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3.1: La giurisprudenza ed il rapporto del decreto 39 con altre norme – 3.2: la giurisprudenza e la rigorosa applicazione della disciplina – 3.3: La giurisprudenza in

tema di vigilanza e sanzioni

3.1 – La giurisprudenza ed il rapporto del decreto 39 con altre norme Risulta quanto mai interessante, infine, dedicare un ultimo capitolo ad una breve rassegna su alcuni importanti casi giurisprudenziali in materia di accesso agli incarichi amministrativi; l’organo giudiziario, grazie alla cogenza delle sue statuizioni, meglio può dare un autorevole interpretazione sull’applicazione della disciplina.

Il giudice amministrativo si è trovato ad affrontare il problema della presenza di normative confliggenti; Un primo caso riguarda il contrasto tra l’articolo 12, comma 1, del decreto 39 (che tratta l’incompatibilità tra le cariche di dirigente e componente di organo di indirizzo nello stesso ente) e l’art 67, comma 3, del decreto 300/1999 (che prevede, nelle agenzie fiscali, che la metà del comitato di gestione sia formato da dirigenti dell’ente medesimo)63

: punto nevralgico della questione è se l’incompatibilità può applicarsi ai componenti del comitato di gestione delle agenzie fiscali. Sicuramente, asserisce il Consiglio, tale comitato rientra nella definizione data dall’art. 1 comma 2 lett. f) del decreto 39 (“componenti di organo di indirizzo politico”, in cui rientrano “le persone che “partecipano, in via elettiva o di nomina, a […] organi di indirizzo in enti pubblici” ), considerato che “nell’equilibrio dei poteri tra il direttore dell’agenzia e il

comitato di gestione è difficile negare che quest’ultimo comunque esprima poteri di indirizzo e di orientamento gestionale, proprio a supporto delle scelte operative che restano chiaramente intestate alla responsabilità del direttore.” Perciò la

soluzione sembra essere l’incompatibilità tra l’incarico dirigenziale e la carica di

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componente del comitato di gestione all’interno della stessa agenzia fiscale, con connessa scelta per il soggetto di quale incarico mantenere.

Un altro caso riguarda una sentenza64 in cui è stata annullato, per difetto di qualsivoglia motivazione, il provvedimento con cui comunicata al ricorrente la decadenza dalla carica di Presidente di Consorzio65. Per quel che noi interessa, la normativa anticorruzione viene fatta prevalere su alcune disposizioni del TUEL: se è pur vero, infatti, che l’art. 50 del d.lgs. 267/2000 conferisce ampi poteri di nomina e revoca al Sindaco e presidente della provincia, oltre ad un’automatica decadenza degli incarichi alle elezioni di questi (commi 8 e 9), normativa riprodotta in numerose leggi regionali, il decreto 39 vieta agli organi politici dell’ente locale di “rappresentare quest’ultimo in prima persona” in seno agli Organismi e alle Istituzioni cui l’Ente partecipa (artt. 7 e 11); il legislatore ha voluto garantire autonomia ed indipendenza alla carica nell’ente controllato dall’organo politico, per cui le norme che regolano il conferimento e la revoca negli istituti partecipati devono essere interpretate alla luce del decreto anticorruzione, anche in considerazione dell’art. 22 che fa prevalere le disposizioni di questo “sulle diverse disposizioni di legge regionale, in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e presso gli enti privati in controllo pubblico”66

