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2.4. Il quadro regionale europeo

2.4.1. Gli status della protezione nel Sistema europeo comune di asilo

111 Invero, alla Carta di Nizza venne immediatamente attribuito il merito di aver finalmente sancito il

ruolo dell’Unione come garante dei diritti fondamentali, attribuendo così al documento un ruolo politico rilevante sin dalla sua emanazione, indipendentemente dal valore giuridico allora non ancora vincolante. Peraltro, sin dai primi anni Duemila si è assistito ad un’applicazione di fatto della Carta da parte dei giudici, atta a plasmare l’ordinamento costituzionale dell’Unione. Si rimanda, ex multis, al volume collettaneo G.F.FERRARI (cur.), I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei

diritti, Milano, Giuffrè, 2001. Sul ruolo della Carta nella costruzione europea si veda G.AZZARITI, La

Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel “processo costituente europeo”, in Rassegna di diritto pubblico europeo, 1-2, 2002, pp. 9-46. Per un’analisi delle ragioni e delle conseguenze della

scrittura dei diritti fondamentali nell’Unione europea T.GROPPI, La codificazione dei diritti nell’Unione

europea, in A. PISANESCHI, L. VIOLINI (cur.), Poteri, garanzie e diritti a sessanta anni dalla

Costituzione: scritti per Giovanni Grottanelli de' Santi, vol. II, Milano, Giuffrè, 2017, pp. 983-1014. Si

rimanda altresì a M.CARTABIA, L’ora dei diritti fondamentali nell’Unione europea, in ID. (cur.), I diritti

in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, Bologna, Il Mulino,

2007, pp. 10-66.

112 Per un commento, si vedano G.BRUNELLI, Art. 18. Diritto di asilo, in R.BIFULCO,M.CARTABIA,A.

CELOTTO (cur.), L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione

Europea, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 154-159; P.DE PASQUALE, Art. 18, in R.MASTROIANNI,O.

POLLICINO,S. ALLEGREZZA,F. PAPPALARDO, O.RAZZOLINO (cur.), Carta dei diritti fondamentali

dell’Unione europea, Milano, Giuffrè, 2017, pp. 349-367; S.BODART, Article 18. Droit d’asile, in F. PICOD,C.RIZCALLAH,S.VAN DROOGHENBROECK (cur.), Charte des droits fondamentaux de l’Union

européenne. Commentaire article par article, Bruxelles, Bruylant, 2020, pp. 473-508 ; M.DEN HEIJER,

Article 18, Right to Asylum, in S.PEERS,T.HERVEY,J.KENNER,A.WARD (cur.), The EU Charter of

Fundamental Rights: a Commentary, Monaco-Oxford-Baden-Baden, Beck-Hart-Nomos, 2014, pp.

519-541.

113 F.CHERUBINI, L’asilo dalla Convenzione di Ginevra al diritto dell’Unione europea, cit., pp. 179-

185. Si riferiscono ad un obbligo dell’acquis europeo in materia di asilo di conformità alla Convenzione di Ginevra e del Protocollo di New York anche K.HAILBRONNER,D.THYM, Legal Framework for EU

Asylum Policy, in ID. (cur.), EU Immigration and Asylum Law. A Commentary, II edizione, Monaco-

Oxford-Baden-Baden, C.H. Beck-Hart-Nomos, 2016, pp. 1023-1053, p. 1029. In relazione alla giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, su tutte si veda CGUE, Sentenza 2 marzo 2010, cause riunite C-175/08, C-175/08, C-178/08 e C-179/08, Abdulla.

100

A seguito dell’evoluzione sopra ricordata114, le politiche dell’Unione europea

relative all’immigrazione e all’asilo sono ad oggi adottate sulla base degli artt. da 77 a 80 del TFUE115, allo scopo di implementare la «politica comune in materia di asilo, di

protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento»116. Nell’assicurare un elevato

livello di protezione dei soggetti vulnerabili in fuga dal loro Paese in conformità col sistema di Ginevra e con gli altri trattati pertinenti117, l’Unione mira alla creazione di

un Sistema europeo comune di asilo (CEAS, Common European Asylum System) in seno al quale predisporre criteri e procedure comuni a tutti gli Stati membri, atti a garantire risultati equivalenti a seguito delle domande di asilo, indipendentemente dal Paese ove queste vengano presentate ed esaminate118. Tale sistema si realizza tramite

atti legislativi di diritto derivato dell’UE; in particolare, attualmente rilevano: a) la cd. direttiva qualifiche 2011/95/UE119; b) la cd. direttiva procedure 2013/32/UE120; c) la

cd. direttiva accoglienza 2013/33/UE121; d) la cd. direttiva sfollati 2001/55/CE122; e) il

114 Supra, cap. 1.5.

115 Titolo V, Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia, Capo II, Politiche relative ai controlli alle frontiere,

all’asilo e all’immigrazione.

