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Il Social Media RO

4.1 Il ritorno sull’attività sociale

I principali indicatori per misurare l’attività sociale sono principalmente quattro: le counting metrics, cioè quelle specifiche della singola piattaforma; le business value matrics, quelle che hanno riflesso sul core business; le foundational measures, applicabili su tutti i canali di comunicazione; le outcome metrics (KPI), che variano a seconda dell’azienda e dell’obiettivo da raggiungere.

Come abbiamo visto fin qui, è possibile riassumere sinteticamente gli obiettivi del Social Media Marketing in questi punti:

• aumentare il traffico verso il sito;

• influenzare il posizionamento sui motori di ricerca; • incrementare i contatti (lead generation);

• ridurre i costi e aumentare la qualità del servizio clienti; • migliorare la reputazione e l’awarness del brand;

• fare pubbliche relazioni online.

Chi sposta investimenti dalle attività tradizionali a quelle dei nuovi media si interroga sulla loro misurabilità, come si può cioè verificare il Return On Investiment di queste attività, trasformando i follower in clienti, con il rischio di non aver ben chiari gli obiettivi di business basato sull’improvvisazione.

La misurazione è un processo che si basa su un pensiero strategico, un contesto e un framework di riferimento in grado di supportare l’implementazione del social media marketing plan, e non solo un attività che si può fare ex post.

Gli analisti però oggi si trovano di fronte a un problema, cioè Internet è lo strumento più misurabile tra i media, ma c’è un’assenza di metriche accettate di comune accordo, principale ostacolo per le

iniziative di marketing. I sistemi che erano usati per il Web 1.0, condizionati dalle logiche del marketing convenzionale, sono ancora applicati alla misurazione del Web 2.0, anche se sono già presenti delle linee evolutive, tra le quali:

• Dalla misurazione centrata sulla pagina alle metriche di durata: quando il Web era concepito come un giornale, lo strumento per verificare il consumo dei contenuti era il numero di pagine viste; con l’evoluzione dei contenuti e la fruizione non statistica delle pagine, per esempio in streaming, l’importanza è stata spostata sul tempo di permanenza su un sito.

• Dalla misurazione basata sul clic al modello a eventi: se un sito è ricco di contenuti e quindi ricco di stimoli, il clic non è più un metodo affidabile di misurazione; per questo si predispongono degli “eventi”, attraverso i quali si può interpretare l’interazione con degli oggetti mediali.

• Dalla misurazione focalizzata sull’interazione alle nuove misurazioni sociali: prima la misurazione era fatta sull’interazione tra utenti e oggetti, come per esempio l’iscrizione a una newsletter, e si calcolava un tasso di conversione; in un ambiente sociale bisogna tenere conto dell’interazione tra gli utenti, i quali creano contenuti non predefinibili; al tasso di conversione, quindi, bisogna aggiungere il tasso di conversazione, che tiene conto della socialità sviluppata in tale ambiente.

Queste nuove sfide sono i contenuti della Social Media Analytics, una nuova disciplina che aiuta le aziende a misurare, valutare e spiegare

le performance delle iniziative sui social media nel contesto di specifici obiettivi di business.29

Per capire come un’azienda possa trasformare al meglio i dati in utili consigli per la sua attività, si può osservare la scala dei bisogni di analisi messa a punto dalla società di consulenza Web Analytics Demystified, e mutata nella famosa piramide dei bisogni di Maslow. Per costruire tale scala si consideri sull’asse verticale lo sforzo di analisi richiesto oltre il proprio valore informativo, e su quello orizzontale l’ampiezza di dati da analizzare. Si crea quindi una piramide con vari livelli:

1. I dati: unità informative grezze che non dicono granché, se non mostrare un frammento di realtà;

2. Le informazioni: dati lavorati e messi in un contesto, per assumere un significato;

3. Gli insight: informazioni analizzate e approfondite;

4. Le raccomandazioni: consigli molto puntuali che si possono mettere in pratica subito (come la creazione di un programma specifico).

