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2.3. Il sistema internazionale di protezione dei rifugiati

2.3.1. Il sistema di Ginevra e la definizione di rifugiato

Affinché l’UNHCR potesse svolgere più efficacemente i propri compiti, venne deciso in seno alle Nazioni Unite di predisporre un documento giuridicamente vincolante per gli Stati contraenti, in grado di fungere da base legale e, al contempo, da guida nella gestione e risoluzione della questione dei rifugiati. Venne così dato avvio ai lavori della Conferenza dei plenipotenziari che, riunita a Ginevra assieme ai rappresentati di 26 Stati, inaugurò la stesura della cd. Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, siglata il 28 luglio 195161. Essa rappresenta tutt’oggi il

55 Statuto dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Risoluzione n. 428 dell’Assemblea

Generale delle Nazioni Unite, 14 dicembre 1950, art. 1.

56 Ivi, art. 2. L’art. 8 dello Statuto elenca le attività e le funzioni dell’UNHCR.

57 Il mandato dell’UNHCR è stato sempre rinnovato con risoluzioni dell’Assemblea generale delle

Nazioni Unite, sino al 2003. In quell’anno, l’Alto Commissariato è stato autorizzato a lavorare senza alcuna scadenza temporale.

58 Sull’UNHCR in generale si veda Y.BEIGBEDER, Le Haut-Commissariat des Nations-Unies pour les

réfugiés, Parigi, PUF, 1999; J.-F.DURIEUX, Le rôle du Haut Commissariat des Nations Unies pour les

réfugiés, in D.ALLAND (cur.), Droit d’asile et des réfugiés, Parigi, Pedone, 1997, pp. 185-196, p. 185;

M.BETTATI, Le Haut Commissariat des Nations Unies pour les réfugiés, in Pouvoirs, 1, 2013, pp. 91-

111.

59 Dati provenienti dal sito web www.unhcr.org. Presso l’UNHCR sono state impiegate, per l’anno

2019, 16.803 persone.

60 Si veda il dettagliato rapporto Global Trends. Forced Displacement in 2018, liberamente consultabile

sul sito web dell’UNHCR.

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principale strumento di tutela internazionale dei rifugiati, al punto da essere stata definita Magna Carta for refugees62. Invero, nella sua versione iniziale la Convenzione

testimonia che, se da una parte vi fu una chiara volontà condivisa nella gestione comune del fenomeno, dall’altra alcuni Governi nazionali vollero comunque mantenere un ampio margine di discrezionalità sull’ammissione degli stranieri sul proprio territorio; era diffusa la preoccupazione che una definizione troppo ampia della categoria da tutelare avrebbe potuto generare obblighi futuri imprevedibili63. Così, ai

sensi dell’art. 1, lett. A, n. 2, venne definito rifugiato «chiunque, per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi»64. La lett. B, n. 2, specifica poi che «possono essere

considerati "avvenimenti anteriori al I gennaio 1951" nel senso dell’art. 1, lett. A: a) "gli avvenimenti accaduti anteriormente al 1° gennaio 1951 in Europa"; b) "gli avvenimenti accaduti anteriormente al 1° gennaio 1951 in Europa o altrove"»65. I due

limiti, uno imperativo di carattere temporale e l’altro eventuale (o meglio, discrezionale) di carattere geografico, presenti nella disposizione, non testimoniano solamente la menzionata volontà di circoscrivere l’insieme delle persone da 62 J.M.READ, Magna Carta for Refugees, New York, United Nations Publications, 1951.

63 Si veda P.WEIS, Le statut international des réfugiés et apatrides, in Journal du droit international,

1, 1956, pp. 4-69, spec. p. 31, dove l’autore riporta il rapporto del Comitato speciale per i rifugiati e gli apolidi, ove si legge che «Il serait difficile pour un gouvernement de signer en quelque sorte un blanc- seing et d’assumer des obligations à l’égard de futurs réfugiés dont on ne connaitrait ni le nombre ni l’origine». Sulle tensioni tra i Paesi al momento della stesura della definizione di rifugiato, nonché per un efficace sunto dell’influenza che le differenti posizioni nazionali ebbero sulla definizione finale, si veda D.ALLAND,C.TEITGEN-COLLY, Traité du droit de l’asile, cit., pp. 76-78.