. Nel caso in esame, la difesa ha poi addotto come base per la legittimità dell’operato l’art. 31 del TUEL, il quale disciplina specificatamente i consorzi, in cui garantita la partecipazione diretta dell’organo politico nell’assemblea del Consorzio, con facoltà di questo di scegliersi (e revocare) a piacimento un proprio delegato (comma 4). Il giudice non esclude l’applicazione del decreto 39 anche in questa ipotesi, così come per la generale disciplina dell’art. 50; “i Consorzi non costituiscono affatto un eccezione

nel “panorama generale” della disciplina anticorruzione, come vorrebbe parte

64 Sentenza TAR Sardegna 972/2015. 65

Tale atto era considerato, infatti, dal nuovo Commissario straordinario, “un effetto automatico del

proprio subentro nelle funzioni commissariali”; il giudice ha asserito come per gli incarichi

fiduciari, solamente quelli di carattere “squisitamente politico”, come ad esempio gli Assessori, “risultano del tutto sottratti al dovere di motivazione, mentre gli altri vi restano soggetti,

specialmente in punto di revoca” (così seguendo l’orientamento giurisprudenziale della S.C.

104/2007, si vedano pagg 38 e ss).

66 Da considerare anche che, nel caso di specie, la revoca è stata disposta da un Commissario

straordinario di una disciolta Provincia, “nei cui confronti il carattere “puramente fiduciario”

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controinteressata, dovendosi, anche per essi, escludere che Sindaco e Presidente della Provincia possano sedere personalmente negli organi amministrativi. ( art. 7,

comma 2, lett c))[…] il divieto per l’Organo politico di svolgere personalmente le

funzioni di cui si discute mantiene un senso e una funzione compiuti solo ove si riconosca al terzo (necessariamente) “delegato” una certa sfera di autonomia garantita dal “delegante”; ipotizzando, invece, che la “delega” possa essere revocata senza alcuna motivazione, si finisce per “assoggettare” del tutto il “delegato” al “delegante” e, a quel punto, non è dato capire perché quest’ultimo non potrebbe tranquillamente “sedere in prima persona” nel Consiglio di partecipazione dell’Ente partecipato, il che, però, la normativa anticorruzione espressamente vieta.” Quindi la giurisprudenza ha esteso l’applicazione del decreto

anche agli incarichi fiduciari ex art. 31 e 50 TUEL.

Nei casi giurisprudenziali ora richiamati quindi si denota l’importanza che viene attribuita alla disciplina di imparzialità dei funzionari pubblici e della prevenzione dei conflitti d’interesse, facendo prevalere le finalità di attuazione degli artt. 54 e 97 (e 98), su quelle di economicità, governabilità, razionalizzazione e controllo sugli enti pubblici e partecipati.

3.2 – La giurisprudenza e la rigorosa applicazione della disciplina

È possibile notare come nelle sue statuizioni, il Consiglio di Stato abbia mantenuto un atteggiamento “prudente”, interpretando le disposizioni del decreto nel modo più attinente al dettato normativo, censurando le “coraggiose” estensioni dei tribunali amministrativi regionali.

Un primo caso riguarda la possibilità di estendere la disciplina ad altri incarichi nel settore sanitario oltre i tre (direttore generale, sanitario ed amministrativo) espressamente previsti67. Nel giudizio di primo grado68, il ricorrente adisce il giudice per ottenere l’annullamento dell’atto del RPC che rileva l’incompatibilità tra la carica di Capo dipartimento dell’unità operativa chirurgica e la carica di componente del consiglio comunale di un Comune con più di 15.000 abitanti (con conseguente “intimazione” di scegliere la carica da mantenere alla scadenza del

67 Si veda il Capitolo II della Sezione per una panoramica degli orientamenti ANAC in materia. 68 4983/2014 TAR Campania.

