DEL CASOCASORISPETTORISPETTOALLEALLEPRECLUSIONIPRECLUSIONIDELDELPROCESSOPROCESSOCIVILECIVILE
10.1 Le preclusioni nel giudizio in Tribunale
Per la società di servizi Mandataria è opportuno esaminare il regime delle preclusioni processuali vigente nei giudizi radicati avanti il Tribunale. Nel processo civile, infatti, sono previsti termini perentori per le articolazioni istruttorie delle parti.
La fissazione di un termine perentorio per un’attività processuale comporta, una volta scaduto il termine, la preclusione dell’attività processuale medesima, ai sensi dell’art. 153 c.p.c., e quindi la decadenza della parte dal potere di esercitare detta attività.
A tale scopo gli articoli de c.d.c. l'art. 166 Costituzione del convenuto recita: il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, o almeno dieci giorni prima nel caso di abbreviazione di termini a norma del secondo comma dell'articolo 163-bis, ovvero almeno venti giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'articolo 168-bis, quinto comma, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione.
L'art. 167 Comparsa di risposta recita: nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, indicare le proprie generalità e il codice fiscale, i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni.
A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio.Se è omesso o risulta assolutamente incerto l'oggetto o il titolo della domanda riconvenzionale, il giudice, rilevata la nullità, fissa al convenuto un termine perentorio per integrarla. Restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti acquisiti anteriormente
alla integrazione.
Se intende chiamare un terzo in causa, deve farne dichiarazione nella stessa comparsa e provvedere ai sensi dell'articolo 269.
L'art. 269 cpc Chiamata di un terzo in causa[...]: il convenuto che intenda chiamare un terzo in causa deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di risposta e contestualmente chiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'articolo 163-bis. [...]
Nella comparsa di risposta tempestivamente depositata, quindi, il convenuto deve proporre le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio, proporre le eventuali domande riconvenzionali e dichiarare che intende chiamare un terzo in causa.
10.2 Le preclusioni nel giudizio del Tribunale
L’espressione diritto internazionale privato, coniata dal giurista nordamericano Joseph Story Giudice
della Suprema Corte degli Stati Uniti d’America, indica il complesso di norme giuridiche statali che disciplina i rapporti privatistici caratterizzati da elementi di estraneità, ovverosia punti di contatto (cittadinanza, luogo di svolgimento del rapporto, luogo in cui si trovano i beni..) con ordinamenti giuridici stranieri, consentendo di risolvere un possibile concorso di leggi mediante l’individuazione del regime giuridico applicabile alla fattispecie concreta. Ovviamente non può negarsi che i sinistri avvenuti con controparti straniere presentano alcuni dei già citati elementi di estraneità. Sino al 2009 soccorreva l’art. 62 della Legge del 31 maggio 1995 n. 218, titolato obbligazioni nascenti da fatto illecito, il quale stabilisce un duplice criterio per l’individuazione dell’Ordinamento applicabile in via principale il criterio del luogo dell’evento da intendersi lo Stato ove si sono verificate le conseguenze dannose del fatto illecito (Cass. Civ., sez. un., 21 febbraio 2002, n. 2512; Cass. Civ., sez. III, 8 maggio 2002, n. 6591) e
Giurisprudenza rilevante
Articolo 62 Legge 31 maggio 1995 n. 218
La responsabilità per fatto illecito è regolata dalla legge dello Stato in cui si è verificato l'evento. Tuttavia il danneggiato può chiedere l'applicazione della legge dello Stato in cui si è verificato il fatto che ha causato il danno. Qualora il fatto illecito coinvolga soltanto cittadini di un medesimo Stato in esso residenti, si applica la legge di tale Stato.
In via subordinata la volontà del soggetto leso che potrà optare, ovviamente qualora più favorevole, per l’applicazione della Legge del paese ove si è verificato l’evento (Mosconi, Diritto internazionale privato e
processuale, 1997, p. 164).
