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I frame metaforici su Facebook. Come i politici italiani inquadrano l'attualità attraverso le metafore.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica Corso di Laurea in Linguistica

I frame metaforici su Facebook.

Come i politici italiani “inquadrano” l’attualit `

a attraverso

le metafore.

Relatore:

Prof. Alessandro Lenci

Correlatore:

Prof. Marcella Bertuccelli Papi

Presentata da:

Giulia Giorgi

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Whatever you do, do not think of an elephant. — G. Lakoff

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Indice

1 Introduzione 4

2 Definire i concetti: la metafora e il frame 7

2.1 La metafora . . . 8

2.1.1 La metafora nella storia: tra artificio retorico e strumento cognitivo . . 8

2.1.2 Da TMC a Blending Theory . . . 10

2.2 Il frame . . . 17

2.2.1 Origini ed evoluzione del concetto di frame . . . 17

2.2.2 Frame nella teoria dei media . . . 18

2.2.3 Il confine tra frame e metafora: due fenomeni diversi? . . . 20

2.3 Conclusioni . . . 23

3 La comunicazione politica 24 3.1 Evoluzione della comunicazione politica . . . 25

3.1.1 Le tre ere della comunicazione politica moderna . . . 27

3.1.2 Mediatizzazione della politica e ruolo di Internet . . . 30

3.1.3 L’uso politico dei SNS: il caso di Facebook . . . 34

3.2 Il linguaggio della comunicazione politica online . . . 38

3.2.1 I frame metaforici in politica . . . 41

3.3 La comunicazione politica in Italia . . . 44

3.3.1 La parabola di Silvio Berlusconi . . . 47

3.3.2 Renzi e il rinnovamento del PD . . . 50

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3.4 Conclusioni . . . 59

4 Metodologia 60 4.1 Considerazioni preliminari . . . 60

4.2 Creazione del corpus . . . 64

4.2.1 Recupero dei dati testuali grezzi . . . 65

4.2.2 Estrazione delle espressioni metaforiche . . . 66

4.2.3 Identificazione dei pattern strutturati di PoS . . . 67

4.2.4 EXTra . . . 69

4.2.5 Identificazione delle metafore: MIPVU . . . 70

5 Analisi dei dati e discussione 75 5.1 Analisi quantitativa di “FB.Posts.2016/17”: produttivit`a e creativit`a . . . 77

5.2 Analisi qualitativa di “FB.Posts.2016/17”: le principali aree tematiche . . . 79

5.2.1 La politica interna . . . 83

5.2.2 Politica estera . . . 98

5.2.3 I media . . . 105

5.3 Frame di destra e di sinistra? . . . 106

5.4 Condivisione dei frame . . . 108

5.5 Analisi di “FB.Elezioni.2018” e confronto tra i corpora . . . 111

5.6 Conclusioni . . . 115

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Capitolo 1

Introduzione

La presente ricerca prende le mosse dalle affermazioni di George Lakoff contenute nel libro Don’t Think of an Elephant! (2004). Ispirandosi alla sconfitta del candidato democratico John Kerry alle presidenziali del 2004 negli Stati Uniti, Lakoff illustra il legame che intercorre tra politica, comunicazione e teorie cognitive. Secondo il linguista, ogni parola evoca un frame, ovvero una struttura concettuale usata per organizzare e interpretare il reale. A livello di comunicazione politica, gli attori politici si servono di frame per esprimere l’ideologia e i loro valori morali di riferimento. Le metafore sono gli iniziatori prototipici di frame (Krippendorff, 2017): oltre a semplificare i concetti complessi, si rivelano uno strumento particolarmente adatto alla strutturazione dei miti politici Charteris-Black (2011), grazie alla loro capacit`a di attivare associazioni emotive inconsce che influenzano il giudizio razionale e morale. In questo senso, una metafora pu`o essere in grado di legittimare l’ideologia e la condotta di un leader, ma pu`o anche essere usata per attaccare gli oppositori, mettendo in dubbio la loro moralit`a.

L’indagine di Lakoff mostra come repubblicani e democratici strutturino le loro argomen-tazioni sulla base di modelli metaforici che richiamano due tipi di famiglia diametralmente opposti (il “Modello del Padre Severo” e il “Modello del Genitore Premuroso”). Analizzando la comunicazione politica, il linguista giunge alla conclusione che la vittoria dei repubblicani derivi anche dalla capacit`a di creare un set di frame coerente e dall’aver saputo imporre la propria retorica agli avversari democratici.

Il rischio che i democratici corrono nel condividere i frame repubblicani viene spiegato attraverso un esercizio mentale, in cui viene ordinato di “non pensare all’elefante”. Appena la

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parola “elefante” viene pronunciata, tuttavia, l’ascoltatore pensa involontariamente all’anima-le. Questo dimostra che per evocare un frame basta pronunciare le parole ad esso collegate. Ciascun frame `e infatti associato a un circuito di neuroni cerebrali, che si consolida ogni vol-ta che viene attivato. Usare i frame degli oppositori politici, dunque, li rafforza e rafforza di conseguenza il loro linguaggio e la loro ideologia, legittimandoli.

Sulla base di questa teoria, l’obiettivo della presente ricerca `e quello di verificare l’appli-cabilit`a delle affermazioni di Lakoff alla scena politica italiana. Secondo la nostra ipotesi, la frammentazione del panorama politico nazionale e la presenza di movimenti dichiaratamente apartitici rende inadeguata la bipartizione tra frame di destra e di sinistra operata dal linguista americano.

Al fine di confermare questa idea sono stati esaminati i frame metaforici usati dagli attori politici italiani su Facebook. Il ruolo crescente della rete come luogo del dibattito politico ha portato a individuare nei social network (SN) la risorsa da cui attingere per ricavare il materia-le linguistico. Tra gli altri social media, si `e ritenuto che la piattaforma Facebook possedesse le caratteristiche ottimali per condurre una ricerca di questo tipo (ad esempio, una maggiore estensione dei post rispetto a Twitter). Il campione su cui `e stato creato il corpus comprende 27 pagine di politici italiani, scelti per rilevanza sulla scena politica e sul social network. L’e-sito negativo del Referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 e la conseguente caduta del governo Renzi hanno segnato l’inizio di un momento di intenso dibattito politico, in vista delle nuove elezioni governative. Per questo motivo, si `e scelto di considerare i post prodotti negli otto mesi successivi alla data del Referendum. Una volta ottenuto il corpus, `e stata condotta un’indagine di tipo quantitativo che evidenzia la produttivit`a dei politici e degli schieramenti. L’analisi qualitativa dei dati ha invece lo scopo di individuare i pattern metaforici ricorrenti, gli schemi trasversali di ripresa e condivisione dei frame.

Una ricerca analoga `e stata condotta su un secondo corpus di frame metaforici, raccolti nelle quattro settimane che precedono le elezioni governative. Il confronto tra i due corpora intende catturare gli eventuali cambiamenti a livello di produzione e condivisone dei frame a ridosso del voto.

Sulla base di queste considerazioni, il presente lavoro `e diviso in due parti: la prima intende fornire le premesse teoriche su cui si basa l’indagine, mentre nella seconda vengono presentati

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e commentati i risultati dell’analisi. La parte teorica occupa il secondo e il terzo capitolo. Lo scopo del secondo capitolo `e quello di fornire la definizione di “frame metaforico”, analizzando la letteratura sul concetto di metafora [cf. Sezione 2.1], di frame [cf. Sezione 2.2] e sul rapporto che intercorre tra i fenomeni [cf. Sezione 2.2.3]. Il terzo capitolo ripercorre invece l’evoluzione della comunicazione politica a livello internazionale [cf. Sezione 3.1] e nazionale [cf. Sezione 3.3], con particolare attenzione al ruolo dei nuovi mezzi di informazione [cf. Sezione 3.1.2] e alle strategie retoriche adottate [cf. Sezione 3.2].

I due capitoli successivi sono invece dedicati all’analisi dei dati. Nel quarto capitolo ven-gono esposti i procedimenti attraverso i quali sono stati raccolti [cf. Sezione 4.2.1], selezionati [cf. Sezione 4.2.2] e disambiguati [cf. Sezione 4.2.5] i dati testuali dei due corpora. Il quinto capitolo presenta i risultati dell’analisi quantitativa [cf. Sezione 5.1] e di quella qualitativa [cf. Sezione 5.2]. Il confronto tra i due corpora evidenzia, a distanza di qualche mese, le variazioni nell’uso dei frame metaforici da parte dei politici italiani [cf. Sezione 5.5]. Nelle conclusioni vengono infine discusse alcune problematiche evidenziate durante il lavoro svolto e gli spunti per future indagini.

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Capitolo 2

Definire i concetti: la metafora e il

frame

Nel presente lavoro vengono analizzati i frame metaforici usati sulla piattaforma Facebook da un campione rappresentativo di politici italiani. Prima di illustrare i risultati ottenuti, `e op-portuno precisare il quadro teorico a cui si far`a riferimento, definendo il significato dei due termini chiave: metafora e frame. Questi concetti sono stati e continuano a essere oggetto di studio di ambiti disciplinari molto distanti tra loro, tra cui la linguistica, la sociologia, la psico-logia, l’intelligenza artificiale e la matematica. A seconda della disciplina e del periodo storico in cui sono stati presi in esame, gli studiosi hanno proposto definizioni e teorie esplicative estremamente diverse.