64 L’art. 1, par. A, n. 1 parla dei cd. history refugees, vale a dire coloro ai quali era stato legalmente

riconosciuto lo status di rifugiato sulla base di documenti internazionali precedenti alla Convenzione di Ginevra. Sul punto, S.SCHMAHL, Article 1 A, para. 1, in A.ZIMMERMAN (cur.), The 1951 Convention

Relating to the Status of Refugees and its 1967 Protocol: a Commentary, Oxford, Oxford University

Press, 2011, pp. 247-280.

65 La disposizione continua poi affermando che «Ciascuno Stato Contraente, all’atto della firma, della

ratificazione o dell’accessione, farà una dichiarazione circa l’estensione che esso intende attribuire a tale espressione per quanto riguarda gli obblighi da esso assunti in virtù della presente Convenzione. 2.Ciascuno Stato Contraente che si sia pronunciato per la definizione della lettera a può in ogni tempo estendere i suoi obblighi pronunciandosi per la definizione della lettera b mediante notificazione al Segretario generale delle Nazioni Unite».

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proteggere, bensì anche l’obiettivo che fu proprio della Convenzione di Ginevra al momento della sua stesura, intimamente correlato al contesto storico e politico; quello dei rifugiati era evidentemente ancora considerato un problema circoscritto, nel tempo e nello spazio, da gestire sul breve periodo. Questa impostazione si rivelò ben presto anacronistica, confrontata con i sempre maggiori numeri di sfollati in ogni parte del mondo. Venne così avvertita l’esigenza di abolire quelli che erano oramai divenuti ingombranti limiti all’implementazione di un sistema internazionale di tutela esaustivo e omnicomprensivo. Le riserve vennero rimosse con la ratifica del Protocollo di New York del 196766, «Considerato che nuove categorie di rifugiati sono apparse dopo

l'adozione della Convenzione e che, di conseguenza, tali rifugiati non possono rientrare nei termini della Convenzione»67. L’estensione della definizione, assieme al massiccio

incremento del numero di Stati aderenti al cd. sistema di Ginevra68, sono stati tali da

configurare quest’ultimo come l’imprescindibile strumento universale di tutela dei rifugiati che rappresenta oggigiorno69.

La definizione di rifugiato fornita nella Convenzione, come risultante a seguito delle modifiche intervenute nel 1967, costituisce uno dei muri portanti del sistema

66 Protocollo relativo allo status di rifugiato, adottato il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre

dello stesso anno. Nello specifico, le riserve furono eliminate con l’art. 1 del Protocollo, che recita: «1. Gli Stati aderenti al presente Protocollo si impegnano ad applicare ai rifugiati, quali definiti qui di seguito, gli articoli da 2 a 34 incluso della Convenzione. 2. Ai fini del presente Protocollo, il termine "rifugiato", tranne per quanto riguarda l'applicazione del paragrafo 3 del presente articolo, intende tutti coloro che rispondono alla definizione data all'art. 1 della Convenzione come se le parole "a seguito di avvenimenti verificatisi anteriormente al 1° gennaio 1951" e le parole "a seguito di tali avvenimenti" nell'articolo 1A (2) fossero omesse. 3. Il presente Protocollo sarà applicato dagli Stati aderenti senza alcuna limitazione geografica; tuttavia, le dichiarazioni già rese, in virtù dell'articolo 1B (1. (a) della Convenzione da parte degli Stati che già vi hanno aderito, si applicheranno anche sotto il regime del presente Protocollo, a meno che gli obblighi degli Stati non siano stati estesi conformemente all'articolo 1B (2) della Convenzione».

67 Protocollo di New York, Preambolo, secondo capoverso. M.ODELLO, Il diritto dei rifugiati. Elementi

di diritto internazionale, europeo e italiano, Milano, Franco Angeli, 2013, p. 61, sottolinea come il

Protocollo sia uno strumento giuridico indipendente dalla Convenzione del 1951 e come l’adesione a entrambi gli strumenti da parte degli Stati firmatari di quest’ultima riaffermi la centralità di ambedue i trattati nel definire il regime internazionale di protezione dei rifugiati.

