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ABSTRACT
Il paper qui proposto intende costituire un’occasione di verifica in pubblico degli esiti parziali e dei metodi sperimentati in una ricerca in corso da circa 20 anni presso il Laboratorio di Storia Moderna dell’Università di Bari ed il CRIAT (Centro di Ricerca Interuniversitario per l’Analisi del Territorio).
Il progetto Per un atlante dell’insediamento meridionale (XIII-XXI secolo) produce banche dati, cartografia digitale e, in prospettiva, un web-gis interrogabile, sui luoghi abitati come costruzione sociale e culturale – la forma più ‘concreta’, vistosa ed ingombrante di patrimonio con cui le società di ogni tempo devono fare i conti. Gli strumenti di analisi, costruiti in un processo segnato da ripensamenti ed incertezze, cercano di essere congruenti con una concezione dello spazio umanizzato inteso come sistema polivalente e polifunzionale, dinamico e relazionale, esito di rapporti conflittuali o negoziali fra gruppi sociali localizzati e poteri sovralocali. Dal pluralismo dei poteri, dei corpi territoriali, delle giurisdizioni e delle fonti del diritto, che caratterizzava gli Stati di antico regime e che va riemergendo con forza nella crisi odierna dei territori come spazi inquadrati dentro una ordinata cascata di enti governativi, derivano usi molteplici, al tempo stesso simbolici e strumentali, dello spazio, percezioni e classificazioni diversificate dell’insediamento. Esclusa la possibilità di una realtà insediativa conoscibile in forme univoche ed esaustive, la strada che viene percorsa diventa l’esplorazione di scale analitiche e punti di osservazione molteplici, che presuppongono un livello consistente di indeterminazione negli esiti della ricerca.
PAROLE CHIAVE
History, Settlements, Manuscript, Population, Maps
1. INTRODUZIONE
La ricerca Per un atlante dell’insediamento meridionale (XIII-XXI secolo) analizza forme, logiche e funzionamento degli insediamenti umani nel Mezzogiorno d’Italia sul lungo periodo, a partire da fonti archivistiche e cartografiche, di natura civile e religiosa. La trama abitativa meridionale è presentata come esempio di insediamento mediterraneo, e la ricerca individua una metodologia di analisi che, applicata all’intera area del Mediterraneo, si rivela in grado di produrre utili comparazioni. Alla base è una concezione dell’insediamento come fenomeno relazionale e dinamico, prodotto dall’interazione di più soggetti, collettivi o singoli, dotati di molteplici risorse spaziali e svariati strumenti simbolici, materiali e politici.
In opposizione alla titolarità del legittimo potere sugli uomini e sui suoli, gli insediamenti si riconoscono l’un l’altro e costruiscono repertori di località che mutano nella forma e nella dimensione a seconda dei criteri di selezione adottati e delle agenzie di classificazione coinvolte: Stato, Chiesa, feudatari, città dominanti.
Di questi repertori l'Atlante studia la genesi, la logica, la trasformazione, l'efficacia delle identità locali e politiche: ovvero quelle costruzioni sociali e spaziali che oggi rappresentano un patrimonio storico da preservare, e una forma di strutturazione del territorio da gestire nel contesto di società sempre meno insediate spazio.
Utilizzando censimenti di fuochi, tassazioni del Regno di Napoli, registri dello stato delle anime e descrizioni del territorio realizzate per il Sovrano, è stato possibile ottenere database ricchi di dati numerici e statistici collegati a singoli toponimi. Attraverso l’uso del Geographic Information System (GIS) e lo studio dei toponimi storici e delle loro derivazioni attuali si passa alla georeferenziazione degli insediamenti per fornire cartografie dinamiche, ossia capaci di mostrare variazioni dei fenomeni insediativi nel lungo periodo.
2. LE FONTI
Per rendere gestibile e delimitabile la mole delle fonti disponibili attraverso database informatici, si è concentrata l’attenzione sui soli repertori dei centri abitati che coprono l’intero spazio indagato, ossia l’intero Mezzogiorno continentale. Si tratta in generale di liste, corredate di informazioni di vario genere collocabili in tavole a doppia entrata, prodotte dai poteri che hanno o pretendono di avere titolarità su quei luoghi e da saperi che in vario modo rispondono alla domanda di conoscenza che i poteri stessi producono.
In antico regime non esiste alcun repertorio ufficiale dei centri abitati: i poteri insediati producono immagini non coincidenti della griglia dell’insediamento, e mettono in lista luoghi che ‘vedono’ a partire dalle relazioni che con essi intrecciano. I poteri signorili, ed in particolare quelli ecclesiastici, hanno pretese di inquadramento e regolazione delle società insediate, che producono domande vigorose di conoscenza.
