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La ratio della riforma degli ammortizzatori sociali nella legge delega n. 183/2014

6. Le riforme attuate dai Governi Monti e Renzi: nuovi schemi per rispondere a vecchie esigenze?

6.1. La ratio della riforma degli ammortizzatori sociali nella legge delega n. 183/2014

delegati, alla riforma c.d. Jobs Act II368) si è rivelato ben più ambizioso, in quanto diretto ad una revisione organica dell’intera disciplina degli ammortizzatori sociali, ma anche dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché dei relativi profili istituzionali e organizzativi, anche con riferimento al sistema ispettivo369.

6.1. La ratio della riforma degli ammortizzatori sociali nella legge delega n. 183/2014

Come già anticipato, la riscrittura della normativa in tema di ammortizzatori sociali cui è stato delegato il Governo dalla l. n. 183 del 10 allocazione delle ordinarie risorse umane, finanziarie e strumentali, allo stato in dotazioni alle medesime amministrazioni»; critici al riguardo F. Carinci, A proposito del Jobs Act, cit., 15-16; M. Ricci, Alcune osservazioni sulla legislazione del lavoro nel biennio 2014/2015 tra flessibilità e occupazione, in F. Santoni, M. Ricci, R. Santucci (a cura di), Il diritto del lavoro all’epoca del jobs act, cit., 153, che parla al proposito di «previsione normativa … fin troppo ‘miope’ che rischia di relegare nell’alveo di mere dichiarazioni di principio, senza alcuna effettiva applicazione, buona parte degli obiettivi contenuti nella delega».

367 In tal senso v. M. Persiani, Introduzione; T. Treu, Le riforme del lavoro: una retrospettiva per analizzare il Jobs Act; D. Garofalo, Le politiche del lavoro nel Jobs Act; M. Miscione, La Cassa integrazione dopo il Jobs Act, tutti in F. Carinci (a cura di), Jobs Act: un primo bilancio Atti del XI Seminario di Bertinoro-Bologna del 22-23 ottobre 2015, in ADAPT University Press, 2016, n. 54, rispettivamente 1, 3, 92, 414.

368 Sotto l’unitaria etichetta di “Jobs Act” viene ricompreso il complessivo progetto di riforma della materia giuslavoristica attuato dal Governo guidato dal Partito Democratico a partire dal 2014 e sino al 2018, la cui estensione, sia sotto il profilo contenutistico che temporale, ha suggerito di optare per una distinzione nominativa dei due principali tronconi in cui si è realizzato: il c.d. “Jobs Act I”, costituito dal d.l. n. 34/2014, convertito in l. n. 78/2014 e il c.d. “Jobs Act II”, composto dalla legge delega n. 183/2014 e dai successivi decreti legislativi attuativi, cioè d.lgs. n. 22/2015 (ammortizzatori sociali in costanza di disoccupazione), d.lgs. n. 23/2015 (contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti), d.lgs. n. 148/2015 (ammortizzatori sociali in costanza di rapporto ), d.lgs. n. 149/2015 (istitutivo dell’agenzia ispettiva unica del lavoro), d.lgs. n. 150/2015 (servizi per il lavoro e politiche attive), il d.lgs. n. 151/2015 (razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità), e dalle successive normative che li hanno in seguito modificati, su cui v. infra.

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dicembre 2014, rappresenta uno degli aspetti del più ampio programma riformatore realizzato dal c.d. Jobs Act II in materia di lavoro, portata avanti in uno con la ridefinizione della disciplina dei servizi e delle politiche attive del lavoro, nonché con il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro370.

