Lista riassuntiva degli indici e dei collegamenti
3. Un approccio linguistico all'indicizzazione
3.2. Nozioni di linguistica generale 1. Nozioni base della semiotica
3.2.5. Aspetti e componenti del linguaggio 1. Introduzione
3.2.5.3. Aspetti linguistici e branche della linguistica 1. Introduzione
3.2.5.3.4. Rapporti tra sintassi, semantica e pragmatica
Finora, parlando dei diversi aspetti linguistici (morfosintassi, semantica, pragmatica), abbiamo dato per scontato che tali aspetti fossero ben distinti tra loro, che ciascuno di essi avesse una propria autonomia; tra le altre cose, abbiamo visto come la linguistica chomskyana avesse posto, nell'ambito della morfosintassi, una distinzione netta tra “struttura profonda” e “struttura di superficie”. In effetti, però, nella realtà linguistica concreta i tre aspetti linguistici si trovano sempre sovrapposti tra loro; essi sono, piuttosto che realtà autonome e discrete, sono realtà profondamente interconnesse e dai confini non definiti in modo netto.222 La semantica riguarda il significato dei lessemi, soprattutto 221 Anche ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE. GRUPPO DI RICERCA
SULL'INDICIZZAZIONE PER SOGGETTO, Guida all'indicizzazione per soggetto, cit., 2001, p. 23, parte dalla distinzione fondamentale di entità e attività; p. 77: “In alcuni casi è difficile stabilire se si è in presenza di un nome proprio o di un nome comune, perché non si può tracciare una netta linea di separazione: uno stesso nome può venire considerato in periodi, luoghi, e presso gruppi diversi come proprio o comune”.
222 Cfr. AUGUSTO PONZIO, Il linguaggio e le lingue., cit., p. 50-53; cfr. anche CHARLES J. FILLMORE,
Pragmatics and the description of discourse, in Radical pragmatics, edited by Peter Cole, New York, Academic Press, 1981, p. 144: “In the extent to which the types of observations one is dealing with are distinc, one can regard these three fields as more or less auonomous; but in the extent to which observations in one of these areas yeld to explanations drawing onanother, they are interdependent”; cfr. anche ALFREDO SERRAI, Problemi linguistici e implicazioni epistemologiche della catalogazione semantica, cit., p. 113.
in quanto preso in sé; la pragmatica riguarda invece, tra le altre cose, il significato d'uso o contestuale dei lessemi.
Ma fino a che punto è possibile distinguere i significati in sé dei lessemi e i loro significati d'uso? Se accettiamo l'assunto saussuriano dell'arbitrarietà del segno – e lo faremo perché il contrario vorrebbe dire rifugiarsi in insostenibili posizioni innatiste oppure
ingenuamente realiste del linguaggio – non possiamo che acconsentire all'idea che il significato nasca a partire dall'uso e qui sempre ritorni. Non possiamo, cioè, che accettare l'idea secondo cui è attraverso l'uso dei lessemi nei diversi contesti linguistici e momenti storici che si producono slittamenti di senso (nuovi significati di un lessema), che si producono nuovi lessemi o che viceversa alcuni lessemi muoiono perché non più utilizzati.
Accettare il primato del significato d'uso, e dunque della pragmatica, può tradursi in due diverse conseguenze a livello di analisi linguistica: 1) rinunciare del tutto all'idea
dell'esistenza dei significati a prescindere dal loro uso e, dunque, all'idea di una semantica come distinta dalla pragmatica; esponente di tale posizione è Ludwig Wittgenstein, secondo cui “il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio”;223 essa è anche, nell'ambito dell'indicizzazione, la posizione di David C. Blair;224 2) continuare a mantenere distinte semantica e pragmatica, pur nella consapevolezza della loro stretta interconnessione e, in particolare, subordinazione concettuale della prima alla seconda, ovvero anche dell'impossibilità di una semantica assolutamente a priori; la semantica stessa verrebbe cioè a configurarsi come una sorta di “pragmatica decontestualizzata”, costruita a partire da astrazioni dal significato d'uso dei lessemi, da fotografie del significato di un lessema in un dato punto spazio-temporale, laddove la pragmatica propriamente intesa guarderebbe al significato di un lessema in modo dinamico, nel suo farsi attraverso le diverse situazioni e funzioni linguistiche con cui è utilizzato: referenziali, ma anche retoriche, metalinguistiche, etc.
