2. Il modello dei Piani di rientro sanitari nella complessa evoluzione legislativa del Sistema sanitario nazionale
2.2. Le riforme legislative degli anni Novanta nella direzione di un regionalismo competitivo
Come più volte è stato evidenziato dalla dottrina più attenta, il secondo grande momento di riforma si è avuto agli inizi degli anni Novanta.
Le riforme, introdotte con il d.lgs. n. 502 del 30 dicembre del 1992 e con il d.lgs. n. 517 del 15 dicembre 1993, hanno modificato in modo sostanziale la disciplina sanitaria ed ha introdotto un sistema teso a valorizzare l’anima regionalista della nostra Costituzione, attribuendo alle Regioni la competenza nella gestione ed erogazione dei servizi sanitari.79 Le due riforme realizzate nel biennio 1992-1993 non hanno escluso il ruolo degli enti locali, pur introducendo la grande innovazione dell’aziendalizzazione e superando l’impostazione basata sugli organismi comunali presenti in precedenza e realizzando le Aziende autonome.80 I
79 Per una riflessione sul tipo di Stato regionale che si realizza in Italia dopo
l’adozione del d.lgs. 502 del 1992 in relazione alla materia sanitaria G. MOR, Il
riordino della sanità nella crisi dello Stato sociale e della Costituzione materiale, in “Le
Regioni”, n. 1, 1994, pp. 957-988.
80 Sul ruolo degli enti locali, tra l’altro, l’articolo 1 del d.lgs. 502 del 1992 sancisce
che la realizzazione del Piano regionale deve avvenire seguendo le disposizioni presenti negli Statuti regionali che in molti casi prevedono il coinvolgimento proprio degli Enti locali. All’articolo 2 co. 2 bis si prevede in merito alla Conferenza permanente sanitaria e socio sanitaria che faccia parte di quest’organismo il Sindaco. All’articolo 3, co. 14, del medesimo provvedimento si prevede che «Nelle unità sanitarie locali il cui ambito territoriale coincide con quello del comune, il sindaco, al fine di corrispondere alle esigenze sanitarie della popolazione, provvede alla definizione, nell'ambito della programmazione regionale, delle linee di indirizzo per l'impostazione programmatica dell'attività,
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due provvedimenti succedono alla legge n. 111 del 1991, che a sua volta aveva già eliminato i comitati di gestione prevedendo al loro posto l’amministratore straordinario delle Unità sanitarie locali, la cui nomina era affidata alla Regione anticipando così l’obiettivo del legislatore di affidare sempre più competenze alle Regioni in materia di organizzazione sanitaria.81
Il decreto legislativo n. 502 del 1992, adottato in forza della legge n. 421 del 23 ottobre 1992,82 è intervenuto modificando profili cruciali dell’organizzazione. Lo spirito del legislatore del tempo è stato quello di voler attribuire un maggiore ruolo alle Regioni, trasformando le U.S.L. in A.S.L (Aziende sanitarie locali) attribuendo carattere di Aziende sia alle strutture territoriali sia ad alcuni ospedali trasformati in Aziende ospedaliere.83
Le precedenti Unità sanitarie locali trasformate in aziende sono state qualificate come enti strumentali della Regione e caratterizzate da
esamina il bilancio pluriennale di previsione ed il bilancio di esercizio e rimette alla regione le relative osservazioni, verifica l'andamento generale dell'attività e contribuisce alla definizione dei piani programmatici trasmettendo le proprie valutazioni e proposte al direttore generale ed alla regione». Più in generale il ruolo del Comune è considerato nell’ottica di una stretta collaborazione con la programmazione della Regione e dunque a questa è affidato il compito di stabilire il grado di partecipazione degli enti locali. Il legislatore sembra aver voluto conferire al Sindaco un ruolo partecipativo rispetto alle decisioni della Regione sul territorio del Comune. Per una riflessione più ampia sulla questione si rinvia alla lettura di G. CARPANI, Il concorso degli enti locali all’esercizio delle competenze regionali, in “Sanità pubblica e privata”, n. 3, 2000, pp.