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contratto). Il ricorrente ritiene infatti che l’art. 12 si applichi solo alle figure di direttore generale, sanitario ed amministrativo, le uniche con rilevanti funzioni amministrative e di gestione, mentre lui è un semplice dirigente che ha funzioni di gestione nel mero campo medico. Il Giudice amministrativo non è dissuaso ed asserisce che, per quanto l’art. citato richiami come figure incompatibili solo quelle tre, l’intero impianto legislativo (le definizioni all’articolo 1 e le altre varie inconferibilità ed incompatibilità) unito alla riconduzione al dettato costituzionale (art 54 e 97) mirino a non far penetrare l’influenza politica nell’apparato amministrativo, rendendo, per i dirigenti pubblici, incompatibile le cariche politiche. Non si evince perché allora la disparità di trattamento con i dirigenti nell’area medica, considerato che anche loro possono avere compiti amministrativi e gestionali. Il giudice quindi estende l’ambito applicativo della norma in base alla finalità prepostesi dal legislatore. Orbene, come già anticipato il consiglio di Stato ha riformato69 la sentenza di primo grado. Posto che “le norme che impongono

limiti ai diritti di elettorato attivo e passivo dei cittadini – e fra queste quelle in materia di incompatibilità – sono di stretta interpretazione”, rispetto alle restanti

categorie di dirigenti pubblici “appare chiaro ed inequivocabile, dunque, che il

legislatore delegato ha dettato una disciplina speciale per il personale delle Aziende sanitarie locali; ed ha fatto ciò in pedissequa applicazione del criterio imposto dalla legge delega, e precisamente dall’art. 1, comma 50, lettera (d). Questo prevede esplicitamente una disciplina apposita per il personale delle A.S.L. e delle Aziende ospedaliere al fine di «comprendere» nel regime dell’incompatibilità i tre incarichi di vertice (direttore generale, direttore sanitario, direttore amministrativo).” Tramite una disciplina speciale il legislatore

ha escluso l’applicabilità del decreto alla restante dirigenza medica, e “se il

legislatore delegante e quello delegato hanno sottratto i dirigenti medici al regime generale dell’incompatibilità con le cariche pubbliche elettive, questa scelta non appare tanto manifestamente illogica da indurre a porvi rimedio mediante operazioni interpretative in contrasto con il dato trasparente della formulazione letterale”. Il Consiglio di Stato in questa sede ha quindi posto l’accento sulla

garanzia dell’accesso alle cariche pubbliche, valorizzando la scelta del legislatore

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di permettere lo svolgimento di una carica politica a chi svolge incarichi dirigenziali caratterizzati da competenze di gestione limitate quali quelli in ambito sanitario.

L’altro caso da esaminare attiene all’interpretazione delle funzioni da svolgere per rientrare nella carica di “Presidente con deleghe gestionali dirette”70

. Nel giudizio di primo grado71 i ricorrenti deducono (per quel che a noi interessa) la nullità ex art. 17 decreto 39 della delibera di proclamazione a Presidente di una camera di commercio (nulla quaestio sul fatto che sia rientrante nella nozione di “ente pubblico”) di un soggetto che nei due anni successivi era stato Presidente di un ente controllato dalla camera di commercio stessa; affinché l’art 4 del decreto trovi applicazione, al Presidente devono essere attribuite “deleghe gestionali dirette”. Orbene, valutando le funzioni svolte dal soggetto72, il giudice non ha avuto alcun dubbio ad attribuirgli tali deleghe, considerando che la dizione serve a distinguere le situazioni in cui la carica di Presidente ha compiti di amministrazione da quelle in cui ha meri compiti di rappresentanza dell’ente (non rientrabili nelle deleghe gestionali dirette73). Così il giudice ha dichiarato l’inconferibilità ex art. 4 della carica. Il Consiglio di Stato ha riformato74 la sentenza di primo grado, poiché i giudici avrebbero erroneamente attribuito al soggetto “deleghe gestionali dirette”; posto che “la preclusione di cui al richiamato articolo 4, comportando una

rilevante limitazione alla conferibilità di un incarico pubblico deve essere interpretata in modo rigoroso, restando precluse opzioni ermeneutiche di carattere ampliativo, analogico o solo estensivo”, viene fatto notare che le funzioni del

70 Si vedano i due precedenti capitoli per una critica dell’ANAC su questa attribuzione. 71 Sentenza 4567/2016 TAR Lazio.