Nonostante la numerosa letteratura a riguardo, si ha l’impressione che i confini tra meta-fora e frame non siano ben definiti e vi sia una certa sovrapposizione tra i due concetti. In questo capitolo, dopo aver brevemente passato in rassegna alcune tra le teorie pi`u influenti sul concetto di metafora [cf. Sezione 2.1] e su quello di frame [cf. Sezione 2.2], si vuole cercare di stabilire se esista una sostanziale differenza tra i due fenomeni o se si tratti di realizzazioni diverse degli stessi processi cognitivi (Fauconnier and Turner, 2008; Krippendorff, 2017). Sulla base di queste premesse viene fornita la definizione di “frame metaforico” [cf. Sezione 2.2.3].

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2.1

La metafora

La diffusione capillare di espressioni metaforiche all’interno del linguaggio quotidiano `e la ma-nifestazione superficiale pi`u evidente dell’importante ruolo svolto dalla metafora nei processi mentali. L’intuizione cognitiva consiste infatti nel riconoscere che l’uomo si serve di metafore per categorizzare e interpretare il mondo (Lakoff and Johnson, 1980). Ancora prima di essere uno strumento linguistico, dunque, la metafora `e uno strumento della mente.

Di origine greca, metaphor´a `e il composto di met´a (originariamente “in mezzo a” e poi per estensione semantica “fra”, “con”, “dietro”, “oltre”) e phor´a (“trasferimento”), derivato di ph´erein(“portare”, “porre”). L’idea del “(tras)portare oltre” costituisce il nucleo semantico del termine e, infatti, il concetto di trasferimento si trova alla base della maggior parte dei modelli teorici esplicativi (Cennamo, 2005).

Gi`a nell’antica Grecia, il fenomeno era oggetto di grande interesse: nella maggior parte degli studi classici la metafora era ritenuta un ornamento stilistico e ad essere analizzati erano soprattutto gli effetti del suo uso in ambito retorico. Gradualmente, il valore gnoseologico della metafora, gi`a messo in luce da Aristotele, venne ad assumere un ruolo di primaria importanza: a partire dalla “svolta cognitiva” (Contini, 2016), la linguistica e le scienze cognitive diventa-no il settore privilegiato per lo studio di questo fediventa-nomediventa-no. Di seguito vengodiventa-no brevemente ripercorse le tappe storiche di tale cambiamento paradigmatico.

2.1.1

La metafora nella storia: tra artificio retorico e strumento

cogni-tivo

Nella retorica classica, la metafora viene essenzialmente considerata un artificio stilistico che turba i canoni classici dell’equilibrio formale (Cennamo, 2005). Il primo a trattare sistematica-mente questo fenomeno fu Aristotele (384-322 a.C.): nel ventunesimo capitolo della Poetica si trova la prima definizione canonica di metafora, descritta come il “trasferimento a un oggetto del nome che `e proprio di un altro per rapporto di analogia” (Poetica, 1457b: Zanatta, 2004). Per metafora si intende dunque un processo di sostituzione tra singole parole, alla cui base sta il riconoscimento di affinit`a tra i concetti. Aristotele indica poi quattro tipologie di trasfe-rimento: dal genere alla specie, dalla specie al genere, da specie a specie e per analogia. Da

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questa ripartizione si nota che Aristotele non opera una vera e propria distinzione tra le varie figure retoriche: la metafora propriamente detta rientra effettivamente solo nella categoria dei trasferimenti per analogia (Cennamo, 2005).

Nella Retorica viene invece sottolineata la portata gnoseologica della metafora, che avreb-be il merito di “portare l’oggetto sotto gli occhi” (Retorica, 1405b: Zanatta, 2004), evidenziando nessi insoliti tra le cose (Eco, 2004). In generale, questa affermazione non viene ripresa da co-loro che ritengono di usare la metafora in senso aristotelico (Guastini, 2004). L’unica eccezione `e costituita da Quintiliano (c. 35-100 d.C.), che considera la metafora `e una similitudo brevior (similitudine abbreviata), in cui un termine viene trasferito dal suo contesto in un altro (Quin-tiliano, 1932). Principalmente usata per esigenze stilistiche, la metafora poteva anche servire a fornire il nome a un concetto che non ne possedeva uno proprio. In questo senso, quindi, le viene attribuito un valore conoscitivo (Eco, 2008).

Dopo Aristotele la funzione della metafora rimane generalmente subordinata alle esigen-ze stilistiche. Questo `e evidente soprattutto nella tradizione medievale, che apprezza il valore ornamentale della metafora ma ne esclude ogni valore gnoseologico. Secondo Eco (2008) la mo-tivazione di tale limitazione sarebbe di ordine teologico: nel Medioevo solo Dio pu`o insegnare qualcosa parlando attraverso le metafore, mentre agli uomini spetta il compito di decifrare il “linguaggio metaforico della creazione” (Eco, 2008).

In epoca rinascimentale e in et`a moderna la metafora continua ad essere studiata dai filo-sofi quale elemento decorativo della lingua, giungendo persino – come nel caso di Hobbes e Locke – a essere ritenuta un inganno linguistico e un ostacolo alla comunicazione. Da questa concezione tradizionale si distacca invece Giambattista Vico, ritenuto ad oggi il precursore del cognitivismo. Vico fu infatti il primo a considerare la metafora uno strumento del pensiero e non solo un elemento stilistico. Nella sua opera Scienza Nuova (Vico, 2013), egli definisce i tropi – e in particolare la metafora – come componenti insite nel pensiero umano. Rispetto ai suoi contemporanei, Vico era convinto che la mente umana fosse strutturata metaforicamente: partendo da questa idea, il filosofo presuppone l’esistenza di una logica poetica che attraver-so i processi metaforici trasforma le esperienze concrete in un sistema concettuale astratto (Cennamo, 2005).

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2016; Cennamo, 2005; Giudice, 2012; Kohl, 2007; J¨akel, 1999). Uno degli approcci pi`u innovativi e influenti `e certamente la Interactive Theory di Richards (1936), secondo cui il significato delle parole non `e fisso, ma determinato dal vissuto dei parlanti e dalla continua transazione di elementi semantici tra un contesto e un altro. In quest’ottica, nelle espressioni metaforiche coesistono due significati: quello di un primo termine, chiamato veicolo, e quello di un secondo termine, chiamato tenore (ad esempio in “l’uomo `e un lupo”, “uomo” `e il veicolo e “lupo” il tenore). Dalla cooperazione tra tenore e veicolo si ottiene un significato del tutto nuovo rispetto a quello dei due elementi interagenti.

Questa concezione viene ripresa da Black (1962), che descrive il processo metaforico co-me l’interazione tra due schemi, e pi`u precisaco-mente la proiezione di uno schema concettuale preesistente su uno nuovo. Riprendendo l’esempio precedente, il significato della metafora “l’uomo `e un lupo” si ottiene attraverso la selezione di determinati tratti abitualmente collega-ti al concetto di lupo e la loro successiva proiezione su quello di uomo. Gli studi di Richards e di Black segnano di fatto il passaggio alle teorie cognitive della metafora. Come evidenziato da Antoniel (2012), la funzione cognitiva della metafora non consiste solo nel mettere in luce determinate caratteristiche di un concetto, ma nel mostrare aspetti di una realt`a che essa stessa concorre a costituire.

Il volume Metaphor and Thought (1979), a cura di Andrew Ortony, raccoglie i contributi del convegno multidisciplinare sulla metafora organizzato nel 1977 dall’Universit`a dell’Illinois, al quale parteciparono numerosi filosofi, psicologi, linguisti e pedagogisti. Il valore gnoseolo-gico della metafora non viene pi`u messo in discussione, ma anzi occupa un posto di rilievo all’interno del panorama scientifico.

L’anno successivo vede la pubblicazione di quello che ancora oggi costituisce il punto di riferimento per tutti gli studi cognitivi sulla metafora: Metaphors We Live By (1980), scritto dal linguista George Lakoff e dal filosofo Mark Johnson.

2.1.2

Da TMC a Blending Theory

In Metaphors We Live By viene introdotta per la prima volta la Teoria della Metafora Concettua-le, o TCM (Lakoff and Johnson, 1980; Johnson, 1987; Lakoff and Johnson, 1999; Lakoff, 2002).

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Alla base di questa teoria si trova l’idea che la natura del sistema concettuale umano sia essen-zialmente metaforica e che, di conseguenza, le metafore facciano parte del modo in cui l’uomo concepisce e vive le esperienze quotidiane. Citando il classico esempio della metafora con-cettuale argument is war (la discussione `e una guerra), i due autori sostengono che ognuno di noi sia abituato a parlare delle discussioni verbali usando il lessico proveniente dal campo semantico della guerra e che addirittura le viva parzialmente come tali. L’essenza della meta-fora sta quindi nell’esperire un concetto nei termini di un altro. Un’importante conseguenza di questa affermazione `e che ogni metafora, mettendo in luce alcuni aspetti di un concetto e nascondendone altri, inevitabilmente influenza l’esperienza umana e, in generale, il modo di pensare e vivere la realt`a. Ad esempio, concepire le discussioni come guerre in cui si vince o si perde pu`o far passare in secondo piano l’aspetto cooperativo del dialogo (Lakoff and Johnson, 1980).

