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3. Il tempo dei licenziamenti “impossibili”

A fronte della grande trasformazione industriale, del passaggio a una società del consumo e del mutamento del mercato dei beni, negli anni ‘70 si assistette alla massiccia ristrutturazione di alcuni settori produttivi con la chiusura o la riqualificazione di grandi imprese industriali che, nel tentativo di migliorare la propria produttività, aumentarono la quota fissa di capitale rispetto a quella variabile ed intrapresero le prime esperienze di decentramento produttivo110.

Collateralmente, l’ondata di lotte operaie e l’elevata conflittualità nelle fabbriche portarono ad un utilizzo più rigido della forza lavoro sotto la spinta di un sempre maggiore controllo sindacale sulla genuinità delle crisi aziendali e, di conseguenza, anche dei licenziamenti. Con l’obiettivo di gestire la crisi sociale, la contrattazione collettiva introdusse forme di procedimentalizzazione del potere datoriale di addivenire ai licenziamenti collettivi, previde l’attribuzione al sindacato di poteri di controllo sui processi di ristrutturazione, il rafforzamento degli strumenti di garanzia dei salari sia per i lavoratori disoccupati che per i cassaintegrati, a favore dei quali, in particolare, fu spesso imposto alle aziende l’obbligo di corrispondere la differenza tra la retribuzione perduta e il trattamento di integrazione salariale111.

Del pari, anche le istituzioni pubbliche assunsero un ruolo centrale grazie alla rinnovata attenzione che i (sempre più forti) partiti politici legati alla classe lavoratrice dedicarono al processo di trasformazione industriale in atto. La necessità di un riassetto organizzativo e finanziario, nonché di una riconversione produttiva, nell’incedere dell’innovazione tecnologica, furono favoriti e sostenuti da una politica decisa a garantire un intervento pubblico diretto nell’economia, mediante l’attribuzione allo Stato del duplice compito di sostenere economicamente le imprese, da un lato, e di salvaguardare i livelli occupazionali e la continuità dei redditi dei lavoratori, dall’altro112.

110 Per una ricostruzione più completa dei fenomeni economici e politici che hanno caratterizzato il periodo cfr. L. Lenti, La Cassa integrazione nell’analisi dei giuristi, cit., 584 ss.

111 Tra gli accordi che si mossero in tal senso possono ricordarsi l’accordo Zanussi del 1° luglio 1971, gli accordi Fiat del 30 novembre 1974 ed Alfa Romeo del 6 dicembre 1974; su cui v. E. Pisani, La contrattazione, in L. Bellardi, A. Groppi, F. Liso, E. Pisani (a cura di), Sindacati e contrattazione collettiva in Italia nel 1972-74, Milano, 1978, 76 ss. e 150 ss.; L. Montuschi, Cassa integrazione, ristrutturazioni aziendali e contrattazione collettiva, cit., 42 ss.

112 Così U. Carabelli, La gestione delle eccedenze di lavoro in Italia: una analisi giuridica, in EL, 1996, 155 ss.; più in generale sulla polifunzionalità dell’istituto v. G. Napoletano, Il nuovo regime della integrazione salariale, Napoli, 1992, 17-18; G. Cottrau, voce Cassa integrazione guadagni, cit., 1 ss.; M. Cinelli, voce Retribuzione dei dipendenti privati, in Noviss. Dig. It., app. IV, Torino, 1986, 652 ss., 677-679; S. Renga, Sospensioni dal lavoro nel diritto della sicurezza sociale, in Dig. it.- sez. comm., vol. XV, Torino, 1988, 11 ss.

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In questo “clima” fu emanata la l. n. 464/1972 che, oltre ad aver incluso tra le cause integrabili dell’intervento straordinario anche l’ipotesi della conversione aziendale113, rese la CIGS prorogabile senza limiti di tempo ove impiegata per ristrutturazione, riorganizzazione e conversione aziendale114, previde finanziamenti statali in favore delle imprese che avessero messo in atto tali processi115 e, soprattutto, segnò il definitivo superamento del requisito della transitorietà delle cause di sospensione dell’attività lavorativa, ammettendo esplicitamente la possibilità di licenziare al termine del periodo di integrazione salariale116.