72 “ai sensi dell’art. 25 dello Statuto della CCIAA di Roma, il Presidente:

- attua la politica generale della Camera di Commercio; - ha la rappresentanza legale ed istituzionale dell’ente; - in caso di urgenza adotta le deliberazioni della Giunta;

- partecipa alla Giunta che presiede e convoca, fissandone l’o.d.g., con voto che prevale in caso di parità.

Da quanto riportato egli è, dunque, titolare di deleghe gestionali dirette, non essendo un organo meramente rappresentativo o intestatario delle sole attribuzioni di indirizzo politico: “attua” la politica generale della Camera di Commercio, ovvero quegli atti di indirizzo che competono al Consiglio (vedi art. 14 dello Statuto comma 2, lett. d ed e), e assume i poteri della Giunta in caso di urgenza.”.

73 In tal senso si esprime anche l’ANAC (Supra nota 13). 74 Sentenza 4009/2016.

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presidente (previste nello Statuto) analizzate dal giudice a quo75 combacino con quelle previste dalla legge (Art. 16, comma 2, legge 580/1993), la quale prevede che il presidente rappresenti la camera di commercio, convochi e presieda il consiglio e la giunta, ne determini l'ordine del giorno e, in caso di urgenza, provveda agli atti di competenza della giunta (in tal caso gli atti son sottoposti alla ratifica della giunta nella riunione successiva); orbene, nessuno di questi compiti attiene alla sfera gestionale, considerando che la Giunta “è sì, qualificata come

Organo esecutivo della Camera di commercio, ma pur sempre nell’ambito di un modello istituzionale che ben conosce la nota distinzione fra indirizzo politico- amministrativo e attività gestionale, demandata alla tecnostruttura.” Si può perciò

ben dire che “l’assunzione dei poteri della Giunta non può determinare aree di

sovrapposizione con i compiti tipici della tecnostruttura amministrativa”. Quindi,

tramite un’interpretazione stretta del testo letterale, non può esser applicata la disciplina del decreto 39 al Presidente che non svolge effettivi compiti di gestione propri della dirigenza76.

Dall’analisi di questi casi risulta che il CdS abbia mantenuto una linea di pensiero legata allo stringente dato normativo, evitando di compiere interpretazioni fin troppo estensive, caratteristica invece di alcuni orientamenti dell’Autorità anticorruzione volti ad un necessario rimodellamento della disciplina che il legislatore perita a compiere.

3.3 – La giurisprudenza in tema di vigilanza e sanzioni

Il giudice amministrativo ha avuto modo di esprimere la propria interpretazione a riguardo del rapporto e dei poteri di ANAC e RPC. Nel primo caso77 il ricorrente chiede l’annullamento delle delibere dell’Autorità che statuiscono la sussistenza di una sua inconferibilità e dei conseguenti provvedimenti di contestazione dell’inconferibilità e di dichiarazione di nullità dell’incarico emessi dal RPC. Tralasciando la parte di merito incentrata sulla sussistenza o meno della incriminata

75 Supra nota 72. 76

Sulle pratiche elusive svolte dagli enti per svincolarsi dalla dizione, si rimanda ad una lettura in particolare dell’atto di segnalazione ANAC n° 1/2017 (a cui si è brevemente accennato supra nota51).

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inconferibilità78, tra i motivi addotti dal ricorrente risalta, per quel che a noi interessa, anche “Illegittimità dei provvedimenti impugnati. Inesistenza di poteri

dispositivi, ordinatori e sanzionatori in capo all'ANAC. Con la delibera n. 66/2015 l'ANAC avrebbe esercitato poteri dispositivi, ordinatori e sanzionatori che non possiederebbe in quanto l’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 39/2013 avrebbe attribuito all’autorità una funzione consultiva, su richiesta delle amministrazioni e degli enti interessati, sulla interpretazione delle disposizioni contenute nel decreto e sulla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e di incompatibilità degli incarichi” Il giudice ritiene tale censura infondata: infatti le