John Lovett ha individuato delle tipologie di misurazioni, che si differenziano da tutte le altre perché, grazie alla loro contestualizzazione, hanno un significato e diventano utili ai manager nella loro interpretazione. Queste sono:

• Counting metrics: sono le metriche specifiche per singola piattaforma sociale utilizzata (per esempio il numero di followers).

• Business value metrics: sono quelle più facilmente comprensibili dagli stakeholder chiave dell’organizzazione perché hanno un riflesso sul core business.

                                                                                                               

• Foundational measures: sono quelle pensate per essere applicabili in maniera uniforme a tutti i canali di comunicazione e a tutte le attività social.

• Outcome metrics (KPI): gli indicatori chiave di performance prendono in considerazione un obiettivo che ci si è posti e indicano il grado di approssimazione al raggiungimento; variano a seconda della tipologia di azienda.

Secondo uno studio di MarketingSherpa, le aziende hanno seguito questi indicatori come metriche guida nel 2011. Infatti il 60% si affida alle misurazioni di amici e followers, il 39% alle condivisioni, il 35% considera le opportunità di vendita provenienti dai social e il 30% si basa sulle visite e sul tempo passato dagli utenti sui siti.

Counting metrics

In questa categoria Lovett fa rientrare le metriche di base e specifiche per piattaforma, le quali hanno una grossa problematica: cambiano secondo gli obiettivi della piattaforma. Facebook ha introdotto nell’ottobre 2013, accanto al numero di fan di una pagina, il numero di persone che ne parla, per evidenziare il successo dei post pubblicati. Per questo vanno valutate dinamicamente nel tempo, ed essendo statistiche di base, vanno manipolate per estrapolare le informazioni utili al management aziendale.

I counting metrics si possono identificare per i diversi social network: • Facebook:

o Liker o Fan;

o People Talking About; o Engaged User;

o Impression; o Virality. • Twitter:

o Followers; o Menzioni;

o Liste in cui si è stati inseriti; o Tweet prederiti da altri.

• Google Plus: o Follower; o Condivisioni; o +1 attribuiti.

Business Value Metrics

Più si sale la scala gerarchica aziendale, più l’attenzione per le attività social viene meno. C’è bisogno di metriche che abbiano un valore per il business in modo che siano auto-esplicative per il management team e per le diverse funzioni dell’azienda. Questa tipologia di metriche sono difficili da calcolare con precisione, ma sono ben comprensibili dal top management.

• Impatto sul fatturato: vedere come un’attività social ha impattato sul fatturato è possibile solo tramite una progettazione preventiva, cioè legarlo direttamente a dei risultati di vendita, in modo che non siano influenzati da attività offline (per esempio lanciare un prodotto esclusivamente tramite canali social).

• Impatto sulla soddisfazione: la misurazione della soddisfazione degli utenti può avvenire monitorando le interazioni di questi, ma anche tramite un questionario per chi di loro ha richiesto un intervento di customer service. In questo modo si arriva a

calcolare il net promoter score, cioè un indicatore che determina il tasso di passaparola, già utilizzato da molte aziende.

• Impatto sui costi: come visto nel capitolo precedente, le attività social permettono di risparmiare grandi somme di denaro, che possono essere investite in altro, con un’influenza maggiore sui clienti esistenti e sui potenziali.

Foundational metrics

In questa categoria identifichiamo una serie di metriche utili a costruire i KPI (Key Performance Indicators) specifici, che possono essere usate come benchmark, perché trasversali a varie attività di marketing:

• Interaction: il rilevamento della risposta ottenuta da certi stimoli derivanti da politiche di marketing. Possono essere commenti, condivisioni di link o compilazioni di moduli.

• Engagement: la misura dell’attenzione e della partecipazione individuale, cioè il grado di coinvolgimento in un’azione di marketing. Si può calcolare con un punteggio che varia da 1 a 100.

• Influence: indica il potere di un’azienda nel condizionare le azioni di altri.

• Advocacy: la misura della capacità del brand di essere talmente amato da indurre alcuni soggetti ad agire spontaneamente in favore di questo, sponsorizzandolo.