Sarà quest'ultima la posizione che adotteremo: riteniamo infatti che distinguere aspetti semantici e pragmatici dei lessemi sia, pur con le suddette riserve, possibile e utile ai fini dell'analisi linguistica. Allo stesso tempo, anticipiamo che vi è una costante
sovrapposizione di semantica e pragmatica nel linguaggio: poiché tutti gli elementi
linguistici assolvono a una qualche funzione linguistica, essi sono con ciò intrinsecamente pragmatici (oltre che semantici, sintattici, etc.); tutte le relazioni semantiche di carattere più contestuale (come per esempio le relazioni gerarchiche atipiche, vedi 3.3.6.4.2.2.2.4), così come tutti gli espedienti utilizzati dal linguaggio naturale per la disambiguazione di omonimia, polisemia e omotassia, appartengono anch'essi sia alla semantica sia alla pragmatica del linguaggio.
Il progetto originario di Chomksy poneva, come abbiamo mostrato, una priorità della morfosintassi rispetto agli altri aspetti linguistici e una sua totale autonomia; nell'ambito della morfosintassi, sarebbe stato possibile distinguere nettamente una struttura
“profonda” da una “superficiale”. Queste posizioni si rivelarono ben presto insostenibili, 223 LUDWIG WITTGENSTEIN, Ricerche filosofiche, edizione italiana a cura di Mario Trinchero, Torino, Einaudi, 2009, traduzione di Philosophische Untersuchungen, p. 33.
224 DAVID C. BLAIR, Language and representation in information retrieval, Acit., p. 144: “A word (like a tool), regardless of how it is used always looks the same. It is this similarity in appearance that makes use think that there is some essence or meaning that accompanies the word all times. This is the mistake that Semiotics [...] makes when it ties a word/expression to some “content” ”.
per due motivi: 1) come notò Chomsky, la morfosintassi non riusciva a rendere conto delle omotassie;225 2) la morfosintassi non riusciva a rendere conto dell'inaccettabilità di tutti i sintagmi sintatticamente corretti e tuttavia (semanticamente) insensati come il celebre “le idee verdi dormono furiosamente”.226
Passo successivo e inevitabile a tali acquisizioni non poté che essere l'introduzione formale della semantica come elemento della grammatica, cosa che venne realizzata con la teoria semantica di Katz e Fodor. Ma le nozioni di regole di proiezione, marche semantiche, etc., introdotte dai due linguisti, lungi dall'estendere o modificarne singoli aspetti del sistema chomskyano, erano le premesse per una sua trasformazione essenziale: con esse veniva tendenzialmente meno sia l'autonomia della morfosintassi dalla semantica, sia la possibilità di isolare la “struttura profonda” dalla “struttura di superficie” del
linguaggio.227 L'affermazione della semantica generativa mise definitivamente in crisi una concezione della morfosintassi come aspetto autonomo dalla semantica; la semantica generativa mostrò inoltre, come abbiamo avuto modo di dire, la natura intrinsecamente sintagmatica dei significati dei lessemi e, con ciò, la sostanziale affinità tra strutture sintattiche e semantiche.228
La sovrapposizione tra semantica e morfosintassi era stata fatta propria, già prima e indipendentemente dalla semantica generativa, da due linguisti esterni alla scuola chomskyana: Greimas e Hutchins. Questi autori non si limitarono a constatare la sovrapposizione di semantica e morfosintassi, ma notarono come la seconda fosse essenzialmente subordinata e funzionale alla prima. Essi si spinsero cioè a concepire la morfosintassi come una funzione, una parte o ancora uno strumento della semantica: Greimas ha parlato a proposito di “sintassi semantica”;229 Hutchins ha mostrato come il significato di un sintagma derivi non solo dai significati dei singoli lessemi del sintagma, ma anche dai rapporti sintattici tra essi.230 In ambito bibliografico, Alfredo Serrai ha posto la sintattica come “primo gradino della semantica”, rifacendosi alla tripartizione
225 NOAM CHOMSKY, La grammatica trasformazionale, cit., p. 23-24; cfr. anche W. JOHN HUTCHINS,
Languages of indexing and classification, cit., p. 66, il quale nota come la relazione sintagmatica “coordinativa” di congiunzione possa creare sintagmi semanticamente ambigui.
