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Il vino biologico italiano- tendenze e prospettive.

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale (ordinamento

ex D.M. 270/2004)

in Economia e gestione delle aziende

Tesi di Laurea

Il vino biologico italiano.

Tendenze e prospettive.

Relatore

Ch. Prof. Stefano Micelli

Correlatore Prof.ssa Ilda Mannino

Laureando

Alessandra Zin

Matricola 816005

Anno Accademico

2012 / 2013

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INDICE

1. Introduzione

2. Il Made in Italy

2.1. Il Made in Italy e le 4 “A”. 2.2. L’agroalimentare italiano. 2.3. Il settore vitivinicolo italiano.

2.4. Cambiamenti nella domanda: mercato interno, mercati maturi ed emergenti.

2.5. L’orientamento del sistema agricoltura verso l’eco-compatibilità. 3. La green revolution

3.1. La necessità di un nuovo modello di sviluppo: lo sviluppo sostenibile. 3.2. Vincoli ambientali: minaccia o opportunità?

3.3. La sostenibilità ambientale entro e oltre i confini aziendali: i metodi di produzione sostenibile come azione di responsabilità sociale.

3.4. La sostenibilità ambientale ed economica. Eco-innovazione di prodotto e di processo come fonte di vantaggio competitivo.

3.5. Il ruolo del green marketing: combinare efficienza e comunicazione. 4. Il vino biologico

4.1. Il prodotto vino. L’evoluzione delle tecnologie della viticoltura e della vinificazione: dalla chimica al bio.

4.2. Sviluppi a livello locale, nazionale, globale. Evoluzione nelle tendenze di consumo.

4.3. Esperienze a confronto – case studies 4.3.1. Perlage Bio

4.3.2. Tenuta Villanova 4.3.3. Cà Lustra

4.3.4. Confronto competitivo, posizionamento e possibilità di sviluppo dei case studies

5. Un caso emblematico: il vino naturale. Società Agricola La Biancara 6. Conclusione

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INDICE TABELLE

Tabella 2.1.1. Quali regioni italiane esportano più prodotti. Fonte: Adattato da L’Italia nell’economia internazionale. Sintesi del Rapporto ICE

Tabella 2.1.2. Le principali destinazioni delle esportazioni italiane. Fonte: Adattato da L’Italia nell’economia internazionale. Sintesi del Rapporto ICE

Tabella 2.3.1. Produzione vino (escluso mosti) 2005- 2012. Fonte: Istat. Tabella 2.3.2. Produzione vino e mosti Italia 2012. Fonte: Istat.

Tabella 2.3.3. Produzione vino (escluso mosti) 2005- 2012. Fonte: Istat. Tabella 2.3.4. Produzione vino e mosti Italia 2012. Fonte: Istat.

Tabella 2.4.1. Consumo di bevande alcoliche in Italia 1998- 2012. Fonte: Istat. Tabella 2.4.2. Consumo abituale di bevande alcoliche 2007- 2012. Fonte: Istat.

Tabella 2.4.3. Frequenza del consumo di vino - % sul totale della popolazione 2007- 2012. Fonte: Istat. Tabella 2.4.4. Produzione mondiale di vino (hl/milioni). Fonte: OIV.

Tabella 2.4.5. Consumi mondiali di vino. Fonte: OIV.

Tabella 2.4.6. Export italiano di vino, 10-13. Fonte: I Numeri del Vino su dati ISTAT. Tabella 4.1.1. Glossario viticolo. Fonte: Treccani.

Tabella 4.1.2. Glossario viticolo. Fonte: Veneto Agricoltura.

Tabella 4.1.3. Glossario vinicolo. Fonte: Guida Vini 2010 Altroconsumo. Tabella 4.2.1. Superficie biologica- vite. Fonte: SINAB

Tabella 4.2.2. Superficie biologica su superficie totale. Fonte: SINAB e ISTAT

Tabella 4.3.1. Analisi dell’impatto della produzione sulla sostenibilità ambientale. Fonte: propria, su dati Perlage Bio

Tabella 4.3.2. Analisi dell’impatto della produzione sulla sostenibilità ambientale. Fonte: propria, elaborata su dati Tenuta Villanova

Tabella 4.3.3. Analisi dell’impatto della produzione sulla sostenibilità ambientale. Fonte: propria, elaborata su dati Cà Lustra

Tabella 4.3.5. Confronto dati aziendali. Fonte: propria.

Tabella 4.4.4.1. Valutazione degli attributi dell’offerta: Perlage Bio, Tenuta Villanova, Cà Lustra. Fonte: propria.

Tabella 4.4.4.2. Scala di valutazione degli attributi dell’offerta: Perlage Bio, Tenuta Villanova, Cà Lustra. Fonte: propria.

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Tabella 4.4.4.4. Analisi SWOT Tenuta Villanova. Fonte: propria. Tabella 4.4.4.5. Analisi SWOT Cà Lustra. Fonte: propria. Tabella 4.5.1. Dati La Biancara. Fonte: propria.

Tabella 4.5.2. Analisi SWOT La Biancara. Fonte: propria.                                              

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INDICE IMMAGINI

Immagine 2.1.1. Ripartizione per sistemi/ Aree di attività 2009. Fonte: Sito ufficiale dell’Istituto nazionale per il Commercio Estero, http://www.ice.it/settori/index.htm

Immagine 2.1.2. Le tigri dell’export made in Italy. Fonte: Centro Studi CNA. ANSA- Centimetri.

Immagine 2.2.1. Suddivisione per area delle esportazioni agroalimentari italiane nel 2013. Fonte: propria, su dati Coldiretti.

Immagine 2.3.1. Valore export italiano per area (ultimi 12 mesi). Fonte: OIV, settembre 2013. Immagine 2.3.2. Produzione di vino (escluso mosti) - Italia. 2005-2012. Fonte: Istat.

Immagine 2.3.3. Produzione di vino per tipologia – Italia. 2005-2012. Fonte: Istat. Immagine 2.3.4. Variazione produzione vino/mosti 2012 per regione. Fonte: Istat.

Immagine 2.4.1. Percentuale di consumatori giornalieri su popolazione 2007- 2012. Fonte: Istat. Immagine 2.4.2. % di consumatori giornalieri su popolazione (2012). Fonte: Istat.

Immagine 2.4.3. Produzione mondiale di vino 2004-2013 (milioni hl). Fonte: OIV. Immagine 2.4.4. Produzione di vino in Europa (milioni hl). Fonte: OIV.

Immagine 2.4.5. Produzione di vino in USA, Australia, Argentina, Cile. Fonte: OIV. Immagine 2.4.6. Suddivisione della produzione mondiale di vino 2013. Fonte: OIV. Immagine 3.1.1. Global average temperatures. Fonte: IPCC Emission Scenarios.

Figura 3.3.2. The three spheres of sustainability. Fonte: 2002 University of Michigan Sustainability Assessment

Immagine 3.4.1. Sustainability strategies. Fonte: Orsato, 2006.

Immagine 4.1.1. Utilizzo di un irroratore semovente scavallante. Fonte: Sygenta, TERGEO. SIMEI 2013 Immagine 4.1.2. Phytobac. Descrizione del sistema e del suo funzionamento. Fonte: Bayer Crop SPA. TERGEO. SIMEI 2013

Immagine 4.1.3. Scarico dell’uva nelle apposite vasche/tramogge in fase di conferimento. Fonte:

www.tesoridipuglia.com/it/processi-produttivi/processi-produttivi-vino/35-processi-produttivi/52-processi-produttivi-vino?tmpl=component&print=1&page=

Immagine 4.1.4. Struttura dell’acino d’uva. Fonte: Università degli Studi di Napoli Federico II, Federica Web Learning, Facoltà di Farmacia, Università degli Studi di Napoli Federico II. 20/11/13,

Immagine 4.1.5. Composizione della polpa. Fonte: Università degli Studi di Napoli Federico II, Federica Web Learning, Facoltà di Farmacia, Università degli Studi di Napoli Federico II. 20/11/13,

Immagine 4.1.6. Schema di due differenti tipi di tini per la fermentazione in rosso. Fonte: Fonte: Università degli Studi di Napoli Federico II.

