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La ripartizione della programmazione, gestione ed erogazione dei servizi sanitari tra i diversi livelli di governo e la correlata tutela del diritto

SUBNAZIONALI NELLA GESTIONE DELLA SANITÀ ALLA LUCE DEI NUOVI MODELLI DI GOVERNANCE:

1. La ripartizione della programmazione, gestione ed erogazione dei servizi sanitari tra i diversi livelli di governo e la correlata tutela del diritto

alla salute

Nei capitoli precedenti sono state approfondite la legislazione nazionale e sovranazionale in materia di disciplina di finanza pubblica, le conseguenze e ricadute delle sempre più stringenti regole finanziarie sul sistema di protezione sociale, con specifico riferimento al diritto alla salute, e la normazione nazionale in materia sanitaria che nel tempo è stata fortemente influenzata e modellata dalle scelte di politica finanziaria adottate a livello europeo e trasposte nell’ordinamento italiano.

Non può essere sottaciuto, a questo punto dell’analisi, il fatto che il predetto intreccio ha creato le condizioni per un ripensamento de facto del tradizionale sistema di riparto delle competenze in materia sanitaria tra le istituzioni nazionali e sovranazionali. Il riassetto delle attribuzioni è talvolta esplicito, anche a seguito di espresse modifiche della legislazione esistente, talaltra “sotterraneo” e si presenta, spesso e volentieri, sotto forma di provvedimenti di soft law, ovvero finanche si manifesta indirettamente mediante l’adozione di norme volte a disciplinare altre materie ma il cui

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effetto riformatore si riverbera sul tradizionale riparto di attribuzioni tra livelli istituzionali.

Come è noto, la governance dei servizi sanitari a livello nazionale è articolata su di uno schema multilivello. I players in gioco sono almeno tre: Stato, Regioni e Aziende sanitarie154. In particolare, a partire dagli anni novanta dello scorso secolo, l’Italia (come anche altri Paesi europei) ha conosciuto una netta stagione di “denazionalizzazione” dello Stato sociale155, ed in particolare del settore sanitario. Le ragioni che hanno spinto verso una sempre più spiccata regionalizzazione e aziendalizzazione dei servizi sanitari sono da ricercare in quella intensa e perdurante fase di crisi fiscale che ha attanagliato l’economia nel corso di quegli anni. L’obiettivo dichiarato di tali interventi riformatori era proprio quello di rendere maggiormente efficiente, efficace e soprattutto sostenibile il sistema del

welfare. Lo Stato nazionale ricorse al modello del coordinamento aperto,

attribuendo così nei fatti un importante ruolo a regioni e aziende sanitarie. Fu, peraltro, proprio in quel contesto che anche a livello europeo si diede vita a forme di coordinamento aperto tra gli Stati nella materia della Politica sociale156.

La stretta fiscale indusse quindi lo Stato a coinvolgere in larga misura le entità sub-nazionali poiché si riteneva che queste ultime fossero maggiormente responsabili sotto il profilo fiscale rispetto allo Stato. Ci si basava sull’idea che un livello di governo viciniore al cittadino si sarebbe comportato in modo più accorto dal punto di vista organizzativo e nella gestione del denaro pubblico.

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I Comuni, che hanno avuto un autonomo peso nelle decisioni di politica sanitaria sino al 1992, hanno oggi perso in gran parte il loro potere di intervento dopo essere stati spogliati della titolarità delle Aziende sanitarie e dopo che il loro ruolo nella programmazione sanitaria era stato messo in secondo piano.

155 Cfr. Scharpf Fritz W. – Schmidt Vivien A., Welfare and work in the open economy, Oxford, Oxford university press, 2000.

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Tale percorso di denazionalizzazione si è svolto lungo due direttrici. Da un lato abbiamo avuto un decentramento delle competenze (dallo Stato alle regioni) che ha condotto all’affermazione delle regioni come livello di governo assegnatario di quasi tutte le competenze in materia sanitaria, sia organizzative che di spesa; d’altro lato, si è assistito ad un parallelo processo di accentramento, come già ricordato, dagli enti locali (i comuni) alle regioni.

Un po’ all’esterno di questo quadro, quasi a far da cornice, si colloca l’Unione europea. In materia sanitaria l’Unione non ha mai avuto un ruolo decisivo e, al contrario, detta materia è sempre stata caratterizzata da uno dei minori tassi di “europeizzazione”157

. Nel corso del tempo, e come si vedrà e cercherà di dimostrare nel prosieguo, l’Unione europea ha però assunto una veste sempre più da protagonista nella fissazione di quell’ambito di coordinamento generale e definizione di standard nel settore sanitario (ovviamente in concorso con gli Stati nazionali) al precipuo scopo di impedire che il processo “selvaggio” di decentramento potesse, e possa, precipitare in forme di eccessiva sperequazione territoriale e, in definitiva, di discriminazione e disuguaglianza nell’erogazione e nell’accesso alle prestazioni sanitarie.

I paesi membri devono infatti confrontarsi con i programmi per la salute elaborati dalle Istituzioni europee, in particolare dalla Commissione, che dettano l’agenda politica di medio e lungo periodo nei quali vengono definiti, tra l’altro, obiettivi e procedure. Va osservato a tal proposito che l’Unione europea sin dalla metà degli anni novanta ha esercitato pienamente le proprie attribuzioni nel campo delle politiche sociali e, nello specifico, in materia sanitaria e di tutela della salute. Come già accennato in precedenza, le competenze della UE nella subietta materia rientrano nel “terzo settore”, ossia tra le competenze di coordinamento e completamento dell’azione di

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Tale costante, anche se leggera, attività ha però permesso di sviluppare sempre più un’idea di politica sanitaria comune. Occorre ricordare che le elaborazioni normative non vincolanti europee in materia sanitaria sono state spesso recepite con favore dagli Stati membri e finanche trasposte a livello organizzativo delle singole entità subnazionali e hanno permesso di tradurre sul piano operativo quelle best practices elaborate dal livello sovranazionale.

Ora, si vedrà in quale modo la rivoluzione nei modelli di governance, sia a livello nazionale che sovranazionale, ha modificato e sta modificando i rapporti di forza tra i diversi livelli istituzionali. Si è innanzi ad un vero e proprio riequilibrio interistituzionale in materia di erogazione delle prestazioni sanitarie e, quindi, in ordine alla protezione del diritto alla salute.

2. Il ribilanciamento verso lo Stato delle competenze in materia sanitaria e