delibere in esame sono state emanate ai sensi dell’art. 1, comma 3 legge Severino e art. 16 del decreto 39, dal cui combinato disposto si evince che “in materia di

prevenzione della corruzione, inconferibilità e incompatibilità degli incarichi […] l’Autorità svolge un’attività consultiva in ordine ai problemi interpretativi e applicativi posti dalla legge n. 190/2012 e dai relativi decreti di attuazione. I pareri espressi dall’Autorità, aventi ad oggetto l’interpretazione del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, rientrano nella funzione di vigilanza alla medesima attribuita dal d.lgs. 39/2013, senza che da essi scaturiscano effetti immediatamente e direttamente lesivi della sfera giuridica dei destinatari.” Le delibere in esame,

sostanzialmente, si traducono “in un atto di denuncia e/o impulso, ma non

integra[no] gli estremi di un provvedimento sanzionatorio”. Quindi l’atto

dell’Autorità non ha nulla di dispositivo nei confronti del RPC, che svolge il suo compito autonomamente ed in maniera del tutto indipendente ex art. 15 del decreto 39. In conclusione, il giudice asserisce che “l’Autorità non ha annullato il

provvedimento di nomina, né ha irrogato alcuna sanzione, è rimasta viceversa nell’alveo delle attribuzioni ad essa conferite dalle diposizioni di rango primario ed ha espresso il proprio qualificato orientamento al naturale destinatario (il

RPC), invitandolo ad adottare, nel rispetto della propria autonomia organizzativa,

le determinazioni a cui era tenuto nel rispetto delle disposizioni di legge in tema di inconferibilità o incompatibilità.”.

78 L’applicabilità dell’art. 8 alla figura del commissario straordinario di Azienda Sanitaria (Si veda

pag 137); la sentenza, in ogni caso, segue in questo ambito la linea di pensiero dell’ANAC (si rimanda a R. Cantone, A. Corrado “La difficile applicazione della disciplina in tema di

inconferibilità e incompatibilità degli incarichi” in I.A. Nicotra (a cura di) “L’Autorità Nazionale Anticorruzione. Tra prevenzione e attività regolatoria”; Giappichelli editore, 2016; pag 124).

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Dunque, questo primo caso ha riguardato l’ipotesi in cui il RPC, dotato dell’esclusivo potere di contestazione dell’inconferibilità e dichiarazione della nullità/incompatibilità dell’incarico e relativo potere sanzionatorio, si è adeguato all’ “atto di denuncia e/o impulso” dell’Autorità; interessante risulta esaminare anche una situazione in cui il RPC non ha condiviso il parere dell’ANAC; orbene parliamo in particolare di un caso79 in cui l’Autorità ha ordinato al nuovo RPC di un consorzio di annullare il provvedimento del vecchio RPC che dichiarava l’insussistenza di una inconferibilità in relazione al Presidente del Consorzio, a differenza di quanto rilevato da una precedente delibera dell’Autorità. Per quel che a noi interessa, il ricorrente chiede l’annullamento di questo atto impositivo; infatti “L’Anac impartisce ordini al RPC del Consorzio, imponendo gli adempimenti da

svolgere e determinando l’esito del procedimento, in assenza di norme di rango legislativo che la autorizzino in tal senso. […] l’art. 16 del d.lgs. n. 39/2013 non contempla alcun potere di ordine ma solo di ispezione e vigilanza […] L’Autorità ha erroneamente ritenuto che i poteri ispettivi e di vigilanza previsti dall’art. 16, comma 1, d.lgs. n. 39/2013 legittimerebbero il potere d’ordine e di nullità ex lege dell’incarico qualora i procedimenti avviati dal RPC si concludano con l’archiviazione, mentre l’unico organo titolare del potere di contestazione dell’inconferibilità/incompatibilità dell’incarico è il RPC dell’Ente, non essendo possibile configurare l’esistenza di un potere sostitutivo dell’Anac sul punto.”