Immagine 4.1.7. Schema della vinificazione in rosso. Fonte: Università degli Studi di Napoli Federico II. Immagine 4.1.8. Robot di incartonamento Remy Martin. Fonte: Mas Pack Packaging. www.maspack.com

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Immagine 4.1.9. Venus Tamper evident. Fonte: Astro Srl. www.astrogroup.it

Immagine 4.1.10. Tappo Helix. Fonte: Amorim Cork Italia SPA. www.amorimcorkitalia.com Immagine 4.2.1. Superficie biologica destinata a vite (ettari). Fonte: SINAB 2011

Immagine 4.2.2. Suddivisione ettari biologico. Fonte: SINAB 2010

Immagine 4.3.1. Fatturato Perlage Bio nei diversi Paesi. Fonte: Perlage Bio. Immagine 4.3.3.1. Certificazione ICEA. Fonte: Cà Lustra.

Immagine 4.4.4.1. Confronto competitivo: Perlage Bio, Tenuta Villanova, Cà Lustra. Fonte propria. Immagine 4.4.4.2. Importazioni di vino in Russia (milioni €). Fonte: OIV.

Immagine 4.4.4.3. Importazioni di vino in Russia (milioni €). Fonte: OIV. Immagine 4.4.4.4. Suddivisione import vino Russia (2012, valore). Fonte: OIV.                                      

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1. INTRODUZIONE

“Nel  vino  è  la  vita”     (Petronio)  

L’Italia è una nazione con un’innegabile vocazione vinicola ed è l’unico paese al mondo in cui ogni regione coltiva uva e produce vino, grazie alla varietà del suo territorio; la sua ricchezza viticola è ineguagliabile: in tutta la penisola sono coltivate ben 368 varietà di vitigno. 1 Legato indissolubilmente all’idea di una cucina tipica, sana e gustosa, oltre che al territorio, il vino è capace di evocare numerose sensazioni in chi lo consuma, richiamando alla mente idee e concetti che contribuiscono a renderlo un prodotto dall’esperienza edonistica e sensoriale. Da sempre parte integrante della cultura e della tradizione italiana ed europea, l’origine della sua produzione risale all’antichità, secondo alcuni addirittura a poco dopo il 3000 a.C.; 2 sebbene i primi documenti relativi alla coltivazione della vite risalgano al 1700 a.C. lo sviluppo delle coltivazioni e, di conseguenza, la produzione del vino iniziarono con la civiltà egizia. La produzione crebbe e si sviluppò ulteriormente sotto l’impero romano, epoca in cui il vino, considerato un prodotto per pochi, divenne una bevanda di uso quotidiano. Sempre durante l’epoca romana si assistette alla diffusione delle colture di vite su una gran parte del territorio, in particolare in Italia, Gallia, Spagna, Acaia e Siria, e a un aumento proporzionale dei consumi.3 E’ evidente il rapporto antico che lega il popolo italiano a questo prodotto, nonostante l’attuale crisi economico-finanziaria e la riduzione della produzione. Il calo produttivo è stato accompagnato di recente da una notevole diversificazione delle scelte di consumo, che ha riguardato anche il prezzo e le occasioni di impiego: nel legame con i consumatori rientrano tra i fattori di maggiore impatto ansie alimentari, l’invecchiamento della popolazione, problemi ambientali e la competizione tra le varie voci del bilancio familiare. Il vino è costretto oggi a confrontarsi con una realtà socio-culturale molto diversa rispetto a qualche decennio fa (anni Ottanta) e continuamente in evoluzione ma, a dispetto di ciò, mantiene la sua capacità di offrire valori sul piano simbolico-emozionale e di compensazione di significati autentici anche in periodo di crisi; emerge la necessità di rivedere il linguaggio comunicativo utilizzato per rivolgersi a consumatori non abituali ma anche                                                                                                                          

1  Altroconsumo,  “Guida  Vini  2010”.  

2  Tale  data  equivale  a  circa  5000  anni  fa.  

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le tipologie di vino, il marketing e le normative. Il mercato, già presidiato e molto competitivo, richiede di essere analizzato a fondo per identificare nuovi, inesplorati spazi di posizionamento e di comunicazione, in modo da potersi rivolgere a nuovi target, seppur consolidando contemporaneamente il legame con consumatori già fedeli. Per il mantenimento e il consolidamento della passione per il vino diviene importante investire sulla cultura e sul coinvolgimento delle persone, in modo tale da aumentarne progressivamente la competenza e, con essa, il numero complessivo di consumatori; la comunicazione va rivolta a tutti i potenziali interessati al mondo del vino, senza focalizzarsi solo sugli intenditori.4

Altre difficoltà emergenti sono legate al problema del cibo nel mondo, che vede una crescente domanda a fronte della crescita di nuovi Paesi in via di sviluppo (che chiedono di produrre, acquistare e consumare quanto quelli già sviluppati) contrapporsi alla questione della finitezza delle risorse disponibili. Tale limite è evidenziato in misura maggiore da un altro problema contemporaneo, legato all’impatto della società umana sul pianeta e ai cambiamenti climatici repentini in atto negli ultimi decenni; un’ingente quantità di dati scientifici induce a riflettere sulla sua evidenza. Il fenomeno della globalizzazione ha reso la distanza spazio-temporale più breve tra i Paesi e le popolazioni, aumentandone l’interrelazione in termini di benefici ma anche di svantaggi e contribuendo a una maggiore complessità e portata degli eventi su scala mondiale. Questo quadro generale impone il ripensamento del modello di produzione e di consumo attuale e suggerisce l’introduzione di logiche di sostenibilità nell’intera catena di fornitura e di produzione, a partire dall’ambito agricolo. Nella seconda parte del 2013 il Parlamento europeo ha approvato gli adattamenti delle politiche agricole (PAC) nella legislazione dell’Unione Europea, uno dei principali attori attivi nella lotta alle emissioni di gas serra; la PAC 2014-2020 mira a garantire ancora di più un migliore equilibrio tra la tutela ambientale e la sicurezza alimentare, ad aiutare gli agricoltori ad affrontare meglio le nuove sfide del mercato e a garantire una più equa distribuzione dei fondi UE. La nuova politica agricola comunitaria rende evidente l’urgenza prevedendo misure ecologiche ora obbligatorie, destinate a produrre sanzioni e alcuni strumenti per

                                                                                                                         

4  Veneto  Agricoltura,  “I  piani  strategici  vitivinicoli  di:  Argentina,  Cile,  Australia,  Nuova  Zelanda  e  

Sudafrica.  Un’analisi  comparata”,  2012.    

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mantenere e promuovere le nuove economie rurali, dando un contributo concreto agli agricoltori per rafforzarne la posizione contrattuale e affrontare la volatilità dei mercati.

Per Assoenologi, sostenibilità significa utilizzare la conoscenza professionale e la ricerca per aiutare la viticoltura e la produzione di vino a essere meno impattanti, richiamando la necessità di supportare teorie arcaiche tramite un’adeguata ricerca scientifica: l’obiettivo enologico della sostenibilità dovrebbe sempre essere basato su un approccio scientifico per raggiungere il rispetto dell’ambiente, soddisfacendo al contempo le richieste dei clienti. Occorre cercare nuove strade per realizzare contemporaneamente il trade-off tra profittabilità e stabilità socio- economica e sostenibilità ambientale ed ecologica: questa sfida sta destando una crescente attenzione da parte di diversi tipi di attori e l’atteggiamento proattivo di alcune aziende dalle pratiche virtuose ha già cominciato a ottenere buoni risultati. Nonostante il green sia diventato recentemente anche un fenomeno di moda, la sostenibilità non va comunque intesa come un semplice valore aggiunto da offrire al cliente, ma implica la ben più difficile sfida di mantenere un processo o uno stato a un certo livello e per un tempo indefinito. Tale concetto si fonda su un equilibrio tra il soddisfacimento delle esigenze attuali senza compromettere quelle delle future generazioni; per le aziende, questo deve tradursi in un fattore prioritario ed è compito delle istituzioni pubbliche cercare di incentivare il più possibile l’adozione di un orientamento responsabile dal punto di vista sociale e ambientale, non solo tramite meccanismi di tipo coercitivo, ma anche cercando di promuovere comportamenti di tipo volontario. Le aziende rappresentano, con le loro scelte e azioni, alcuni tra i più importanti attori chiamati in causa nel tentativo di attenuare e contrastare tempestivamente gli effetti negativi dell’effetto serra, da cui deriva il fondamentale ruolo dell’economia in questo processo. Per cercare di rientrare nei limiti delle emissioni stabiliti a livello internazionale tramite convenzioni e accordi, è necessario e opportuno ripensare ai modelli di produzione adottati per renderli più efficienti dal punto di vista delle risorse impiegate, ma anche più ecologici e meno impattanti in tutte le fasi del ciclo di vita di prodotto. Questo coinvolge anche la sfera extra- aziendale e, quindi, il modello di consumo: adeguate campagne di sensibilizzazione e informazione hanno contribuito a rendere i consumatori sempre più attenti e istruiti negli anni, al punto da assistere a una crescente preferenza per prodotti provenienti da agricoltura ecologicamente sostenibile e socialmente responsabile; questo ha rappresentato un incentivo verso metodi di produzione e prodotti più “puliti”,

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sani e portatori di valori da riscoprire. Il cammino è lungo e richiede un impegno reale in un processo di continuo miglioramento, a cominciare da una visione e fondata sia su valori solidi, sia su un atteggiamento critico ma costruttivo. La sostenibilità non va intesa come un valore assoluto e definitivamente raggiungibile ma richiede di essere inclusa tra i valori legati al vino per essere interiorizzata e trasmessa come parte integrante di un prodotto profondamente legato al territorio locale e alle caratteristiche geografiche della zona di origine. In tal senso la cultura legata al vino va rivista e riproposta in chiave moderna e arricchita di nuovi significati, integrando tradizione e innovazione.

