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Il ruolo del green marketing: combinare efficienza e comunicazione.

compatibilità nell’Unione Europea

3. LA GREEN REVOLUTION

3.5. Il ruolo del green marketing: combinare efficienza e comunicazione.

Dalle strategie green a livello core l’impresa può sviluppare anche vere e proprie strategie di marketing orientate alla sostenibilità (green marketing). 82 Secondo alcuni, l’attenzione ambientale dell’impresa dovrebbe essere incorporata nella strategia core come aspetto pervasivo di tutte le attività aziendali (poiché l’impresa stessa è un soggetto consumatore di risorse), in ragione di una relazione esistente tra l’approccio strategico dell’impresa e il marketing (Chamorro, Banegil). Il ruolo del green marketing riguarda la generazione strategica di attenzione ambientale e sociale nel consumo e l’attivazione, in ambito competitivo, di nuovi business e spazi di mercato83 sfruttabili dall’impresa tramite una vision che consideri gli aspetti ambientali della gestione (marketing strategico) oppure specifichi le politiche di comunicazione, distribuzione, prodotto, prezzo coerentemente alle strategie aziendali, comprese quelle rivolte alla                                                                                                                          

81  “Blue  Ocean  Strategy”.  Kim,  Mauborgne.  Harvard  Business  School  Press,  Boston,  2005.   82    “Sostenibilità  ambientale  e  Made  in  Italy”.  Di  Maria,  Micelli,  De  Pietro,  Da  Ronch,  VIU,  2012.   83  “The  green  marketing  manifesto”.  Grant.  John  Wiley  and  Sons.  Chichester,  2007  

sostenibilità (marketing operativo) (De Castro, Aloj, 2007). Il green marketing pone il focus sullo sviluppo di prodotti dal minore impatto ambientale, legandosi ai processi di eco-innovazione tramite l’attivazione di una visione estesa all’intero ciclo di vita del prodotto (Life Cycle Thinking); questa prospettiva allargata e l’auspicato minor impatto ambientale richiedono una gestione più ampia e integrata del prodotto, coinvolgendo anche gli attori specializzati nella distribuzione per la definizione di un’idonea politica al riguardo. La gestione delle relazioni con tutti gli stakeholder si estende e diviene più consapevole e collaborativa, poiché la sostenibilità è intesa in senso sia ambientale sia sociale; inizialmente le attività svolte dall’impresa in questa chiave andrebbero comunicate all’esterno tramite iniziative connesse alla responsabilità sociale d’impresa (CSR), che a un livello più avanzato includeranno i tentativi dell’impresa di ridurre l’impatto ambientale dei propri prodotti e/o processi. Questo ripensamento di prodotto/processo è indotto anche da cambiamenti sul fronte della domanda (market- push), poiché il consumatore è interessato e si informa sulle conseguenze del modus operandi adottato dall’impresa, esprimendo poi un giudizio condiziona le sue scelte di acquisto. Tra i consumatori si annoverano privati e imprese, ma anche autorità e istituzioni pubbliche; queste ultime sono considerate tra i principali consumatori di questa categoria di prodotti in Europa per la mobilitazione di due trilioni di euro l’anno, corrispondente circa al 19% del PIL europeo. L’acquisto di prodotti green da parte di questi soggetti è importante perché rende possibile la creazione di un mercato per prodotti/servizi “verdi” e costituisce un segmento sempre più rilevante, caratterizzato dal riconoscimento di valore nei confronti di un’offerta ottenuta con metodi di produzione più responsabili (Cause Related Marketing) (Richey, Ponte, 2011).

Figura 3.5.2. Factors for purchasing organic dairy products.

L’impegno dell’impresa e il suo coinvolgimento in tale ambito hanno valore competitivo e vanno trasmessi ai consumatori e alle altre categorie di stakeholder tramite adeguate e attente politiche di comunicazione, che permettano al pubblico di associare il nome e/o l’immagine di una marca e dell’impresa a determinate caratteristiche.84 Le politiche pubblicitarie e di marketing assumono particolare importanza per i prodotti/servizi green, che hanno spesso caratteristiche non percepibili in modo diretto tramite l’utilizzo, ma per essere conosciute dal pubblico richiedono informazioni costose (in termini di tempo, energie e, talvolta, denaro) poiché collegate alla modalità di produzione impiegata o al patrimonio intangibile dell’impresa (know- how, esperienza, conoscenze, ecc.). Pertanto, le aziende devono considerare con attenzione le informazioni da trasmettere o i canali di comunicazione impiegati, vista la loro capacità di creare nel medio-lungo periodo valore economico; marchi, certificazioni e adeguate politiche di marchio si possono tradurre infatti in efficaci fattori competitivi. In particolare, i prodotti alimentari umani sono sottoposti a determinate norme per l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità (Direttiva 2000/13/CE) che vietano frasi ambigue o ingannevoli su proprietà curative, effetti per la salute e contenuti nutrizionali dei prodotti (reg. CE 1924/2006). 85 Inoltre per essere