Inoltre, secondo la concezione di embodied mind (mente incarnata), le esperienze senso-riali del corpo vengono utilizzate dalla mente per strutturare concetti pi`u astratti (Lakoff and Johnson, 1999). Nascono in questo modo metafore concettuali come more is up, motivate dal fatto che l’aumento in altezza `e correlato all’aumento della quantit`a, come quando si riempie un bicchiere d’acqua. Grady (1997) avanza dunque l’idea che certe metafore complesse si ba-sino su metafore primarie, a loro volta radicate nelle esperienze sensomotorie comuni a ogni essere umano.

Secondo gli autori della TMC, ciascuna metafora concettuale consiste nella proiezione (mapping) di un target domain (dominio obiettivo) nei termini di un source domain (domi-nio fonte). In questo modo, a partire da una sola metafora concettuale, si ottengono le varie espressioni metaforiche di uso comune. Ad esempio, “risparmiare tempo”, “investire il tem-po” e “sprecare il temtem-po” fanno tutte riferimento alla metafora concettuale tipica della societ`a occidentale time is money (Turner and Lakoff, 1989).

Ne consegue che proprio il linguaggio quotidiano diventa il luogo privilegiato per lo studio delle metafore, data l’alta concentrazione di espressioni metaforiche convenzionali o lessica-lizzate (Casadei, 1996). Lakoff e Johnson dividono queste metafore in due gruppi: il primo comprende le metafore di orientamento e quelle ontologiche, pressoch´e universali perch´e ba-sate su categorie fisiche come la dimensione su/gi`u e la delimitazione dello spazio in regioni

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(es. up is good/down is bad); nel secondo gruppo si trovano invece le metafore strutturali, socialmente determinate e quindi soggette a variazioni interculturali (es. la gi`a citata time is money).

La TMC ha numerosi precursori (J¨akel, 1999). In particolare, l’idea della metafora come col-legamento tra due campi semantici (Sinnbezirke) era gi`a stata avanzata qualche anno prima dal linguista tedesco Harald Weinrich nella sua teoria del Bildfeld (Weinrich, 1976). Anche la ter-minologia per designare i due campi – Bildspender (donatore dell’immagine) e Bildempf¨anger (ricevente dell’immagine) – richiama in parte quella che sar`a adottata da Lakoff e Johnson. Se da un lato tali considerazioni ridimensionano l’originalit`a della TMC, dall’altro rinforzano e legittimano l’enorme impatto che questa teoria ha avuto e continua ad avere nello studio della metafora. La sua importanza `e confermata inoltre dalle numerose critiche ricevute nel corso dei decenni (K¨ovecses, 2008; Gibbs, 2009). Si tratta principalmente di problemi legati alla me-todologia (Pragglejaz, 2007; Steinhart, 2001), alla direzione top-down dell’analisi metaforica (Piirainen and Dobrovolskij, 2005) o alla teoria dell’embodiement (Rakova, 2002).

Per gli scopi della presente analisi `e utile approfondire brevemente la questione di ordine metodologico. Secondo alcuni critici, infatti, gli argomenti presentati a favore della TMC si basano su esempi isolati costruiti dai linguisti, i quali si affidano solo alla propria intuizione nella scelta delle metafore, e che non riflettono dunque il modo in cui i parlanti pensano e si esprimono realmente (Vervaeke and Kennedy, 1996; Pragglejaz, 2007).

Oltre a non specificare i criteri dietro all’individuazione delle metafore, la TMC non spiega come certe espressioni metaforiche siano riconducibili a una determinata metafora concettua-le: ad esempio, la teoria non spiega perch´e l’espressione “ha attaccato ogni punto della mia tesi” faccia riferimento a argument is war piuttosto che disputes are shooting contests (Gibbs, 2017).

Questa lacuna metodologica costituisce uno dei principali motivi di diffidenza nei confron-ti della TMC, perch´e rende la teoria non falsificabile e quindi empiricamente inadeguata. Ogni occorrenza che utilizza una diversa metafora per strutturare un concetto non falsifica la me-tafora concettuale, ma viene semplicemente considerata come prova dell’esistenza di un’altra metafora concettuale (Gibbs, 2009).

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inva-lidano la pratica della TMC. Lo studioso afferma infatti che esistono tre livelli di metafore: un livello sovraindividuale, uno individuale e infine uno subindividuale. Al primo livello si trova-no le espressioni metaforiche decontestualizzate, sulla base della quali i linguisti propongotrova-no intuitivamente le metafore concettuali. Il livello individuale comprende invece le espressioni metaforiche usate dai parlanti in determinati contesti comunicativi. La motivazione, culturale o sensoriale, dietro all’uso delle metafore si riferisce infine all’ultimo livello, quello subindivi-duale. Secondo questa ripartizione, la ricerca sistematica di metafore nel linguaggio naturale proposta dal gruppo Pragglejaz (2007) pertiene al livello individuale. Al contrario, il lavoro svolto finora dai linguisti riguarda il livello sovraindividuale.

Un’altra critica alla TMC riguarda l’assenza di criteri per la specificazione di metafore con-cettuali. Alcuni studi di psicologia e psicolinguistica (Vervaeke and Kennedy, 1996) hanno evidenziato come questa assenza renda la TMC non falsificabile: nel caso della gi`a citata argu-ment is war, ogni espressione metaforica che non rientra in questa metafora concettuale viene considerata come la realizzazione linguistica di un’altra metafora concettuale (es. argument is weighing).

Si avverte dunque l’esigenza di verificare empiricamente le intuizioni dei sostenitori della TMC e, in questo senso, l’utilizzo dei corpora costituisce un importante sviluppo all’interno dell’indagine cognitiva della metafora. L’analisi dei corpora permette infatti di confermare le metafore concettuali proposte dai linguisti e di ricercare i pattern metaforici all’interno di vari contesti, utilizzando criteri affidabili e replicabili. Negli ultimi anni sono stati sviluppati alcuni metodi per il riconoscimento di espressioni metaforiche (Pragglejaz, 2007; Steen et al., 2010), procedure sulle quali torneremo nella sezione dedicata alla metodologia [cf. Sezione 4].

I principi della TMC sono stati messi in discussione da un’altra prospettiva teorica molto influente nella discussione contemporanea sulla metafora: la teoria della pertinenza (Relevance Theory), elaborata da Sperber e Wilson (1986). La teoria della pertinenza riprende la tesi di Paul Grice (1989), secondo cui il successo di un processo comunicativo dipende dal riconoscimento delle intenzioni del locutore. Partendo dal presupposto che i parlanti rispettano il principio di cooperazione (cooperative principle), il mittente inserisce nel messaggio degli indizi – verbali o non verbali – e il destinatario ne inferisce contestualmente il senso inteso. Sperber e Wil-son ipotizzano invece che sia un principio diverso a guidare la comunicazione, sia nella fase

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produttiva sia in quella interpretativa: il principio di pertinenza. Nella comunicazione, l’emit-tente vuole raggiungere un qualche effetto cognitivo nella mente del destinatario, tra cui ad esempio rinforzare o indebolire le convinzioni, aggiungere nuove informazione o modificare quelle gi`a possedute. L’elaborazione di un input e la derivazione di effetti cognitivi richiedono tuttavia un certo sforzo mentale. Affinch´e il parlante decida di spendere energie per elaborare tale input, effetti cognitivi e sforzo di elaborazione devono in qualche modo bilanciarsi.

La pertinenza di un’informazione `e una propriet`a non discreta ma continua: a parit`a di condizioni, maggiori sono gli effetti cognitivi ottenuti e minore lo sforzo richiesto per elabora-re l’input, tanto pi`u alto sar`a la pertinenza di quell’input per il soggetto. Detto in altri termini: un’informazione `e pertinente nella misura in cui merita lo sforzo cognitivo per essere trattata (Wilson and Sperber, 1986)Facebook.2016 Secondo la teoria della pertinenza, dunque, la co-municazione umana `e guidata da due principi: il principio cognitivo di pertinenza, per cui la cognizione umana tende ad essere orientata verso una massimizzazione della pertinenza, e il principio comunicativo di pertinenza, secondo cui l’emittente cercher`a di essere ottimamente pertinente per il proprio destinatario. L’evoluzione del sistema cognitivo ha quindi portato gli esseri umani a massimizzare la pertinenza: se da un lato il ricevente presta attenzione solo agli input pi`u pertinenti, dall’altro l’intenzione del parlante sar`a sempre quella di presentare le informazioni aumentando la loro pertinenza, per catturare l’attenzione dell’ascoltatore.