Questo lavoro è rivolto all’approfondimento di un determinato ramo della produzione vitivinicola italiana, dato dal comparto biologico: si tratta di un metodo di produzione ancora poco diffuso, ma oggetto di crescente adozione da parte delle aziende anche grazie al sempre maggiore interesse dei consumatori verso prodotti ottenuti senza l’ausilio di sostanze nocive e dal minore impatto ambientale della produzione. Partendo da una macro-analisi di settore e delle relative esportazioni, lo scopo dell’elaborato è di analizzare se esistano opportunità di sviluppo e di crescita per il vino biologico italiano e, se sì, come coglierle, in modo tale da aiutare anche le piccole e medie imprese ad affrontare le conseguenze di una prolungata crisi economica. Il primo paragrafo prevede una breve analisi del Made in Italy, pilastro dell’economia italiana e carta di identità del nostro sistema industriale nel mondo, per concentrarsi poi sull’industria agroalimentare e, nello specifico, su quella vitivinicola. Prima di approfondire il metodo di produzione biologico, il secondo paragrafo tenterà di introdurre e di spiegare le implicazioni ambientali e socio- economiche indotte nella produzione industriale dai cambiamenti climatici in corso, cercando di convincere i lettori dei potenziali vantaggi derivanti dall’adozione e implementazione di modello di sviluppo meno impattante per l’ambiente; il lavoro si concentrerà brevemente anche sull'analisi dei metodi di produzione adottati nello specifico dalle aziende esaminate. L’ultimo paragrafo verterà infine sul settore vitivinicolo biologico italiano, approfondendone i principi di base e le fasi di produzione, gli sviluppi attuali e futuri, per poi analizzare tre differenti realtà aziendali operanti nel settore del vino, alcune dalla produzione convenzionale, altre biologica, ma tutte accomunate dall’interesse verso una migliore gestione delle risorse a disposizione e la riduzione dell’impatto della propria produzione sul territorio. Ogni impresa ha consentito di comprendere meglio la vastità degli interventi possibili in

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materia di sostenibilità e la variabilità delle situazioni e dei problemi da affrontare nell’intraprendere un cammino in Italia ancora difficile, ma percorso sempre più spesso da parte di aziende tra loro diverse in termini di settore, dimensione e caratteristiche. Ogni case study ha adottato e implementato, secondo le proprie peculiarità, una o più strategie green da cui ha ottenuto vantaggi concreti, primo tra tutti una riduzione dei costi aziendali e una minore dipendenza dalle risorse, siano esse energetiche o materie prime/sussidiarie; come si noterà, talvolta l’inclusione di una maggiore sostenibilità della produzione nella strategia core ha permesso la conquista di segmenti di consumatori in continua e rapida espansione e una crescita altrimenti impensabile in uno scenario economico piatto quale quello degli ultimi anni. I dati raccolti tramite la ricerca sul campo saranno infine integrati da un prospetto preparato per ogni impresa e contenente le possibili modalità di espansione (estera e non), volte a sfruttare gli effetti della globalizzazione per migliorare le rispettive performance economiche.

2. IL MADE IN ITALY

2.1. Il Made in Italy e le 4 “A”.

Qualità della produzione, tradizione, identità, cultura, qualità della vita. Sono tanti i fattori che rendono unico e inimitabile il Made in Italy, garanzia di qualità e unicità dei prodotti” (Camera di Commercio).

Il Made in Italy rappresenta un marchio di qualità collettivo e una storia di successo, capace di evocare le caratteristiche che rendono apprezzati i prodotti italiani nel mondo e non solo tutto ciò che è realizzato in Italia: si tratta dell’insieme di prodotti e servizi per cui l’Italia vanta un tale grado di specializzazione produttiva da rendersi famosa a livello mondiale per qualità, innovazione e design, oltre che per immagine, creatività e stile. Non a caso, i prodotti del Made in Italy sono generalmente definiti anche BBF (Belli e Ben Fatti).

“(…) l’Italia e il suo futuro, dopo le delusioni della grande industria, sono legati alla capacità di tornare a fare l’Italia, cioè di essere l’Italia della grande

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creatività, delle piccole e medie imprese agricole, artigiane, manifatturiere che poi sanno crescere e conquistare il mondo” (Coldiretti).5

I prodotti del Made in Italy rappresentano un segmento di mercato ben preciso e rientrano nella fascia medio-alta costituita da quattro settori, ai quali ci si riferisce come “le 4 A” e rappresentati dall’arredo-casa (con prodotti che vanno da materiali pregiati da costruzione a mobili, elettrodomestici, ecc.), dall’abbigliamento (riferito in generale al sistema moda, calzature e al tessile), dall’automazione e meccanica e dall’agroalimentare (legato alla stessa filosofia della cucina mediterranea e del vivere bene che contraddistingue l’Italia nel mondo). Questi quattro settori valevano 51 miliardi di euro alla fine del 2011, un valore pari al 14% delle esportazioni manifatturiere totali italiane, di cui il 36% proveniente dall’alimentare, il 32% da abbigliamento e tessile- casa, il 14% dalle calzature e il 18% da beni d’arredo.6

Immagine 2.1.1. Ripartizione per sistemi/ Aree di attività 2009.

Fonte: Sito ufficiale dell’Istituto nazionale per il Commercio Estero http://www.ice.it/settori/index.htm

     

                                                                                                                         

5  Pavesi,  “Export  Made  in  Italy:  l’agroalimentare  sorpassa  l’automobile”.  26/09/2012.  

http://www.buonenotizie.it/cronaca-­‐e-­‐societa/2012/09/26/export-­‐made-­‐in-­‐italy-­‐lagroalimentare-­‐ sorpassa-­‐lautomobile/  (08/07/13)  

6  Centro  Studi  Confindustria  e  Prometeia,  “Esportare  la  dolce  vita”,  

http://www.pmi.it/economia/mercati/articolo/55023/made-­‐in-­‐italy-­‐e-­‐pmi-­‐export-­‐nei-­‐paesi-­‐ emergenti.html  (18/07/13)  

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1   Lombardia   28,8  %   2   Veneto     13,5  %   3   Emilia  Romagna   13  %   4   Piemonte   10,5  %   5   Toscana   7,5  %   6   Lazio   3.7  %   7   Marche   3,5  %   8   Friuli-­‐Venezia  Giulia   3,5  %   9   Sicilia   2,7  %   10   Campania   2,6  %  

Tabella 2.1.1. Quali regioni italiane esportano più prodotti.

Fonte: Adattato da L’Italia nell’economia internazionale. Sintesi del Rapporto ICE

1   Germania   46.100  milioni  di  Euro   2   Francia   41.000.000.000   3   Spagna   26.500.000.000   4   Stati  Uniti   24.400.000.000   5   Regno  Unito   21.800.000.000   6   Svizzera   13.400.000.000   7   Russia   10.600.000.000   8   Cina      6.300.000.000   9   Emirati  Arabi      4.400.000.000   10   Giappone      4.300.000.000  

Tabella 2.1.2. Le principali destinazioni delle esportazioni italiane.