68 Al giugno 2020, gli Stati firmatari della Convenzione di Ginevra e del relativo Protocollo di New

York sono 144. Quando ci riferiamo al cd. sistema di Ginevra, ci si rifà a D.ALLAND,C.TEITGEN- COLLY, Traité du droit de l’asile, cit., p. 72: «Ce que l’on peut appeler par commodité le “système” de

1951 est un ensemble composé de textes, d’institutions et de pratiques. Les textes, se sont évidemment la Convention de Genève du 28 juillet 1951 realtive au statut des réfugiés auquel il faut ajouter le très important protocole de New York de 1967. Les institutions – qui reposent sur d’autres textes – c’est d’abord le Haut-Commissariat des Nations Unies pour les réfugiés […]. Les pratiques, quant à elles, sont nationales».

69 Ex multis, B.NASCIMBENE,C.FAVILLI, Rifugiati, in S.CASSESE (cur.), Dizionario di diritto pubblico,

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ginevrino70. Essa si sostanzia in una serie di condizioni che vengono enunciate in

maniera generale e astratta nel testo del 1951, distinguibili in clausole d’inclusione, clausole d’esclusione e clausole di cessazione.

Con clausole d’inclusione si intende l’insieme dei requisiti la cui sussistenza decreta “l’eleggibilità” di un caso concreto al riconoscimento dello status di rifugiato71.

Enumerate all’art. 1, lett. A, n. 2 della Convenzione di Ginevra, esse si riferiscono essenzialmente a: a) Il fondato timore di persecuzione, per i motivi di cui alla disposizione di riferimento; b) l’allontanamento dallo Stato di cui si ha la cittadinanza; c) l’impossibilità di ottenere protezione da parte dello Stato di provenienza72.

Il concetto di persecuzione73, che costituisce il fulcro attorno al quale ruota la

definizione di rifugiato, è stato invero protagonista di interpretazioni differenti nel corso del tempo. La Convenzione infatti non ne fornisce una definizione, lasciando un ampio margine alle autorità statali incaricate di verificare le condizioni per l’ottenimento dello status; ne è conseguita l’impossibilità di delineare con certezza i confini della nozione74. La questione è parzialmente risolvibile con una lettura

congiunta dell’art. 1, lett. A, n. 2 e dell’art. 33, par. 1, ai sensi del quale «Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale

70 Per una visione panoramica d’insieme sui rifugiati nel sistema di Ginevra e, più in generale, nel diritto

internazionale V.CHETAIL, International Migration Law, Oxford, Oxford University Press, 2019, pp. 166-199.

71 Così P.BENVENUTI, La Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, in L.PINESCHI (cur.), La

tutela internazionale dei diritti umani, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 151-172, pp. 156-157.

72 Per un’analisi dettagliata dello status di rifugiato nella Convenzione di Ginevra e in particolare

sull’articolazione della nozione ivi fornita si vedano: Ivi, pp. 156-165; L.NERI, Il diritto d’asilo. Sezione

seconda – Profili sostanziali: lo status di rifugiato, in B.NASCIMBENE (cur.), Diritto degli stranieri,

cit., pp. 1189-1195; G.S.GOODWIN-GILL,J.MCADAM, The Refugee in International Law, III edizione, Oxford, Oxford University Press, 2007, spec. pp. 15-197; M.ODELLO, Il diritto dei rifugiati. Elementi

di diritto internazionale, europeo e italiano, cit., pp. 65-99; C.FRANCHINI, Lo status di rifugiato nella

Convenzione di Ginevra del 1951, in C.FAVILLI (cur.), Procedure e garanzie del diritto di asilo, Padova,

CEDAM, 2011, pp. 73-103; J-Y.CARLIER, Les réfugiés, in E.MIGNON,P.JADOUL (cur.), Le droit des

étrangers. Statuts, évolution européenne, droits économiques et sociaux, Bruxelles, Presses de

l’Université Saint-Louis, 1993, pp. 59-103.

73 Si vedano ex multis D.ALLAND,C.TEITGEN-COLLY, Traité du droit de l’asile, cit., pp. 395-432; F.

CHERUBINI, L’asilo dalla Convenzione di Ginevra al diritto dell’Unione europea, cit., pp. 8-24; F. LENZERINI, Asilo e diritti umani, cit., pp. 236-333.

74 Secondo F.RESCIGNO, Il diritto di asilo, cit., pp. 71-72, l’indeterminatezza del concetto costituisce

un elemento positivo in quanto, non costringendo la nozione di rifugiato in limiti predefiniti, permette una maggiore flessibilità volta a valutare individualmente e in concreto l’esistenza di una persecuzione, improntato a una certa soggettività.