331-354. Per un’analisi sugli sviluppi più recenti anche in termini di economia gestionale F. LEGA, Lineamenti essenziali e sviluppo recenti del settore e dell’azienda
sanitaria, Egea, Milano, 2013.
81 D. SERVETTI, Servizi Socio-sanitari e intercomunalità. Il caso piemontese op. cit. p. 91
ss.
82 La legge oltre alle modifiche in tema di sanità era volta a razionalizzare il
pubblico impiego e la finanza locale.
83 Bisogna tenere conto del periodo storico in cui tutto questo avviene. Queste
riforme si inseriscono in una modifica anche della pubblica amministrazione e dei rapporti di lavoro con i dipendenti dello Stato (d.lgs. n. 29 del 3 febbraio 1993).
un’ampia autonomia organizzativa e patrimoniale responsabilizzando di molto le scelte assunte da parte della dirigenza di queste.84
Un altro aspetto importante della riforma è rappresentato dal sistema concorrenziale nell’erogazione delle prestazioni sanitarie da parte di strutture pubbliche e private.85 Il legislatore ha tentato di superare un sistema per certi aspetti caratterizzato da una staticità nell’organizzazione gerarchica, per tendere ad uno per quanto possibile flessibile sia in termini di domanda ed offerta, sia in termini di gestione delle risorse disponibili.86
84 Come spiegato dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4484 del 24 agosto del
2007 rispetto «alla configurazione delle aziende sanitarie, merita di essere ricordato, che il decreto legislativo 502/1992 ha istituito le aziende sanitarie con personalità giuridica pubblica e autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale contabile, gestionale e tecnica (art. 3 comma I), per cui l'Azienda sanitaria, non può considerarsi una semplice sommatoria degli enti-usl, trattandosi di un ente distinto ed autonomo»
85 Per una ricostruzione in tal senso nell’evoluzione tra Servizio sanitario
nazionale e strutture private si veda V. MOLASCHI, Tutela della concorrenza, vincoli
di spesa e rapporti tra servizio sanitario nazionale e soggetti privati: una riflessione alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione, nota a: T.A.R. Milano, 29 ottobre 2003, n. 4899, sez. I, in “Foro Amm.”, fasc. 5, 2004, p. 1271; «la legislazione degli anni
1992-1994 tratteggia quindi un sistema “aperto”, in cui, fermo restando il rispetto dei requisiti qualitativi, non vi sono “barriere” all'accesso dei privati. Alla base vi è l'idea che la creazione di un meccanismo competitivo tra soggetti pubblici e privati, tra i quali l'utente possa liberamente scegliere, unitamente alla rigidità del sistema di remunerazione a prestazione per tariffe determinate, possa portare ad una crescita dell'efficienza degli erogatori e dei livelli qualitativi delle prestazioni». In riferimento al rapporto delle strutture sanitarie private e del loro apporto al sistema sanitario in virtù della legge del 1978 si veda F. BASSI, I rapporti tra le unità sanitarie locali e i presidi sanitari privati (case di cura private), in I rapporti tra le U.S.L. e i presidi sanitari ed il sistema delle convenzioni in attuazione della legge di riforma sanitaria, atti del convegno nazionale, Giuffrè, Milano, 1982, p. 63 ss.; C.GALLO, La concorrenza
nell’erogazione dei servizi sanitari e la posizione delle imprese private, in “Sanità pubblica
e privata”, n. 3, 2003, pp. 249-258; G. CORSO, Pubblico e Privato nel sistema sanitario, in P. MAGISTRELLI, G. CORSO, G. FARES, (a cura di), Il diritto alla salute tra
istituzioni e società civile. Atti del Convegno svoltosi il 27 novembre 2008 in Roma presso l'Accademia Nazionale dei Lincei, Giappichelli, Torino, 2009; M. CONTICELLI,
Privato e Pubblico nel Servizio Sanitario, Giuffrè, Milano, 2012, passim.