immessi sul mercato, devono rispondere a requisiti di natura igienico-sanitaria e merceologico-mercantile volti a garantire al consumatore un livello minimo di qualità, tutela ambientale, salute degli animali e delle piante e benessere animale. I requisiti igienico-sanitari sono un insieme di precauzioni da adottare per ogni categoria e tipo di alimento durante la produzione, manipolazione e distribuzione a fini di rendere il consumo umano sicuro, salutare e soddisfacente; i requisiti merceologico-mercantili sono invece criteri standard, definiti dalle norme di commercializzazione per i prodotti agricoli come caratteristiche minime, categorie merceologiche, classificazione secondo il calibro e la qualità, omogeneità con riferimento al contenuto di imballaggi o partite, condizionamento, indicazioni esterne sugli imballaggi, etichettatura e presentazione del prodotto al consumo. Non esiste ancora una definizione giuridica di qualità perché essa, rispetto alla sicurezza igienica (di carattere uniforme e non negoziabile), tende a soddisfare bisogni edonistici di natura plurale, negoziabile, distinta e aggiuntiva (Aida,                                                                                                                          

84  “Sostenibilità  ambientale  e  Made  in  Italy”.  Di  Maria,  Micelli,  De  Pietro,  Da  Ronch,  VIU,  2012.  

 

85  “I  metodi  di  produzione  sostenibile  nel  sistema  agroalimentare”.  Lucia  Briamonte,  Raffaella  Pergamo.  

INEA,  2008.    

2009) e dipende da vari fattori; è connessa alle esigenze da soddisfare e alle diverse produzioni, assumendo un significato differente secondo la fase di filiera di riferimento. Per il produttore agricolo la qualità si concentra nelle caratteristiche intrinseche del prodotto e il consumatore la percepisce tramite l’informazione esterna (pubblicità, passaparola), indicatori intrinseci (gusto, aspetto, salubrità) ed estrinseci (marca, origine dei prodotti, marchio di qualità), che insieme costituiscono i cosiddetti segnali di qualità (quality cues) ed elementi attrattivi come la convenience (rapporto qualità/prezzo) e il servizio (facilità d’uso, conservabilità) (Maccioni, 2009).

Il consumatore del biologico ha bisogno di rassicurazioni sull’effettiva rispondenza del prodotto alle “promesse” e cerca nei prodotti acquistati un senso di consapevolezza e responsabilità concretizzato da diversi aspetti (es. una minore quantità di imballaggi). La fiducia, il valore, la reputazione accordati dal consumatore “bio” sono rafforzati dal fatto che i prodotti siano sottoposti a un quadro giuridico specifico che ne condiziona e definisce il metodo di produzione, etichettatura e controllo, assicurandone caratteristiche quali la valenza ambientale, l’assenza di organismi geneticamente modificati (OGM), la sanità (assenza di residui di sostanze nocive), l’assenza di coloranti e/o conservanti. Il consumatore associa sempre più frequentemente la qualità dei beni/servizi all’etica e alla responsabilità sociale: la capacità dell’impresa di associare all’immagine di marca tali aspetti, insieme a un suo ruolo attivo sul territorio, una forte coesione sociale, il rispetto e la valorizzazione del suo capitale umano, ne decreta il successo e la forza e accresce la fiducia degli stakeholder economici e sociali. Nelle aziende biologiche, la garanzia dei requisiti tipici spetta alla certificazione di prodotto e di processo,86 mentre la marca serve a comunicare un insieme di valori sociali ed emozionali (qualità percepita); dunque, il marchio scavalca la garanzia dei requisiti propri del biologico (es. sostenibilità e trasparenza) per esprimere un insieme di valori aziendali e identificarsi in strumenti di responsabilità sociale.

Date le potenzialità commerciali dell’eco-sostenibile, alcune imprese tentano di conquistare segmenti di consumatori attraverso il greenwashing, definito come: “ (…) the practice of making an unsubstantiated or misleading claim about the environmental benefits of a product, service, technology or company practice”, in altre parole facendo                                                                                                                          

86  La  certificazione  garantisce  l’osservanza  dei  metodi  di  coltivazione  e  trasformazione  secondo  le  

disposizioni  comunitarie,  mentre  le  caratteristiche  qualitative  dell’alimento  sono  variabili  e  connesse   alle  scelte  del  produttore  e/o  allo  stesso  ambiente  dell’area  di  produzione.  

