzabili sono che (i) si potrebbe pensare che l'imposizione alle parti per l'arbitrato amministrato presso la Camera arbitrale venga meno una volta che l'istituzione abbia rifiutato l'arbitrato, e che quindi le parti legittimamente possano seguire la strada dell'arbitrato ad hoc e (ii) l'altra soluzione potrebbe essere, invece, quella di ritenere che siccome l'unico arbitrato consentito dalla legge è quello amministrato, se esso per qualsiasi motivo non può svolgersi, le parti non possano che ricorrere alla giurisdizione ordinaria.

Secondo Odorisio192, nonostante la prima soluzione sarebbe quella più opportuna e ragionevole, se si tiene presente quella che è l'intenzione del legislatore, non v'è dubbio che la seconda appaia la più coerente con la ratio

legis. Se pertanto la Camera arbitrale rifiuta di

amministrare l'arbitrato, le parti, ferma restando la possibilità di agire in giudizio di fronte all'autorità giudiziaria ordinaria al fine di ottenere la condanna della Camera ad amministrare l'arbitrato, non possono che ricorrere alla giurisdizione ordinaria.

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