• Impact: fortemente connesso agli obiettivi di business, è l’abilità di una persona di determinare il risultato di un’attività. Per misurarlo, si fa ricorso a metriche finanziarie come il ROI.

Outcome metrics

Le metriche di risultato, o indicatori di performance, sono create per permettere di comprendere il grado di approssimazione a un obiettivo predeterminato. Lovett, dopo aver compreso che i KPI sono legati a specifici obiettivi, individua sei metriche da associare ad essi:

1. Incrementare la visibilità: è quando un maggior numero di persone vengono a conoscenza di un brand. La difficoltà nella misurazione della visibilità sta nel fattore tempo: essendo cioè una variabile predeterminata nel lancio di uno spot, si deve tener conto del periodo in cui questo è visibile. Anche sui social media le attività hanno un periodo di visibilità più lungo del periodi di esecuzione; in pratica ad ogni condivisione si crea un eco che sfugge al controllo dei marketer. Reach è il primo KPI che identifica il livello di visibilità guadagnato, in termini di utenti esposti a un certo messaggio. Per i principali social network ci sono degli strumenti che lo calcolano automaticamente, come Facebook Insights e Twitter Analytics che calcolano l’impatto di ogni singolo post. L’attenzione degli utenti della rete è molto volatile e frammentaria, quindi il management deve necessariamente pianificare strategicamente la diffusione di notizie, ottimizzando le condivisioni. Un altro KPI che calcola proprio il volume delle citazioni di un brand rispetto ai concorrenti è chiamato share of voice, il quale riesce ad identificare, per esempio, se ci sono disparità di condivisione tra Twitter e Facebook. Inoltre, contestualizzando questo indice con il fattore tempo, si riesce a verificare quando i competitor sono più attivi e quando meno, così da evitare di non produrre risultati sensibili sulle menzioni.

2. Promuovere il dialogo: Internet si basa ormai sulla conversazione tra persone, in cui le aziende faticano ad entrare, perché abituate a comunicare alle masse. La promozione del dialogo può avvenire solamente abbandonando questa visione di controllo dei messaggi e abbracciando un approccio di trasparenza, che porterà a un rapporto basato sulla fiducia duratura nel tempo. Il KPI da utilizzare in questi casi è quello dell’engagement. Per un maggior valore è necessario confrontarlo con iniziative dei competitor, al fine di individuare gli argomenti più coinvolgenti in determinate situazioni. Questo indicatore deve essere misurato continuamente, per individuare il livello medio di coinvolgimento. L’ampiezza delle conversazioni può essere calcolata attraverso il numero di visitatori unici esposti a un contenuto, moltiplicato per il livello di engagement generato. 3. Generare interazioni: grazie alla fiducia, si è in grado di smuovere

gli utenti e farli compiere delle azioni, farli rispondere cioè a una call to action; il vero ostacolo, però, è quello di far interagire quelli più passivi, attraverso la risposta a un sondaggio, o la condivisione della positiva esperienza d’uso di un prodotto. Il tasso di interazione misura il totale di utenti unici che hanno manifestato interesse rispetto alla call to action e iniziato il processo che vorremmo fosse portato a compimento, rispetto al totale di coloro che hanno potuto vedere la call to action.

Ma il vero indicatore di performance è quello che precisa le informazioni sugli utenti che hanno completato il processo, detto “conversione”. Per calcolarlo sarà necessario rapportare le persone che completano il processo, con quelle esposte alla call to action. In tal modo si evidenziano eventuali errori che portano

alla coversione, come un numero troppo elevato di passaggi richiesti per comprare un prodotto.

4. Facilitare il supporto: come si è visto nel caso specifico di Twitter, i social network agevolano l’assistenza clienti. Con gli strumenti di monitoraggio è semplice rilevare lamentele o semplici richieste, ma è più complesso creare dei processi che facilitino la gestione clienti attraverso i social media. In questo contesto, il KPI che si può predisporre è il tasso di risoluzione dei problemi, cioè è dato dai problemi risolti con successo, rapportati al totale delle problematiche sottoposte. Monitorandolo costantemente si possono identificare le carenze del proprio servizio di customer care. Attraverso i social media, le richieste non sono solo di supporto, ma servono anche per informazioni generali, come per esempio la data di uscita di un determinato prodotto; in questo caso è utile valutare il tasso di non risposta, cioè le domande a cui le aziende non rispondono, sul totale delle domande ricevute. Questo permette di identificare le richieste “inutili” dal punto di vista del customer care.

