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Il ritratto vivente di un uditorio variegato 27 : gli interlocutori real

Capitolo IV. Il carattere e il talento degli interlocutori di Epitteto

2) Il ritratto vivente di un uditorio variegato 27 : gli interlocutori real

Cominciamo la nostra rassegna con gli interlocutori reali, innanzi tutto classificandoli. L’uditorio di Epitteto è composto da due categorie di individui che, prendendo in prestito il lessico di Joseph Souilhé, possiamo distinguere in discepoli ordinari e discepoli occasionali o, assumendo quello di Michel Foucault, discepoli regolari e gente di passaggio28; in altri termini, parte del pubblico delle lezioni del filosofo è assiduo, parte no29. Nelle Diatribe la distinzione è formulata più volte da Epitteto: gli uni sono coloro che frequentano con continuità la sua scuola, e possono quindi essere definiti μαθηταί (cfr. IV 8.24), ‘studenti’, o γνώριμοι (cfr. III 22.1), letteralmente ‘conoscenti’, come Arriano in un’occasione chiama uno di essi; all’altro gruppo appartiene invece chi si reca presso Epitteto per assistere a una sua lezione o per parlare con lui ed è dal filosofo assimilato alla totalità di uomini e donne che, restando esterni alla sua scuola, ignorano i principi della filosofia stoica. Si tratta insomma degli ‘uomini comuni’. Costoro sono ricorrentemente denominati ἰδιῶται30, sostantivo di cui Epitteto si serve nell’accezione di ‘incompetenti in un settore professionale’, ristretta all’ambito della filosofia in quanto τέχνη περὶ τὸν βίον: i ‘profani’ sono coloro che non sanno vivere ad arte, i. e. usando le proprie rappresentazioni in modo consequenziale alla diairesi ontologica radicale e al suo corollario etico. I disciples par occasion sono pertanto i rappresentanti del γένος antropologico dei φαῦλοι presso la scuola di Epitteto, gli anti-filosofi nel cuore dell’ambiente formativo e operante di questi ultimi (la presenza di profani all’interno della scuola di Epitteto – delle cui struttura edilizia e collocazione nella città di Nicopoli né l’opera di Arriano né nessun’altra ci dà notizia – ci informa che essa era un luogo aperto al pubblico, vale a dire a tutti coloro che vi desideravano entrare); tuttavia gli stessi μαθηταί, nella misura in cui non hanno conseguito la perfezione propria del filosofo, appartengono anch’essi al γένος antropologico dei φαῦλοι. La distinzione tra le due classi di interlocutori non è dunque stricto sensu di natura epistemica o etica, ma si basa sul loro diverso rapporto con Epitteto e sulla loro familiarità con il suo lessico e le dottrine da lui predicate.

Il riconoscimento di un interlocutore come discepolo è quasi sempre congetturale. Eccettuata la summenzionata diatriba in cui Arriano premette alla discussione sul Cinismo l’informazione che essa si svolge tra Epitteto e uno dei suoi γνώριμοι (III 22.1), in nessun altro capitolo egli identifica qualcuno, che prende la parola o al quale il filosofo si rivolge, come un suo discepolo,

27 L’espressione è tratta da SOUILHÉ (ed.), op. cit., p. xxx.

28 Cfr. ivi, pp. xxx ss. e FOUCAULT, op. cit., pp. 133 ss. Cfr. anche COLARDEAU, op. cit., pp. 95 ss., in cui gli

individui della seconda categoria di persone sono denominati «clients de passage» e «auditeurs éphémères».