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Secondo il report “Esportare la dolce vita” del Centro studi Confindustria e Prometeia, le imprese italiane esportatrici del Made in Italy sono 16.403, di cui 13.130 produttrici di beni BBF (l’80% del totale) e l’89% di queste costituito da piccole medie imprese (PMI) con meno di 50 addetti, rientranti nella categoria delle micro- imprese. Le imprese BBF si concentrano nell’abbigliamento (4.000, di cui la metà di dimensione micro) e nell’alimentare (3.732 di cui metà aventi meno di 10 addetti), mentre nei settori arredamento e calzature il numero di addetti va dai 10 ai 49. Le PMI detengono un primato per quanto riguarda l’occupazione: due addetti su tre lavorano per PMI di prodotti BBF e la quota di occupazione delle imprese BBF è il 15% del totale delle imprese esportatrici, che impiegano 380.000 addetti e hanno una dimensione media aziendale di 29,1 addetti (inferiore a quella del totale delle imprese esportatrici italiane). Metà delle imprese sono inserite in distretti manifatturieri e sono localizzate per il 29% nel Nord- Est, per il 36% nel Nord- Ovest, per il 25% al Centro e per il 20% al Sud; in particolare, le imprese del comparto alimentare si trovano al Sud (34,4%), quelle dell’abbigliamento (30%) e calzature (50%) al Centro e quelle dell’arredamento prevalentemente nel Nord- Est (41%).

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Immagine 2.1.2. Le tigri dell’export made in Italy.

Fonte: Centro Studi CNA. ANSA- Centimetri.

Per le PMI la distanza geografica e, talvolta, culturale da colmare può rappresentare un ostacolo all’entrata di nuovi mercati, sebbene non insormontabile: grazie a un’attenta valutazione delle potenzialità dei consumi, la scelta di veicoli ottimali di produzione e il superamento di eventuali barriere commerciali, è possibile cogliere e sfruttare opportunità di crescita. Le principali destinazioni delle esportazioni di prodotti Made in Italy rimangono l’Europa e gli Stati Uniti, com’è possibile notare dalla tabella 2.1.2.: la Germania è in vetta alla classifica con un valore di 46.100 milioni di €, seguita dalla Francia (41.000 milioni di €) e dalla Spagna (26.500 milioni di €); gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Svizzera seguono rispettivamente con valori di 24.400 milioni, 21.800 milioni e 13.400 milioni di €. Subito dopo è possibile trovare molte economie emergenti, rispettivamente la Russia con 10.600 milioni, la Cina con 6,3 milioni e gli Emirati Arabi con 4,4 milioni di €.7 In particolare per le PMI italiane la scelta di puntare sulle esportazioni verso i Paesi emergenti si rivela particolarmente azzeccata: secondo                                                                                                                          

7  ICE,  “L’Italia  nell’economia  internazionale.  Sintesi  del  Rapporto  ICE  2012-­‐2013”,  www.ice.gov.it/  

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un’analisi di mercato, nel 2017 vi saranno 192 milioni di nuovi ricchi in più rispetto al 2011, di cui la metà di originaria da grandi città della Cina, dell’India e del Brasile.8 Inoltre una buona parte della nuova classe benestante giungerà da paesi dell’Europa Orientale, molti dei quali parte dell’UE (Croazia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Polonia, Romania, Ungheria, Slovacchia); rileveranno inoltre Ucraina, Turchia, Kazakistan, Nord- Africa e Medioriente (Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Libia, Tunisia, Marocco, Egitto, Algeria), alcuni paesi emergenti asiatici (Tailandia, Malesia, Indonesia, Vietnam) e America Latina (Messico, Cile, Colombia, Argentina e Perù). Alcuni dei paesi considerati sono anche relativamente vicini e più facili da raggiungere per l’Italia, (Russia, Polonia e Turchia). Le stime prevedono un aumento del 48% entro il 2017, pari a un valore di 136 miliardi di euro e un aumento di 44 miliardi. Il valore totale delle importazioni dei nuovi Paesi emergenti raggiungerà i 136 miliardi di euro (135,886 miliardi) nel 2017, con un incremento del 48,2% (44 miliardi) rispetto 2011. L’import delle economie mature ammonterà a 440 miliardi, risultando numericamente superiore ma con un minore incremento rispetto a oggi, pari a +27,3% (94 miliardi); il posizionamento sui mercati maturi andrà mantenuto dalle imprese, sebbene i margini di crescita sui paesi emergenti siano decisamente più ampi (+20%). Nel 2010, la quota dell’Italia nei Paesi in via di sviluppo era del 7,9% e, supponendo che rimanga tale, le esportazioni italiane verso di essi potrebbero toccare secondo una stima prudente i 10,3 miliardi nel 2017 (3,2 miliardi in più rispetto al 2011); rispetto al report precedente, basato sulla quota italiana del 2009, il valore è inferiore a causa di una flessione della quota dell’import russo nel 2010, ma già in fase di recupero nel 2011. Si prevede un incremento di 3,1 miliardi totali in più dell’export verso la Russia nel 2017; un terzo della domanda aggiuntiva al 2017 (44 miliardi) proverrà inoltre da Cina ed Emirati Arabi Uniti. Questi tre paesi peseranno nel 2017, per l’import mondiale di beni BBF, più della Spagna o della Francia considerate singolarmente al giorno d’oggi. Altri Paesi importanti per il posizionamento saranno Polonia, Arabia Saudita e Messico. Il maggior tasso di crescita percentuale riguarderà l’India (raddoppiamento dell’import di beni BBF in sei anni), ma tassi di crescita rilevanti riguarderanno anche Indonesia e Vietnam (70%), Malesia e Tailandia (60%). Dall’incrocio dei dati, tra i paesi che assorbiranno almeno il 5% ciascuno della domanda aggiuntiva (44 miliardi entro il 2017) figureranno                                                                                                                          

8  Centro  Studi  Confindustria  e  Prometeia,  “Esportare  la  dolce  vita”,  

http://www.pmi.it/economia/mercati/articolo/55023/made-­‐in-­‐italy-­‐e-­‐pmi-­‐export-­‐nei-­‐paesi-­‐ emergenti.html  (18/07/13)  

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Emirati Arabi Uniti, Polonia, Arabia Saudita e Malesia. Infine, saranno da considerare anche Iran, Nigeria e Sudafrica.

Si analizzino più dettagliatamente le prospettive di crescita dei quattro settori del Made in Italy.

• Arredamento: registrerà la crescita maggiore con acquisti fino a 31 miliardi di euro nel 2017, 13 miliardi aggiuntivi (+72%) rispetto al 2011. Cina, India, Russia ed Emirati saranno i quattro Paesi principali importatori e la domanda più dinamica proverrà dall’Asia. Si tratta del settore con la più elevata quota italiana di import BBF (11,2% nel 2010) e le cui esportazioni italiane saliranno a 3,3 miliardi di euro nel 2017(+65% rispetto ai 2 miliardi del 2011).

• Calzature: aumento dell’import del 57% nei Paesi sopra menzionati, quasi 16 miliardi di € nel 2017 (+60% rispetto ai 10 del 2011). Si avranno i maggiori aumenti percentuali in Asia (soprattutto India e Vietnam) e Medioriente; i maggiori sbocchi in termini assoluti saranno Russia, Kazakistan ed Emirati Arabi. Da una quota di mercato pari al 10,5% nel 2010, l’Italia arriverebbe a 1,6 miliardi con un aumento di oltre 500 milioni in termini assoluti (300 da Russia e Ucraina).

• Abbigliamento e tessile-casa: le importazioni saranno pari a50 miliardi, (+45% rispetto al 2011) nel 2017, con un incremento di 15 miliardi. L’Asia sarà la zona più dinamica mentre la quota più elevata di importazioni si registrerà nell’Europa dell’Est (Russia). Supponendo la stabilità della quota italiana rispetto al 2010 (8,0%), l’import di prodotti italiani verso i paesi emergenti arriverebbe a 3,8 miliardi nel 2017 (quasi il 41% rispetto ai 2,7 miliardi del 2011), di cui il 40% proveniente dalla Russia.

• Alimentare: le importazioni toccheranno i 40 miliardi, 10 miliardi in più del 2010 (+35%), il doppio rispetto ai mercati maturi (16%); la Russia resterà il principale mercato esportazione, ma oltre metà della domanda aggiuntiva arriverà da Cina, Russia, Messico, Vietnam e Polonia. Le esportazioni italiane aumenterebbero di quasi 500 milioni di euro supponendo una quota immutata rispetto al 2010 (5,1%), arrivando a 2 miliardi nel 2017 di cui più di metà provenienti da Russia, Cina, Polonia, Repubblica Ceca e Brasile.