86 V. RAFTI, Il processo di aziendalizzazione nella sanità attraverso le riforme, in “Sanità
pubblica e privata”, n. 9, 1999, p. 313. Per un’analisi nell’erogazione delle prestazioni sanitarie si veda G. CILIONE, Pubblico e privato nel nuovo sistema di
erogazione delle prestazioni sanitarie assistenziali (in particolare specialistiche ed ospedaliere)
in “Sanità pubblica e privata” n. 1, 2000, pp. 19-83. Nell’evoluzione del rapporto tra pubblico e privato in particolare nello specifico settore dei farmaci A. CARDINI, F. MASSIMINO, I rapporti tra pubblico e privato nel settore sanitario, la
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In una ricostruzione che ha come fil rouge l’inquadramento della legislazione sui Piani di rientro è possibile interpretare le riforme del 1992 e 1993 come un riconoscimento di responsabilità importante nei confronti dei territori. Le scelte legislative assunte sono andate nella direzione di garantire alle Regioni la competenza di assumere le decisioni sull’organizzazione della sanità dando così la possibilità di agire sulla base delle esigenze locali. Il principio è quello per cui più è vicino l’organo che deve assumere la scelta per la risoluzione del problema più efficace può essere la risposta.
La struttura aziendale è completata con il d.lgs. n. 229 del 1999 87 che all’articolo 3 ha, tra l’altro, attribuito autonomia imprenditoriale alle A.S.L.88
La riforma del 1999 ha rappresentato un perfezionamento di quanto avvenuto agli inizi degli anni Novanta, assumendo un ruolo cruciale nella vicenda dei Piani di rientro perché rafforza l’impostazione regionalizzata dell’erogazione dei servizi sanitari già prevista dai due precedenti decreti legislativi sopra citati.89
Il provvedimento ha assunto, rispetto alla riforma del 1978, il carattere di un cambiamento in una direttrice autonomista dell’erogazione dei servizi. Se le riforme degli inizi anni ’90 possono essere lette, rispetto
concorrenza e la dipendenza economica, in “Sanità pubblica e privata”, n. 2, 2000, pp.
209-223.
87 Il decreto legislativo è emanato in attuazione della legge delega n. 419 del 1998
e prende il nome di “Decreto Bindi. Per un’analisi ragionata sulle prime considerazioni dopo l’adozione della legge si veda R. BALDUZZI, La legge n. 419 del 1998 recante delega per la razionalizzazione del servizio sanitario nazionale: prime considerazioni d’insieme, in “Sanità pubblica e privata”, n. 1, 1999, pp. 161-172.
88 Così V. ANTONELLI, L’azienda sanitaria locale: struttura e funzioni, in
“Amministrazione in cammino”, 2010, p. 1.
89 F. TARONI, Tempi moderni, in “Politiche sanitarie”, n. 2, 2011, p. 57, «La riforma
Bindi aveva riconosciuto il carattere confederale ormai definitivamente acquisito dal Ssn indicando la necessità di una funzione nazionale di governo che favorisse la convergenza dello sviluppo dei sistemi territoriali di protezione e promozione della salute, centrata attorno al nuovo concetto dei livelli essenziali di assistenza (Lea)».