29 Cfr. GOURINAT, Premières leçons, cit., p. 33.

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né Epitteto asserisce in nessuna occasione che l’uomo con cui sta parlando è un μαθητής anziché un uomo al proprio primo e forse unico ingresso nella sua scuola. Benché possa essere nel giusto Christopher Gill31 nel ritenere che la maggior parte dei discorsi del filosofo è rivolta ai suoi studenti, eccettuato il caso di III.22, ciò non emerge mai esplicitamente, bensì sempre per implicazione di qualche elemento testuale32. Un primo indizio del fatto che un interlocutore potrebbe non essere un esterno alla scuola è, banalmente, l’assenza di una sua qualsivoglia caratterizzazione da parte di Arriano: quasi ogni volta che questi, per contestualizzare una conversazione, antepone una cornice alla sua trascrizione, in essa riferisce che l’interlocutore del filosofo è un visitatore occasionale della scuola, quali l’ufficiale governativo di I.11, il filologo adultero di II.4, e i più volte ricordati Nasone (II.14), procuratore dell’Epiro (III.4) e correttore epicureo (III.7)33; pertanto, quando si limita a scrivere che ‘qualcuno’ esterna un’affermazione o pone una domanda, sembra plausibile che egli taccia sull’identità del parlante perché si tratta di un semplice studente e non di un membro straordinario dell’uditorio di Epitteto.

Vi sono anche altri elementi che consentono con buona probabilità di riconoscere un interlocutore del filosofo come suo discepolo regolare. Ad esempio talvolta Epitteto o l’individuo con cui egli sta parlando fa riferimento a esercizi scritti, composti da quest’ultimo e letti al maestro (cfr. II 1.30-34, II 7.23, III 16.9); sembra improbabile che un uomo venuto semplicemente ad assistere a una lezione di Epitteto o a parlare con lui fosse sottoposto a esercizi di scrittura: è verosimile piuttosto che un momento della giornata scolastica dagli studenti regolari fosse dedicato alla composizione e alla lettura di opere realizzate da loro, quali commentari o imitazioni di testi filosofici precedentemente analizzati da Epitteto. La stessa inferenza possiamo trarre dal riferimento di Epitteto al fatto che il proprio interlocutore abbia studiato la logica (cfr. II 13.21, III 24.78, IV 6.12)34, o dal fatto che sia in grado di rispondere correttamente alle sue interrogazioni (cfr. II 9.2, II 16.1). Infine, si consideri il capitolo I.26, Quale sia la regola di vita, che riproduce un discorso rivolto dal filosofo a qualcuno che «sta leggendo i sillogismi ipotetici» (§ 1), e può essere pertanto riconosciuto come uno studente. Mentre Epitteto lo critica per il suo desiderio di imparare la logica al solo scopo di ostentare

31 Cfr. HARD (ed.), op. cit., p. ix.

32 Il solo discepolo di cui conosciamo l’identità, come ironicamente constatato da Théodore Colardeau, è «le

disciple sans lequel le maître lui-même serait un inconnu pour nous», cioè Arriano (COLARDEAU, op. cit., p. 10).

33 Cfr. anche I.15, in cui Arriano informa il lettore che Epitteto riceve la visita di un uomo che gli chiede consigli

su come persuadere il proprio fratello a deporre la propria ostilità nei suoi confronti, e III.9, contenente un dialogo tra il filosofo e, scrive Arriano nel titolo e nel § 1, un retore in viaggio per Roma, dove parteciperà a un processo giudiziario in cui è coinvolto e in merito al quale chiede il parere di Epitteto.

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una parvenza di sapienza durante i simposi (§§ 9-12), qualcuno ride: Arriano scrive che si tratta di «colui che gli ha assegnato la lettura» (§ 13), e che viene subito redarguito da Epitteto per non aver valutato se il lettore avesse la preparazione sufficiente per affrontare il compito da lui prescrittogli (§ 14). Il ruolo di questo personaggio non viene descritto oltre, né in altre diatribe compaiono individui con una funzione analoga; tuttavia questa è ricostruibile con un certo grado di attendibilità35: costui doveva essere uno studente di Epitteto che, dopo un periodo di formazione sufficientemente lungo presso il filosofo, veniva da lui messo alla prova per dimostrare le sue capacità di insegnante, forse in vista della sua futura professione. In questa veste di ‘tirocinante’, egli assisteva Epitteto impartendo compiti agli studenti più giovani.