116 Art. 78, par. 1, TFUE. Si veda C. FAVILLI, La protezione internazionale nell’ordinamento

dell’Unione europea, in ID. (cur.), Procedure e garanzie del diritto di asilo, cit., pp. 121-146.

117 Ibidem.

118 V.CHETAIL, The Common European Asylum System: Bric-à-brac or System?, in V.CHETAIL,P.DE

BRUYCKER,F.MAIANI (cur.), Reforming the Common European Asylum System. The New European

Refugee Law, Leiden-Boston, Brill-Nijhoff, 2016, pp. 1-38. Per una panoramica di ampio respiro del

sistema europeo comune di asilo si veda altresì L.POTVIN-SOLIS, Le régime d’asile européen commun:

l’impératif de progrès d’un cadre constitutionnel commun, in C.-A.CHASSIN (cur.), La réforme de

l’asile mise en œuvre, Parigi, Pedone, 2017, pp. 13-58.

119 Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme

sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta.

120 Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure

comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.

121 Direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme

relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.

122 Direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della

protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi.

101

cd. regolamento Dublino III n. 604/2013123; f) il cd. regolamento Eurodac n.

603/2013124.

Le tutele approntate in seno al sistema comune ruotano attorno alla garanzia dei diritti fondamentali dell’individuo. In tal senso, la Carta di Nizza gioca un ruolo di primaria importanza, vincolando sia gli Stati membri che le istituzioni europee quando si trovino a disciplinare ambiti di competenza del diritto euro-unitario125. Ricorrenti

sono infatti i riferimenti ad essa da parte della Corte di giustizia, che sovente ribadisce l’obbligo di interpretare il diritto derivato conformemente a quanto ivi disposto126.

È proprio nella Carta di Nizza, e in particolare all’art. 19, par. 2127, che si

rinviene la disciplina del principio di non-refoulement, perno del sistema comune di asilo. Esso è stato altresì ricavato in via indiretta dall’art. 4 del medesimo documento, ove è affermato che «Nessuno può essere sottoposto a tortura, nè a pene o trattamenti inumani o degradanti». Il giudice di Lussemburgo ha più volte ribadito il carattere 123 Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che

stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide.

124 Regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che

istituisce l' «Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica il regolamento (UE) n. 1077/2011 che istituisce un'agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

125 Per un’analisi dell’evoluzione del ruolo della Carta nelle politiche europee e nella giurisprudenza

della Corte di Lussemburgo, con una particolare contestualizzazione all’ambito dell’immigrazione e dell’asilo, si veda S.PEERS, The EU Charter of Fundamental Rights and Immigration and Asylum Law,

in S.PEERS,V.MORENO-LAX,M.GARLICK,E.GUILD (cur.), EU Immigration and Asylum Law (Text

and Commentary): Second Revised Edition, Leiden-Boston, Brill-Nijhoff, pp. 27-64.

126 Ex multis, in riferimento alla Direttiva 004/83/CE recante norme minime sulle condizioni per il

riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria, si veda CGUE, Sentenza 7 novembre 2013, cause riunite da C-199/12 a C-201/12, X, Y e Z, par. 40: «L’interpretazione delle disposizioni della direttiva deve pertanto essere effettuata alla luce dell’impianto sistematico e della finalità di quest’ultima, nel rispetto della convenzione di Ginevra e degli altri trattati pertinenti di cui all’articolo 78, paragrafo 1, TFUE. Tale interpretazione deve pertanto essere effettuata, come emerge dal considerando 10 della direttiva, nel rispetto dei diritti riconosciuti dalla Carta (sentenza del 19 dicembre 2012, Abed El Karem El Kott e a., C-364/11, punto 43, nonché giurisprudenza ivi citata)».