Il nuovo apparato di regole che ha cominciato a prendere forma a partire dalla legge delega del 2014 ha inciso profondamente sugli strumenti di governo del mercato del lavoro nel loro complesso, come ben evidenzia la circostanza che cinque degli otto decreti delegati – quelli emanati nel 2015 e contraddistinti dai nn. 22, 148, 149, 150 e 151371 – abbiano contribuito a stabilire un rinnovato equilibrio tra la forza “ammortizzante” delle politiche passive e quella “propulsiva” delle politiche attive, mentre gli altri tre – i d.lgs. nn. 23, 80 e 81 del 2015372 – pur se incentrati sul rapporto individuale di lavoro, mediante la previsione del contratto a tutele crescenti, la tutela della maternità e della

370 In tal senso cfr. l’articolo unico, suddiviso nei commi da 1 a 15, di cui si compone la l. n. 183/2014.

371 Cfr. per ciascuno di essi rispettivamente i commenti di E. Ghera, D. Garofalo (a cura di), Le tutele per i licenziamenti e per la disoccupazione involontaria nel Jobs Act 2, Bari, 2015; E. Balletti, D. Garofalo (a cura di), La riforma della cassa integrazione guadagni nel Jobs Act 2, Bari, 2016; E. Ghera, D. Garofalo (a cura di), Semplificazioni – sanzioni – ispezioni nel Jobs Act 2, Bari, 2016; ID. (a cura di), Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro nel Jobs Act 2, Bari, 2016.

372 Su cui cfr. E. Ghera, D. Garofalo, Le tutele per i licenziamenti e per la disoccupazione involontaria nel Jobs Act 2, Bari, 2015; F. Santoni, M. Ricci, R. Santucci (a cura di), Il diritto del lavoro all’epoca del jobs act, cit., con particolare riferimento ai contributi di E. Balletti, I controlli a distanza dei lavoratori dopo il jobs act; M. Galante, Lo jus variandi all’epoca del jobs act; L. Venditti, La tutela contro i licenziamenti illegittimi nel d.lgs. n. 23/2015; P.F. De Pietro, Il licenziamento per giusta causa e il ruolo del giudice; A. De Felice, I nuovi equilibri del lavoro flessibile tra contratto a termine acausale e tutele crescenti, rispettivamente 37 ss., 51 ss., 73 ss., 103 ss., 115 ss.; nonché M. Brollo, M. Marazza (a cura di), Diritto del lavoro e mercato. L’impatto delle riforme del lavoro nell’analisi giuridica dei dati sull’occupazione, cit. e i contributi ivi contenuti di F. Carinci, A proposito del Jobs Act; P. Tosi, L’art. 2, comma 1, D. Lgs. n. 81/2015: una norma apparente?; G. Santoro Passarelli, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni continuative e coordinate ex art. 409, n. 3, cod. proc. civ.; M. Brollo, La disciplina delle mansioni dopo il Jobs Act; V. Maio, La nuova disciplina dei contratti a distanza sull’attività dei lavoratori e la modernità post panottica; G. Vidiri, Art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015 e lavoro autonomo: verso un diritto del lavoro a formazione giurisprudenziale?; S. Bini, Dall’equivalenza professionale all’equivalenza economica delle mansioni. Questioni ermeneutiche e prime osservazioni; M. Persiani, Note sulla disciplina di alcune collaborazioni coordinate, rispettivamente 1109 ss., 1117 ss., 1133 ss., 1156 ss., 1186 ss., 1216 ss., 1240 ss., 1257 ss.

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conciliazione tra lavoro e famiglia, il riordino dei contratti di lavoro e la revisione della disciplina delle mansioni, sono risultati egualmente orientati verso il mercato del lavoro373, in quanto destinati a dar voce alle esigenze del contesto occupazionale e produttivo per contemperare l’interesse all’utile impiego del personale con quello del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche374.

Le innovazione dirette ad attribuire maggiore discrezionalità nella gestione del rapporto di lavoro individuale e una crescente flessibilità in uscita (vedasi l’ampliamento dello ius variandi, la modifica dei controlli sul lavoratore, l’alleggerimento delle tutele in caso di licenziamento illegittimo, etc.), rappresentano un cambiamento delle tecniche normative utilizzate nel diritto del lavoro, specchio di un mutamento dei valori di riferimento un tempo ritenuti consolidati: di qui l’enfasi attribuita dal Jobs Act alle nozioni-simbolo di flessibilità, precarietà, derogabilità, individuale, differenza, in luogo di quelle tradizionali di rigidità, stabilità, inderogabilità, collettivo, eguaglianza375.