E’ logico adeguare il ristoro del danno con riferimento ai parametri socio-economici del Paese di residenza anche in considerazione del diverso costo della vita nei vari Stati.Per converso l’art. 62, secondo comma, stabilisce che “qualora il fatto illecito coinvolga soltanto cittadini di un medesimo Stato in esso residenti, si applica la legge di tale Stato”: in altre parole nel caso in cui danneggiante e danneggiato siano cittadini del medesimo Stato e in esso residenti il Giudice italiano dovrà necessariamente, senza alcun potere discrezionale, applicare la Legge di tale Nazione. La citata disposizione ad oggi ha, comunque, una applicazione residuale a seguito della entrata in vigore, nel gennaio 2009, del Regolamento n. 864/2007, denominato Regolamento Roma II, teso a introdurre norme uniformi per la soluzione dei conflitti di leggi in materia di obbligazioni extra-contrattuali. L’intento dichiarato dal Legislatore comunitario è che i Tribunali di tutti gli Stati membri giungano ad applicare la stessa Legge in caso di controversie transfrontaliere sulla responsabilità civile al fine del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie nella U.E.. Orbene, ai sensi dell’articolo 4, primo paragrafo, del Regolamento “le obbligazioni extracontrattuali che derivano da un fatto illecito” sono disciplinate dalla Legge del Paese in cui il danno si verifica; ai fini della localizzazione sono irrilevanti sia il luogo in cui si è verificato “il fatto che ha dato origine al danno” sia il luogo, o i luoghi, in cui si sono verificate le conseguenze indirette di tale fatto. In altre parole il Legislatore comunitario fra la teoria della condotta e la teoria dell’evento (Davì, la responsabilità extracontrattuale nel nuovo diritto internazionale privato italiano, Torino, 1997) ha propeso per la seconda (lex loci damni) riflettendo, in tal modo, la funzione che la responsabilità aquiliana è chiamata ad assolvere nei moderni sistemi privatistici. Più che sanzionare le condotte antigiuridiche detta e offre i mezzi per reagire e riparare la lesione di interessi protetti e per riallocare le risorse ingiustamente sottratte alla vittima. Identificare nell’evento il momento pregnante dell’illecito ben si concilia, in questo senso, con la tendenza delle norme materiali a porre l’accento sulla menomazione della sfera personale o patrimoniale del danneggiato e sulle connesse esigenze di ristoro più che sulla riprovevolezza del comportamento che ha provocato la lesione (Kreuzer, Tort liability in General, in The unification of choice of law rules, p.) In deroga alla regola generale l’articolo 4, secondo paragrafo, del Regolamento Roma II prevede che qualora il presunto responsabile del fatto e la parte lesa siano abitualmente residenti nel medesimo Stato (non viene citato il criterio della cittadinanza diversamente che nell’art. 62, II comma, Legge 31 maggio 1995, n. 218) nel momento in cui il danno si verifica, l’illecito sarà disciplinato dalla Legge di tale Paese (lex domicilii comunis partium). Trattasi di una tradizionale eccezione al criterio della lex
loci damni (o lex loci commissi delicti) riscontrabile in una molteplicità di sistemi internazional- privatistici nazionali la cui funzione è quella di preservare le aspettative delle parti garantendo l’applicazione delle regole in vigore nell’ambiente sociale cui le parti medesime appartengono.
Infine l’articolo 4, terzo paragrafo, del Regolamento stabilisce che qualora dal complesso delle circostanze del caso risulti che l’illecito sia collegato in modo manifestamente più stretto con uno Stato diverso da quello di cui ai paragrafi uno o due si deve applicare la legge di tale differente Paese. La norma, non priva di precedenti nei sistemi di diritto internazionale privato degli Stati membri, costituisce un importante strumento di flessibilità e manifesta l’intenzione del Legislatore di consentire all’interprete di “trattare i casi singoli in maniera adeguata” (Briere, Le reglement CE n. 864/07 du 11 juillet 2007 sur la loi applicable aux obligations non contractuelles, in Journ. droit intern., 2008, p. 52).