226 Cfr. YVES GILBERT COURRIER, Document analysis, verbs and case grammar, cit., p. 85; cfr. anche UMBERTO ECO, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, cit., p. 337: “L'idea chomskyana della differenza tra “struttura profonda” e “di superficie” è stata duramente critica anche da Eco, per cui essa rappresenterebbe una forma di universalismo linguistico inaccettabile; riferendosi a essa, l'autore afferma: “Per procedere in tal modo occorre non essere sfiorati neppure per un istante dall'idea che una data lingua rifletta un dato modo di pensare e di vedere il mondo, non un Pensiero Universale; occorre cioè che quello che è stato chiamato il “genio” di una lingua venga relegato tra le modalità di uso superficiale che non affettano la struttura profonda uguale per tutte le lingue. Solo in tal modo è possibile assumere come universali, perché corrispondenti alla sola logica possibile, quelle strutture che identifichiamo nella sola lingua in cui ci si dispone a pensare”.
227 Cfr. JEAN-CLAUDE GARDIN, Document analysis and linguistic theory, cit., p. 153-156; cfr. anche YVES GILBERT COURRIER, Document analysis, verbs and case grammar, cit., p. 85-86.
228 W. JOHN HUTCHINS, Languages of indexing and classification, cit., p. 58: “The approach of the generative semanticists is important for [...] it recognises the interdependence of syntax and semantics - i.e. that the syntagmatic organisation of semantic structures, including the internal composition of individual sememes [...] is similar to that of surface syntactic (lexemic) structures”; cfr. anche HOWARD MACLAY,
Overview, cit., p. 178-179; cfr. anche GUGLIELMO CINQUE, Introduzione del curatore, cit., p. 17-18. 229 Cfr. ALGIRDAS JULIEN GREIMAS, Semantica strutturale, cit., p. 159-160.
morrisiana degli aspetti linguistici.231
Anche noi seguiremo, in generale, questa impostazione dei rapporti tra semantica e morfosintassi, con l'avvertenza che se è possibile affermare che la “struttura di superficie” del linguaggio è interamente pertinente la morfosintassi, più complessa è la situazione della “struttura profonda” del linguaggio, nella quale semantica e morfosintassi
coesistono (con la seconda sempre in una certa misura dipendente dalla prima, vedi 3.2.6, 3.2.7).
Riassumendo, gli aspetti linguistici (morfosintassi, semantica, pragmatica) non soltanto non sono autonomi, ma è anzi possibile porre una precisa gerarchia tra di essi. A questa conclusione giunse forse per primo Charles J. Fillmore: a partire da una personale
interpretazione della tripartizione morrisiana, Fillmore da un lato affermò la possibilità di distinguere fenomeni semantici, sintattici e pragmatici del linguaggio, dall'altro evidenziò che in alcuni casi i fenomeni sintattici richiedevano una spiegazione semantica e che in alcuni casi i fenomeni semantici richiedevano una spiegazione pragmatica. Secondo il linguista, in altri termini, la sintassi riguarderebbe esclusivamente la forma del linguaggio, la semantica riguarderebbe forma e funzioni comunicative del linguaggio, la pragmatica riguarderebbe forma del linguaggio, funzioni del linguaggio e contesto extralinguistico; l'impostazione di Fillmore fu seguita anche da Hutchins.232 Più recentemente, e
nell'ambito della teoria dell'indicizzazione, a tale impostazione si è riallacciato anche Blair, che ha affermato la priorità della pragmatica sugli altri aspetti linguistici, derivati per astrazione da quella.233