Un’apertura come quella che la produzione lavoristica del biennio 2014/2015 mostra nei confronti delle ragioni dell’impresa, tuttavia, trova un contrappeso - ma solo sulla carta - nel potenziamento delle tutele dei lavoratori nel mercato del lavoro, e quindi “al di fuori” del rapporto individuale376.

È proprio l’ampio spettro d’intervento della novella che consente, infatti, di coglierne la ratio ispiratrice nei principi di “flexicurity”377 e cioè in quel modello socio-economico promosso in primis dall’Unione europea378, che vede nella flessibilità sicura379, quale connubio tra tutela

373 Per una tale lettura v. D. Garofalo, Le politiche del lavoro nel Jobs Act, cit., 90.

374 V. l’art. 1, c. 7, in particolare alla lett. e), l. n. 184/2014 che fa espresso riferimento all’obiettivo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro e il c. 9, lett g), della medesima disposizione che sottolinea la necessità di valutare la revisione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ai fini di poter garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche tenuto conto della funzionalità organizzativa all’interno delle imprese.

375 M. Ricci, Alcune osservazioni sulla legislazione del lavoro nel biennio 2014/2015 tra flessibilità e occupazione, cit., 149.

376 D. Garofalo, Le politiche del lavoro nel Jobs Act, cit., 94 ss.

377 Il termine è stato attestato per la prima volta in un articolo di P. Ames, Dutch model offers flexible approach to job creation, Associated Press, 14 novembre 1997; il modello socio-economico è stato, invece, concepito e attuato innanzi tutto nei Paesi del Nord Europa e in particolare in Danimarca, ove, su iniziativa del Ministro socialdemocratico Rasmussen, è stato adottato nel 1999 il “Flexicurity act”.

378 Le istituzioni comunitarie, nell’ambito del dibattito sul futuro del diritto del lavoro a seguito dei grandi cambiamenti che sin dagli anni ’90 del secolo scorso stanno interessando i modelli produttivi e l’organizzazione del lavoro –

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della sicurezza e garanzia della competitività dei mercati, il paradigma del modello sociale europeo del terzo millennio, realizzabile attraverso una riallocazione delle tutele sociali dal rapporto di lavoro al mercato del lavoro, mediante un alleggerimento dei modelli di tutela nel contratto a tutto favore di un più efficiente sistema di sicurezza occupazionale fondato su schemi universali di protezione sociale e strutturate politiche attive del lavoro380.

Così, non pare una casualità che le deleghe contenute nella l. n. 183/2014 siano riferite alla “security” ancor prima che alla “flexibility”381, globalizzazione, crisi dello Stato Nazione, accelerazione dell’innovazione tecnologica e dei suoi effetti – hanno promosso la creazione, all’interno degli Stati membri, di un mercato del lavoro basato sulla flexicurity, quale obiettivo cardine delle politiche occupazionali europee da seguire per condurre il processo di transizione in atto da un modello di tutela nel rapporto (c.d. jobs protection) verso un modello di tutela nel mercato (c.d. flexicurity nella sua variante di employment security), su cu cui v. Commissione europea, Partnership for a New Organization of work, Green Paper, COM (97) 126 def. del 16 aprile 1997; ID., Libro Verde, Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo, COM (2006) 708 def., Bruxelles 22 novembre 2006; per un approfondimento sul tema cfr. C. Massimiani (a cura di), Dal Libro Verde sulla Modernizzazione del Diritto del Lavoro alla Comunicazione sulla Flexicurity, in CSDLE M. D'Antona, Dossier n. 9/2007; tale modello è stato implementato anche dalla Strategia Europea per l’Occupazione del 1997 e successivamente dalla Strategia del 2010 Europa 2020, COM/2010/2020 def.; per i primi commenti v. R. Rogowsky, T. Wilthagen, Reflexive Labour Law, Deventer, 1994; T. Wilthagen, Flexicurity: A New Paradigm for Labour Market Policy Reform?, Berlin, 1998.