Giurisprudenza rilevante
Considerando 17 Regolamento Roma II
La legge applicabile dovrebbe essere determinata sulla base del luogo in cui si verifica il danno, a prescindere dal paese o dai paesi in cui potrebbero verificarsi le conseguenze indirette. Pertanto, in caso di lesioni alla sfera personale o danni patrimoniali, il paese in cui il danno si verifica dovrebbe essere il paese in cui è stata rispettivamente subita la lesione alla sfera personale o si è verificato il danno patrimoniale.
10.3 U.C.I. Parte sostanziale – Considerazioni relative all'applicazione dell'art. 62 Legge 31 maggio 1995
La quaestio iuris è stata esaminata dalla Corte d’Appello di Milano (unico precedente noto) la quale, disattendendo quanto asserito dal Tribunale di prima istanza, ha stabilito che il bureau nazionale non può essere qualificato come “parte coinvolta” ai sensi dell’art. 62, II comma, Legge 31 maggio 1995 n. 218 in quanto trattasi di un mero rappresentante processuale della compagnia assicuratrice straniera; di conseguenza la partecipazione al giudizio dell’Ufficio Centrale Italiano non osta all’applicazione dell’Ordinamento straniero qualora tutte le altre parti abbiano medesima nazionalità e in detto Stato siano residenti (Corte Appello Milano, 23 febbraio 2010, n. 351).
La più recente giurisprudenza di legittimità ritiene inapplicabile ai giudizi ove sia convenuto in giudizio l'Uci l'art. 62 c. 2 L. 218/1995 sul presupposto che l'obbligazione risarcitoria del bureau italiano si fonda su una previsione di legge nazionale, trovando pertanto applicazione la legge del Paese ove si è svolto il fatto ai sensi dell'art. 61 L. cit. (“La gestione di affari altrui, l'arricchimento senza causa, il pagamento dell'indebito e le altre obbligazioni legali, non diversamente regolate dalla presente legge, sono sottoposti alla legge dello Stato in cui si e' verificato il fatto da cui deriva
l'obbligazione.”): modo, ha azione di rivalsa nei confronti della compagnia straniera (Cass. 25/9/09 n. 20667 v. anche Cass. 3/6/1996 n. 5078 entrambe in motivazione). Quindi l'Uci non è solo un domiciliatario ex lege, ma anche legittimato passivo diretto (art. 126.4 lettera c Cod. assicurazioni) e, sul piano sostanziale, garante ex lege, tenuto in forza di un'obbligazione propria, che si aggiunge a quella dell'assicuratore straniero, nei confronti del quale potrà eventualmente agire in rivalsa. L'obbligazione risarcitoria dell'UCI nei confronti dei danneggiati si basa sul rapporto obbligatorio che si costituisce, in forza della convenzione tra i bureaux nazionali e poi della legge nazionale (nell'ipotesi art. 125 e 126 Cod. Assicurazioni). Ciò significa che, nella specie, non ricorrono i presupposti per l'applicazione dell'art. 62.2 della legge n. 218 del 1995 Contra Tribunale Milano, 9 luglio 2009, n. 8337 – Nel caso in esame non può trovare applicazione l’art. 62, II comma, Legge 31 maggio 1995, n. 218, in quanto l’U.C.I. è un soggetto giuridico di diritto italiano con la conseguenza che tutte le parti coinvolte non hanno la medesima residenza e nazionalità.
Le ipotesi che sono sotto specificate evidenziano l'individuazione dell'ordinamento applicabile per i sinistri occorsi prima dell'11 gennaio 2009.
1° ipotesi: se in un incidente avvenuto in Italia sono coinvolti cittadini di diversa nazionalità che risiedono in stati differenti, il riferimento è l'art. 62, primo comma, Legge 31 maggio 1995 n. 218 e l'ordinamento applicato è la legge del luogo ove si sono verificate le conseguenze dannose e la legge del luogo ove si è verificato il fatto illecito.