All’interno di questo quadro teorico si collocano le riflessioni sulla metafora, che non `e con-siderata un fenomeno del pensiero come nella TMC, ma un evento comunicativo. In estrema sintesi, Sperber e Wilson affermano che non ci sia una discontinuit`a tra letteralit`a e metafori-cit`a, ma che la comprensione metaforica si basi sugli stessi meccanismi con cui vengono inter-pretati gli enunciati non metaforici: Per capire le metafore `e dunque sufficiente disporre di un meccanismo inferenziale basato sulla ricerca dell’interpretazione contestualmente pertinente (Mazzone, 2009; Giudice, 2012).

Nonostante le critiche e gli approcci alternativi, la TMC rimane una teoria influente che ha cambiato il modo di concepire la ricerca linguistica sulla metafora e non solo. Contraria-mente al tradizionale approccio generativista, che sostiene l’autonomia del linguaggio rispetto alla mente, la TMC ha infatti contribuito alla nascita della linguistica cognitiva, dimostrando la profonda connessione tra mente, corpo, elementi culturali e strutture linguistiche.

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Biso-gna inoltre aggiungere che molte delle critiche rivolte alla TMC si basano sulle affermazioni contenute in Metaphors We Live By e ignorano le successive rielaborazioni della teoria (Gibbs, 2009).

La raccolta di articoli Conceptual Metaphor Theory: Thirty years after (Fusaroli and Mor-gagni, 2013) illustra gli sviluppi della TMC e in generale dello studio della metafora a circa trent’anni dalla pubblicazione di Metaphors We Live By. Tra i vari contributi emerge quello di Lakoff e Fauconnier sul rapporto tra la Blending Theory (Teoria del Blending, TB d’ora in poi) e la TMC. Nell’articolo vengono ripercorse le tappe evolutive di entrambi i filoni di ricerca, evi-denziando come tra di loro non ci sia alcun conflitto ma, al contrario, una reciproca influenza (Fauconnier and Lakoff, 2013).

Il blending `e un fenomeno mentale proprio di ogni individuo che si attiva in qualunque momento della vita quotidiana. Secondo la definizione di Rossi (2016), il blending consiste nella “co-attivazione di due spazi mentali (input spaces) che proiettano alcuni loro elementi costitutivi e caratteristici a mappare un altro spazio, il blended space, per creare una struttura di senso emergente e del tutto nuova”. Tale processo porta alla creazione di reti neurali integrate tramite procedure di composizione, completamento ed elaborazione di elementi provenienti da vari input. Poich´e il blending agisce a livello inconscio, gran parte del lavoro degli studiosi ha lo scopo di portare alla luce i processi mentali che conducono alla costruzione dei significati. Si tratta dunque di un’analisi top-down che mira a individuare le regole alla base di questo fenomeno.

Al posto dei domini concettuali proposti dalla TMC, la TB considera gli spazi mentali come unit`a di base dell’organizzazione cognitiva umana. Gli spazi mentali dipendono in gran parte dai domini concettuali, nel senso che si tratta di scenari temporanei strutturati sul modello di domini concettuali pre-esistenti. Un esempio esplicativo `e dato dalla metafora qel chirurgo `e un macellaio. Secondo la concezione della TMC, la metafora si spiega presupponendo la proiezione di elementi del dominio fonte “macello” sul dominio obiettivo “chirurgia”: in questo modo si ottengono una serie di corrispondenze binarie come macellaio-chirurgo, mannaia-bisturi e cos`ı via. Il modello proposto della TMC non spiega tuttavia il senso profondo della metafora, ovvero il fatto che il chirurgo `e un incompetente, e perch´e venga usato proprio il macellaio per comunicare tale caratteristica (Grady et al., 1999).

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Secondo la TB, invece, il blend avviene attraverso tre fasi distinte: composition, completion e elaboration. Dopo una prima fase in cui caratteristiche selezionate provenienti da ogni input sono proiettate nel blended space, si procede al completamento dell’immagine creata. La carat-teristica essenziale di questa fase (completion) `e la creazione di contenuti emergenti (emergent content), ovvero contenuti originali che derivano dalla giustapposizione di elementi degli in-put: l’idea di incompetenza del chirurgo appartiene a questi contenuti emergenti. Infine, una volta che si hanno tutti gli elementi a disposizione, siamo in grado di elaborare nella mente uno scenario (elaboration).

Lo scopo principale del blending `e l’Acquisizione della Dimensione Umana (Achieve Hu-man Scale), vale a dire la semplificazione di un concetto per renderlo pi`u huHu-man-friendly (Ros-si, 2016). Un esempio di blending `e dato dall’interfaccia desktop del computer, che ricrea un ambiente simile a quello di una scrivania, dove i file possono essere spostati da una cartella al-l’altra o buttati nel cestino. L’efficacia di questa interfaccia `e evidente, perch´e facilita l’appren-dimento e l’uso del computer da parte dei principianti, richiamandosi a conoscenze pregresse presenti nella mente della maggior parte delle persone (Fauconnier and Turner, 2002).

Dall’esempio appena citato risulta evidente la connessione con il processo metaforico cos`ı come viene descritto da Lakoff e Johnson, ma in TB il livello di complessit`a `e maggiore rispetto alla teoria esposta in Metaphors We Live By: secondo la teoria del blending, l’elaborazione di metafore non `e il risultato di una mappatura unidirezionale tra due domini, ma un processo che coinvolge elaborate reti neuronali integrate e spazi mentali.

Una delle conseguenze fondamentali di questa tesi `e il riconoscimento di una sostanziale identit`a tra alcuni fenomeni cognitivi prima considerati separati: metafore, analogie e frame. Secondo Lakoff e Fauconnier tali fenomeni sono infatti il prodotto degli stessi processi mentali operanti nelle reti integrate (Fauconnier and Turner, 2008). Avremo modo di tornare su questa affermazione nella prossima sezione [cf. Sezione 2.2].

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2.2

Il frame

Analogamente alla metafora, anche per il frame1sono state proposte varie definizioni nel

cor-so degli anni. Prima di esporle, ci sembra significativo osservare che lo stescor-so termine frame (“cornice”) `e usato metaforicamente: secondo una definizione molto ampia, il framing `e infatti il processo di “inquadramento” che traccia i confini tra gli elementi rilevanti di un determi-nato argomento e quelli che invece possono essere tralasciati (Forgione, 2012). All’interno di un contesto comunicativo, il frame riguarda quindi il modo in cui le informazioni vengono organizzate e presentate dall’emittente, in modo tale che il ricevente sia portato a considerarle pi`u rilevanti rispetto ad altre.

2.2.1

Origini ed evoluzione del concetto di frame

A partire dagli anni Settanta il concetto di frame viene introdotto nel dibattito delle scienze sociali, grazie al contributo dello psicologo e sociologo Gregory Bateson (1972). Secondo lo studioso, ogni essere umano si trova sempre, e spesso inconsciamente, in un frame che strut-tura la realt`a in un certo modo. Di conseguenza, dichiarazioni del tipo “questo `e un gioco” sono considerate istruzioni metacomunicative capaci di influenzare l’interpretazione dell’in-tera situazione. Il frame permette quindi di passare da una interpretazione all’altra e, pi`u in generale, da una realt`a all’altra.

Goffman (1974) rielabora questa definizione, individuando tre tipologie di framework: i framework primari, che attribuiscono un significato a una situazione o a una serie di attivit`a, e due modalit`a in cui i framework primari possono essere rielaborati (keying e fabrication). A loro volta, i frame primari si dividono in frame naturali e sociali: i primi si applicano a situa-zioni percepite come non guidate, inanimate e prive di finalit`a (Goffman cita come esempio le previsioni del meteo); i frame sociali, invece, forniscono le basi per la comprensione di eventi motivati dalla volont`a di un agente (l’esempio citato `e una partita a dama). Ai frame primari possono essere aggiunti uno o pi`u livelli di framework secondari, attraverso il procedimento del keying e della fabrication.

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Un punto fondamentale di questa teoria `e che, mentre le azioni sulle quali agiscono solo frame primari sono vere (actually occurring), le azioni rielaborate dai framework secondari sono considerate non reali o non letterali (Goffman, 1974). `E inoltre interessante notare come, durante tali riconfigurazioni, l’azione reale venga presa come modello: in tal modo, ad esempio, giocare a fare la guerra avr`a delle caratteristiche in comune con la guerra vera. Il confine tra le due modalit`a di rielaborazione `e la consapevolezza o inconsapevolezza della finzione da parte del parlante: mentre nel keying i partecipanti sono consapevoli dell’esistenza di un frame, la fabricationli induce ad avere una falsa percezione della situazione e a ritenerla reale.

Questa distinzione `e particolarmente rilevante per la nostra analisi, perch´e implica l’idea che i politici manipolino la realt`a attraverso il linguaggio (Lakoff, 2002). La questione dell’in-tenzionalit`a di tale manipolazione si ricollega a sua volta alla Teoria della Metafora Intenzio-nale (Steen et al., 2015). Prima di trattare questo argomento, tuttavia, `e opportuno analizzare il ruolo dei frame all’interno della teoria dei media.