379 Sul punto v. le considerazioni di F. Carinci, M. Miscione, Presentazione. La «Riforma Fornero» (L. n. 92/2012), in ID. (a cura di), Commentario alla Riforma Fornero (Legge n. 92/2012 e Legge n. 134/2012), cit., XI, che, a proposito della flexicurity, affermano come «di per sé trattasi solo della fusione di due parole dalla portata completamente opposta, perché la flessibilità richiama l’insicurezza e la sicurezza richiama la rigidità. Tant’è che la convivenza è resa possibile dalla diversa dimensione i cui si muovono, la flessibilità nel rapporto e la sicurezza nel mercato del lavoro: libertà di licenziamento versus garanzia di reddito e di nuovo impiego, previo un eventuale percorso formativo».

380 Sul tema v. però le osservazioni di T. Treu, Flexicurity e oltre, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.INT – 135/2017, 4, che sottolinea come la necessità, invocata anche dalle istituzioni europee (ad es. cfr. Consiglio dell’UE, Flexicurity in time of crisis. Council Conclusions, 8 giugno 2009), di correggere e ricalibrare gli obiettivi della strategia, ricollocando al suo centro il modello di un’occupazione stabile, continuativa e di qualità, la flessibilità c.d. interna, che in parte anticipa e previene la stessa flessicurezza c.d. esterna (su cui v. più approfonditamente infra).

381 Tale osservazione di A. Alaimo, Ricollocazione dei disoccupati e politiche attive del lavoro. Promesse e premesse di security nel Jobs Act del Governo Renzi, in W.P. CSDLE “Massimo D’Antona”. IT – 249/2015, 3, è stata poi ripresa e sviluppata anche da D. Garofalo, Le politiche del lavoro nel Jobs Act, cit., 91.

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quasi a significare la priorità per il legislatore di anteporre, letteralmente ma anche logicamente, i nuovi istituti della sicurezza a quelli della flessibilità, potendosi i secondi attuare solo ove, a monte, siano stati determinati i primi.

Guardando la riforma nel suo complesso, l’idea di rafforzare le misure di sostegno del reddito, in uno con l’insieme delle politiche attive del lavoro, sembra quindi diretto a realizzare una forma di compensazione del deficit di protezione creato, da un lato, dal regime di flessibilità della fase gestionale del rapporto (realizzata dalla modifica all’art. 2103 c.c. ad opera del d.lgs. n. 81/2015)382 e, dall’altro, dall’ormai acclarato declino del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato quale modello contrattuale d’impiego prevalente, sostituito sempre più di frequente da forme occupazionali flessibili che, oltre ad incrementare la frequenza dei periodi di disoccupazione, incidono anche sulla maturazione dei requisiti contributivi richiesti per l’accesso ai trattamenti di protezione (da ultimo modificati dai d.lgs. nn. 22 e 148 del 2015)383. Altrettanto può dirsi in relazione alla parte più discussa e dibattuta della riforma, quella relativa al superamento dell’art. 18 St. Lav. e al conseguente affievolimento della tutela reale (ad opera del d.lgs. n. 23/2015), la cui portata risulta necessariamente condizionata dal modo in cui viene calibrato lo statuto protettivo di chi si trova in stato di disoccupazione, e cioè dalla previsione di istituti capaci di mitigare i caratteri di drammaticità sociale di tale condizione, quali le misure di sostegno al reddito in caso di mancanza di lavoro e le politiche volte ad accrescere le possibilità di ricollocazione dei disoccupati384.

382 Sul punto cfr., in particolare, M. Brollo, La disciplina della mansioni dopo il Jobs Act, cit., 1156 ss., che sottolinea come il legislatore del Jobs Act abbia scommesso anche su una flessibilità organizzativa del rapporto di lavoro, ricercando un nuovo punto di equilibrio tra le esigenze di efficienza delle imprese e la tutela dei diritti delle persone, volendo «“cambiare il verso” alle regole del mondo del lavoro e quindi agli interventi del legislatore: dalla flessibilità praticata soltanto al margine, ai lati estremi del rapporto di lavoro (dapprima in entrata, e poi anche in uscita) alla flessibilità anche al centro (c.d. mobilità intro-aziendale) nella gestione del rapporto di lavoro».