2° ipotesi: se in un incidente stradale avvenuto in Italia sono coinvolti cittadini di un medesimo stato e ivi residenti, il riferimento è l'art. 62, secondo comma, Legge 31 maggio 1995 n. 218 e trova applicazione la legge di tale Stato.
Dopo l'11 gennaio 2009, l'ordinamento applicabile per i sinistri viene indicato dalle seguenti ipotesi:
1° ipotesi: se in un incidente stradale avvenuto in Italia sono coinvolti cittadini di diversa nazionalità che risiedono in stati differenti, il riferimento normativo è l'art. 4, primo paragrafo del Regolamento Roma II e l'ordinamento applicabile viene individuato nel Paese in cui il danno si verifica, indipendentemente dal paese nel quale è avvenuto il fatto che ha dato origine al danno e a prescindere dal paese o dai paesi in cui si verificano le conseguenze indirette di tale fatto. Se dal complesso delle circostanze del caso risulta chiaramente che il fatto illecito presenta collegamenti manifestamente più stretti con un paese diverso da quello di cui ai paragrafi 1 o 2, si applica la legge di quest’altro paese. 2° ipotesi: se in un incidente stradale avvenuto in Italia sono coinvolti individui residenti in un medesimo stato, il riferimento è ancora contenuto all'art. 4, secondo paragrafo, Regolamento Roma II e
l'orientamento trova applicazione la legge di tale Stato. Se dal complesso delle circostanze del caso risulta chiaramente che il fatto illecito presenta collegamenti manifestamente più stretti con un paese diverso da quello di cui ai paragrafi 1 o 2, si applica la legge di quest’altro paese.
10.4 Le preclusioni nel giudizio avanti al Giudice di Pace
Con riferimento ai giudizi instaurati avanti il Giudice di Pace il regime delle preclusioni risulta regolato dall'art. 320 cpc che testualmente recita:
Art. 320 cpc(Trattazione della causa)Nella prima udienza il giudice di pace interroga liberamente le parti e tenta la conciliazione.Se la conciliazione riesce se ne redige processo verbale a norma dell'articolo 185, ultimo comma.Se la conciliazione non riesce, il giudice di pace invita le parti a precisare definitivamente i fatti che ciascuna pone a fondamento delle domande, difese ed eccezioni, a produrre i documenti e a richiedere i mezzi di prova da assumere.
Quando sia reso necessario dalle attivita' svolte dalle parti in prima udienza, il giudice di pace fissa per una sola volta una nuova udienza per ulteriori produzioni e richieste di prova. [...]
Dalla lettura dell’art. 320 c.p.c. si evince la volontà del legislatore di snellire e semplificare il più possibile il procedimento innanzi al giudice di pace rispetto a quello ordinario.Infatti, vi è una concentrazione in un unico momento processuale dell’udienza di prima comparizione e dell’udienza di trattazione.
L’art. 320 c.p.c. dispone che il giudice di pace nella prima udienza interroga liberamente le parti ed esperisce il tentativo di conciliazione.
Si sottolinea che tale udienza rappresenta il limite per le richieste istruttorie ed oltre questa, tutte le attività istruttorie sono da considerarsi tardive, e qualora ammesse, la sentenza pronunciata è affetta da nullità per violazione di una norma di rito.
10.5 Considerazioni conclusive: suggerimenti pratici
Nel corso della gestione relativa alla liquidazione del danno da incidente stradale sovente i casi e le situazioni affrontate quali per il numero dei danneggiati e per la entità dei danni riportati il massimale di legge stabilito risulta insufficiente.
Questo problema determina due importanti necessità per le parti coinvolte (società e legale) e per il legale che sta seguendo il caso in sede giudiziale.
La problematica determina due importanti necessità per le parti coinvolte (Società e legale) e per il legale che sta seguendo il caso in sede giudiziale di natura pratica per gestire il sinistro in maniere