2.2.2

Frame nella teoria dei media

Forgione (2012) distingue due correnti di pensiero circa la nozione di frame e la sua funzione. Da un lato si collocano i teorici che identificano il framing con l’agenda setting, la teoria se-condo cui i mezzi di comunicazione influenzano il giudizio sull’importanza delle informazioni trasmesse. In altre parole, se un certo tema occupa un posto di rilievo o viene trattato pi`u frequentemente dai media, il pubblico sar`a pi`u propenso ad attribuirgli un certo peso. Viene dunque recuperata la distinzione tra what to think e what to think about, nel senso che i media non avrebbero diretta influenza sulle opinioni del pubblico, ma indirizzerebbero l’attenzione su alcuni argomenti piuttosto che su altri (McCombs and Shaw, 1972). In una successiva rielabo-razione di questa teoria (Ghanem, 1997), viene introdotto un secondo livello di agenda setting: mentre il primo riguarda solo il trasferimento di salienza dall’agenda dei media a quella del pubblico, il secondo livello si riferisce al modo in cui un tema `e trattato dai media, che a sua volta influisce sia sulla salienza sia sull’opinione del pubblico.

Contrapposta a questa visione si trova la tesi che considera il framing e l’agenda setting due processi distinti. Secondo Barisione (2009), il frame avrebbe principalmente un valore co-struzionista, giocando un ruolo primario nella costruzione del significato di un tema o di un

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evento all’interno dei processi comunicativi. In quest’ottica, il termine “frame” viene usato per indicare le “premesse organizzative, i principi di selezione, enfasi, categorizzazione e connes-sione, nonch´e le cornici interpretative, o metacomunicative”. Questa concezione si ricollega alla teoria di Entman (1993), che definisce il framing come la selezione di alcuni aspetti di una questione a scapito di altri, e a quella di (Scheufele, 1999), che inquadra il fenomeno all’interno della teoria degli effetti dei frame nella fruizione dei media.

Anche Scheufele e Tewksbury (2006) sottolineano l’importanza di mantenere distinti il fra-ming e l’agenda setting. Secondo gli studiosi, il tentativo di riunire i due termini in un unico concetto deriva dall’originaria definizione di framing come criterio di selezione e salienza delle informazioni (Entman, 1993). Price e Tewksbury (1997) sostengono invece l’idea che il proces-so di inquadramento si basi su un principio di applicabilit`a e che la sua efficacia dipenda dalla possibilit`a di essere applicato a un particolare schema cognitivo pre-esistente nella mente del parlante. In altre parole, la modalit`a usata per presentare l’informazione aumenta le proba-bilit`a che l’informazione venga elaborata usando un particolare schema cognitivo (Scheufele and Iyengar, 2012). In quest’ottica, il framing non sarebbe connesso all’agenda setting e non avrebbe un effetto persuasivo, ma riguarderebbe solo il modo in cui il pubblico attribuisce un senso all’informazione ricevuta. Inoltre, poich´e culturalmente determinati, i frame sono effi-caci solo se i parlanti condividono le premesse culturali per comprenderli. L’esempio citato da Scheufele e Tewksbury `e l’espressione metaforica three strikes law, una legge statunitense che impone l’obbligo di incarcerare chi abbia commesso almeno tre crimini gravi. Come spiegano gli studiosi, tale metafora produce il massimo effetto di framing su un pubblico che abbia fa-miliarit`a con le leggi del baseball, come appunto quello americano (Scheufele and Tewksbury, 2006).

L’idea che i frame siano indissolubilmente legati alla cultura `e uno dei punti pi`u interes-santi della tesi di Scheufele e Tewksbury, perch´e pone come prerequisito della loro efficacia la condivisione dello stesso immaginario da parte dei parlanti. D’altra parte, per`o, essi negano una qualsiasi influenza dei frame sull’interpretazione del messaggio. Questa idea `e smentita da gran parte dei lavori sugli effetti del framing, che si basano appunto sulla capacit`a dei frame di costruire significati e influenzare le opinioni dei parlanti (Lakoff, 2010, 2002).

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il termine frame e inserire il concetto nell’insieme pi`u ampio dei fenomeni comunicativi, al quale appartengono anche le metafore. Tale proposta `e motivata dal tentativo di recuperare l’originaria definizione di Bateson (1972), secondo cui qualsiasi tipo di istruzione comunica-tiva influenza l’interpretazione del messaggio e la risposta del parlante. Tra queste istruzioni rientrano dunque tutte quegli aspetti – linguistici e non – che forniscono indicazioni su come il destinatario deve recepire il messaggio (Krippendorff inserisce tra gli esempi il layout, l’ab-stract o il titolo di un articolo). In altre parole, dunque, basterebbe analizzare la sequenzialit`a di tali dinamiche (meta)comunicative per spiegare la continua costruzione della realt`a da par-te dei parlanti. La proposta di Krippendorff si ricollega in parpar-te alle conclusioni raggiunpar-te dai teorici della blending theory (Fauconnier and Turner, 2008), che considerano fenomeni come il frame e la metafora i prodotti degli stessi processi mentali.

Pur condividendo la tesi di Krippendorff, si ritiene che la scelta di eliminare il termine “frame” impoverisca il quadro teorico, privandolo di quell’idea di “inquadramento” sulla quale si basa l’effetto framing. Si tratta di un concetto fondamentale per la presente analisi sul lin-guaggio dei politici: il frame inquadra una situazione mettendo in luce certe caratteristiche e lasciando altre in ombra, favorendo dunque una particolare interpretazione del messaggio da parte degli elettori.

Alla luce di queste affermazioni proponiamo di mantenere il termine frame con un’accezio-ne ampia, defiun’accezio-nendolo come la struttura cognitiva usata in maniera consapevole dal parlante per organizzare un tema all’interno di un contesto comunicativo.

In altre parole, ogni scelta compiuta nel trasmettere un’informazione – a partire dal canale fino agli elementi retorico-stilistici usati – costituisce un frame, da intendersi come la corni-ce entro cui il messaggio viene inquadrato e che inevitabilmente ne condiziona la ricorni-cezione e l’interpretazione da parte del destinatario.

2.2.3

Il confine tra frame e metafora: due fenomeni diversi?

Dopo aver definito singolarmente il frame e la metafora, rimane ancora da stabilire quale le-game intercorra tra i due concetti. Una prima relazione tra di essi era stata individuata dalle teorie interattive della metafora di Richards e Black. La bipartizione terminologica

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tenore-veicolo(Richards, 1936) e, soprattutto, frame-focus (Black, 1962) esplicita infatti l’idea secondo cui l’espressione metaforica acquisisce il proprio significato in relazione alla cornice conte-stuale entro cui si trova. Il merito di queste teorie `e stato proprio quello di mettere in risalto il frame della metafora, qui inteso come dimensione contestuale, in contrasto con la tradizionale concezione che confinava la metafora all’ambito della parola (Casadio, 2009).

Un altro punto di incontro tra i due fenomeni viene evidenziato dalla Teoria della Metafora Concettuale (Lakoff and Johnson, 1980). Come abbiamo visto [cf. Sezione 2.1.2], TMC si basa sull’ipotesi che la mente umana sia strutturata metaforicamente e che, di conseguenza, le me-tafore concettuali guidino il nostro modo di percepire il mondo, di pensare e di agire. Com’`e noto dalla precedente sezione [cf. Sezione 2.2.1], il framing riguarda la modalit`a di organizza-zione e di presentaorganizza-zione delle informazioni, che pu`o influenzare la perceorganizza-zione e il giudizio da parte del destinatario. In questo senso, in linea con le affermazioni di Lakoff (2004), le metafore concettuali comportano un effetto framing, nel senso che “inquadrano” un concetto usando i termini di un altro dominio. Come abbiamo evidenziato nel caso di argument is war, le me-tafore concettuali hanno il potere di inquadrare un tema mettendo in luce certe caratteristiche e oscurandone altre. Di conseguenza, il frame proposto `e portatore di una visione del mondo che influisce sulla percezione della realt`a e sull’opinione dei parlanti. `E inoltre interessante notare come, applicando metafore diverse allo stesso concetto, `e possibile strutturare un tema in vari modi e quindi ottenere effetti framing differenti: si pensi ad esempio alle possibilit`a in-terpretative del concetto di amore, a seconda che si scelga di adottare la metafora concettuale love is war oppure love is a journey. Riassumendo quanto detto finora, metafora e frame si incontrano nel senso che ogni metafora concettuale `e un frame, una cornice che organizza i concetti e fornisce una chiave interpretativa.

Giunti a questa conclusione, `e naturale chiedersi se abbia ancora senso mantenere la distin-zione terminologica tra frame e metafora, come se si trattasse di due fenomeni distinti, o se il primo termine possa essere in qualche modo assorbito dal secondo. Analogamente a quanto `e stato detto a proposito del frame, anche l’eliminazione dell’espressione “metafora concettuale” si rivela una scelta poco funzionale, perch´e comporta la rinuncia alle caratteristiche essenzia-li collegate al concetto di metafora e in particolare all’idea di “trasferimento” di termini tra domini concettuali. Bisogna anche considerare che esistono altri dispositivi linguistici, oltre

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alle metafore, che permettono la realizzazione dell’effetto framing, ad esempio la grammatica (Fausey and Matlock, 2011)2.