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o delle sue opinioni politiche». Ne consegue che ogni qualvolta vi sia una minaccia alla vita o alla libertà di un soggetto, per le ragioni citate, sia configurabile una persecuzione, introducendo così quella che è stata definita come «soglia minima oltre la quale sussiste sempre una persecuzione»75. Tuttavia, non è pacifico se i confini della

persecuzione possano espandersi sino a ricomprendere anche la lesione di altri diritti umani e, eventualmente, quali e in che misura76. La dottrina maggioritaria, supportata

dalla prassi internazionale, è favorevole nel ritenere che la lesione di ogni diritto umano sancito negli strumenti internazionali di tutela possa integrare una persecuzione ai fini dell’applicazione della Convenzione del 195177.

Evidentemente, non qualsiasi persecuzione è atta a configurare lo status di rifugiato. Anzitutto, la persecuzione deve derivare da una responsabilità internazionale dello Stato di provenienza del soggetto, in funzione dell’obbligo positivo riconosciuto in capo agli Stati di proteggere coloro che rientrino nella loro giurisdizione78. Non

rileva dunque che la condotta sia tenuta direttamente dalle pubbliche autorità statali oppure da altri soggetti, qualora lo Stato non possa o non voglia tutelare colui che le subisce79. Inoltre, com’è esplicitato all’art. 1, lett. A, n. 2, vi può essere persecuzione

75 D.DEL VESCOVO, Misure di protezione internazionale ed umanitaria, in A.MACRILLÒ (cur.), Il

diritto degli stranieri, Padova, CEDAM, 2014, pp. 99-157, p. 113.

76 G.S.GOODWIN-GILL,J.MCADAM, The Refugee in International Law, cit., spec. pp. 90-134. 77 F.LENZERINI, Asilo e diritti umani, cit., pp. 236-243, spec. pp. 236-237: «“protezione” significa

garanzia dei diritti fondamentali consolidati nell’ordinamento giuridico internazionale contemporaneo, che si realizza adottando tutte le misure ragionevolmente attuabili per impedire che gli individui possano essere vittime di violazioni delle norme che tutelano i suddetti diritti». A sostegno della medesima tesi, anche ex multis A.ZIMMERMAN, C.MAHLER, Article 1 A, para. 2, in A.ZIMMERMAN (cur.), The 1951

Convention Relating to the Status of Refugees and its 1967 Protocol, cit., pp. 345-354; G.S.GOODWIN-

GILL,J.MCADAM, The Refugee in International Law, cit., pp. 90-134; A.GRAHL-MADSEN, The Status

of Refugee in International Law. Volume I: Refugee Character, Leiden, A. W. Sijthoff, 1966, p. 193.

78 F.CHERUBINI, L’asilo dalla Convenzione di Ginevra al diritto dell’Unione europea, cit., pp. 10-11. 79 Il concetto è esplicitato anche nel “manuale” creato ad hoc dall’UNHCR, Guide des procédures et

critères à appliquer pour déterminer le statut de réfugié au regard de la Convention de 1951 et du Protocole de 1967 relatifs au statut des réfugiés, 1992 (prima versione del 1979), disponibile online

all’indirizzo web https://www.unhcr.org/fr/publications/legal/4ad2f7fa383/guide-procedures-criteres- appliquer-determiner-statut-refugie-regard-convention.html (il documento è disponibile anche nella versione inglese, intitolata Handbook on Procedures and Criteria for Determining Refugee Status under

the 1951 Convention and the 1967 Protocol relating to the Status of Refugees). In particolare, al par. 65

si legge: «On entend normalement par persécution une action qui est le fait des autorités d'un pays. Cette action peut également être le fait de groupes de la population qui ne se conforment pas aux normes établies par les lois du pays. titre d'exemple, on peut citer l'intolérance religieuse, allant jusqu'à la persécution, dans un pays par ailleurs laïc mais où d'importantes fractions de la population ne respectent pas les convictions religieuses d'autrui. Lorsque des actes ayant un caractère discriminatoire grave ou très offensant sont commis par le peuple, ils peuvent être considérés comme des persécutions s'ils sont sciemment tolérés par les autorités ou si les autorités refusent ou sont incapables d'offrir une protection efficace». Si evidenzia che detto documento non ha valore ufficiale di strumento interpretativo del

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solo qualora questa sia perpetrata in ragione dell’appartenenza a una determinata razza o etnia80, dell’adesione a una certa fede o a un certo credo81, della nazionalità del

soggetto82, della sua appartenenza a un gruppo sociale83 o delle sue opinioni

politiche84.