L’Autorità, a sostegno dei suoi poteri, “richiama il combinato disposto dell’art. 1,

comma 3, della legge 190/2012 e dell’art. 16 del d.lgs. 8 aprile 2013 n. 39 e afferma che l’esercizio di tale potere è stato ampiamente motivato e regolato dall’Autorità stessa con la delibera 18 novembre 2014, n. 14680

. Richiama, ad

ulteriore conferma, anche la recente Delibera n. 833 del 3.08.2016, recante le “Linee guida in materia di attività di vigilanza e poteri di accertamento dell’ANAC in caso di incarichi inconferibili e incompatibili””. Ebbene, il giudice ha ritenuto

legittime le censure del ricorrente. Il potere attribuitosi dall’ANAC, per rispettare il principio di legalità dell’azione amministrativa81

, deve essere basato, almeno per i suoi profili essenziali, su un dato normativo, non potendo del tutto fondarsi su atti

79 Sentenza 11270/2016 TAR Lazio.

80 Si veda anche la delibera 459/2016 (già richiamata supra nota 43 ), censurata in questa sede. 81 Si vedano pagg 20 e ss.

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di cd soft law. Premesso ciò, il riferimento all’art. 1 comma 3 legge Severino non è attinente, considerando che la disposizione “trova applicazione in riferimento a

quelle misure per la prevenzione e per il contrasto della corruzione previste nel PNA e nei piani delle singole amministrazioni e non all’intero corpus normativo esistente in materia di anticorruzione”, inoltre l’articolo 16 del decreto ha portata

“autoconsistente”, cioè del tutto idoneo ad essere applicato in maniera esclusiva al decreto 39, di conseguenza una lettura letterale del testo dell’articolo porta alla conclusione che all’ANAC spetta l’esercizio “di un generale potere di vigilanza,

rafforzato attraverso il riconoscimento di forme di dissuasione e di indirizzo dell’ente vigilato, che possono financo condurre alla sospensione di un procedimento di conferimento ancora in fieri ma che non possono comunque mai portare alla sostituzione delle proprie determinazioni a quelle che solo l’ente vigilato è competente ad assumere […] In definitiva, osserva il Collegio che solo ed esclusivamente al RPC dell’ente, e non anche all’Anac, spetta il potere di dichiarare la nullità di un incarico ritenuto inconferibile ed assumere le conseguenti determinazioni ”.

Ebbene, si può concludere come la giurisprudenza abbia modellato un sistema in cui l’ANAC è un coadiuvante nell’attività di competenza del RPC, vigilando e consigliando sulla corretta applicazione della disciplina, oltre a “suggerire” agli RPC quandanche contestare la sussistenza di violazioni del dettato normativo nella fattispecie; tale impostazione combacia con quella delineata dall’ANAC82 solamente nei casi in cui il RPC si dimostri concordante col parere dell’Autorità: in caso contrario la giurisprudenza nega che sussista in capo all’ANAC alcun potere d’ordine con cui essa possa imporre un atto contenutisticamente vincolato al RPC, il quale, in questo modo, solo formalmente manterrebbe l’esclusività della sua funzione così come stabilito dal legislatore. Così l’Autorità non può assurgere ad “estremo garante” della corretta ed omogenea applicazione della disciplina sul territorio nazionale, rimanendo la censura di qualsivoglia illiceità dell’operato degli RPC di competenza del sindacato giurisdizionale.

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Conclusioni

La corruzione dei funzionari pubblici è un male che impedisce all’amministrazione di raggiungere il suo traguardo teleologico. La repressione di tale fenomeno non era strumento sufficiente per scongiurare questo “cancro”: il sistema (immunitario, se vogliamo continuare il paragone) necessitava di una normativa capace di