Come abbiamo visto nella sezione precedente [cf. Sezione 2.1.2] la proposta dei teorici della teoria del blending (Fauconnier and Turner, 2008) consiste nel considerare la metafora e il frame due diverse realizzazioni degli stessi processi cognitivi. In questo senso, pur rico-noscendo una sostanziale identit`a dei meccanismi mentali soggiacenti ai due fenomeni, viene mantenuta la distinzione terminologica.

Alla luce di queste considerazioni, proponiamo di conservare entrambi i termini e di rife-rirci all’oggetto della nostra indagine con l’espressione “frame metaforico”. Il frame metaforico `e dunque un dispositivo cognitivo che scaturisce da una metafora concettuale e permette l’in-quadramento di un tema, fornendo anche una chiave di lettura. Un esempio che sar`a ripreso e approfondito nel prossimo capitolo [cf. Sezione 3.2.1] `e dato dal frame metaforico the nation is a family, che paragona lo stato a una famiglia in cui le istituzioni politiche svolgono il ruolo di genitori e i cittadini quello di figli. L’idea espressa da Lakoff (2004) `e che i leader democratici e repubblicani abbiano una diversa concezione di famiglia e impieghino questa metafora per spiegare le loro scelte e il loro programma politico agli elettori.

Secondo Krippendorff (2017) le metafore sono iniziatori prototipici dell’effetto framing. L’ipotesi di partenza del presente lavoro `e che i politici siano consapevoli del potere evocativo delle metafore e che le inseriscano strategicamente nel discorso, al fine di influenzare l’opi-nione pubblica. Questa idea si ricollega alla recente e molto dibattuta Teoria della Metafora Intenzionale (Deliberate Metaphor Theory o DMT), sviluppata da Steen (Steen et al., 2015), che opera una distinzione tra le metafore consapevolmente presentate come tali al destinatario e quelle usate come materiale linguistico disponibile per esprimere un concetto. Alla base di questo approccio si trova l’idea che i parlanti riflettano sui processi di produzione e decidano di usare intenzionalmente una metafora, dimostrando un certo grado di consapevolezza metalin-guistica (Steen et al., 2015). Se tale ipotesi fosse confermata, DMT potrebbe cambiare il modo

2I risultati dello studio condotto da Fausey e Matlock (2011) suggeriscono che il giudizio degli elettori viene

influenzato dall’aspetto verbale con cui le passate azioni dei candidati vengono espresse. Nello specifico, viene dimostrato che i cittadini sono pi`u sensibili all’aspetto imperfettivo e meno propensi a votare un politico se le sue azioni negative passate vengono descritte usando tale aspetto verbale piuttossto che quello perfettivo (ad esempio: He was taking hush money rispetto a He took hush money).

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di concepire e studiare la metafora. Al momento, tuttavia, i suoi sostenitori devono affrontare alcuni punti critici. L’ostacolo pi`u grande `e dato dall’impossibilit`a di stabilire con esattezza fin dove il linguaggio `e usato in maniera conscia dal parlante e quali processi cognitivi siano all’opera durante la produzione e la ricezione di un messaggio (Gibbs, 2015).

Un altro punto problematico di questa teoria, parzialmente risolto da Steen (2017), riguarda la mancanza di un set esaustivo di segnali o marcatori che consentano di distinguere con esat-tezza le metafore intenzionali da quelle non-intenzionali. Quanto all’elaborazione delle meta-fore non-intenzionali, Steen sostiene che esse vengano interpretate in modo diverso rispetto a quelle intenzionali, ossia attraverso un processo di disambiguazione lessicale. Non sembrano tuttavia esserci prove empiriche convincenti a sostegno di questa affermazione (Gibbs, 2015). Nel presente lavoro si suppone che i leader usino consapevolmente i frame metaforici per aumentare il grado di emotivit`a del discorso politico, prerequisito fondamentale per ottenere visibilit`a e consensi. In particolare, si ipotizza una maggiore intenzionalit`a se la metafora pre-senta un certo grado di innovazione. In altre parole, si ritiene che una metafora innovativa (Casadei, 1996) abbia un potere evocativo pi`u alto rispetto a quelle convenzionali e sia inserita con maggiore consapevolezza metalinguistica nel discorso.

2.3

Conclusioni

Riassumendo quanto detto finora, pur concordando con i teorici di TB sulla sostanziale con-vergenza dei processi cognitivi sottostanti, ribadiamo la necessit`a di conservare entrambi i termini “frame” e “metafora”. Inoltre, poich´e il frame non `e sempre basato su una metafora, nel presente lavoro faremo ricorso all’espressione frame metaforico.

Secondo La Mura (2010) ci troviamo in presenza di un frame metaforico quando nel perce-pire una metafora la mente evoca una o pi`u cornici cognitive, realizzando cos`ı una relazione in cui il frame sarebbe il contenitore e la metafora il contenuto. L’azione congiunta di frame e metafora permette dunque la creazione di nuovi schemi concettuali, la cui attivazione, gra-zie alla frequenza d’uso, diventa sempre pi`u automatica e va a costituire il common ground di schemi interpretativi condivisi dai parlanti.

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Capitolo 3

La comunicazione politica

Il modo di concepire e fare comunicazione politica ha subito notevoli cambiamenti nel corso della storia. Secondo Blumler e Kavanagh (1999), nell’ultimo secolo si sono susseguite almeno tre fasi, scandite all’evoluzione dei media e della societ`a. La mediatizzazione e digitalizzazione dell’informazione ha recentemente portato Blumler (2016) ad annunciare l’inizio di una quarta era della comunicazione politica, caratterizzata da una maggiore abbondanza e diversificazio-ne di contenuti rispetto alle precedenti. In particolar modo, la possibilit`a di accedere a Interdiversificazio-net attraverso i telefoni cellulari ha accentuato la frammentazione della sfera pubblica e inasprito la competizione per l’attenzione dei cittadini. Negli ultimi anni l’interesse scientifico si `e foca-lizzato sempre di pi`u sugli effetti connessi all’evoluzione dei nuovi media e sulla loro influenza nel dibattito pubblico.

Questo capitolo `e dedicato alla comunicazione politica e al suo linguaggio, con particolare riferimento ai canali di cui i politici si servono per diffondere il proprio messaggio. La prima sezione [cf. Sezione 3.1] contestualizza storicamente la comunicazione politica, illustrando le principali fasi evolutive che si sono susseguite dal Novecento a oggi [cf. Sezione 3.1.1]. Seguen-do lo sviluppo tecnologico dei mezzi d’informazione [cf. Sezione 3.1.2], viene approfondita la portata innovativa dei Social Network Sites (SNS) nel panorama mediatico contemporaneo e il ruolo di Facebook come strumento di interfaccia diretta tra politici ed elettori [cf. Sezione 3.1.3]. La sezione [cf. Sezione 3.2] si occupa invece di analizzare la retorica della comunicazio-ne politica onlicomunicazio-ne e soprattutto l’uso dei frame metaforici [cf. Seziocomunicazio-ne 3.2.1], oggetto di ricerca del presente lavoro, di cui vengono forniti alcuni esempi sulla base di Lakoff (2002; 2004) e

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Charteris-Black (2009). Successivamente [cf. Sezione 3.3] verr`a analizzata la situazione italia-na, con un breve excursus sulla storia della comunicazione politica dal secondo dopoguerra fino ai giorni nostri. Le sottosezioni [cf. Sezione 3.3.1], [cf. Sezione 3.3.2] e [cf. Sezione 3.3.3] si concentrano infine sullo stile comunicativo di tre personaggi del panorama politico con-temporaneo, le cui cifre stilistiche e retoriche hanno condizionato la comunicazione politica italiana degli ultimi trent’anni: Berlusconi, Renzi e Grillo.

3.1

Evoluzione della comunicazione politica

La difficolt`a nel dare una definizione precisa all’espressione “comunicazione politica” deriva dalla vaghezza e dalla pluralit`a di interpretazioni dei termini che la compongono. In questo la-voro si segue la proposta di McNair (2017), secondo cui nella comunicazione politica rientrano tutte le forme di comunicazione intenzionali riguardanti la politica. Questa definizione non ri-guarda dunque solo la comunicazione verbale ma anche quella visiva e prossemica. Mazzoleni (1998) sottolinea inoltre il carattere interdisciplinare di tale ambito di studi, che sconfina nella sociologia, nella psicologia, fino a giungere alla retorica e al marketing pubblicitario. Secondo lo studioso, la comunicazione politica coinvolge tre attori: le istituzioni politiche, i cittadini e il sistema mediatico. In base ai rapporti che intercorrono tra queste istanze, egli propone una serie modelli esplicativi: il modello “mediatico” prevede ad esempio che l’interazione fra istituzioni politiche e cittadini avvenga nello “spazio pubblico mediatizzato”. In tale contesto, i media forniscono i canali di comunicazione e sono al tempo stesso interlocutori degli altri due attori, condizionando la natura dei loro rapporti e obbligandoli ad adattarsi alla logica della comunicazione di massa. Tale modello, tipico della societ`a moderna e contemporanea, costi-tuisce solo una delle fasi che la comunicazione politica ha attraversato, ognuna con i propri canali di informazione e stili retorici privilegiati.