Lo Stato che si trovi a decretare sulla configurazione dello status di rifugiato ai sensi del sistema ginevrino deve verificare le menzionate condizioni soggettive tramite l’esame di fattori oggettivi, atti a comprovare la ragionevolezza del timore di persecuzione85. È interessante rilevare come le autorità nazionali non possano basarsi

solamente sull’esperienza personale del soggetto in cerca di rifugio, sebbene questa

sistema ginevrino, e tuttavia esso funge da riferimento per numerose autorità a giurisdizioni nazionali che si trovino ad applicare la Convenzione.

80 Ivi, par. 68: «Race, in the present connexion, has to be understood in its widest sense to include all

kinds of ethnic groups that are referred to as “races” in common usage. Frequently it will also entail membership of a specific social group of common descent forming a minority within a larger population. Discrimination for reasons of race has found world-wide condemnation as one of the most striking violations of human rights. Racial discrimination, therefore, represents an important element in determining the existence of persecution» (par. 68).

81 Ivi, par. 72: «Persecution for “reasons of religion” may assume various forms, e.g. prohibition of

membership of a religious community, of worship in private or in public, of religious instruction, or serious measures of discrimination imposed on persons because they practise their religion or belong to a particular religious community».

82 Ivi, par. 74: «The term “nationality” in this context is not to be understood only as “citizenship”. It

refers also to membership of an ethnic or linguistic group and may occasionally overlap with the term “race”. Persecution for reasons of nationality may consist of adverse attitudes and measures directed against a national (ethnic, linguistic) minority and in certain circumstances the fact of belonging to such a minority may in itself give rise to well-founded fear of persecution».

83 Ivi, parr. 77-79: «77. A “particular social group” normally comprises persons of similar background,

habits or social status. A claim to fear of persecution under this heading may frequently overlap with a claim to fear of persecution on other grounds, i.e. race, religion or nationality. 78. Membership of such a particular social group may be at the root of persecution because there is no confidence in the group's loyalty to the Government or because the political outlook, antecedents or economic activity of its members, or the very existence of the social group as such, is held to be an obstacle to the Government's policies. 79. Mere membership of a particular social group will not normally be enough to substantiate a claim to refugee status. There may, however, be special circumstances where mere membership can be a sufficient ground to fear persecution». Si evidenzia che quella dei perseguitati in ragione della loro appartenenza a un gruppo sociale è divenuta nel tempo la categoria maggiormente utilizzata nella prassi, in ragione dei suoi confini sfumati nei quali è stato possibile ricomprendere soggetti che non sarebbero rientrati nelle altre categorie di cui alla Convenzione. Le prassi e le giurisprudenze nazionali hanno così adottato orientamenti alle volte contrastanti tra loro.

84 Ivi, par. 80: «Holding political opinions different from those of the Government is not in itself a

ground for claiming refugee status, and an applicant must show that he has a fear of persecution for holding such opinions. This presupposes that the applicant holds opinions not tolerated by the authorities, which are critical of their policies or methods. It also presupposes that such opinions have come to the notice of the authorities or are attributed by them to the applicant. The political opinions of a teacher or writer may be more manifest than those of a person in a less exposed position. The relative importance or tenacity of the applicant's opinions – in so far as this can be established from all the circumstances of the case – will also be relevant».

85 M.PEDRAZZI, Il diritto di asilo nell’ordinamento internazionale agli albori del terzo millennio, in L.

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sia essenziale e coinvolga anche il suo passato, bensì anche su ulteriori elementi relativi al contesto del Paese di provenienza e alle esperienze accertate di soggetti in qualche modo “vicini” al richiedente86.

Qualora le condizioni esposte vengano accertate, ricadendo dunque in un caso di eleggibilità, il soggetto deve vedersi riconosciuto lo status di rifugiato, la cui natura è dichiarativa e non costitutiva; i soggetti la cui situazione ricada nella definizione di cui all’art. 1, lett. A., n. 2 della Convenzione di Ginevra sono infatti rifugiati ipso iure87, nel senso che la loro qualifica come tali precede il riconoscimento da parte dello

Stato di protezione, configurandosi già dal momento in cui si rientri nella fattispecie. Esistono poi delle condizioni al sussistere delle quali non può essere riconosciuta al soggetto la protezione prevista dal sistema ginevrino, nonostante esso