Questo radicale mutamento dell’impianto originario della CIG contribuì a segnare una rottura con il pensiero dottrinale precedente nel senso di un irrigidimento delle posizioni garantiste delle prerogative dei lavoratori e dello spostamento del punto focale delle riflessioni sulla legittimità o meno delle sospensioni o riduzioni d’orario decise dall’imprenditore. Accanto a chi negò la legittimità delle sospensioni o riduzioni d’orario al di fuori dei casi di impossibilità, basandosi sulla nozione di rischio d’impresa quale unificazione in capo all’imprenditore tanto dei vantaggi delle proprie scelte organizzative, quanto degli svantaggi derivanti dalle difficoltà della propria struttura produttiva117, vi fu chi,

113 V. art. 1, c. 2, l. n. 464/1972.

114 V. art. 1, c. 3, l. n. 464/1972 secondo cui “la concessione dell'integrazione salariale è disposta per i primi 6 mesi mediante decreto interministeriale da adottarsi ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 novembre 1968, n. 1115, e per i periodi successivi mediante decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale da adottarsi trimestralmente in relazione all'attuazione dei programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e di conversione aziendale”.

115 V. art. 9, l. n. 464/1972 che estese le provvidenze di carattere tributario e creditizio previste dalla legge c.d. “tessile” del 10 dicembre 1971, n. 1101 anche agli imprenditori che avessero provveduto alla riorganizzazione, ristrutturazione o conversione dell’azienda.

116 V. artt. 2, c. 2, 4, 7, 8, c. 2, l. n. 464/1972; più in generale sulla prassi innescata da tale legge di prorogare reiteratamente sia la CIGS che la disoccupazione speciale, v. M. Miscione, Gli ammortizzatori sociali per l’occupabilità, relazione svolta alle Giornate di studio di Diritto del lavoro organizzate dall’AIDLASS in Aa.Vv., Disciplina dei licenziamenti e mercato del lavoro. Atti delle Giornate di studio di Diritto del lavoro (Venezia 25-26 maggio 2007), Milano, 2008, 140, secondo cui essa «comportò il riconoscimento di una sorta di trattamento previdenziale sostitutivo di tutto, probabilmente al fine di perseguire una logica molto semplice, pur nella confusione fattiva da essa innescata: dare molto o moltissimo (inizialmente addirittura più del 100% della retribuzione) per conquistare la pace sociale ed evitare ribellioni di popolo più o meno spontanee».

117 Così L. De Angelis, Spunti civilistici in tema di prestazione di lavoro, in RGL, 1974, I, 79 ss.; M. Bin, Sospensione del lavoro per sciopero parziale e adempimento dell’obbligazione lavorativa, in RTDPC, 1978, 52 ss.; Comitato di difesa e lotta contro la repressione, La Cassa integrazione guadagni uno strumento padronale, in Quale giustizia, 1972, 15-16, 329 ss., il quale, considerando la disciplina della CIG non derogatoria rispetto al diritto comune

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diversamente, evidenziando la funzione della CIG di sostegno all’attività imprenditoriale per la gestione delle crisi industriali – soprattutto nei casi di integrazioni straordinarie – inquadrò l’istituto nell’ambito in una più ampia politica pubblica di protezionismo liberale118. Comune ai filoni interpretavi fu, tuttavia, l’idea di fondo che la CIG fosse una misura di politica economica d’ausilio alle imprese anziché una provvidenza integrativa per i lavoratori in caso di impossibilità oggettiva della prestazione. Da qui una duplice conseguenza: sul piano ontologico, l’inquadramento della struttura del rapporto previdenziale sotteso alla CIG in termini di relazione bilaterale intercorrente esclusivamente tra imprenditore ed ente previdenziale119; sul piano sistematico, il rovesciamento della «mistificata idea che la Cassa sia uno strumento anti-disoccupazione»120.