La nascita del pensiero politico della civilt`a occidentale coincide con il passaggio dal mo-dello organizzativo aristocratico della societ`a a quello democratico della citt`a-stato (polis). In questo periodo storico, databile tra il VII e il VI secolo a.C., il potere si trasferisce dai

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palaz-zi nobiliari allo spapalaz-zio pubblico per eccellenza: la piazza (agor`a), il luogo in cui i cittadini si riuniscono per discutere e deliberare (Valicenti, 2014).

Nell’antica Grecia la retorica, intesa come l’arte del parlare e pi`u specificamente del per-suadere con le parole, era un elemento centrale dell’educazione dell’uomo e oggetto di grande interesse da parte dei filosofi. Gli studi filosofici di quel periodo si focalizzano infatti sul potere persuasivo del linguaggio e sul modo in cui la dialettica regola e definisce i rapporti di forza nella societ`a. Lo studio della retorica era quindi collegato alla principale attivit`a della polis: la politica, ambito in cui le tecniche della retorica e dell’oratoria trovano la loro diretta appli-cazione (Mazzoleni, 1998). Nasce in questo periodo la figura del retore, che aveva il compito di influenzare l’opinione pubblica durante le assemblee, facendo leva sulle proprie capacit`a oratorie. Il potere evocativo del linguaggio figurato veniva sfruttato ampiamente: in generale, i retori attingevano a un repertorio di figure e luoghi comuni pronti all’uso, che costituivano l’unica parte definita del discorso, mentre il resto era lasciato all’improvvisazione (Valicenti, 2014).

Del linguaggio figurato si occupa anche Aristotele nel gi`a menzionato trattato sulla Reto-rica, in cui definisce questa disciplina come la capacit`a di scoprire il possibile mezzo di per-suasione riguardo a qualsiasi argomento (Zanatta, 2004). Aristotele intuisce l’importanza delle emozioni e la loro capacit`a di influenzare i giudizi: per essere persuasivi non basta avere degli argomenti solidi, ma bisogna anche saperli disporre e saper scegliere di volta in volta lo stile pi`u appropriato al contesto per accrescere il pathos dell’esposizione. `E dunque necessario che l’oratore compia delle scelte lessicali attente, ricorrendo anche al lessico poetico e alle figure retoriche.

Durante il periodo repubblicano di Roma i magistrati, eletti dal popolo, adottano le lezioni di dialettica di origine greca e le applicano alla comunicazione nelle campagne elettorali. Tanto nell’antica Grecia quanto a Roma la comunicazione e la propaganda politica avvengono prin-cipalmente per via orale: le piazze e i luoghi pubblici sono i luoghi in cui il popolo si riunisce per ascoltare i discorsi dei candidati.

In epoca premoderna, con la progressiva affermazione di monarchie assolute, l’informazio-ne e la cultura vengono per la maggior parte controllate e cenurate dai governi e dalla Chiesa. Solo dopo la Rivoluzione americana e francese (XIX secolo), e dunque con la rinascita di ideali

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libertari e democratici, si diffonde una forma di giornalismo libero e non pi`u sottoposta alla censura del governo. Si pu`o dunque affermare che la comunicazione politica moderna sia nata nel XX secolo, con la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa (Valicenti, 2014).

3.1.1

Le tre ere della comunicazione politica moderna

Secondo Blumler e Kavanagh (1999), la comunicazione politica occidentale dell’ultimo secolo ha attraversato tre stadi evolutivi che sono sfumati l’uno nell’altro in modo graduale, inte-grando di volta in volta caratteristiche delle fasi precedenti. La prima fase, che si estende dal secondo dopoguerra agli anni Cinquanta, `e caratterizzata da una grande fiducia nelle istitu-zioni politiche, che regolano e controllano l’informazione. I partiti hanno ancora la capacit`a di orientare e aggregare l’opinione dell’elettorato, grazie a una organizzazione capillare che coinvolge sedi decentrate del partito e azioni di volontariato da parte di simpatizzanti. Il di-battito si concentra sui temi cari ai politici stessi, che strutturano il discorso senza particolare attenzione all’immagine o alle tecniche comunicative. Dal momento che pochi cittadini sono in grado di comprendere i temi dell’agenda politica, la preferenza politica viene tendenzial-mente espressa sulla base di identificazioni ideologiche e di partito gi`a presenti. Si parla in quest’epoca di “voto di appartenenza”: la scelta ricade sul partito che per abitudine si `e sempre votato e che anche la famiglia o la cerchia di amici vota.

La fase successiva giunge fino agli anni Ottanta e vede la diffusione della televisione quale mezzo principale della comunicazione politica. In questo secondo stadio, la comunicazione politica segue le regole della televisione e i leader si rivolgono a tutto l’elettorato, cercando di portare dalla loro parte i cittadini indecisi e gli insoddisfatti. Da parte sua, il popolo non vota pi`u in base al senso di appartenenza a un partito, ma secondo il proprio giudizio circa il programma politico proposto: si parla in questo caso di “voto di opinione”. Quanto ai canali di informazione, Cosenza (2018) distingue un uso diretto e uno indiretto della televisione. Nel primo caso essa viene utilizzata direttamente per fare propaganda, ad esempio attraverso spot politici a pagamento. Quando invece i politici si servono delle trasmissioni d’informazione e di intrattenimento popolare per far conoscere il proprio messaggio si parla di uso indiretto del

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Mazzoleni e Sfardini (2009) hanno coniato l’espressione politica pop, per descrivere gli ambiti in cui la comunicazione politica si incontra con le forme della cultura popolare. La trasformazione della comunicazione politica in chiave popolare ha dato origine ai fenome-ni dell’infotainment e del politainment: dall’esigenza di presentare l’informazione politica in formati pi`u leggeri e appetibili per il grande pubblico nascono i talk show, i programmi scan-dalistici e i tabloid. In questa fase, assieme a un maggiore interesse verso l’opinione pubblica e alle sue variazioni, si presta particolare cura e attenzione agli interventi pubblici degli attori politici. L’uso massiccio del mezzo televisivo contribuisce infatti al fenomeno della persona-lizzazione della politica: al centro della scena mediatica si trova il leader, la cui immagine e le cui parole devono essere estremamente curate. Cresce di conseguenza il ruolo degli esper-ti, che valutano l’efficacia comunicativa dei discorsi prima che questi vengano pronunciati (Mazzoleni, 1998).

Nella terza fase della comunicazione politica, che ha inizio negli anni Novanta, si assiste alla proliferazione e alla diffusione capillare dei mezzi di comunicazione: ricchezza e velocit`a dell’informazione sono le parole chiave di questo periodo. La comunicazione post-moderna coincide con il parziale declino del monopolio della televisione, il cui primato viene insidiato dalla comparsa di nuove tecnologie quali la TV via cavo, il digitale terrestre e soprattutto Internet. Man mano che la cultura digitale si diffonde, il mezzo televisivo perde la sua centralit`a in favore di una vasta scelta di canali attraverso cui il politico pu`o entrare in contatto con i cittadini: siti web del partito, blog personali, profili o pagine sui SNS.

In un sistema comunicativo cos`ı differenziato e sempre pi`u esigente, diventa ancora pi`u indispensabile saper pianificare gli interventi pubblici e le campagne elettorali nei minimi det-tagli. Anche queste ultime hanno subito una notevole evoluzione nel corso dei secoli: mentre un tempo la propaganda era svolta a livello locale da organi di informazione di parte, dopo il boom televisivo la gestione della comunicazione `e sempre pi`u in mano a figure professionali e mira a conquistare il voto degli elettori indecisi. Tra le particolarit`a delle campagne elettorali moderne Mazzoleni (1998) annovera: il carattere spettacolare e drammatico finalizzato a col-pire l’opinione pubblica; il potere e l’influenza dei media sugli elettori e quindi sull’esito elet-torale e infine il concetto di “mercato eletelet-torale”, in cui la domanda dei cittadini-consumatori si incontra con l’offerta dei partiti-imprenditori. La costante esposizione mediatica ha infatti

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portato alla mercificazione dell’immagine del leader e della proposta politica, trattata come un prodotto da vendere. La trasformazione del politico in brand riguarda dunque l’adozione di tecniche di marketing, volte a creare un’immagine del leader coerente, positiva e che ispiri fiducia nell’elettorato. Queste caratteristiche della comunicazione politica pervadono anche i normali periodi di legislatura, tanto che si parla di un clima di “campagna elettorale per-manente” (Blumenthal, 1982). Di conseguenza, la figura del leader si trova costantemente al centro dell’attenzione mediatica: notizie sulla vita privata, i difetti e gli scandali sembrano avere tanto rilievo quanto quelle riguardanti le azioni politiche. La spettacolarizzazione della comunicazione politica influenza il modo in cui il politico si presenta e si esprime, ovvero la sua immagine e il suo linguaggio.