383 Così E. Balletti, La riforma degli ammortizzatori sociali alla luce del disegno di legge delega 3 aprile 2014, n. 1428 Senato, in F. Carinci (a cura di), La politica del lavoro del Governo Renzi. Atto II, cit., 1 ss.

384 Cfr. G. Orlandini, La via italiana alla “flexicurity”: la riforma degli ammortizzatori sociali nel Jobs Act, in Questione Giustizia, 2015, 3, 67 ss.; M. D’Onghia, V. Luciani, A. Occhino, Introduzione, in RGL, 2016, 3, I, 489; D. Gottardi, Riforme strutturali e prospettiva europea di Flexsecurty: andata e ritorno, in LD, 2015, 239; P. Bozzao, I primi passi del Jobs Act: ambizioni, incertezze e difficili equilibri, in Federalismi.it, 2015, 7, 8 ss.; M. Del Conte, Premesse e prospettive del Jobs Act, in M. Tiraboschi (a cura di), Le nuove regole del lavoro dopo il Jobs Act. Commento sistematico dei decreti legislativi nn. 22, 23, 80, 81, 148, 149, 150 e 151 del 2015 e delle norme di rilievo lavoristico della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di stabilità per il 2016), Milano, 2016, 3 ss.; G. Zilio Grandi, M. Biasi, Introduzione: una riforma in più “fasi”, in ID.,

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L’intervento normativo, in attuazione di tale disegno, ha comportato, sul versante delle politiche passive, la riscrittura della disciplina degli ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione e in costanza di rapporto, ad opera rispettivamente del d.lgs. n. 22/2015 e del d.lgs. n. 148/2015, mentre, con riferimento alle politiche attive, ha dato un nuovo assetto al sistema di gestione del mercato del lavoro valorizzando il ruolo dei servizi per l’impiego privati (d.lgs. n. 150/2015), semplificando gli adempimenti a carico del datore di lavoro con una rivisitazione del connesso apparato sanzionatorio (d.lgs. n. 151/2015), razionalizzando e ridefinendo l’attività ispettiva in materia di lavoro (d.lgs. n. 149/2015).

Su quest’ultimo aspetto giova osservare che il processo di centralizzazione dei servizi per il lavoro e dell’attività di controllo era stato prospettato in diretta connessione con la proposta di riforma costituzionale385 (che poi, come noto, non ha trovato compimento a seguito dell’esito negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016), cioè nell’ambito di un più ampio quadro di redistribuzione delle competenze fra Stato e Regioni a tutto favore del primo. Fallita la realizzazione del progetto di revisione del testo costituzionale, è rimasta chiara traccia della linea d’intervento centralista nei due istituti rappresentativi della presenza pubblica sul mercato del lavoro: l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) e l’Ispettorato nazionale del lavoro386. La prima, espressione del Ministero del lavoro387, è Commentario breve alla riforma “Jobs Act”, Padova, 2016, 6, sottolineano come anche i tempi di emanazione dei decreti delegati siano indice del segnale politico di voler evidenziare il legare tra alleggerimento delle sanzioni contro il licenziamento illegittimo e contestuale innalzamento delle tutele per i disoccupati.

385 Si tratta del d.d.l. S-1429 presentato dal Governo l’8 aprile 2014, avente ad oggetto la revisione della Parte II della Costituzione e recante «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione», poi approvato dal Senato il 20 gennaio 2016 e dalla Camera dei deputati il 12 aprile 2016, ma non confermato dal successivo referendum costituzionale (v. GU, n. 31 del 7 febbraio 2017).