Quest’ultimo fenomeno potrebbe, a prima vista, sembrare contraddittorio, ma, in realtà, ben si spiega alla luce degli elementi evidenziati. Se infatti i datori di lavoro, da un lato, godevano di un ampio margine discrezionale di procedere a modifiche organizzative e produttive, dall’altro, la loro facoltà di ridurre il personale impiegato si arrestava a livello di mera teoria, data l’incidenza della forza operaia nell’evitare i licenziamenti collettivi di massa e la netta convenienza che si presentava loro nel preferire prioritariamente la via dell’integrazione salariale quale forma di dismissione della forza lavoro graduale e scevra da conflitti sociali121.

Che «lo scambio con il licenziamento» fosse «dunque il vero termine di riferimento del sistema di “garanzia del salario”»122 fu evidenziato con chiarezza da alcune specifiche disposizioni susseguitesi a partire dalla l. n. 464/1972, che comportarono la progressiva assunzione dei costi, economici e sociali, della fuoriuscita dal lavoro di un gran numero di dipendenti in capo allo Stato mediante la collocazioni in CIG per anni, se non finanche al pensionamento.

dei contratti, escludeva che le sospensioni del contratto di lavoro in presenza dell’offerta della prestazione da parte del lavoratore fossero riconducibili alla categoria dell’impossibilità oggettiva e potessero legittimare la sospensione dell’obbligo retributivo dell’imprenditore e il conseguente intervento integrativo della Cassa ordinaria.

118 M. Pedrazzoli, Gli interventi straordinari della Cassa integrazione guadagni nella cornice dell’ausilio all’impresa, in RGL, I, 545 ss.

119 Riprendendo così il pensiero già proposto da E. Ghera, L’integrazione guadagni degli operai dell’industria e la sospensione del rapporto di lavoro, in RGL, 1965, I, p. 265; sul punto v. anche le osservazioni di G. G. Balandi, Tutela del reddito e mercato del lavoro nell'ordinamento italiano, cit., 149.

120 M. Pedrazzoli, Gli interventi straordinari della Cassa integrazione guadagni nella cornice dell’ausilio all’impresa, cit., 562.

121 Evidenzia questo aspetto il Comitato di difesa e lotta contro la repressione, La Cassa integrazione guadagni uno strumento padronale, cit., 314.

122 Così L. Mariucci, Le lacunose rendite del lavoro nero: un conteggio giudiziale, in RGL, 1979, II, 1384.

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In primo luogo, la suddetta legge previde la possibilità per le aziende di richiedere, «per i lavoratori licenziati al termine del periodo di integrazione salariale», «il rimborso alla Cassa integrazione guadagni dell’indennità di anzianità, corrisposta agli interessati, limitatamente alla quota maturata durante il periodo predetto»123, così incoraggiando il mantenimento in vita dei rapporto di lavoro grazie allo sgravio per l’azienda di una quota considerevole dei costi124. Inoltre, quella normativa eliminò i tetti massimi di durata del trattamento di integrazione straordinario, abolendo i limiti alle proroghe e prevedendo soltanto che le stesse fossero disposte in relazione ai programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e conversione aziendale125. In tal modo cadde ogni distinzione tra eccedenze strutturali e temporanee, giacché la costante disponibilità della risorsa, assicurata dalla mediazione politica, consentì di offrire copertura anche alle prime126.

In secondo luogo, indicativo di questa relazione fu l’art. 7, c. 3, l. n. 164/1975127 a norma del quale «qualora dall’omessa o tardiva presentazione della domanda derivi a danno dei lavoratori dipendenti la perdita totale o parziale del diritto all’integrazione salariale, l’imprenditore è tenuto a corrispondere ai lavoratori stessi una somma d’importo equivalente all’integrazione salariale non percepita». La norma, che riguardava la CIGO128, ne favorì l’utilizzo a tal punto da non poter non influire sul potere di licenziamento: alcuni interpreti parlarono al proposito di un vero e proprio «divieto di licenziare finché gli interventi siano ammissibili»129, altri dell’esistenza di un obbligo di sospendere i licenziamenti collettivi finché fosse disponibile il ricorso alla CIG130, altri ancora di «una presunzione di illegittimità dei licenziamenti collettivi

123 V. art. 2, c. 2, l. n. 464/1972.

124 V. F. Liso, Il problema della riforma degli ammortizzatori sociali nell’iniziativa del Governo, cit., 107.

125 V. art. 1, l. n. 4646/1927, e in particolare il c. 2 secondo cui la concessione dell’integrazione salariale era disposta per i primi 6 mesi mediante decreto interministeriale e, per i periodi successivi, mediante decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale da adottarsi trimestralmente in relazione all’attuazione dei programmi di ristrutturazione, riorganizzazione e di conversione aziendale.