Quest’ultimo esempio ci conduce a tracciare una distinzione in seno alla categoria dei μαθηταί, basata sul diverso motivo della loro frequentazione della scuola di Epitteto, tra gli apprendisti e quelli che Foucault soprannomina «stagisti»36. Al secondo gruppo, verosimilmente il più numeroso dei due, appartengono coloro che affrontano il percorso educativo proposto da Epitteto come parte della formazione culturale necessaria per intraprendere una carriera politica; si tratta dunque di giovani di circa vent’anni37. Si consideri

a questo proposito il capitolo I.25, Come si devono contrastare le situazioni difficili. A seguito dell’affermazione dell’esigenza di considerare come indifferente ciò che non pertiene alla sfera della propria προαίρεσις e di riconoscere questa come unica sede dei valori etici, Epitteto trae una conseguenza pratica dall’approvazione di questa affermazione: chi pone la diairesi ontologica radicale e il suo corollario etico non ha motivo di temere né di lusingare nessuno, dacché riconosce le azioni altrui come cose esterne, e pertanto nega loro il titolo di beni o mali, cioè di cose che possono essergli di utilità o danno (§§ 21-25); il suo interlocutore, stupito da questa conclusione decisamente paradossale, gli chiede se essa valga anche per lui che vuole «sedere dove siedono gli uomini di rango senatorio» (§ 26). L’implicazione della domanda è evidente: nutrendo tale desiderio, i. e. identificando il proprio bene con il raggiungimento di un elevato status politico e sociale, non dovrà egli piuttosto lusingare chi può raccomandare la sua elezione alle magistrature e il suo avanzamento nel cursus honorum, e d’altra parte temere chi potrebbe ostacolarlo in ciò, dacché questo comportamento conviene al conseguimento di tale obiettivo? Ammesso questo desiderio, la risposta alla domanda di costui è ovviamente affermativa, e perciò il consiglio che Epitteto gli offre è di rinunciare a desideri e avversioni

35 Cfr. SOUILHÉ (ed.), op. cit., p. xxxv, in cui figure di questo tipo sono definite «moniteurs», ‘istruttori’, mentre in

COLARDEAU, op. cit., p. 117 e DUHOT, op. cit., p. 40 «assistants».

36FOUCAULT, op. cit., pp. 133-134. Sulla medesima distinzione cfr. SOUILHÉ (ed.), op. cit., pp. xxxi-xxxii. 37 Cfr. HARD (ed.), op. cit., p. ix.

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per τὰ ἐκτός, così da non mettersi nella necessità di far dipendere la propria serenità da ciò che non è in suo potere (§§ 26-28). Foucault interpreta come possibile futuro étudiant stagiaire di Epitteto anche il figlio del militare e politico romano Nasone, che quest’ultimo porta con sé nella sua visita alla scuola del filosofo (II 14.1) e che assieme al padre ascolta Epitteto illustrare i benefici di un’educazione filosofica (§§ 7-8) e le fasi di tale percorso (§§ 9-16). Lo stesso Arriano – è la considerazione appropriata di Souilhé – appartiene a questa categoria.