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Le imprese italiane si trovano in difficoltà, nonostante le possibilità date da nuovi Paesi-mercato, a causa della concorrenza più ardua: data la debolezza della domanda interna europea, sempre più aziende orientano gli sforzi commerciali verso i mercati emergenti, che innalzano crescenti barriere e dazi per contrastare l’ingresso dei prodotti esteri in un’ottica protezionistica.9 Tuttavia il rapporto “I.T.A.L.I.A. - Geografie del nuovo Made in Italy”, realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison, che misura la competitività del sistema produttivo italiano in termini di quota di mercato sull’export mondiale, riporta segnali incoraggianti: adottando come parametro di competitività la bilancia commerciale dei singoli prodotti, evidenzia la creatività, la flessibilità e la capacità del sistema produttivo italiano di reagire al dinamismo degli scenari internazionali e alla crisi. Da quanto emerge, l’Italia è uno dei soli cinque Paesi del G-20 (oltre a Cina, Germania, Giappone e Corea) ad avere un surplus strutturale con l'estero nei prodotti manufatti non alimentari, dimostrandosi uno dei Paesi più competitivi a livello globale escluse energia e delle materie prime agricole e minerarie; quasi mille prodotti del Made in Italy occupano, infatti, i primi tre posti al mondo per saldo commerciale attivo con l'estero.10 Nel 2011, con un totale di 946 prodotti

classificatisi primi, secondi o terzi nel saldo commerciale mondiale nella classifica della competitività delineata dal nuovo indicatore, l’Italia ha registrato un saldo positivo di 183 miliardi di dollari (2011) e ha ottenuto un ottimo risultato anche nel 2012, piazzandosi dopo la Germania come il secondo paese europeo per attivo manifatturiero verso i Paesi extra-UE e precedendo economie generalmente considerate più forti (es. Corea del Sud e Francia).

''Di fronte a una crisi durissima e a un mondo che cambia, c'è un'Italia che nonostante le sirene del declino si ostina a fare l'Italia e per questo trova il suo spazio nel mondo. C'è un'Italia che sa innovare senza perdere la

                                                                                                                         

9  “Made  in  Italy:  export  prodotti  italiani  belli  e  ben  fatti  (BBF)  nei  mercati  emergenti  a  quota  14,4  miliardi  

di  €  nel  2018,  +4,4  miliardi  in  6  anni”.  Redazione  Il  Denaro.  08/05/13.  

http://denaro.it/blog/2013/05/08/made-­‐in-­‐italy-­‐export-­‐prodotti-­‐italiani-­‐belli-­‐e-­‐ben-­‐fatti-­‐bbf-­‐nei-­‐ mercati-­‐emergenti-­‐a-­‐quota-­‐144-­‐miliardi-­‐di-­‐euro-­‐nel-­‐2018-­‐44-­‐miliardi-­‐in-­‐6-­‐anni/  (18/07/13)    

10  “Unioncamere:  1000  prodotti  made  in  Italy  da  podio  nell’export”.  ASCA.  05/07/13.  

http://www.asca.it/news-­‐

Unioncamere__1_000_prodotti_made_in_Italy_da_podio_nell_export_(1_upd)-­‐1294588.html   (18/07/13)  

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propria anima, che ha capito che nel mondo del XXI secolo, se uno spazio c'è per il nostro Paese è quello della qualità. E' l'Italia che scommette sulla qualità, sulle competenze radicate nei territori e mantenute salde con la coesione sociale e la cura del capitale umano. Che presidia la nuova frontiera della qualità ambientale. Che sa dare valore alla propria bellezza, intercettando la grande, e crescente, domanda di Italia che viene da ogni angolo del pianeta. Raccontare questa Italia è l'ambizione di questo rapporto ''(Ermete Realacci, Presidente della Fondazione Symbola). “Il Rapporto I.T.A.L.I.A. coglie gli aspetti vincenti del modello di sviluppo italiano, fatto di imprenditorialità diffusa, distretti, filiere, reti, territorio. E' una caratteristica originale, che rende altamente competitivo il nostro Paese. L'Italia è uno dei soli cinque Paesi (con Cina, Germania, Giappone e Corea) ad avere un surplus strutturale con l'estero nei prodotti manufatti non alimentari. In questa nostra peculiarità, allora, occorre continuare a credere e investire. Partendo dai giovani, che nascono già ''dentro'' un modello di sviluppo sostenibile, che consuma di meno, valorizza il territorio e utilizza tecnologie verdi. Sono proprio loro il primo, straordinario veicolo di innovazione delle imprese e della società su cui il Paese può fare affidamento'' (Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere).

Volendo analizzare i dati del rapporto più nel dettaglio, l’Italia vanta 235 prodotti al primo posto per saldo commerciale a livello mondiale che, considerate nel complesso, fruttano un guadagno di 63 miliardi di dollari. Inoltre, si classificano al secondo posto nel mondo, per saldo commerciale, 390 prodotti che valgono complessivamente 74 miliardi di dollari; il terzo posto dell'export italiano ci sono invece 321 prodotti con un saldo commerciale complessivo di 45 miliardi. Infine ci sono altri 492 prodotti che hanno permesso all'Italia di classificarsi al quarto o quinto posto per saldo commerciale mondiale e dal valore aggiuntivo di 38,4 miliardi di dollari sulla nostra bilancia commerciale. Si passi ora ad analizzare uno dei settori più remunerativi del Made in Italy, l’agroalimentare.

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2.2. L’agroalimentare italiano

“C’è un’Italia del buon cibo e di quell’agroalimentare che sa incontrare i bisogni profondi dei consumatori e dei cittadini, del turismo, dell’arte, della cultura, della bellezza, dell’innovazione intelligente. E’ questa l’Italia futura, quella per cui il territorio è una miniera di opportunità, il cui modello di sviluppo è compatibile, con la salvaguardia di un capitale umano e sociale unico al mondo e con la sapiente ricerca della felicità e dello stare bene insieme” (Coldiretti).11

L’Italia rappresenta in Europa il primo produttore di riso, tabacco, frutta fresca e ortaggi freschi, il secondo produttore di vino e mosti, fiori, uova e pollame e il terzo di carni bovine, barbabietola da zucchero e frumento. L’agroalimentare italiano rappresenta il 15% del Prodotto Interno Lordo (PIL) subito dopo il comparto manifatturiero,12 con 6.250 aziende aventi più di 9 addetti e un fatturato di 130 miliardi di euro.13 Federalimentare, in occasione della nascita del tavolo tra industria alimentare e istituzioni per promuovere e sostenere l'export agroalimentare italiano, afferma che quest’ultimo rappresenti la più importante fonte di redditività per il settore: quasi 25miliardi di euro nel 2012, con un peso del 19% sul fatturato totale dell'industria alimentare (130 miliardi di euro).14

Si tratta della più elevata percentuale raggiunta finora, sebbene non superi quelle di Germania, Francia e Spagna, comprese tra il 22% e il 29%. La tendenza prosegue anche nel primo quadrimestre del 2013, con una crescita dell’export alimentare oltre il +8%. Nel dettaglio, i prodotti esportati sono soprattutto vini, mosti e aceto (21% del totale),                                                                                                                          

11  “Export  Made  in  Italy:  l’agroalimentare  sorpassa  l’automobile”.  Laura  Pavesi.  26/09/2012.  

http://www.buonenotizie.it/cronaca-­‐e-­‐societa/2012/09/26/export-­‐made-­‐in-­‐italy-­‐lagroalimentare-­‐ sorpassa-­‐lautomobile/  (08/07/13)  

12  “Agroalimentare,  ecco  i  numeri  da  primato  del  Made  in  Italy”,  www.winenews.it,  

http://www.pz.camcom.it/P26UI12690/Agroalimentare-­‐-­‐ecco-­‐i-­‐numeri-­‐da-­‐primato-­‐del-­‐Made-­‐in-­‐ Italy.htm,  09/07/2013  

13  “Export:  un  tavolo  internazionalizzazione  tra  industria  alimentare  e  istituzioni  per  sostenere  il  Made  in  

Italy  alimentare  nei  suoi  12  mercati  chiave”.  

http://www.federalimentare.it/m_comunicati_det.asp?ID=687  (03/07/13)  

14  “Made  in  Italy:  export  agroalimentare,  un  tesoro  da  quasi  25  miliardi”.  Milano  Finanza,  03/07/13.   http://www.milanofinanza.it/news/dettaglio_news.asp?id=201307031729377410&chkAgenzie=TMFI,   18/07/13  

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dolci e confetterie (13%), conserve e composte di frutta e ortaggi (12%), latticini e formaggi (9%), pasta (8%), oli e grassi (7%), carni preparate (5%) e caffè (4%). Il trend delle esportazioni alimentari cominciato nel 2012 continua nel corso del 2013, registrando una crescita del +4,9% nell’area dell’UE (con picchi del +6% in Germania, Francia e Gran Bretagna) meno rilevante rispetto a quella degli Stati Uniti (+9,2%) e del Canada (+9,8%), mentre i tassi di crescita maggiori per l’export si sono registrati nei mercati Extra-UE. La Cia (Confederazione Italiana Agricoltori) rivela, commentando i numeri sul commercio estero diffusi dall'Istat, un incremento del 6,6% a favore di alimentari e bevande già a gennaio 2013 nei mercati internazionali, facendo cominciare

positivamente l’anno.