126 V. F. Liso, Il problema della riforma degli ammortizzatori sociali nell’iniziativa del Governo, cit., 108.

127 Per un primo commento sulla legge cfr. M. Napoli, La nuova legge sul salario garantito: prime riflessioni, in RGL, 1975, I, 379 ss.; M. Miscione, I provvedimenti per la garanzia del salario e il rischio economico, in DL, 1975, I, 395 ss.

128 Cioè la sola integrazione ordinaria per eventi oggettivamente non evitabili o transitori e non imputabili o delle situazioni temporanee di mercato ex art. 1, lett. a), l. n. 164/1975.

129 M. Miscione, Cassa Integrazione e tutela della disoccupazione, cit., 31 e 178 ss.

130 V. F. Liso, Il problema della riforma degli ammortizzatori sociali nell’iniziativa del Governo, cit., 108.

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effettuati in costanza del possibile utilizzo delle integrazioni salariali, in termini di presunzione di inadeguatezza del motivo di riduzione di personale»131 sì da creare «un’area, prima sociale, poi giuridica, di impossibilità del licenziamento collettivo»132.

In altre parole, la CIG divenne progressivamente un sistema integralmente alternativo rispetto a quello dei licenziamenti per riduzione del personale, che diventarono così sostanzialmente “impossibili”133.

Per tale via, si assistette ad un progressivo abbandono dell’originaria vocazione del trattamento di integrazione salariale che, da strumento di finanziamento delle sospensioni di lavoro temporanee, destinato a consentire l’adeguamento degli assetti organizzativi e la reimmissione dei lavoratori nel ciclo produttivo al loro termine, finì per divenire una modalità di conservazione del posto di lavoro nell’attesa del passaggio dall’azienda in cui i lavoratori risultavano eccedenti ad un’altra, senza soluzione di continuità. «La riduzione del personale, in altri termini, era completamente esorcizzata, evocandosene la figura solo al fine di paralizzarne la praticabilità per tutto il tempo in cui fosse stato in funzionamento il meccanismo garantistico del passaggio»134.

Dello stretto legame tra stabilità del salario e del posto di lavoro diedero conto, poi, la l. n. 675/1977 (c.d. legge sulla riconversione industriale) e le successive che la integrarono e modificarono (l. n. 215/1978 di conversione del d.l. n. 80/1978 e l. n. 479/1978 di conversione del d.l. n. 351/1978), le quali delinearono una nuova combinazione normativa tra interventi integrativi del salario, riduzioni del personale e collocamento135. Significative furono, in particolare, l’introduzione della causale CIGS per «specifici casi di crisi aziendale che presentino particolare rilevanza sociale in relazione alla situazione occupazione locale ed alla situazione produttiva del settore»136 con cui fu sancita espressamente la possibilità di utilizzare tale strumento come anticamera del licenziamento137, l’assunzione in capo al Fondo per la mobilità della manodopera138 del contributo addizionale prima a carico delle imprese, la

131 L. Mariucci, Le lacunose rendite del lavoro nero: un conteggio giudiziale, cit., 1388.

132 Ibidem, 1430.

133 V. ancora L. Mariucci, I licenziamenti «impossibili»: crisi aziendale e mobilità del lavoro, cit., 1360 ss.

134 Così F. Liso, La nuova legge sul mercato del lavoro: un primo commento, in LI, 17, 1991, 17.

135 Secondo il giudizio dato da L. Mariucci, Le lacunose rendite del lavoro nero: un conteggio giudiziale, cit., 1390.

136 Art. 2, c. 5, lett. c) l. n. 675/1977.

137 Così F. Liso, Gli ammortizzatori sociali. Percorsi evolutivi e incerte prospettive di riforma, in P. Curzio (a cura di), Ammortizzatori sociali, regole, deroghe, prospettive, Bari, 2009, 19 ss.