127 Carta dei diritti fondamentali dell’UE, art. 19: «1. Le espulsioni collettive sono vietate. 2. Nessuno

può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti». Per un commento: G.BRUNELLI, Art. 19. Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione, in R.BIFULCO,M.CARTABIA,A.CELOTTO (cur.), L’Europa dei diritti, cit., pp. 160-163; J.JAUMOTTE,

Article 19. Protection en cas d’éloignement, d’expulsion et d’extradition, in F.PICOD,C.RIZCALLAH,

S.VAN DROOGHENBROECK (cur.), Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne, cit., pp. 445-

468; E.GUILD, Art. 19 Protection in the event of Removal, Expulsion or Extradition, in S.PEERS,T. HERVEY,J.KENNER,A.WARD (cur.), The EU Charter of Fundamental Rights, cit., pp. 543-562.

102

assoluto del divieto, e la sua conseguente inderogabilità, riconoscendo uno stretto legame della disposizione col principio di dignità umana solennemente affermato dall’art. 1 della Carta128.

Proprio l’attenzione al rispetto del principio di non respingimento e alla tutela dei diritti fondamentali, e la necessaria conformità con i trattati internazionali di tutela di questi ultimi129, hanno condotto a un sistema di asilo europeo più ampio di quello

convenzionalmente approntato dal sistema ginevrino. In effetti, pur prendendo le mosse dalla definizione di rifugiato ivi prevista, il diritto europeo estende l’ambito di applicazione soggettivo della protezione internazionale fornita, che può essere concessa a categorie di stranieri ulteriori rispetto a quella di cui alla Convenzione del 1951.

Il Sistema comune europeo di asilo predispone dunque uno status comune tra i Paesi membri in relazione a tre distinte tipologie di soggetti, individuate dal citato art. 78, par. 1, TFUE. Si tratta di:

a) Rifugiati. La prima categoria di soggetti tutelati nel CEAS corrisponde a quella del sistema ginevrino130; nel definire i soggetti che vi rientrano, l’art. 2 della

direttiva 2011/95/UE131 riprende infatti l’art. 1, lett. A, n. 2 della Convenzione del

1951, affermando che è rifugiato il «cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui 128 Carta dei diritti fondamentali dell’UE, art. 1: «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere

rispettata e tutelata». CGUE, sentenza 5 aprile 2016, cause riunite C-404/15 e C-659/15, Aranyosi e

Căldăraru, par. 87: «Gli articoli 1 e 4 della Carta, nonché l’articolo 3 della CEDU, sanciscono uno dei

valori fondamentali dell’Unione e dei suoi Stati membri. Per tale ragione, in ogni circostanza, anche in caso di lotta al terrorismo e al crimine organizzato, la CEDU vieta in termini assoluti la tortura e le pene e i trattamenti inumani o degradanti, qualunque sia il comportamento dell’interessato».

129 Il riferimento è nuovamente all’art. 78, par. 1, TFUE. Con relazione ai documenti internazionali che

hanno condotto a una più ampia tutela in seno al CEAS, ci si riferisce in particolare alla Convenzione Europea dei Diritti Umani (spec. art. 3 e Protocolli n. 6 e n. 13), alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984 (spec. art. 3), al Patto internazionale sui Diritti civili e politici del 1966 (spec. art. 7). Si veda V.MORENO-LAX,M.GARLICK,

Qualification: Refugee Status and Subsidiary Protection, in S.PEERS,V.MORENO-LAX,M.GARLICK, E.GUILD (cur.), EU Immigration and Asylum Law (Text and Commentary), cit., pp. 65-210, p. 133.

130 Attualmente il TFUE si riferisce in maniera esplicita ad uno status comune in materia di asilo, mentre

prima del Trattato di Lisbona il TCE citava espressamente la categoria dei rifugiati. Tuttavia, la questione è meramente formale, essendo indubbio il riferimento ai rifugiati ai sensi della Convenzione di Ginevra.

131 La direttiva in questione, come stabilito nel suo art. 1, «stabilisce norme sull’attribuzione, a cittadini

di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta».

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ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12 [esclusione dallo status]». Anche nel diritto euro-unitario qualora uno straniero rientri nelle condizioni di eleggibilità ivi elencate, egli diviene automaticamente un rifugiato, ponendosi il riconoscimento dello status da parte degli Stati membri come mero «atto declaratorio», in quanto questi «non dispongono di nessun potere discrezionale a tale proposito»132. Da quanto detto, i giudici di Lussemburgo hanno dedotto la

configurabilità del diritto soggettivo del richiedente ad essere riconosciuto come rifugiato, che si perfeziona ancor prima che intervenga l’autorità statale con un’apposita decisione declaratoria133.

