3.3 La comunicazione politica in Italia
3.3.2 Renzi e il rinnovamento del PD
L’ossessione per Berlusconi fu particolarmente acuta nel PD e in particolar modo nei discor- si di Veltroni e Bersani, che non riescono a dare al PD un volto e soprattutto un linguaggio
nuovo. Nel tentativo di non fare mai il nome di Berlusconi, Veltroni ricorre a lunghe perifrasi che hanno l’effetto di attirare ancora di pi`u l’attenzione sul leader avversario (“il principale esponente dello schieramento a noi avverso”).
Lo sbaglio di Pier Luigi Bersani `e invece quello di proporre da un lato un’immagine ingigantita di Berlusconi (“Ha avuto tutto in mano, ha fatto tutto quello che voleva”) e dall’altro un’auto- rappresentazione negativa e perdente. L’efficacia del suo discorso `e ulteriormente indebolita dall’uso di un linguaggio che oscilla fra due estremi poco amalgamati tra loro: burocratese e verbosit`a da un lato (“sar`a finalmente ora di dire”) e turpiloquio gratuito e privo di impatto emotivo dall’altro (Cosenza, 2012).
L’eccezione alla comunicazione politica poco riuscita del centrosinistra `e costituita da Mat- teo Renzi. Al contrario dei suoi predecessori, Renzi `e infatti riuscito a liberarsi dell’onnipre- sente ombra di Berlusconi e a seguire il consiglio di Lakoff (2004): creare una narrazione in- novativa e credibile, senza doversi affidare ai frame degli avversari.
Matteo Renzi inizia la sua carriera politica nel 1999, quando viene eletto segretario provincia- le del Partito popolare a Firenze, per diventare nel 2013 segretario del Partito Democratico e l’anno successivo presidente del consiglio.
Come Berlusconi, Renzi adotta un registro linguistico informale con una espressivit`a vicina al colloquialismo. Non a caso, nei suoi discorsi prevalgono frasi brevi e semplici che riescono a catturare l’attenzione degli interlocutori. L’identificazione con l’elettorato viene assicurata da un linguaggio figurato d’effetto e sempre comprensibile, perch´e pieno di immagini legate agli interessi degli italiani. Nel presentare l’organizzazione del partito, Renzi usa ad esempio la metafora sportiva della squadra e dei giocatori coordinati da un capitano: “Stiamo cambiando i giocatori; se mi avete dato la fascia di capitano, io non far`o passare giorno senza lottare su ogni pallone” (Di Cuia, 2014).
La strategia comunicativa renziana si concentra attorno al nucleo tematico del “nuovo”: il suo progetto non `e solo di distruzione delle vecchie e cattive istituzioni, ma anche di costru- zione di una nuova realt`a e di un nuovo modo di fare politica. Renzi individua un contesto di stallo in cui l’Italia, gi`a segnata dalla crisi economica, `e rappresentata da una classe politi- ca troppo occupata a salvaguardare la propria posizione per prestare ascolto ai bisogni e alle richieste dei cittadini. In un’intervista del 2010 Renzi, allora sindaco di Firenze al primo man-
dato, introduce per la prima volta la metafora della “rottamazione”: “Non faccio distinzioni tra D’Alema, Veltroni, Bersani… Basta. `E il momento della rottamazione. Senza incentivi” (La Repubblica, 29/08/2010). Intorno a questa metafora egli crea un discorso basato sulla contrap- posizione dicotomica tra vecchio e nuovo, noi e loro, giovani e vecchi. Nonostante questa fase si concluda con la sconfitta delle primarie, nell’immaginario collettivo italiano Renzi mantiene il ruolo di “rottamatore”.
Ad essere rottamate sono anche alcune strategie comunicative tipiche della vecchia classe poli- tica, come la tendenza alla demonizzazione dell’avversario politico, che Renzi supera basando la propria costruzione programmatica e narrativa sull’attacco dell’altro (Corsi, 2014). Inno- vativa `e dunque la posizione che egli assume nei confronti di Berlusconi: il leader del PD si allontana dall’antiberlusconismo antropologico che per vent’anni aveva caratterizzato il pa- norama del centrosinistra italiano e considera il Cavaliere un avversario politico da battere attraverso la proposta di idee concrete e efficaci (“Se Berlusconi dovesse ricandidarsi, noi non dobbiamo riproporre l’antiberlusconismo: io dico no alla logica del nemico, dobbiamo parlare di noi e dei nostri programmi”).