386 Così F. Carinci, A proposito del Jobs Act, cit., 19; V. Filì, Servizi per il lavoro e misure di Workfare nel d.lgs. n. 150/2015, in in F. Santoni, M. Ricci, R. Santucci (a cura di), Il diritto del lavoro all’epoca del jobs act, cit., 315; R. Pessi, Politiche attive e passi per l’occupazione nel Jobs Act, in R. Pessi, G. Sigillò Massara (a cura di), Ammortizzatori sociali e politiche attive per il lavoro. D.lgs. n. 22 del 4 marzo 2015 e nn. 148 e 150 del 22 settembre 2015, Torino, 2017, 1 ss.; S. Vergari, Verso il sistema unitario dei servizi per il lavoro, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 351/2018; L. Valente, La riforma del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in G. Santoro Passarelli (a cura di), Il diritto dell'occupazione dopo il Jobs Act: atti del Convegno, Università degli studi di Roma La Sapienza, 13 giugno 2016, Torino, 2016, 87 ss.; R. Santucci, L’Agenzia Nazionale per le politiche del lavoro (ANPAL), in F. Carinci (a cura di), Jobs Act: un primo bilancio, cit.; A. Trojsi, Il diritto del lavoro tra Stato e Regioni: riforma

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stata istituita dal d.lgs. n. 150/2015 e posta a capo della Rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro, con il compito di coordinare tutte le istituzioni preposte a tali servizi. Il secondo, regolato dal d.lgs. n. 149/2015 e ancora più chiaramente espressione del Ministero del lavoro, integra il complesso dei servizi ispettivi, del Ministero del lavoro, dell’Inps e dell’Inail388.

Il dato peculiare del sistema così ridefinito è offerto dal carattere proattivo e non passivo delle tutele apprestate nel mercato, che viene appalesato sin dall’incipit della legge delega, il cui scopo dichiarato è «di assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale e di favorire il coinvolgimento attivo di quanti siano espulsi dal mercato del lavoro ovvero siano beneficiari di ammortizzatori sociali»389. Questo rinnovato approccio alla regolazione dei sistemi di sicurezza sociale, ispirato al modello di workfare (o welfare to work o ancora activation policies)390, privilegia un agire combinato delle funzioni “attive” e “passive” che, invece di supplire passivamente alla perdita di reddito, definisce attivamente i diritti e le responsabilità dei disoccupati stimolandoli a proteggersi autonomamente e a cercare un impiego facendo affidamento sulle proprie attitudini.

La funzione di cerniera tra le politiche attive e l’erogazione delle prestazioni sociali di sostegno al reddito è attribuita alla condizionalità, quale mezzo di attuazione del principio di attivazione che vincola la fruizione delle prestazioni economiche previdenziali all’assolvimento dell’onere di determinati comportamenti da parte del beneficiario391, e la costituzionale e anticipazioni legislative, in RGL, 2016, 3, I, 496; P. Bozzao, I primi passi del Jobs Act: ambizioni, incertezze e difficili equilibri, cit., 4.

387 Il ministero del lavoro e delle politiche sociali, infatti, propone il Presidente, un membro del Consiglio di amministrazione, il Direttore mentre la Conferenza delle Regioni designa l’altro membro del Consiglio di Amministrazione e le parti sociali partecipano al Consiglio di sorveglianza, composto da 10 membri; sempre al Ministero spettano, poi, il potere di indirizzo e vigilanza sull’ANPAL, nonché le competenze in materia di verifica e controllo del rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, nonché quelle in materia di monitoraggio delle politiche occupazionali e del lavoro (artt. 3-4).

388 Su cui v. P. Rausei, La regia unica della vigilanza all’Ispettorato nazionale del lavoro, in LG, 2016, 1, 5 ss.; E. Massi, Agenzia unica per le ispezioni del lavoro: aspettative e criticità, in DPL, 2015, 41, 2351 ss.

389 V. art. 1, c. 1, l. n. 183/2014.

390 Sul concetto di welfare to work, anche in una prospettiva europea e comparata si rinvia A. Marsala (a cura di), Il welfare to work: modelli di intervento europeo, Roma, 2006; T. Boeri, R. Layard, S. Nickell, Welfare to work and the fight against long-term unemployment, Report to Prime Ministers Blair and D’Alema, 1999.

391 Sul punto cfr. A. Olivieri, Le tutele dei lavoratori dal rapporto al mercato. Dalla postmodernità giuridica verso la modernità economica?, Torino, 2017;