all’istituzione del Ssn del 1978, in un’ottica di rottura e cambiamento, il provvedimento di riforma del 1999 deve invece essere interpretato secondo una continuità con l’impianto realizzato con i provvedimenti del 1992 e 1993. Il decreto n. 229 del 1999 presenta un carattere di continuità rispetto all’impianto pensato dal legislatore con le riforme degli inizi anni ’90, ma al tempo stesso è caratterizzato da una forte spirito innovativo. Si pensi, tra l’altro, alle forme di integrazione socio-assistenziali che per la prima volta sono caratterizzate da procedure programmatorie e capaci di incidere fortemente nel metodo di governo del sistema.90 Il d. lgs. n. 229 del 1999 assume un ruolo di grande importanza, quasi al pari della stessa istituzione del Ssn del 1978, perché si è attuata una verifica delle importanti innovazioni avutesi con i provvedimenti degli inizi anni Novanta e si è dato
90 L’espressione è di A. MATTIONI, Le quattro riforme della sanità. Una lettura sinottica
di snodi istituzionali fondamentali, in R. BALDUZZI (a cura di), Trent’anni di Servizio
sanitario nazionale, op. cit., p. 298. Il d.lgs. n. 229 del 1999 può così essere
identificato come a fondamento di una forte integrazione socio-sanitaria attraverso un coinvolgimento del mondo del volontariato, L. FAZZI, Le riforme del Sistema sanitario e il volontariato in C. BOTTARI, F. FOGLIETTA, L. VANDELLI (a cura di), Welfare e servizio sanitario: quali strategie per superare la crisi, Santarcangelo di Romagna Maggioli, 2013, p. 111. Dell’idea per cui il d. lgs. n. 229 del 1999 possa essere intrepretato più che come una razionalizzazione del sistema sanitario come una vera e propria riforma sanitaria al pari di quella del 1978 cfr C. BOTTARI,
Tutela della salute ed organizzazione sanitaria, Giappichelli, Torino, 2000, p. 53.
Ancora sulle conseguenze del volontariato nel Welfare State, V. MARINO CAFERRA, Il volontariato, in Id. (a cura di), Diritti della persona e Stato sociale, Zanichelli, Bologna, 1991. Per una riflessione su quanto previsto dal d.lgs. n. 229 del 1999 in tema di integrazione socio sanitaria, in particolare sul superamento della frattura realizzatasi con i provvedimenti del 1992-1993 si veda D. SERVETTI,
Servizi Socio-Sanitari e intercomunalità. Il caso piemontese, op. cit. Sul tema è intervenuta
la legge n. 328 del 2000 per regolamentare gli aspetti inerenti il quadro socio assistenziale. Per questo si veda E. BALBONI, Il sistema integrato dei servizi sociali:
commento alla legge n. 328 del 2000 e ai provvedimenti attuativi della riforma del Titolo V della Costituzione, Giuffrè, Milano, 2003. Un ambito in cui è possibile registrare la
mancata capacità di alcune Regioni di sfruttare «pienamente la propria potestà normativa». Sintomo di quella scarsa capacità di alcune tra le Regioni ad utilizzare le potenzialità previste dalla legislazione vigente, G. PASTORI, Presentazione, in E.
CODINI, A. FOSSATI, S. A. FREGO LUPPI, (a cura di) Manuale di diritto dei servizi
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avvio ad un processo di ammodernamento del Servizio sanitario nazionale.91
Il d.lgs. n. 229 del 1999 contiene una delle le più importanti novità che hanno una conseguenza per la materia oggetto del presente studio, che è rappresentata dall’introduzione dell’articolo 19-ter nel d.lgs. n. 502 del 1992. La previsione legislativa ha limitato l’autonomia regionale in materia sanitaria, prevedendo l’intervento dello Stato allorquando si dovessero presentare delle disomogeneità sul piano qualitativo nell’erogazione dei servizi e delle carenze strutturali di tipo finanziario. 92 Nell’art. 19-ter è ben presente sia la prospettiva del rispetto dei livelli essenziali a garanzia della tutela della salute sia la necessità di assicurare l’equilibrio finanziario; con una previsione che rappresenta l’introduzione nell’ordinamento dello strumento dei piani di rientro, seppur in forma embrionale.93
91 Così N. DIRINDIN, Diritto alla salute e livelli essenziali di assistenza in “Sanità
pubblica e privata”, n. 7/8, 2000, p. 1015. Rispetto a quanto detto sul tema del rapporto tra il Servizio sanitario nazionale e gli Enti locali all’indomani della riforma del 1992 è necessario evidenziare come la riforma del 1999 abbia modificato in parte i termini della questione, sul punto si veda G. CARPANI,
Comuni e servizio sanitario dopo la riforma del titolo V della Costituzione, in M. RICCA, L. CHIEFFI (a cura di), Il governo della salute, regionalismi e diritti di cittadinanza, Formez, Roma, 2005, p. 121 ss.