Anche il 2011 è stato un anno redditizio, con una crescita dell'8,5% del valore delle esportazioni agroalimentari italiane, successo trainato soprattutto dalle performance del vino (+12%), di formaggi e latticini (+16%), in particolare Grana Padano e Parmigiano Reggiano (+22%) e Gorgonzola (+14%), ma hanno raggiunto buone percentuali di crescita anche le esportazioni di pasta (+ 7,4%), di olio d'oliva e di prodotti da forno e salumeria (+7%).15 Nel 2011 l’agroalimentare italiano ha segnato anche un altro record, superando la soglia dei 30 miliardi delle esportazioni e i numeri del settore automobilistico, stabili a 25 miliardi (fonte Coldiretti, sulla base di rilevazioni Istat).16 Negli ultimi cinque anni, le esportazioni di cibo e vino italiano sono aumentate del 18% (per un valore pari a 15,2 miliardi di euro), mentre nello stesso periodo sono crollate del 14% le esportazioni di auto e rimorchi (13,2 miliardi di euro nella prima metà del 2012).

“Un’analisi che, in riferimento all’ipotesi di nuovi incentivi, dimostra che l’Italia e il suo futuro, dopo le delusioni della grande industria, sono legati alla capacità di tornare a fare l’Italia, cioè di essere l’Italia della grande creatività, delle piccole e medie imprese agricole, artigiane, manifatturiere che poi sanno crescere e conquistare il mondo (Coldiretti).

                                                                                                                         

15  “Istat:  vola  il  Made  in  Italy  agroalimentare  all’estero”.  Vesna  Tomasevic.  

http://www.alternativasostenibile.it/articolo/istat-­‐vola-­‐il-­‐made-­‐in-­‐italy-­‐agroalimentare-­‐all-­‐estero-­‐ 1603.html  (08/07/13)  

16  “Esportazioni  Made  in  Italy,  boom  dell’agroalimentare”.  Matteo  Clerici.  Newsfood,  20/03/12.   http://www.bravoitalygourmet.it/it/news/1022/esportazioni-­‐made-­‐in-­‐italy-­‐boom-­‐

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Il fatturato nazionale italiano (agricoltura, industria, distribuzione, servizi) ha un valore superiore a 180 miliardi di euro e quello della produzione agricola va oltre i quarantacinque miliardi, con quasi un milione di imprese (il 16% del totale italiano) presenti nel settore primario e circa 70.000 aziende nell’industria alimentare. La superficie agricola coltivata in Italia ammonta a circa quindici milioni di ettari, equivalente quasi alla metà dell’intera superficie nazionale (Coldiretti), un dato che conferma i risultati positivi raggiunti.17

Secondo dati Coldiretti l’Italia si distingue a livello europeo, quando non addirittura mondiale, anche per quanto riguarda aspetti di:

-qualità, con 120 DOP e 71 IGP (67 prodotti ortofrutticoli, 38 oli extravergini di oliva, 36 formaggi, 32 prodotti a base di carne, 5 prodotti da panetteria, 4 spezie o essenze, 3 aceti, 3 prodotti di carne e frattaglie fresche, 2 prodotti della pesca e 1 miele), 478 vini a denominazione di origine controllata (DOC), controllata e garantita (DOCG) e a indicazione geografica tipica (IGT) in campo enologico (in dettaglio, 316 vini DOC, 42 DOCG e 120 IGT, pari ad oltre il 60% della produzione vinicola nazionale);

- sanità e sicurezza alimentare, con il record del 99% di campioni regolari di frutta, verdura, vino e olio, con residui chimici inferiori ai limiti di legge, detenuto dall’agroalimentare italiano;

- specialità agroalimentari tipiche, con 4.471 prodotti tradizionali censiti dalle Regioni e ottenuti secondo metodi praticati sul territorio in modo omogeneo e regole storiche protratte nel tempo per almeno venticinque anni (secondo ultimo elenco disponibile, il più recente);

- un numero di 18.480 aziende agrituristiche, di cui 13.854 con offerta di alloggio, 7.898 di ristorazione, 2.664 di degustazioni e ben 9.643 di attività escursionistiche (986), sportive (831), corsi di degustazione e numerose altre varietà (centri benessere, osservazioni naturalistiche, equitazione, trekking, mountain bike).                                                                                                                          

17  “Agroalimentare,  ecco  i  numeri  da  primato  del  Made  in  Italy”.  www.winenews.it,  

http://www.pz.camcom.it/P26UI12690/Agroalimentare-­‐-­‐ecco-­‐i-­‐numeri-­‐da-­‐primato-­‐del-­‐Made-­‐in-­‐ Italy.htm,  09/07/2013  

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Anche la Cia ritiene che l’eccellente performance italiana sia dovuta all’elevata qualità dei prodotti, che hanno ottenuto un buon riscontro sia nell’area UE con una crescita media dell’export del 6,7% in un anno, sia nei Paesi extraeuropei con una crescita del 13,5 % (+11% solo negli Stati Uniti). Questo importante risultato conferma l'apporto fondamentale della domanda estera nei confronti del comparto agricolo e alimentare, caratterizzato da una fase critica per i consumi interni (calati del 2% nel 2011), compensando il brusco calo subito dalle esportazioni di prodotti agricoli freschi (scese a gennaio sotto l'11,4% a causa dell’instabilità delle condizioni meteorologiche e del blocco dei TIR). Le esportazioni di frutta hanno registrato nel 2012 una crescita relativamente modesta (+2,4%) mentre quelle di ortaggi freschi un calo del 9,6%, dovuto all’instabilità climatica e a fattori esterni (l'allarme per un batterio killer che ha bloccato per oltre un mese le spedizioni italiane con un danno di oltre mezzo miliardo di euro al settore agricolo nazionale).18 In particolare, l’andamento climatico anomalo dell’ultimo anno ha provocato un crollo dei raccolti, quindi della produzione agricola, compreso tra il -12% per l’olio di oliva (-4,8 milioni di quintali) al -6% per il vino (-40 milioni di ettolitri, valore minimo da oltre quarant’anni), ma si riduce anche il raccolto di mele (-15,2%), di pere (-34%) e di pomodoro da conserva (-12%, equivalente a -4,4 milioni di tonnellate). Secondo le stime della Coldiretti, la produzione nazionale è stata in grado di garantire nel circa il 75% del fabbisogno alimentare degli italiani, con il rischio di un aumento delle importazioni di prodotti da spacciare come Made in Italy: dal concentrato di pomodoro cinese, all’extravergine tunisino, alle mozzarelle ottenute da latte in polvere (ANSA).19  

Il crescente fenomeno della pirateria agroalimentare internazionale è il responsabile di un “furto” di valore, compiuto a svantaggio dei produttori agroalimentari italiani, tramite uno scorretto utilizzo di elementi come parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette in grado di evocare l’idea dell’Italia (“Italian sounding”) verso                                                                                                                          

18  “Istat:  vola  il  Made  in  Italy  agroalimentare  all’estero”.  Vesna  Tomasevic.  

http://www.alternativasostenibile.it/articolo/istat-­‐vola-­‐il-­‐made-­‐in-­‐italy-­‐agroalimentare-­‐all-­‐estero-­‐ 1603.html  (08/07/13)  

19  “Istat:  Coldiretti,  cala  la  produzione  Made  in  Italy”.  14/01/13.  

http://www.conipiediperterra.com/istat-­‐coldiretti-­‐cala-­‐la-­‐produzione-­‐made-­‐in-­‐italy-­‐0114.html   (08/07/13)  

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prodotti fasulli.

“All’estero sono falsi tre prodotti alimentari di tipo italiano su quattro. Il mercato mondiale delle imitazioni di prodotti alimentari “Made in Italy” vale oltre 50 miliardi di euro. In altre parole, le esportazioni di prodotti agroalimentari Made in Italy potrebbero quadruplicare se venisse uno stop alla contraffazione alimentare internazionale, che è causa di danni economici,

ma anche d’immagine” (Coldiretti).