L’altro gruppo di discepoli, che abbiamo chiamato ‘apprendisti’, comprende coloro che, come il tirocinante di I.26 e verosimilmente lo γνώριμος con tendenze ciniche di III.22, frequentano la scuola di Epitteto per divenire essi stessi filosofi e «portare così un giorno ad altri la buona novella»38. Verosimilmente, anche questi sono giovani di età non superiore ai vent’anni. È a costoro forse che Epitteto si sta rivolgendo in diatribe come quelle Contro coloro che si mettono a tenere conferenze con superficialità (III.21) o Contro coloro che adottano con avventatezza l’aspetto esteriore dei filosofi (IV.8) che, come recitano i loro titoli, contengono critiche di Epitteto a chi, pur mancando della preparazione necessaria, si atteggia a filosofo e addirittura tiene lezioni. Non sappiamo se queste critiche fossero dirette a individui specifici, magari presenti nel pubblico dello stesso Epitteto, ma ad ogni modo è plausibile, come ipotizza Anthony A. Long39, che esse fungessero da ‘discorsi vocazionali’ per i suoi discepoli, mediante i quali egli poteva additare esempi negativi a chi, nel proprio uditorio, intendeva seguire le sue orme e dedicarsi in futuro all’insegnamento filosofico. Infine, sono chiaramente indirizzati ai futuri maestri i consigli su come relazionarsi con i profani (cfr. II.12, IV.10) per persuaderli dell’erroneità dei loro pensieri e delle loro azioni e iniziarli alla verità dei dogmi stoici. In merito a questi consigli torneremo nel prossimo capitolo.

Esaminiamo ora gli interlocutori profani di Epitteto. Sono identificabili come tali tutti coloro che, grazie alle informazioni forniteci da Arriano, sappiamo avere una professione lavorativa, la quale inevitabilmente impedisce loro di frequentare con regolarità le lezioni di Epitteto e comunque dimostra che il loro percorso formativo è concluso, ed essi non hanno quindi intenzione di ‘andare a scuola’ presso il filosofo per ricevere un’educazione. Ciò implica, tra l’altro, che costoro sono più anziani rispetto ai discepoli regolari di Epitteto. Nelle pagine precedenti ne abbiamo già ricordati diversi, quali il pubblico funzionario di I.11, il notabile romano di II.14 – che è esplicitamente definito da Epitteto ἰδιώτης (§§ 2 ss.) –, il governatore di III.4, il correttore di III.7, il retore di III.23, il funzionario imperiale di IV.1 etc. Da questi esempi, che pur non esaurendo la casistica degli interlocutori profani del filosofo ne

38 SOUILHÉ (ed.), op. cit., pp. xxxi-xxxii. 39 Cfr. LONG, Epictetus, cit., pp. 46 ss.

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rappresentano la maggioranza, si possono trarre due conclusioni alternative circa l’identità dei disciples par occasion di Epitteto: o essi per la maggior parte appartenevano al ceto politico- amministrativo dell’Impero, o Arriano si è preoccupato di riferirci la professione degli interlocutori di Epitteto solo nel caso di personaggi importanti. Non mi risulta che ci si sia mai posti questo dubbio, e per lo più nella letteratura critica ci si limita a constatare che si recano presso la scuola di Epitteto uomini di spicco nel panorama culturale e istituzionale del mondo romano40.

Tra gli interlocutori profani è riscontrabile una distinzione, basata anch’essa sul diverso movente che li spinge a presentarsi alla scuola di Epitteto. Alcuni di essi si rivolgono al filosofo per domandargli una consulenza personale e specifica o per presentargli, come scrive Souilhé, un «caso di coscienza»41. È la situazione in cui si trova, ad esempio, il procuratore dell’Epiro (III.4) il quale, durante un agone teatrale comico, ha espresso il proprio apprezzamento per un attore in modo «abbastanza indecoroso» (ἀκοσμότερον, § 1) e per tale motivo ha ricevuto degli insulti, presumibilmente da parte di alcuni spettatori che parteggiavano per un altro attore; egli, alterato, si reca da Epitteto e gli racconta l’accaduto per avere un suo parere. Alla stessa categoria appartengono l’imputato giudiziario di II.2, che fa visita al filosofo per ricevere una sua consulenza sull’atteggiamento che a suo avviso gli converrebbe tenere in tribunale, e così il summenzionato retore (III.9) che, mentre viaggia in direzione di Roma, dove avrà luogo un processo giudiziario in cui è coinvolto, fa tappa a Nicopoli per illustrare a Epitteto la propria situazione e chiedergli di aiutarlo a risultare vincitore suggerendogli la linea di condotta da tenere (§§ 10-11). A quest’ultimo Epitteto replica, come abbiamo già visto, che dovrebbe curarsi solo dei propri giudizi, e non di quelli emessi da altri: questo è il solo suggerimento che può dargli in qualità di filosofo e che, se veramente recepito dal suo interlocutore, gli si rivelerebbe per un principio etico applicabile in ogni circostanza di vita ed efficace a garantire la serenità; ma è proprio questa sua genericità a far sì che il retore intenda il discorso di Epitteto come una risposta inappropriata al proprio quesito, relativo a un caso concreto particolare. Epitteto immagina quindi i pensieri del retore, che è andato da lui con la speranza di ricevere consigli sul suo processo e invece, non avendone ricevuti, ha solo perso tempo: «Ho incontrato Epitteto ed è stato come incontrare una pietra o una statua» (§ 12). Questo deve passargli per la testa, dacché egli si è recato presso di lui senza sapere cosa significhi avere un incontro con un