affermazioni fuorvianti/non dimostrate sui benefici ambientali dei propri prodotti, servizi, tecnologie o pratiche aziendali. Il recente e crescente interesse degli stakeholder verso la sostenibilità la rende appetibile, ma poiché la sua realizzazione richiede investimenti anche impegnativi o non esiste un reale interesse dell’organizzazione in tal senso, alcune imprese tentano la via dell’opportunismo sfruttando l’asimmetria informativa dei clienti/consumatori; inoltre, il rapido aumento del numero delle imprese eco-sostenibili rende spesso difficile distinguere tra queste ultime e quelle che si fingono tali. Esistono sette diversi “peccati” (sins) del greenwashing, ossia sette diverse pratiche di marketing scorrette da parte delle imprese: 87

1) Sin of the hidden trade-off (peccato del compromesso nascosto) - definizione di un prodotto come “verde” basandosi su un ristretto insieme di attributi, ma tralasciando altre importanti questioni ambientali. Ad esempio, nella produzione della carta una fornitura tramite foreste gestite in modo responsabile è positiva, ma altri aspetti del processo (es. emissioni di gas serra o uso della clorina nella fase di sbiancamento) potrebbero compensare gli effetti positivi decantati;

2) Sin of no proof (peccato della mancata prova) - affermazione ambientale non facilmente provabile tramite informazioni di supporto o la certificazione di una terza parte credibile (es. affermare che un prodotto contenga una certa percentuale di materiale riciclato senza provare l’evidenza);

3) Sin of vagueness (peccato di vaghezza) – affermazione talmente vaga o povera da essere incomprensibile per il consumatore (es. la frase “100% naturale” non implica necessariamente la sostenibilità di un prodotto o delle sue componenti, come nel caso di sostanze come uranio/mercurio);

4) Sin of worshiping false labels (peccato di falsa marca) – un prodotto trasmette, tramite parole e/o immagini, l’impressione di essere approvato da parti terze quando tale sostegno non esiste;

5) Sin of irrelevance (peccato di irrilevanza) – affermazione potenzialmente vera ma non importante o non di aiuto per i consumatori che cercano prodotti preferibilmente sostenibili (es. l’affermazione “CFC- free” è inutile poiché i clorofluorocarburi o CFC sono vietati dalla legge);

                                                                                                                         

6) Sin of lesser of two evils (peccato del minore tra due mali) – affermazione potenzialmente vera riguardo alla categoria di prodotto, ma che rischia di distrarre il consumatore dai maggiori impatti ambientali della categoria nel complesso (es. le sigarette ecologiche);

7) Sin of fibbing (peccato di raccontare frottole) – affermazioni ambientali false. L’esempio più comune sono i prodotti che affermano di essere certificati o registrati Energy Star.

Sebbene sembri la via più semplice da percorrere e quella meno verificabile, riportare informazioni non veritiere o vaghe da parte delle aziende è pericoloso, oltre che per il cambiamento in atto nella domanda (più critica e informata rispetto al passato), per l’esistenza di associazioni o istituzioni a carattere no profit (NGO) dal ruolo fondamentale per la sostenibilità: promuovono iniziative “verdi”, contribuiscono all’incremento e alla formazione di una consapevolezza pubblica al riguardo e monitorano le azioni delle imprese. Per i loro scopi le NGO si avvalgono soprattutto di mezzi di comunicazione legati a Internet (es. blog, siti, social media, ecc.), potenzialmente responsabili di grandi cambiamenti nella percezione pubblica grazie alla diffusione rapida e capillare di informazioni; questo può provocare un rapido declino della reputazione di marca e/o di impresa, difficilmente recuperabile.88 Il greenwashing

rappresenta un vero problema, percepito da molti consumatori che non sanno se potersi fidare di prodotti e società; più del 95% dei prodotti che affermano di essere “verdi” ha commesso almeno uno dei sette peccati sopra menzionati, da cui si deduce l’importanza di avvalersi di strumenti che aiutino a certificare e rendere validi società e prodotti verdi. Tuttavia a livello mondiale esistono alcune criticità collegate a marchi e certificazioni ambientali: una scarsa conoscenza da parte dei consumatori, essendo questi strumenti numerosi e differenti tra loro secondo la scala di riferimento (locale, regionale, internazionale, mondiale); ottenere una certificazione ambientale è costoso per le imprese e, talvolta, non remunerativo (es. per le PMI); i produttori dei Paesi più poveri non hanno mezzi organizzativi e/o finanziari sufficienti a perseguire un orientamento sostenibile. Inoltre la scomposizione e l’estensione della catena di produzione del valore a livello mondiale può complicare la gestione del ciclo di vita dei prodotti ma percorsi di produzione delocalizzati possono essere una leva per il miglioramento della gestione ambientale nei diversi Paesi; il ripensamento del ciclo di                                                                                                                          

vita (Life Cycle Thinking o LCT) deve considerare da questo punto di vista anche i problemi sociali (es. la questione della povertà). Si osservi comunque che, in caso emergano limiti pratici nell’implementazione di un approccio più sostenibile, le imprese possono tentare di compensare le conseguenze negative della produzione attraverso la partecipazione e il supporto a campagne green, che andranno adeguatamente resi noti tramite i mezzi sopra menzionati.