D’altra parte, il modo di far politica di Renzi ha molti punti in comune con quello di Berlu- sconi, a cominciare dalla tendenza a mettere in primo piano la propria personalit`a e le proprie capacit`a comunicative. Ad accomunare i due leader `e inoltre il fatto di essersi proposti in due momenti diversi ma comunque difficili per la politica del paese, presentandosi come soluzione ad ogni problema.
Tra gli elementi di distanza va invece ricordata la diversa modalit`a di autorappresentazione nei due storytelling, che per il resto sono del tutto simili. Entrambe le narrazioni ruotano infatti attorno alla lotta per scongiurare un pericolo imminente: da un lato troviamo la democrazia minacciata dalle forze illiberali, dall’altro la necessit`a di rinnovare l’apparato istituzionale di un Paese altrimenti condannato alla stagnazione. In entrambi i casi vi `e l’identificazione di un nemico al quale attribuire le colpe: mentre per Berlusconi si tratta dei comunisti, Renzi par- la dei “gufi”, metafora che comprende tutti coloro che si mostrano refrattari al cambiamento perch´e troppo ancorati alle vecchie tradizioni. In questo contesto narrativo, l’immagine che Berlusconi e Renzi propongono di s´e stessi `e tuttavia molto diversa: il primo `e l’imprenditore che col suo successo e il suo carisma riesce ad affascinare e persuadere milioni di elettori. Il
secondo `e invece un politico di professione che si muove in nome del ricambio generazionale. Diverso `e anche il rapporto dei due politici con il proprio partito: forte delle risorse finanziare e dell’aiuto di professionisti del marketing, Berlusconi ha dato vita alla prima manifestazione di partito personale, con una leadership talmente forte da oscurare gli altri membri. Al con- trario di Berlusconi, Renzi non ha fondato un partito ma l’ha scalato, “rottamando” una classe dirigente consolidata e politicamente distante (Scoma, 2016).
Nonostante le sue abilit`a comunicative, anche Renzi `e caduto pi`u volte nell’“errore dell’ele- fante” (Cosenza, 2018). Un primo esempio riguarda l’ambiguit`a del leader circa l’idea del M5S di introdurre un “reddito di cittadinanza”: se in un primo momento Renzi mantiene un atteg- giamento critico, definendo la proposta incostituzionale e rivendicando il “diritto al lavoro”, nel 2015 cambia opinione e addirittura introduce qualcosa di simile nel proprio programma. Come abbiamo visto, adottare i termini e le posizioni degli avversari politici pu`o rivelarsi una mossa rischiosa, perch´e li rinforza e li legittima.
In un’altra occasione, sui canali social del Partito Democratico venne pubblicato, con la firma di Matteo Renzi, il seguente post sul tema dell’immigrazione: “Noi non abbiamo il dovere mo- rale di accoglierli, ripetiamocelo. Ma abbiamo il dovere morale di aiutarli. E di aiutarli davvero a casa loro”. Questa affermazione riprende e cita quasi alla lettera una delle frasi tormentone del centrodestra e della destra estrema italiana (“Aiutiamoli a casa loro”). L’aggiornamento venne rimosso dopo poco tempo ma offr`ı al leader della Lega Salvini l’occasione di rinforza- re le proprie posizioni, ripostando la frase renziana con un commento ironico (“Grazie per il lavoro! PS. Scegli l’originale!”).
La cattiva gestione del Referendum costituzionale, il cui fallimento ha determinato la fi- ne del suo governo, `e certamente l’errore pi`u grave e denso di conseguenze per Renzi. Il 4 dicembre 2016 l’Italia `e stata chiamata ad esprimersi sulla riforma della Costituzione firmata dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi e dal ministro per le Riforme e i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi. La parte centrale della riforma consisteva nella modifica della composizione del Senato e mirava alla fine del bicameralismo perfetto.
Per quanto riguarda la promozione attraverso i media, la strategia comunicativa renziana ha seguito un preciso schema di presentazione dei temi, finalizzato a convincere e quindi conqui- stare il consenso degli elettori: da un lato, venivano evidenziati i problemi della Costituzione e
dello stato italiano, mentre dall’altro gli emendamenti erano presentati come soluzioni neces- sarie. In particolare, ponendo l’accento sugli sprechi e sull’inefficienza del sistema governativo, la riforma doveva essere la svolta originale che avrebbe migliorato l’organizzazione dell’appa- rato istituzionale italiano.
