quello
che
tutti sentono,con
la magnifica semplicità delsuo
linguaggio plebeo, riescea
tramutare (l'espressione è diTomaso)
i mille e mille uditori inuna
solapersona
(i), eglitoccalagrandezza
vera e l'originalità più spiccata,che
le finzioni politiche e retoriche riusciranno solo
a
velare.Al popolo
è accettosempre
quelloche
èintimamente
suo.Le
imagini vaghe, indefinite,che
erranonellasua
fan-tasia,appena hanno
dall'arte, intuitricè dell'idealitàco-mune, una forma
più viva e netta, rientrano vittoriosenelsuo
spirito e lodominano
possentemente.Esse conservano
l'aspetto, la voce, i suoni delle cose più familiari; e 1'arnima
dell' artista,aggiungendosi a
quelle, quasine
conserva intatta l'estbriorità sensibile.Anche
laforma
dì codeste traduzioni del pensiero e dei sentimenti popolari partecipa, della natura del loro contenuto.Una
lezione d'un
teologodello studio parigino, nell'Umbria, e in tutte le regioni del
mondo, non avrebbe
trovatol'applauso
della folla deidotti, raccolti nell'aula della scienza.
Quale magra
figuraavrebbe
fatto, davanti al popolo,radunato
all' aria, aperta, in cospettodimonti
e di piani,un
dottorecon
le suemo-notone
distinzioni dialettiche, siapure
esposte nelnuoyo idioma
d'Italia! Cosinon
si parlava al popolo.L'elo-quenza
volgareaveva
anch'essa le sue esigenze e,prima
fra tutte,
doveva
rassegnarsia non
pretenderne alcuna(2).(i) I Vita 73:Populorum
maximam
multitudinem^quasi virum!unum
cernebat et uni-praedicabat.(2)
Come
non ricordare le parole del vescovo di Ravenna, PietroCrisologo?Questidice:Populìspopulariterestloquendum, com-munio compellanda est sermone commuiìi, omnibus necessaria di-cenda sunt moreomnium
;naturalis lingua,cbara simplicibus, doctis.dulcis:docens loquaturomnibusprofutura;ergohodie imperito verbo-veniam dent periti: ,5". Petri Chrysologi, Op. (ed. Venétiis 1742)1.
Sermo XLIII, 69.
i6i
Non meno
gagliarda dell'interna, era necessarioche
fosse l'ispirazione esteriore dell'ambiente.Dai
blandimo-tivi d'
una
canzone, o dei cantari cavallereschi,pur
essiepicamente
pii, spesso si scioglieva fervida la preghiera al Signore,come un
coro solenneche
raccolga le voci, dianzi festanti e chiassose; chi poteva distinguere il prin-cipio dell'invitospontaneo
alla meditazione religiosa dalla line del canto spensieratodel giullare? I domini ioculatores,che modulavano
le cantilene importate dalla ribellePro-venza
(i),avevano
spesso la tonsura del chierico e l'into-nazione del canto di Chiesa,che
si studiava nei monasteri più celebri(2). Religione e poesia, canto e-preghiera,non
si
scindono mai
;sono una
cosa sola.La Chiesa ne aveva
dator
esempio, togliendo alla liturgiapagana
lesalmodie
dolcissime, acuinon
resistevanol'anima
austeradi s.Ago-stino e la tenerezza popolare(3).
E
proprio del canto litur-gico il ritmolibero, quasi sipotrebbe dire oratorio, giacché quello,musicalmente
parlando,che
sisegue
nella recita-zione normale,non
è infondo
cosa diversa(4).Adattandosi
il canto alle parti mobili della messa, l'originaria parteci-pazione dei fedeli al sagrificio solenne si riduceva
ad un
dialogo musicale, fra il celebrante e quelli
che
assistevano alla cerimonia. Dalla Chiesa, canto e parole uscivanoan-(i) OdofredOj 176-7.
Memorie
carolingie in S.P.Dam.
Op.Ili, 104. Rolandus Cantapoco ènome
toscanodell'a. I141: Davidsohn, Forsch, cit. 1, 162. Sville opere francesi inItalia nel sec.XIII:
Dzuilop- Wilson, Hist. of Prose Fictioii,.1896; II, 43.
D'Ancona
in Rend. Acc. Lincei 1889; 420 stgg.-Della Giovanna, I. e. 22.
(3) S. P.
Dam.
Op. I, 103; (Ep.,vL 22).(3) Confess.
X,
6, 33;CV.
231, 263-4.Cfr.Paul. Eph. V,19.Per le cantilene antiche della Chiesa, si veda S. Petri Chrysologi, Sermo
CXVI,
116: Resiirrectionem.,.. cantei.... Christianus.(4) F. Flaìnini, Studi di storia letteraria, 115 segg. 129 segg.
142 segg. Cfr. Lavoix, Hist. de la Musiqiie, 7.
11
102
cora per ritornare fra ilpopolo, d'
onde
originariamente sierano
mossi. L' invasione del canto profanodava
noia agli ecclesiastici.Chiedevano
i timorati al confessore: « oportet nos,prò
recreatione etpropter intollerandavi laborum, quando -que aliquando iociinda cantare?-»
Rispondeva
l'interrogato:« di cose mondane, no, ina...hoc ipsum placet, si de
Deo
et de s.Maria
et htciusinodi(^i)».Tardo
evano
consiglio! Gli stessi giullari,che
facevano,ancora
a'tempi
delSalim-bene
(2),una grande concorrenza
ai fratiMinori, eche
baz-zicavanocon
preti evescovi(3),appunto
perfarsiperdonare
il profano, in casa di gente di Chiesa,mescolavano
il sacro alnon
sacro, la poesia giocosa a quella mistica(4).An-che
è sicuroche
gliereticiiniziavanocolcanto leloro con-cioni allettatrici dei semplici(5) ; e forse anch'essisvolge-vano r argomento
della predicada un motivo
popolare. Siavveravano
le profetiche parole agostiniane:Surgunt
indoctiet caelum rapiimt, et nos
cum
doctrinis, sine corde, ecce ubivo-hitamur in carne et sanguine(6).La
predica e i popolarisermoni,
che avevano
toccato il cuore agl'infedeli, nella(1) Schd7ihach, in Sitzimgsber. cit.
CXLVII,
90(Dalle prediche di Bertoldo di Regensburg). Della Giovanna, 1. e, 19 n. 2.Cfr. S. Patri Chrys. Serm.
X,
17;XCV, l7i;CXV,
175: can-tilena «data nobis naturaliter» ad solatium laboris.(2) Clir. 353.
(3) Decr. Greg.
IX;
V, 3, 18; a. 1166?Un
cavallo sembra ilconsueto dono d'un vescovo a un giullare.
(4) Intorno a Jacopone da Todi :D'Ancona, Studi sulla lett.
ital. de'primi secoli 1884; 4 segg.
S. Simeone Stolto, in una taverna, "/jp^axo aùXsìv, cioè si ac-compagnavacon la patidtira, cantando l'inno del grande Nicone, con la quale si cacciavano i diavoli: Acta SS. T. I Jul. 157.
(5) Decr. Greg. IX, \, 7, 8. (Conc. Lat. Ili e,
27).Sui ritmi eretici: Schdnbach, in Sitzungsber. cit.
CXLVII,
119.(6) Confess. Vili,'8.