A tali esigenze rispondono, ad esempio, le Relationes ad limina, con le quali i vescovi, ogni tre anni a partire dal 1585, riferiscono dello stato morale e materiale delle loro diocesi. Ne derivano insiemi di luoghi ripartiti per vescovadi, con istituti divisi tra secolari, regolari e caritativo-assistenziali, sistematicamente digitalizzati in database. Un inventario di località che, oltre a non rispecchiare la realtà materiale degli addensamenti edilizi, non si conforma con quello prodotto dal regio erario. Se le chiese curate (e solitamente gli istituti regolari) si collocano il più delle volte in centri di rango elevato classificati dallo Stato come universitates, le presenze sacre non curate e spesso gli enti caritativo-assistenziali conferiscono significato, e dunque visibilità, a luoghi minori, celati allo sguardo statale da un infimo status giuridico.
Esiste, infatti, una gerarchia evidente di capacità classificatoria. Il più rilevante produttore di repertori di centri è il fisco regio. In assenza di una autonoma macchina amministrativa in grado di realizzare la raccolta delle imposte, lo Stato premoderno distribuisce la delega fiscale ai centri abitati dotati di frammenti di giurisdizione ed autogoverno – le universitates – i cui rappresentanti legittimi si impegnano a raccogliere e corrispondere quote fiscali calcolate in rapporto al rispettivo numero di ‘fuochi’, cioè al numero dei gruppi domestici attivi. Poiché le ‘numerazioni dei fuochi’ sono andate in parte perdute, la ricerca utilizza, accanto ai documenti fiscali superstiti, i dati delle Descrizioni o Corografie del Regno di Napoli (in particolare quelle di Mazzella, Bacco, Caracciolo-Beltrano) – un genere letterario diffusosi fra Cinque e Seicento, che rappresenta il territorio come un insieme di universitates raggruppate per province. A metà Settecento lo Stato napoletano, adottando l’obbiettivo della equità fiscale diffusosi nell’Europa delle riforme, impone a ciascuna universitas di redigere un catasto (detto onciario) che sottragga all’arbitrio il prelievo delle imposte. L’elenco dei centri che compilano il catasto offre ulteriori dati che permettono di prolungare le immagini dell’insediamento prodotte dal fisco regio.
Ma intanto, anche nel Mezzogiorno italiano, queste immagini dell’insediamento come insieme di luoghi dotati di frammenti di potere vanno cedendo il passo ad altre immagini fondate su uno sguardo geografico, geometrico, materializzato dei fenomeni insediativi. La volontà dei sovrani di conoscere il territorio nella sua complessità, di entrare direttamente in rapporto con i gruppi insediati, e non tramite i titolari di immunità e giurisdizioni, produce una domanda di conoscenza a cui risponde una produzione intellettuale del tutto diversa da quella delle corografie cinque-seicentesche. Cartografi geometrici, analisti dello spazio umanizzato per il tramite della peregrinazione e della osservazione diretta, produttori di statistiche, enciclopedisti di luoghi emancipati dalla griglia istituzionale, elaborano repertori del tutto nuovi, che vanno scoprendo e mettendo in lista migliaia di grumi di case e di uomini rimasti invisibili nei repertori precedenti, vissuti per secoli all’ombra delle universitates. In questo ambito sono state utilizzate le opere a stampa o manoscritte di Galanti, Alfano, Di Simone, Sacco e la produzione cartografica di Rizzi Zannoni.
Questi nuovi saperi dello spazio umanizzato vengono assunti come saperi di Stato, fondamento di uno sguardo classificatorio che esclude ogni altro, in particolare quello secolare e potente della Chiesa, formalizza a livello normativo e irrigidisce la fluidità e la pluralità del concetto di insediamento e di centro abitato. Nel passaggio dal Settecento all’Ottocento, la statalizzazione del territorio tende ad espandersi in uno spazio fisico e politico-amministrativo considerato giuridicamente uniforme e lo sguardo classificatorio dello Stato amministrativo assume una fisionomia nuova rispetto al recente passato, in cui la legge veicola un linguaggio univoco di identificazione dei centri abitati (la stessa toponomastica si statalizza) all’interno di una gerarchia apparentemente neutra. Il nuovo sguardo geografico-amministrativo, chiaramente costruito, punta all’uniformità e all’obiettività ma rischia di rimanere parziale, di occultare i fenomeni sociali di lungo periodo riferibili alle questioni dell’insediamento che conserva il suo carattere complesso, processuale e polivalente.
Collocandosi al livello minimo della cascata di enti che coprono il territorio dello Stato, il comune come ente amministrativo territoriale si priva di autonomia politica, si immerge in uno spazio giuridicamente liscio; d’altronde il comune non nega
l’esistenza, al di sotto di se stesso, di frammenti insediativi, ma, monopolizzando le funzioni amministrative decentrate, a partire da quelle di inquadramento della popolazione (prima affidate ai parroci ed ora allo stato civile) ne occulta la rilevanza. L’insediamento si traduce in un repertorio di comuni che lo Stato, monopolista della classificazione dei centri abitati, riconosce per legge e censisce sistematicamente.