Un problema connesso alla campagna referendaria `e, secondo Calise (2017), l’uso poco efficace degli strumenti di comunicazione: Renzi ha infatti strutturato la campagna promozionale quasi unicamente sulle apparizioni televisive, trascurando la rete che `e rimasta in mano agli opposi- tori politici. Questa posizione si contrappone a quella di Ventura (2017), secondo la quale Renzi conduce un’intensa campagna postmoderna che lo vede presente in modo significativo non so- lo sul web e sulle reti televisive, ma anche su tutto il territorio italiano con comizi, incontri, dibattiti, nelle piazze, nei teatri e nei cinema. Secondo l’autrice, il punto debole della campa- gna referendaria si trova piuttosto nella narrazione fragile e numerose dichiarazioni dell’ex premier riguardo le sue possibili dimissioni o l’abbandono della politica in caso di sconfitta.
La personalizzazione del referendum si `e svolta in due fasi: in una prima fase, Renzi riven- dica il referendum come un appello al popolo espressamente da lui voluto, per rimarcare la sua responsabilit`a di fronte ai cittadini. Questa strategia `e evidente nelle interviste ai quotidiani italiani dall’inizio del suo governo sino alla fine del mese di giugno (“Se salta la riforma del Senato non salta solo il mio governo: salto io, si chiude la mia storia politica”, Corriere della Sera, 13 marzo 2014). Questa fase si protrae fino alle elezioni di giugno, nelle quali si registra un calo di consensi del Pd che investe anche la popolarit`a personale del premier. Al contem- po si registra anche un mutamento nell’opinione pubblica, con la prevalenza dei contrari alla riforma sui favorevoli.
In questa seconda fase della campagna referendaria, l’abbandono della politica si trasforma in abbandono del governo. Si registra inoltre un cambiamento della narrazione, che diventa una metanarrazione in cui Renzi mostra di voler rendere la riforma autonoma dalla sua persona. In questo senso, Ventura parla di “microstorie” che tuttavia non costituiscono una narrazione coerente e solida come quella dell’eroe rinnovatore che prende su di s´e ogni responsabilit`a: tra di queste la studiosa cita la neutralizzazione dell’iniziativa referendaria (“Non ho scelto io di fare il referendum, `e previsto dalla Costituzione”, Corrieredella Sera 12 luglio 2016); il richiamo a una autorit`a politica superiore (“il legame tra questa legislatura e le Riforme costituzionali
nasce dall’impegno del presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano”, Gazzetta del Mezzogiorno, 9 settembre 2016) e il rimpallo di responsabilit`a (“Personalizzare questo referen- dum contro di me `e il desiderio delle opposizioni, non il mio”, la Repubblica, 31 luglio 2016). Tuttavia, la personalizzazione rimane anche quando quel consenso `e gi`a ridimensionato e que- sta costituisce forse una delle cause che ha portato all’esito negativo del referendum: molti concordano sul fatto che la presa di posizione di Renzi ha inevitabilmente trasformato il voto in un test sul governo (Saponaro, 2017).
Secondo Cosenza (2018) lo sbaglio di Renzi `e invece da ricondurre al tipo di comunicazio- ne adottata. Da quando ha attirato l’attenzione mediatica con la metafora della rottamazione, Renzi ha sempre basato la sua strategia comunicativa sulla provocazione. Una volta diventa- to presidente del Consiglio, l’ex premier ha continuato a usare lo stesso stile estremo pieno di metafore d’impatto per rimanere al centro della scena. Di fronte a un quadro politico ormai an- tiquato, il linguaggio immediato di Renzi ha conquistato rapidamente coloro che confidavano nell’idea che una nuova figura carismatica potesse risolvere velocemente i problemi dell’Italia. Il fatto che alle parole non siano seguite le azioni ha determinato la perdita della fiducia e della credibilit`a nei confronti delle promesse di Renzi.
Il progressivo calo del PD nei sondaggi, la sconfitta al referendum costituzionale, le dimissioni da presidente del Consiglio e infine l’uscita dal partito di alcuni membri che non condivido- no la linea politica renziana sarebbero tutte conseguenze di uno stile comunicativo che ha alimentato nell’elettorato speranze poi disattese.