Altro KPI utile è il tasso di soddisfazione, dove un utente esprime un giudizio sulla base di una scala di valori. Un esempio è il net promoter score, un indicatore che misura il grado di fedeltà e di soddisfazione di determinate categorie di persone. Viene chiesto al cliente se consiglierebbe il servizio/prodotto a amici/conoscenti e se l’intervento è stato per lui soddisfacente; le risposte sono date su una scala da 1 a 10, determinando poi la differenza tra i promotori (9-10) e i detrattori (da 1 a 6). I neutrali (7-8) sono ignorati.

Ultimo indicatore utile è quello che calcola il tempo di risposta alle richieste di intervento, considerando che sui social media le soglie di sopportazione a ritardi sono nettamente più basse.

5. Promuovere l’advocacy: ogni azienda vorrebbe avere un cliente soddisfatto che sostiene spontaneamente i prodotti/servizi. Questo è possibile solo se l’offerta è considerata dal pubblico conveniente rispetto alla concorrenza. In questi casi si possono usare degli indicatori che vanno a impattare su chi ha una vera passione per il brand.

Il primo è semplice e calcola il numero degli utenti attivi in un arco temporale, sul totale dei partecipanti. In questo modo si evidenzia il tasso di salute dell’iniziativa e verifica i momenti in cui sono necessari degli interventi per stimolare l’attivismo.

Un altro è il tasso di influenza dei membri, intendendo per influenza la capacità di reclutare nuovi membri o, anche, la quantità di contenuti rilevanti apprezzati da altri attraverso commenti o condivisioni. In questa maniera si identificheranno gli utenti di maggior valore, ai quali poi dedicare i propri ringraziamenti.

Un ultimo indicatore è quello che calcola l’impatto su un programma collegato a un relativo evento. Questo permette di tracciare un ambassador che promuove l’evento al di fuori di una community, evidenziando la sua capacità di generare conversioni.

6. Stimolare l’innovazione: se un’azienda vuole migliorare i propri prodotti/servizi e i relativi processi, può avvalersi della Rete per ricevere utili consigli. Basta “mettersi in ascolto” nelle varie conversazioni che si tengono ogni giorno su Twitter o su blog specifici per trarre spunti preziosi. Alcune aziende, come Mulino

Bianco (http://www.nelmulinochevorrei.it/), hanno ideato spazi appositi, dove gli utenti postano nuove idee e spunti, per poi realizzarli insieme, premiando i migliori fruitori di consigli. Per monitorare le idee considerate interessanti, l’azienda deve prendere in considerazione le idee pertinenti, sul totale di quelle pervenute. Nello stesso modo si possono prendere in considerazione le idee più votate.

Fin qui si è analizzato come misurare i ritorni sugli investimenti delle attività social. Ma qual è il vero ROI per queste iniziative?

Quando si parla di ROI (Return On Investment), si pensa subito alla formula 𝑅𝑂𝐼 =!"#$%"&'  !"#$%&!&'!"#$% . Quando si parla di social network, per calcolare il relativo ROI bisogna interrogarsi su quale sia il ritorno della gestione della presenza su Facebook o Twitter, per un determinato periodo di tempo. Comunque non è un indicatore facile da identificare per i singoli siti sociali, perché la presenza di un azienda online, come si è visto fin qui, è un processo complesso che necessita di continuità e di attenzione a numerosi fattori.

Il calcolo del ROI è facile solo se si prende in considerazione la rilevanza delle attività social, come mere campagne media a sé stanti, scollegate dai complessivi business.

Il metodo migliore per calcolarlo è considerare i vari strumenti messi in atto nelle singole piattaforme e utilizzarli per il proprio business.30