92 L’articolo 19-ter è significativamente rubricato «Federalismo sanitario, patto di
stabilità e interventi a garanzia della coesione e dell'efficienza del Servizio sanitario nazionale».
La previsione è quella invece per cui «Sulla base degli indicatori e dei dati definiti ai sensi dell'articolo 28, comma 10, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, il Ministro della sanità, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, determina i valori di riferimento relativi alla utilizzazione dei servizi, ai costi e alla qualità dell'assistenza anche in relazione alle indicazioni della programmazione nazionale e con comparazioni a livello comunitario relativamente ai livelli di assistenza sanitaria, alle articolazioni per aree di offerta e ai parametri per la valutazione dell'efficienza, dell'economicità e della funzionalità della gestione dei servizi sanitari, segnalando alle regioni gli eventuali scostamenti osservati». Sul punto R. BALDUZZI, Un inusitato intreccio di competenze. livelli essenziali e non essenziali, in L. VIOLINI (a cura di) Verso il decentramento delle politiche di welfare, Giuffrè, Milano,
2011, p. 90 ss.
93 L’art. 19-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, prevede che «il Ministro della sanità,
sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, determina i valori di riferimento relativi alla utilizzazione dei servizi, ai costi e alla qualità dell'assistenza anche in relazione alle indicazioni della programmazione nazionale e con comparazioni a livello comunitario relativamente ai livelli di assistenza
La locuzione «federalismo», che è stata utilizzata in quella sede, è assai significativa. Il legislatore dell’epoca è certamente distante dal voler utilizzare quest’espressione ricercando una chiave di lettura federalista del sistema nel suo complesso.94 E’ necessario collocare la previsione nello spirito del tempo e questo permette di capire qual era l’intento ultimo del
sanitaria, alle articolazioni per aree di offerta e ai parametri per la valutazione dell'efficienza, dell’economicità e della funzionalità della gestione dei servizi sanitari, segnalando alle regioni gli eventuali scostamenti osservati. 2. Le regioni, anche avvalendosi del supporto tecnico dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali, procedono ad una ricognizione delle cause di tali scostamenti ed elaborano programmi operativi di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento dei Servizi sanitari regionali, di durata non superiore al triennio. 3. Il Ministro della sanità e la regione interessata stipulano una convenzione redatta sulla, base di uno schema tipo approvato dal Ministro della sanità, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, avente ad oggetto le misure di sostegno al programma operativo di cui al comma 2, i cui eventuali oneri sono posti a carico della quota parte del Fondo sanitario nazionale destinata al perseguimento degli obiettivi del Piano sanitario nazionale, ai sensi dell'articolo 1, comma 34-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. La convenzione: a) stabilisce le modalità per l'erogazione dei finanziamenti per l'attuazione dei programmi operativi secondo stati di avanzamento; b) definisce adeguate forme di monitoraggio degli obiettivi intermedi per ogni stato di avanzamento e le modalità della loro verifica da parte dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali; c) individua forme di penalizzazione e di graduale e progressiva riduzione o dilazione dei finanziamenti per le regioni che non rispettino gli impegni convenzionalmente assunti per il raggiungimento degli obiettivi previsti nei programmi concordati; d) disciplina, nei casi di inerzia regionale nell'adozione nell'attuazione dei programmi concordati, le ipotesi e le forme di intervento del Consiglio dei ministri secondo le procedure e le garanzie di cui all'articolo 2, comma 2-octies».
94 La questione dell’erogazione dell’assistenza sanitaria in rapporto ad una
concezione “federale” dello Stato avendo come termine di paragone quanto previsto dalla Costituzione italiana è affrontata da A. BRANCASI, Uguaglianze e
diseguaglianze nell’assetto finanziario di una repubblica federale, in “Diritto Pubblico”, n.