Utilizzando sistematicamente i censimenti, l’indagine viene prolungata fino ad oggi.
3. METODI E STRUMENTI
Le informazioni contenute nei repertori vengono interpretate, raccolte e schedate in database e a ciascuno dei luoghi abitati documentati, circa 5.000, viene attribuito un codice univoco (ID), che permette di inserirlo in insiemi spaziali e di verificarne la continuità o meno sul lungo periodo. La massa di informazioni così ottenuta è georiferita tramite sistemi di informazione geografica che consentono la produzione di una cartografia dinamica, in grado di restituire il carattere processuale e plurale del fenomeno insediativo.
Si tratta di procedure non prive di insidie: il linguaggio degli strumenti informatici e digitali impone scelte drastiche che sembrano oggettivare, semplificare, irrigidire la straordinaria complessità dei fenomeni insediativi. Per ridurre i rischi di questa natura, sono state adottate soluzioni compromissorie, tali da permettere di rappresentare gli elementi della ricerca. Per l'Atlante dell’insediamento meridionale, l’unità minima considerata è stata l’insediamento, nonostante sia un fenomeno dinamico e sfaccettato, squisitamente relazionale e non solo spaziale. Non è un luogo fisico associabile ad un toponimo che permane nel tempo, individuabile geograficamente attraverso un areale ben delimitato da confini noti.
Il problema della rappresentazione sfruttando le potenzialità del GIS ha imposto quindi di individuare una entità tra punto, linea o poligono, nella georeferenziazione dei singoli record derivanti dalle fonti storico-archivistiche utilizzate. Da questo deriva il limite dello strumento, poiché costringe a scelte obbligate. Difatti, dal punto di vista geometrico, non è possibile ricavare l'area fisica, ossia l'estensione effettiva dell'insediamento per la mancanza di fonti grafiche e cartografiche storiche, non per carenze archivistiche, ma per l’assenza del concetto spaziale tra il XIII e il XIX secolo. I flussi variano nel tempo e in base alla variabile considerata, e il toponimo è una tra le tante.
Per l’impossibilità di pensare realtà spaziali come contenitori inerti di gruppi umani e dunque come realtà dai confini certi, si è deciso, attraverso l’astrazione concettuale dello spazio geografico e l’individuazione di una sorta di “baricentro” dell’insediamento, di ridurlo a punto adimensionale, più neutro e oggettivo di artificiose ed ipotetiche forme spaziali che confliggono oggi con i limiti amministrativi e politici, e, paradossalmente, proprio per questo capace di dialogare con le spazialità multiple, non euclidee, nelle quali si esprime la vita delle società insediate.
Il punto, inteso come entità legata ad un codice numerico (ID), permette un confronto su ampia scala e su un lungo periodo tra fonti di natura diversa, integrandosi in un sistema interrogabile in base alle necessità dell’utente finale e che possa costruire una cartografia versatile e dinamica, in grado di mostrare realtà insediative molteplici e parallele.
In ogni caso, la cartografia digitale costruita in questa maniera evita le trappole tipiche degli atlanti cartacei: da un lato quella del rifiuto del disordine spaziale, la tendenza ad occultare lacune, incertezze, la complessità ed il carattere relazionale dei nessi fra gruppi umani e spaziali; e dall’altra, quella della trasmissione autoritaria, in vario modo occultata dalla ‘neutralità’ dello strumento, delle letture dello spazio umanizzato prodotte dagli autori. La costruzione di un WebGis permetterà agli utilizzatori di rivolgere alle banche dati domande di varia natura relative ad ogni taglio spaziale, temporale, tematico, ricavandone risposte numeriche, narrative o cartografiche ritagliate sulle domande stesse.
4. OBIETTIVI
L’atlante in costruzione vuole illustrare genesi, logiche, mutamenti, dinamiche relazionali dei fenomeni insediativi che, strutturatisi in processi secolari, si consegnano al nostro presente con il loro ingombro e le loro inerzie, e pongono problemi drammatici di conservazione, gestione, governo. Esso intende essere uno strumento di lavoro anche per chi pensa e progetta le forme dell’abitare nelle società contemporanee, investite da processi di composizione e scomposizione impetuosi dei rapporti fra società e spazi.
Su questo piano l’ambizione dei ricercatori impegnati nel progetto è, nella sostanza, di inserire dubbi ed esitazioni nella vasta schiera di quanti pensano la globalizzazione come passaggio catastrofico da un mondo ‘tradizionale’ di comunità abbarbicate al suolo, radicate in ambienti puntuali, ad un mondo di individui delocalizzati. Le società che la storia ci consegna realizzano con i loro spazi rapporti complicati, dotati di una straordinaria ricchezza che occorre imparare a decifrare. Ovviamente il
mutamento in cui siamo immersi è impetuoso. Il punto è che pensarlo come passaggio dal semplice al complesso, dallo statico al dinamico, dal locale al globale significa semplicemente precludersi la possibilità di comprenderlo.
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