40 Cfr. LONG, Epictetus, cit., p. 43, FOUCAULT, op. cit., pp. 136-137, COLARDEAU, op. cit., pp. 94 ss. 41 Cfr. SOUILHÉ (ed.), op. cit., p. xxxi.

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filosofo; secondo il modello del dialogo socratico42, per Epitteto ciò significa sottoporre i propri

giudizi a un confronto critico al fine di correggere quelli erronei (§ 14).

No, – prosegue il filosofo – [tu non pensi questo], ma: “Siamo di passaggio e, mentre attendiamo di noleggiare la barca, possiamo anche vedere Epitteto; vediamo cos’abbia mai da dire”. Poi, andatotene: “Epitteto è una nullità, parlava un linguaggio pieno di solecismi e barbarismi” (§ 14).

Questa accusa di Epitteto ci consente di introdurre la seconda categoria di interlocutori profani. Oltre a chi fa visita a Epitteto per chiedere sulla propria situazione l’opinione di un uomo che aveva la fama di sapiente, non doveva essere raro che gli si presentassero uomini abitanti a Nicopoli o di passaggio per questa città, portati alla scuola di Epitteto dalla curiosità. La curiosità di ascoltare una bella orazione43 o semplicemente di trovare un intrattenimento per un periodo d’ozio, cosa che secondo Epitteto sperava il retore di III.9, e forse anche il notabile romano che passa da Nicopoli mentre torna a Roma, da cui era stato esiliato, e il dialogo con il quale Epitteto ricorda in I.10. Potrebbe appartenere al numero dei curiosi anche l’ufficiale governativo (I.11) che si reca presso il filosofo, secondo quanto riferisce Arriano, senza sottoporgli un alcun problema: è invece Epitteto, tramite le proprie domande sulla sua situazione familiare (§§ 1-2), ad avviare la conversazione. Tutti costoro, agli occhi del filosofo, non sono che dei ‘perdigiorno’, perché non è possibile trarre profitto da una conversazione occasionale con un filosofo (III 9.12-13): non può sperare di acquisire alcunché chi gli fa una breve visita, perché la sua scuola non è il negozio di un ortolano o la bottega di un calzolaio (ivi § 10), dove si entra, si esamina la merce e la si acquista44. L’educazione alla filosofia, arte

relativa alla vita, al pari dell’apprendimento di una qualunque τέχνη, da quella del calzolaio a quella del fabbro o del musicista, è un processo lungo, come Epitteto spiega a Nasone nel capitolo II.14, che porta il suo nome. Il passaggio in questione merita perciò la nostra attenzione in questo contesto. Arriano racconta che mentre Epitteto, durante una lezione (ἀνάγνωσμα), sta iniziando a esporre il suo «modo di insegnare», tace accorgendosi che nel suo uditorio sono

42 Cfr. PLAT., Apol. 21c ss., in cui il filosofo ateniese racconta con celebri parole i dialoghi da lui avuti con alcuni

suoi concittadini, esponendo di fatto una teoria sulla forma che assumono i propri dialoghi nel corpus platonico ma anche in quello senofonteo (cfr. ad esempio Mem. IV.2-3).