138 V. art. 28, l. n. 675/1977, che costituì tale Fondo presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, stabilendone il finanziamento per metà mediante

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configurazione di un nuovo rapporto tra integrazione e trattamento di disoccupazione i cui rispettivi scopi andarono sempre più confondendosi gli uni con gli altri139. Altrettanto significativa fu l’introduzione della sospensione dei licenziamenti per riduzione di personale fino al termine dell’espletamento delle procedure di mobilità (art. 25, c. 7, l. n. 675/1977), che sottopose la libertà di licenziare alla condizione sospensiva che i lavoratori avessero accettato di essere inseriti nel circuito della mobilità e fossero stati avviati al lavoro secondo le apposite graduatorie140 e quindi, in definitiva, alla loro effettiva ricollocazione141.

Il regime di stabilità così istituito diede vita ad una “mobilità da posto a posto” – definita tale per differenziarla dalla mobilità all’interno dell’impresa – in cui la CIGS venne esplicitamente intesa come equivalente funzionale del trattamento di disoccupazione142, in quanto destinata ad operare anche in casi in cui risultava ab origine l’impossibilità di rioccupare i lavoratori nell’azienda di provenienza, con l’evidente intento di evitarne l’ingresso nell’area della disoccupazione totale e di favorirne il passaggio diretto ad altra azienda. In questo modo, più che una tutela della disoccupazione, fu garantita una tutela dell’occupazione nel senso ridotto di promozione della continuità dei rapporti dei lavoratori occupati: alla scarsa attenzione riservata agli interventi istituzionali diretti a incrementare le occasioni di lavoro e l’ingresso di nuove forze nel mercato del lavoro143 si contrappose, infatti, un uso delle integrazioni salariali al servizio dei processi di mobilità guidata che, per il tramite della continuità salariale, collegavano il rapporto di lavoro in fase di estinzione con quello in via di formazione.

Tale processo di assimilazione fu completato da una pluralità di leggi, emanate a partire dal 1976, che estesero l’ambito di applicazione della versamenti a carico del Fondo per la ristrutturazione e riconversione industriale e per l’altra metà a carico della CIG operai dell’industria.

139 Di ciò danno atto disposizioni come l’art. 21, c. 3, l. n. 675/1977 che considerò il periodo di godimento del trattamento di integrazione come anzianità di iscrizione nelle liste di collocamento e l’art. 5, l. n. 215/1978 che consentì il pagamento dell’integrazione direttamente da parte dell’Inps ai lavoratori.

140 In base al processo di mobilità disciplinata dall’art. 25, cc. 1, 3 e 4, l. n. 675/1977.

141 Sul punto si veda la dettagliata ricostruzione offerta da L. Mariucci, op. ult. cit., 1397 ss.

142 In tal senso v. F. Liso, Il nuovo mercato del lavoro, in LI, 14, 1991, 10.

143 Sul punto v. il commento critico relativo ai sistemi di avviamento come strumenti di politica attiva del lavoro di L. Mariucci, Collocamento e tutela del contraente debole, in RGL, 1974, I, 453 ss.; F. Mancini, Sub art. 4, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Roma-Bologna, 1975, 219 ss.; sugli interventi promozionali dell’occupazione per componenti deboli dell’offerta di lavoro, quali ad esempio i giovani v. tra gli altri il commento di G. G. Balandi, La legge sull’occupazione giovanile, Milano, 1978; sull’inidoneità degli strumenti per favorire la legalizzazione del lavoro sommerso v. L. Mariucci, Le lacunose rendite del lavoro nero: un conteggio giudiziale, in RGL, 1979, II.

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CIGS al punto da trasformarla in una misura di mera protezione del reddito svincolata dalla sussistenza di un rapporto di lavoro effettivo, stante il riconoscimento della relativa prestazione anche a favore di soggetti legati all’impresa da rapporti di lavoro fittizi144, e persino a lavoratori in formale stato di disoccupazione145.