E’ importante quindi prestare attenzione e cercare di controllare il più possibile il rischio reale che si radichi all’estero un falso agroalimentare italiano, capace di sottrarre spazio di mercato a quello autentico banalizzando nel frattempo le specialità italiane, che si distinguono per essere frutto di tecniche e tradizioni uniche e inimitabili. Nei Paesi dove sono più diffuse le imitazioni (Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti), le importazioni di formaggi Made in Italy soddisfano solo il 2 per cento dei consumi di formaggio di tipo italiano, mentre il resto è colmato tramite prodotti-imitazioni e falsificati, ottenuti negli Stati Uniti con latte americano; un gap importante da colmare e cogliere prima di eventuali imitatori stranieri. Un altro Paese dove il falso Made in Italy rischia di farsi conoscere e diffondersi prima dell’originale, compromettendone la crescita, è la Cina.

“Siamo di fronte a un inganno globale per i consumatori che causa danni economici e di immagine alla produzione italiana e che va combattuto cercando un accordo sul commercio internazionale nel WTO. A livello nazionale ed europeo occorre estendere, a tutti i prodotti, l’obbligo di indicare in etichetta l’origine dei prodotti alimentari”.20

Si renderà pertanto necessaria una massiccia azione di marketing volta a riposizionare nelle vetrine estere i prodotti italiani secondo i propri punti di forza, basata su un’imprescindibile e chiara presentazione dei prodotti, sul racconto e sulla spiegazione                                                                                                                          

20  “Made  in  Italy  agroalimentare,  all’estero  falsi  3  prodotti  su  4”.  La  Stampa.  

http://www.trueitalianfood.it/P42A20C2S1/Made-­‐in-­‐Italy-­‐agroalimentare-­‐-­‐all-­‐estero-­‐falsi-­‐3-­‐prodotti-­‐su-­‐ 4.htm  (08/07/13)  

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al potenziale cliente di ciò che rende il Made in Italy tale e che ne rappresenta le caratteristiche distintive. Questo non vale solo per il lusso, ma anche e soprattutto per il cibo e la filiera agroalimentare italiani, molto richiesti anche da paesi meno noti dei BRICS, come spiega il ministro dello Sviluppo Economico ed ex sindaco di Padova Zanonato.

"La potenzialità italiana nell'esportare i propri prodotti è immensa sia nel campo agricolo, sia in quello industriale, e anche nei sistemi di produzione. Dobbiamo con grande tenacia portare i nostri prodotti all'estero, mostrarli ed essi si affermano senza particolari difficoltà".21

Nel 2011/2012 si sono registrate, infatti, significative variazioni percentuali delle esportazioni del Made in Italy in Medio Oriente, più nello specifico negli Emirati Arabi Uniti (+39,5%), in Arabia Saudita (+30,5%) e in Turchia (+13,9%). In Estremo Oriente, tassi rilevanti riguardano Tailandia (+50,6%), India (+22,8%), Corea del Sud (+22,5%), Giappone (+20,5%), Cina e Hong-Kong (+20,2%); sono rilevanti anche i dati di Messico (+32,5%), Ucraina (+ 18,5%), Brasile (+7,3%) e Russia, quest’ultima in piena ripresa (+5,8%). Tuttavia come già accennato nel paragrafo precedente, nonostante le grandi opportunità di business di tali Paesi, il mantenimento di una certa stabilità e di spazi rilevanti di espansione del comparto nel lungo termine sarà possibile solo rafforzando sbocchi internazionali "maturi" e aumentando la spinta propulsiva verso i mercati emergenti, dato il significativo grado di protezionismo adottato da alcuni di questi, tra cui barriere non tariffarie di tipo sanitario.22 Inoltre i grandi gruppi finanziari e commerciali pesano più che in passato e la mancanza di tali attori in Italia è uno dei punti di debolezza del modello competitivo nazionale. E’ urgente dare un sostegno al mondo delle piccole imprese italiane anche in questa direzione, per aggirare il rischio che esse diventino preda di colossi stranieri, come sta avvenendo in particolare nel settore del lusso.

In sintesi, le difficoltà e i rischi non mancano: la competizione sul mercato                                                                                                                          

21  “Made  in  Italy,  Zanonato:  <<Per  export  italiano  potenzialità  immense>>”.    APCOM,  05/07/13.  

http://it.fashionmag.com/news/Made-­‐in-­‐Italy-­‐Zanonato-­‐Per-­‐export-­‐italiano-­‐potenzialita-­‐immense-­‐ ,340294.html  (18/07/13)  

22  “Made  in  Italy:  export  agroalimentare,  un  tesoro  da  quasi  25  miliardi”.  Milano  Finanza,  03/07/13.  

http://www.milanofinanza.it/news/dettaglio_news.asp?id=201307031729377410&chkAgenzie=TMFI   (18/07/13)  

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internazionale è forte ma l’Italia è ancora presente e competitiva in ambito internazionale. Le imprese italiane riescono a esportare nel mondo grazie a capacità manifatturiere eccezionali ma a causa di fattori strutturali e congiunturali, tra cui riveste un ruolo fondamentale la globalizzazione, nel nuovo contesto internazionale si rende necessario adottare nuove strategie di business. 23

I mercati di sbocco sono selezionati e ordinati in base sia alle proprie caratteristiche strutturali (es. grandezza del mercato in termini di PIL e popolazione, ricchezza di materie prime, ecc.), sia alle proprie potenzialità (crescita del PIL, del PIL pro-capite, grado di urbanizzazione, ecc.), sia al livello di rischio sovrano, politico e operativo.24 Per i beni di consumo tipici del Made in Italy, per esempio, la soglia di reddito (stimata in 11.500 dollari pro-capite a parità del potere d’acquisto, poco meno di 9000 euro) è la variabile più rilevante, da cui si innesca un processo di consumo più dinamico di questi beni. Diverso sarebbe il caso di beni di consumo di massa che non rappresentano tuttavia la specificità italiana.

Gli ultimi dati Coldiretti25 disponibili sulle esportazioni di prodotti agroalimentari italiani riportano il raggiungimento, nel 2013, del valore di 33 miliardi di euro, +6% rispetto all’anno precedente, di cui in particolare 22,5 miliardi nell’Unione Europea, il 68,18% (+5% rispetto al 2012), 2,9 miliardi negli Stati Uniti, l’8,8% (+6% rispetto al 2012), 3,7 miliardi in Oceania, l’11,21% (+13% rispetto al 2012), 2,8 miliardi in Asia, l’8,48% (+8% rispetto al 2012), 1,1 miliardi in Africa, il 3,33% (+12% rispetto al 2012). Le esportazioni hanno riguardato soprattutto: vino per 5,1 miliardi, il 15,45% del totale (+8% rispetto al 2012), ortofrutta fresca per 4,5 miliardi (+6% rispetto al 2012), olio per 1,3 miliardi (+10% rispetto al 2012) e pasta per 2,2 miliardi (+4% rispetto al 2012); le esportazioni di vino hanno registrato +11% in Francia, +8% negli Stati Uniti, +21% in Australia e +66% in Cile. Pertanto, il valore delle esportazioni dell’agroalimentare                                                                                                                          

23  “La  crisi  non  ferma  l’export  italiano  ma  il  made  in  Italy  ormai  è  preda  dei  grandi  gruppi  internazionali”.  

Michael  Pontrelli,  Tiscali  Economia.  

http://notizie.tiscali.it/articoli/economia/13/07/18/crisi_non_ferma_export_rischi_per_made_in_italy.h tml?ultimora  (19/07/13)  

24  “Oltre  i  BRICS:  nuovi  mercati  per  il  Made  in  Italy”.  Comitato  Leonardo  Italian  Quality  Committee,  luglio  

2013.  

25  “Agroalimentare:  Coldiretti,  export  2013  da  record.  Vale  33  miliardi”,  ASCA,  Coldiretti,  03/01/14,   http://www.asca.it/news-­‐Agroalimentare__Coldiretti__export_2013_da_record__Vale_33_mld-­‐ 1351470.html.  

(28)

italiano ha rappresentato nel 2013, su un totale di 133 miliardi di fatturato, ben il 25% (24,8%), un record storico a conferma dell’apprezzamento dei prodotti italiani all’estero.

Immagine 2.2.1. Suddivisione per area delle esportazioni agroalimentari italiane nel 2013.

Fonte: propria, su dati Coldiretti.