43 Colardeau (op. cit., pp. 157 ss.) ipotizza a ragione che le critiche di Epitteto (cfr. I.8, III 24.78) a chi finalizza la

propria educazione filosofica all’apprendimento della logica conseguissero a un pregiudizio diffuso, testimoniato ad esempio dal dialogo immaginario in I 22.18-20: «La logique, pour beaucoup de jeunes gens, voilà à quoi se réduit la philosophie. C'est d’ailleurs un préjugé courant qu'ils apportent dans l'école. Pour le monde, un philosophe est un homme qui propose des syllogismes».

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presenti un estraneo, che forse egli conosce, e suo figlio (§ 1). Resosi conto di essere la causa del comportamento del filosofo, Nasone gli chiede di proseguire; al che Epitteto risponde:

Ogni arte (τέχνη) costa fatica al profano che ne sia inesperto, nel caso in cui si provi a trasmettergliela. Invece i prodotti che vengono realizzati a partire da competenze tecniche esibiscono subito il proprio uso in vista del quale sono stati realizzati, e la maggior parte di essi ha un che di attraente e gradevole (§§ 2-3).

A quest’affermazione il filosofo fa seguire una serie di esempi (§§ 4-6): un paio di calzature è utile e magari anche bello, ma non è piacevole (ἀτερπές) assistere all’apprendistato di un calzolaio; allo stesso modo, per un profano del mestiere sarebbe noioso (ἀνιαρός) supervisionare la formazione di un fabbro, sebbene si serva dei suoi prodotti, e tutto ciò è ancora più evidente nel caso del musicista, piacevole da ascoltare una volta che ha imparato a suonare, spiacevolissimo (ἀτερπέστατον) mentre si esercita. Parimenti, la filosofia ha benefici pratici – «trascorrere una vita senza sofferenza, paura o turbamento» (§ 8), spiega Epitteto quasi illustrando la propria ‘mercanzia’ a un potenziale discepolo, il figlio di Nasone –, ma il percorso necessario per divenire filosofi è impegnativo e graduale (§§ 11 ss.), perciò non ha senso sperare, in un breve colloquio con il maestro, di riuscire a comprendere com’è strutturato. Chi non intende dedicare alla filosofia, come a ogni altra τέχνη, il lungo periodo necessario per apprenderla, ma solo un ritaglio di tempo, è un perdigiorno45.

Classificati gli interlocutori reali di Epitteto, esaminiamo il rapporto tra studenti e profani. La distinzione tra queste due classi è chiaramente è subordinata alla fondamentale distinzione antropologica tra filosofi e profani46. Si ricorderà che nel capitolo III.15, Che

bisogna accostarsi a ogni cosa con circospezione, da noi già considerato in precedenza, Epitteto incita chi tra i propri uditori afferma di voler diventare filosofo a intraprendere il proprio percorso educativo non in modo sconsiderato, ma con la piena consapevolezza che, per realizzare tale obiettivo, è necessario cambiare radicalmente il proprio stile di vita, perché

45 Cfr. COLARDEAU,op. cit., pp. 95 ss., in cui questa strategia didattica è efficacemente interpretata con una

silimitudine: «Sans doute, la plupart feront la grimace devant cette perspective: tels certains mendiants à qui on offre, au lieu du pain qu’ils demandent, du travail qui les dispensera désormais de tendre la main».

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bisogna che tu sia un solo uomo, o buono o cattivo, che tu coltivi il tuo egemonico o le cose esterne, che tu dedichi i tuoi sforzi a ciò che hai dentro o a ciò che è fuori di te, cioè che occupi la posizione del filosofo o del profano47 (§ 13).

Il passaggio citato, con cui si conclude la diatriba, allude alla diairesi ontologica radicale,