3, 2002, pp. 909-980. La dottrina in più occasioni si è spesa nello studio volto a delineare le differenze tra lo Stato regionale e lo Stato federale in rapporto alle recenti riforme costituzionali realizzate in Italia ed a quelle in discussione giungendo, lo si condivide, alla considerazione per cui la locuzione di federalismo è spesso stata utilizzata in modo non pertinente ed in chiave propagandistica o demagogica spesso «sbandierata per nascondere interessi localistici che non sanno tenere nella dovuta considerazione le esigenze legate all’unità ed alla indivisibilità della Repubblica», E. BALBONI, Dal federalismo gridato al federalismo
possibile, in E. BINDI, M. PERINI, (a cura di), federalismo e regionalismo, Teoria e prassi
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legislatore. L’idea sottesa al provvedimento è quella di uno Stato regionale capace di garantire alle Regioni l’autonomia necessaria per governare i propri processi di assistenza sanitaria e al tempo stesso di realizzare un sistema di responsabilità politica delle scelte assunte, perseguendo l’obiettivo di una vera responsabilizzazione della politica sanitaria.
La modifica legislativa, che ha introdotto i «programmi operativi di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento dei Servizi sanitari regionali», ha avuto come obiettivo quello di fungere da strumento per verificare se i Servizi sanitari regionali fossero capaci di rispettare i livelli essenziali di assistenza. La peculiarità dell’intervento legislativo per quella che poi sarà l’evoluzione con i Piani di rientro sanitari è rappresentata dal fatto che proprio dal monitoraggio potesse scaturire la necessità di un intervento nei confronti della Regione da parte dello Stato.
A tal proposito, appare meritevole d’interesse mettere in risalto che l’intervento legislativo rappresentato dall’introduzione dell’art. 19-ter era da alcuni commentatori interpretato come un possibile rischio per una spinta centralistica rispetto all’organizzazione autonomista della sanità di stampo regionale.95 Una considerazione, quest’ultima, che non ha tenuto conto della necessità di garantire da parte dello Stato il rispetto della tutela dei principi costituzionali e che l’intervento, in caso di necessità, non è la dimostrazione di una violazione dell’autonomia, ma può anzi rappresentare il mezzo per attuare un’autonomia efficiente, che necessità di alcuni interventi nel corso del tempo.
Il sistema, con il d.lgs. n. 229 del 1999, è stato così rivisitato ed adeguato a quelle che erano le esigenze per meglio garantire il diritto alla tutela della salute.96 La previsione adottata con l’art. 19-ter, rappresenta la
95 Su questo D. SERVETTI, L’ottavo Convegno nazionale di Diritto sanitario – (La sanità
italiana alla prova del federalismo fiscale, – Alessandria, 19 novembre 2010), in
“Amministrazione in Cammino”, 15, maggio, 2011, l’autore riferisce dell’interpretazione di parte della dottrina in riferimento all’art. 19-ter del d.lgs. n. 502 del 1992.
premessa rispetto alle previsioni legislative introdotte con la legge finanziaria per il 2004 in tema di Piani di rientro.
Il criterio che sottostà al provvedimento è quello di valorizzazione della programmazione, per cui le funzioni strumentali di coordinamento delle diverse responsabilità sull’indirizzo e il successivo controllo è affidato ai diversi livelli istituzionali dislocati sul territorio. La responsabilità in quanto individua i compiti e le funzioni secondo un rapporto dialettico che in primo luogo vede interessate le Regioni nell’assumere le scelte che più ritengono idonee per il corretto funzionamento del proprio Sistema sanitario regionale.97
Il filo conduttore dei provvedimenti di riforma è rappresentato dalla necessità di responsabilizzare il territorio nella gestione della sanità. In tal senso è significativo che il d. lgs. n. 229 del 1999 ha affidato la responsabilità della gestione dell’azienda sanitaria locale ad un direttore generale che viene qualificato come - manager - e che risponde in un rapporto fiduciario.98
Gli interrogativi che la dottrina si è posta sul rapporto tra un’impostazione fondata sull’efficienza dei risultati di gestione in termini