2.3. Il settore vitivinicolo italiano

Il settore vitivinicolo rappresenta il più consolidato fiore all’occhiello dell’industria agroalimentare italiana e il vino uno dei prodotti italiani più famosi e apprezzati in tutto il mondo. Si tratta di un prodotto complesso, tipico e quindi saldamente legato al territorio, di cui esprime le caratteristiche, la cultura e le tradizioni. L’Italia rappresenta uno dei primi esportatori a livello mondiale e uno dei maggiori produttori a livello europeo e mondiale.

La coltivazione della vite e la produzione di vino sono diffuse in molti Paesi ma pochi di essi possono vantare una produzione e dei flussi di esportazione rilevanti, al punto che i primi dieci nella graduatoria della produzione realizzano da soli il 78% del vino prodotto a livello mondiale e l’88% delle esportazioni. Ai primi posti si collocano Italia, Francia e Spagna, distaccandosi molto dai tre principali Paesi del nuovo mondo (USA, Argentina e Australia); gli altri produttori, sia interni sia esterni all’UE, hanno livelli di produzione inferiori. Tra i Paesi nuovi produttori, Australia e Cile dimostrano un’elevata propensione all’esportazione, al contrario di Stati Uniti e Argentina. I principali mercati di importazione sono Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti; anche la

22,5   2,9  

2,8  

1,1   3,7  

Suddivisione  per  area  geografica  export  

agroalimentare  italiano  nel  2013  (totale:  33  

miliardi  €)  

UE   USA   Asia   Africa   Oceania  

(29)

Francia è un importante importatore, anche se le sue importazioni sono specializzate in vini sfusi destinati a tagliare le produzioni nazionali. In tutti i principali mercati, le quote sulle importazioni più ampie sono detenute da Francia e Italia, ma anche Stati Uniti e Australia occupano posizioni importanti. In ogni caso, la situazione competitiva appare piuttosto dinamica e le quote dei vari concorrenti, negli ultimi anni, hanno subito un cambiamento di posizione diverso da un mercato all’altro per quanto riguarda l’approvvigionamento dei principali Paesi.26

Per quanto riguarda gli ultimi dati sulle esportazioni italiane, è possibile notare dalla tabella seguente una crescita del valore del vino importato dall’estero; nel 2013 è stato toccato il valore di 4934 milioni di euro (+7,26% rispetto al periodo corrispondente del 2012), ripartito tra Germania (1017 milioni di euro, +7,05%), Stati Uniti (1056 milioni, +7,31%), Regno Unito (591 milioni, +14,31%) e resto d’Europa (1544 milioni, +7,52%), Asia (327 milioni, +2,2%) e resto del mondo (399 milioni, +1,57%). 27

Immagine 2.3.1. Valore export italiano per area (ultimi 12 mesi).

Fonte: OIV, settembre 2013.

                                                                                                                         

26  “Economia  del  vino-­‐  tradizione  e  comunicazione”.  Maurizio  Ciaschini,  Claudio  Socci.  Franco  Angeli  

Edizioni,  2008.  

27    “Esportazioni  di  vino  italiano  –  aggiornamento  settembre  2013”,  I  Numeri  del  Vino,  15/12/13,   http://www.inumeridelvino.it/2013/12/esportazioni-­‐di-­‐vino-­‐italiano-­‐aggiornamento-­‐settembre-­‐ 2013.html#more-­‐13290  

(30)

Di recente si è registrato un calo nella produzione di vino italiana a causa dell’instabilità meteorologica, che ha provocato un ingente danno ai raccolti: -6% nel 2012, attestandosi a un valore minimo di 40 milioni totali di ettolitri, il più basso da circa quaranta anni secondo dati Istat (Coldiretti).28

Tabella 2.3.1. Produzione vino (escluso mosti) 2005- 2012.

Fonte: Istat.

Ciononostante il valore delle esportazioni ha registrato una crescita del 12% nel 2012 e del 13% nel 2011; i numeri confermano la necessità di rafforzare la capacità delle imprese agricole di esportare e investire all’estero attraverso la creazione di strumenti normativi che le sostengano in via diretta, semplificandone e ottimizzandone le risorse, e tramite un’efficace campagna di promozione sui mercati internazionali (fonte: AGI).29A fronte di un mercato e di consumi interni stagnanti se non in calo, la domanda estera è invece capace di trainare la produzione e di sostenere concretamente l’intero comparto agricolo; è proprio sui mercati internazionali che bisogna puntare per affrontare meglio la crisi. Secondo il rapporto “I.t.a.l.i.a. – Geografie del nuovo Made in Italy”, realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison, un valore di 6,4 miliardi di euro dei 63 miliardi di surplus è generati da beni alimentari e vini;

                                                                                                                         

28  “Istat:  Coldiretti,  cala  la  produzione  made  in  Italy”,  ANSA,  14/01/13.  

http://www.conipiediperterra.com/istat-­‐coldiretti-­‐cala-­‐la-­‐produzione-­‐made-­‐in-­‐italy-­‐0114.html   (08/07/13)  

29  “Export:  cresce  il  Made  in  Italy  agroalimentare”,  Laura  Pavesi,  19/11/12.  

http://www.buonenotizie.it/cronaca-­‐e-­‐societa/2012/11/19/export-­‐cresce-­‐il-­‐made-­‐in-­‐italy-­‐ agroalimentare/  (08/07/13)  

(31)

questi ultimi si classificano al secondo posto per saldo commerciale insieme agli spumanti, fruttando 4,7 miliardi di euro.30

Il dato è confermato già dal primo quadrimestre del 2013, in cui i vini rappresentano il 21% delle esportazioni totali insieme a mosti e aceto.31

Analizzando i dati Istat 32 sono emerse alcune tendenze chiave:

a) L’aumento della produzione di vini di qualità (DOC/DOCG), che rappresentano il 40% del totale a sfavore dei vini da tavola, che calano al 25% della produzione totale di vino (con l’esclusione dei mosti). Per quanto riguarda il tipo di prodotto, i vini di qualità costituiscono il 75% del prodotto totale, inclusi gli IGT ed esclusi i mosti. Su una produzione in diminuzione di 1.4 milioni di ettolitri nel 2012, si è registrato un aumento di 0.5 milioni di ettolitri di vini DOC/DOCG, raggiungendo quasi 15.6 milioni di ettolitri, mentre la produzione di vini IGT si è stabilizzata a 13.5 milioni di ettolitri. La produzione di vini da tavola cala da 12 a 10 milioni di ettolitri (-17%), una quantità fortemente ridotta rispetto ai 20 milioni di ettolitri nel 2005.

                                                                                                                         

30  “Made  in  Italy,  1.000  prodotti  nazionali  ai  primi  posti  nell’export  mondiale”.  Adnkronos,  05/07/13.   http://www.adnkronos.com/IGN/Sostenibilita/Risorse/Made-­‐in-­‐Italy-­‐1000-­‐prodotti-­‐nazionali-­‐ai-­‐primi-­‐ posti-­‐nellexport-­‐mondiale_32366805827.html  (18/07/13)  

31  “Made  in  Italy:  export  alimentare,  un  tesoro  di  quasi  25  miliardi”,  

http://www.milanofinanza.it/news/dettaglio_news.asp?id=201307031729377410&chkAgenzie=TMFI   (18/07/13)  

 

32  “Produzione  di  vino  in  Italia  nel  2012  –  dati  definitivi  ISTAT”,  I  numeri  del  vino,  07/07/13.    

http://www.inumeridelvino.it/2013/07/produzione-­‐di-­‐vino-­‐in-­‐italia-­‐nel-­‐2012-­‐dati-­‐definitivi-­‐ istat.html#more-­‐12310  (08/07/13)  

(32)

Immagine 2.3.2. Produzione di vino (escluso mosti) - Italia. 2005-2012.

Fonte: Istat.

b) L’aumento della produzione di vino bianco rispetto a quello rosso. Da una situazione di equilibrio di 53-54% per i vini rossi e 46-47% per i vini bianchi, la proporzione si è invertita nel 2012 a favore dei vini bianchi, che rappresentano il 51.5% della produzione totale di vino. Nel 2012 la produzione di vino bianco ha raggiunto i 20.2 milioni di ettolitri (-0,2 milioni), quantità superiore ai 19 milioni di vino rosso e rosato (-1,2 milioni). Probabilmente l’inversione di tendenza è dovuta anche alla crescita dei vini spumanti, soprattutto del prosecco (Istat).

Immagine 2.3.3. Produzione di vino per tipologia – Italia. 2005-2012.

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