Questa logica diffusiva del modello di tutela dell’occupazione e del salario generò una pluralità di statuti protettivi, accordati di volta in volta dal potere politico (mediante atti amministrativi di concessione della CIG o dei trattamenti di disoccupazione speciali) o dal potere legislativo (mediante atti legislativi di proroga dei trattamenti). Così, sul finire degli anni ‘70 furono prospettate le prime istanze per una riforma globale del sistema degli ammortizzatori sociali volte ad arginare, nell’ambito di un disegno organico, la deriva assistenzialistica che aveva dato origine ad un «sistema fortemente balcanizzato di protezione del reddito dei lavoratori, dove la protezione» veniva «differenziata per segmenti creati in funzione della forza che i singoli gruppi sono riusciti ad esprimere sul mercato politico»146.

Rimasta, tuttavia, irrealizzata l’auspicata riforma sistematica degli ammortizzatori sociali, nel corso degli anni ‘80 furono adottati provvedimenti alluvionali che, motivati di frequente da esigenze di contenimento o riduzione dell’impegno finanziario pubblico, si sono di

144 A tal proposito vanno ricordati i casi delle c.d. “società scatola” Gepi (l. n. 184/1971 e l. n. 62/1976) e Insar (d.l. n. 721/1981 conv. in l. n. 25/1982), cioè aziende non operative sul piano economico, ma autorizzate ad assumere fittiziamente i lavoratori in esubero presso altre aziende, al solo fine di consentire loro di conservare il rapporto lavorativo e di percepire il trattamento CIGS, pur in presenza di situazioni occupazionali non più recuperabili; gli interventi della Gepi e dell’Insar furono ulteriormente reiterati nel tempo da numerosi provvedimenti, l’ultimo dei quali fu il d.l. n. 39/1996, non convertito in legge, ma i cui effetti furono fatti salvi dalla l. n. 69/1996; sul punto v. S. Renga, Mercato del lavoro e diritto, Milano, 1996, 135 ss.; G. Minervini, Riflessioni in tema di composizione della crisi dell’impresa industriale, in D&D, 1980, 759.

145 La c.d. Legge Taranto (l. n. 501/1977) attribuì l’integrazione salariale straordinaria anche a soggetti il cui stato di occupazione non fu neppure dissimulato a livello giuridico, purché ricompresi nelle aree del Mezzogiorno nelle quali si fosse verificato uno stato di grave crisi dell’occupazione in conseguenza dell’avvenuto completamento di impianti industriali, di opere pubbliche di grandi dimensioni e di lavori relativi a programmi comunque finanziati in tutto o in parte con fondi statali, e nelle quali sussistano possibilità di occupazione derivanti da investimenti pubblici e purché si fossero resi disponibili a seguito del completamento delle opere suddette (art. 1, l. n. 501/1977, poi sostituito dall’art. 6, l. n. 36/1979); similmente diretti a soggetti disoccupati furono i provvedimenti di concessione delle integrazioni salariali a favore di dipendenti di aziende fallite i cui licenziamenti furono fittiziamente sospesi (art. l. n. 301/1979) e dei lavoratori di aziende sottoposte ad amministrazione straordinaria (art. 2, l. n. 143/1985).

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fatto risolti in progetti per lo più senza esito147. Così, già il c.d. accordo Scotti del 1983148 ed il successivo protocollo c.d. di S. Valentino del 1984 sottoscritti da Governo e parti sociali indicarono, tra le misure da adottare, la fissazione di periodi massimi di godimento delle prestazioni di CIG, le riduzioni progressive dell’indennità, la previsione dei casi di decadenza dal diritto alle prestazioni di CIGS e di disoccupazione speciale, l’utilizzo dei contratti di solidarietà, anche espansivi.

Nell’ambito della CIGS, si ebbe un inasprimento dei requisiti di accesso, con l’eliminazione della causale per crisi economiche settoriali e locali149, e ad una riduzione del quantum riconosciuto, attraverso la previsione di un tetto massimo dell’indennità150.

Sul versante dei trattamenti di disoccupazione, l’intervento fu, invece, di segno contrario: il quantum della prestazione ordinaria fu portato da