Nell’era della campagna permanente, i media mantengono dunque i loro riflettori puntati sul dibattito politico e sui principali attori. La spasmodica attenzione per la dimensione privata ha dato origine al fenomeno della “politicizzazione” della vita dei politici (Cosenza, 2012). Di fatto, il leader delle democrazie occidentali viene trattato a tutti gli effetti come una celebrit`a e al pari di queste deve dimostrare la propria abilit`a nel rapportarsi ai mezzi di comunicazione, modellando il proprio messaggio sulla base delle regole che li governano (Ciaglia et al., 2014). La commercializzazione dei mezzi di comunicazione politica ha inoltre inasprito la competi-zione per la conquista del pubblico e inaugurato una selvaggia caccia alla notizia: Blumler e Kavanagh (1999) parlano a questo proposito di una “feeding frenzy” dei giornalisti che investe i politici, a cui viene chiesta una risposta praticamente contemporanea alla pubblicazione della notizia stessa.

Bisogna infine aggiungere che, a partire dalla seconda fase della comunicazione politica, l’agenda setting dei media `e spesso influenzata dalle preferenze dei giornalisti o di chi controlla il mezzo di informazione. I media non sono dunque fonti di notizie imparziali ma fornitori di frame, ossia di chiavi di lettura: ci`o che trasmettono `e infatti intriso di emozioni, giudizi e visioni del mondo. Kahneman e Tversky (1981) definiscono in questo senso l’“effetto framing” come l’impatto del frame sull’interpretazione soggettiva delle informazioni. In particolare, con l’espressione media frames (Scheufele, 1999) ci si riferisce alle cornici interpretative costruite dai media, che ne riflettono l’ideologia, le opinioni e gli interessi. Le notizie cos`ı “incorniciate” vengono trasmesse al pubblico e quindi rielaborate a livello individuale secondo gli schemi

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cognitivi dei soggetti (audience frames).

Tanto nella seconda quanto nella terza fase della comunicazione politica, lo spazio in cui si svolge il dibattito `e costituito dai media, ai quali i cittadini si affidano per informarsi: di con-seguenza, quello che non esiste nei media automaticamente non esiste nella mente collettiva. Poich´e il riconoscimento e la legittimazione di un nuovo attore politico passa necessariamen-te per i canali mediatici, una delle armi pi`u ponecessariamen-tenti offernecessariamen-te dai media `e proprio la possibilit`a di danneggiare gli avversari. Credibilit`a e fiducia del candidato sono infatti i criteri su cui si basa il voto elettorale: cercare informazioni compromettenti o addirittura fabbricarle ad hoc (fake news) `e diventata prassi abituale, specialmente durante le campagne elettorali (Castells, 2007). Secondo Patterson (1996), l’aumento delle “campaign controversies”, ossia i temi che ri-guardano la dimensione agonistica delle campagne elettorali, `e un chiaro indice dell’invasione dei media nel discorso politico. In altre parole, la personalizzazione della politica implica una comunicazione all’insegna dello scontro tra persone piuttosto che della battaglia sui temi.

Oltre a quanto detto finora, a partire dalla seconda fase della comunicazione politica, i media hanno anche quello che Mazzoleni (1998) chiama il “potere di agenda”, vale a dire la capacit`a di imporre all’attenzione pubblica determinati temi o problemi piuttosto che altri, per cui diventano di interesse e sono considerati importanti. Questo si ricollega al concetto di me-diatizzazione della politica, che verr`a affrontato nella prossima sezione.

3.1.2

Mediatizzazione della politica e ruolo di Internet

Mediazione e mediatizzazione sono i termini usati per descrivere il rapporto tra comunicazio-ne politica e media durante gli ultimi cinquant’anni. Come puntualizzano Mazzoleni e Schulz (1999), i due termini non sono sinonimi: una politica mediata non implica necessariamente la sua mediatizzazione. Si parla infatti di politica mediata quando i mass media sono il prin-cipale veicolo di informazione tra gli organi politici e i cittadini. In questo senso, i politici si servono di tali canali per comunicare con gli elettori e, di conseguenza, le notizie presentate dai media giocano un ruolo importante nella costruzione dell’opinione pubblica. La mediatiz-zazione indica invece il livello di influenza dei media nella comunicazione politica. Secondo Str¨omb¨ack (2008) la mediatizzazione `e un processo dinamico che comprende almeno quattro

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momenti. Nel primo, i media costituiscono la fonte di informazione politica pi`u importante: a questo livello si parla di mediazione della politica, che secondo lo studioso costituisce dunque solo uno stadio del processo di mediatizzazione. La seconda e la terza fase riguardano, rispet-tivamente, il grado di dipendenza delle istituzioni politiche dai media e il potere decisionale di questi ultimi nei confronti della comunicazione politica. Nell’ultima fase gli attori politici vengono influenzati sempre di pi`u dalla cosiddetta “logica dei media” (media logic). In base alla definizione proposta da Altheide e Snow (1979), le due espressioni “logica dei media” e “logica della politica” si riferiscono al modo in cui l’informazione viene presentata al pubblico. Affermare che la comunicazione politica `e governata dalla logica dei media significa dunque che questi hanno il potere decisionale sull’organizzazione delle notizie.

Nella quarta e ultima fase del processo di mediatizzazione, i valori e la logica dei media colonizzano la politica e ne diventano parte integrante. In altre parole, se nella terza fase i politici si adattano alla logica dei media, nella quarta la adottano. Adottare la logica dei media significa anche adottarne lo stile espressivo e la retorica (Castells, 2007).

Nella precedente sezione si `e affermato che la moderna comunicazione politica poggia su-gli ideali democratici di uguasu-glianza e partecipazione. Secondo alcuni studiosi, la progressiva invasione di campo da parte dei media nella politica avrebbe messo in crisi questi valori demo-cratici, una crisi che si riflette nella crescente perdita di interesse degli elettori nei confronti della politica. La poca affluenza alle urne che da qualche anno si registra in molte democrazie occidentali sarebbe dunque la risposta a un sistema in cui il voto dei cittadini pare non contare pi`u e l’informazione politica sembra manipolata da potenze invisibili.

Mazzoleni e Schulz (1999) criticano l’dea dell’onnipotenza dei media, sostenendo che la loro l’influenza viene sempre controbilanciata dalle forze politiche. Se `e vero che i mezzi di informazione possono influenzare l’opinione pubblica, non esistono tuttavia prove convincenti della presenza di un “partito dei media” (party of the media), ossia un’organizzazione pianificata del consenso politico da parte dei media. La comunicazione politica sta attraversando una fase di profondo mutamento in gran parte delle democrazie liberali: lo sviluppo di nuove tecniche di informazione ha indebolito la tradizionale funzione delle istituzioni politiche di organizzazione del consenso, ma al centro della scena politica stanno ancora i partiti e i loro leader. In altre parole, l’esistenza di una “politica mediatizzata” non implica necessariamente quella di una

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“politica dei media”.

In questo contesto, la rete svolge un ruolo importante nel contrastare la mediatizzazione della comunicazione politica, poich´e offre un’alternativa ai canali tradizionali. Internet rientra infatti nei cosiddetti “nuovi media” (new media), un’espressione con cui la letteratura scien-tifica idenscien-tifica un insieme piuttosto eterogeneo di mezzi di informazione che si sono diffusi dagli inizi del nuovo millennio (Mazzoleni, 1998). Internet `e il nuovo medium per antonoma-sia: si tratta di una rete ad accesso pubblico che connette vari dispositivi a livello mondiale e rappresenta uno dei pi`u potenti mezzi di raccolta e condivisione di contenuti a livello mondiale. L’origine di Internet risale agli anni Sessanta, ma il segmento della rete pi`u conosciuto, il World Wide Web (WWW), nasce all’inizio degli anni Novanta e permette di veicolare contenuti connessi tra loro tramite collegamenti ipertestuali (o link). La diffusione del World Wide Web sancisce il passaggio dal Web 1.0, caratterizzato prevalentemente da siti web statici e senza alcuna possibilit`a di interazione con l’utente, al Web 2.0 (O’Reilly, 2009), basato sull’interazione sito-utente e la creazione di contenuti da parte degli utenti (user-generated content). Il Web 2.0 `e dunque una realt`a in continuo mutamento, che permette a chiunque di contribuire alla sua espansione (Cavallo and Spadoni, 2010).

Dall’inizio degli anni Duemila, l’ingresso dei nuovi media nella dialettica politica ha modi-ficato i rapporti tra gli attori della comunicazione politica. Internet, infatti, permette ai politici di aggirare i filtri dei mezzi d’informazione tradizionali e di comunicare direttamente con gli elettori. Questo ha portato allo sviluppo di nuove tecniche di marketing politico per la pro-mozione dell’immagine. La progressiva affermazione dei social media, infatti, ridimensiona la natura dei processi di spettacolarizzazione, spostando la retorica politica verso i toni del quoti-diano: tramite i social network, il politico va alla ricerca di una relazione sempre pi`u empatica e autentica con l’elettore. In questo senso Barile parla di una nuova idea di branding politi-co, il selfbranding: una pratica che si serve dei social media come strumento di autogestione dell’immagine pubblica del leader, che salta tutti gli intermediari per arrivare direttamente al cittadino (Barile, 2014). La rete riduce inoltre la differenza tra produttori e consumatori di con-tenuti: mentre un tempo la comunicazione era principalmente unidirezionale, con i cittadini relegati al ruolo di passivi destinatari del messaggio politico, adesso ogni utente ha la pos-sibilit`a di intervenire, commentare e condividere le informazioni. Al selfbranding dell’uomo

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