In relazione al concetto di persecuzione, valgono le medesime considerazioni fatte con riferimento al sistema di Ginevra. Il riconoscimento dello status può derivare anche da una persecuzione potenziale, laddove l’elemento soggettivo del timore possa essere riscontrato tramite elementi oggettivi. Tuttavia, il diritto dell’Unione si mostra più preciso di quello convenzionale134, elencando gli atti che possono essere ritenuti

132 CGUE, Sentenza 24 giugno 2015, causa C-373/13, H.T., punto 63.

133 CGUE, Sentenza 12 aprile 2018, causa C-550/16, A, S, punto 54: «Pertanto, dopo la presentazione

di una domanda di protezione internazionale conformemente al capo II della direttiva 2011/95, qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide che soddisfa i requisiti sostanziali previsti dal capo III di tale direttiva beneficia di un diritto soggettivo a che gli sia riconosciuto lo status di rifugiato, e ciò ancora prima che sia stata adottata una decisione formale al riguardo». Nello stesso senso la più recente CGUE, Sentenza 14 maggio 2019, cause riunite C-391/16, C-77/17, C-77/18, M, X, X, punto 86: «nel sistema istituito dalla direttiva 2011/95, il cittadino di un paese terzo o un apolide che soddisfi le condizioni materiali contenute nel capo III di detta direttiva dispone, per questo solo fatto, della qualità di rifugiato, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), di detta direttiva e dell’articolo 1, sezione A, della Convenzione di Ginevra».

134 Per una ricostruzione della nozione di rifugiato nel diritto dell’UE, con puntuali riferimenti alla

giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, si veda S. AMADEO, F. SPITALERI, Il diritto

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persecutori135, le motivazioni che li configurano come tali136, i soggetti dai quali la

persecuzione deve essere perpetrata per essere ritenuta tale137 e gli attori che possono

offrire la protezione138. Peraltro, sebbene nella maggior parte dei casi il timore di

135 Art. 9, dir. 2011/95/UE: «1. Sono atti di persecuzione ai sensi dell’articolo 1 A della convenzione di

Ginevra gli atti che: a) sono, per loro natura o frequenza, sufficientemente gravi da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; oppure b) costituiscono la somma di diverse misure, tra cui violazioni dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo a quello di cui alla lettera a). 2. Gli atti di persecuzione che rientrano nella definizione di cui al paragrafo 1 possono, tra l’altro, assumere la forma di: a) atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale; b) provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia e/o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio; c) azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie; d) rifiuto di accesso ai mezzi di ricorso giuridici e conseguente sanzione sproporzionata o discriminatoria; e) azioni giudiziarie o sanzioni penali in conseguenza al rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo comporterebbe la commissione di crimini, reati o atti che rientrano nell’ambito dei motivi di esclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 2; f) atti specificamente diretti contro un sesso o contro l’infanzia. 3. In conformità dell’articolo 2, lettera d), i motivi di cui all’articolo 10 devono essere collegati agli atti di persecuzione quali definiti al paragrafo 1 del presente articolo o alla mancanza di protezione contro tali atti».

136 Art. 10, dir. 2011/95/UE: «1. Nel valutare i motivi di persecuzione, gli Stati membri tengono conto

dei seguenti elementi: a) il termine «razza» si riferisce, in particolare, a considerazioni inerenti al colore della pelle, alla discendenza o all’appartenenza a un determinato gruppo etnico; b) il termine «religione» include, in particolare, le convinzioni teiste, non teiste e ateiste, la partecipazione a, o l’astensione da, riti di culto celebrati in privato o in pubblico, sia singolarmente sia in comunità, altri atti religiosi o professioni di fede, nonché le forme di comportamento personale o sociale fondate su un credo religioso o da esso prescritte; c) il termine «nazionalità» non si riferisce esclusivamente alla cittadinanza, o all’assenza di cittadinanza, ma designa, in particolare, l’appartenenza a un gruppo caratterizzato da un’identità culturale, etnica o linguistica, comuni origini geografiche o politiche o la sua affinità con la popolazione di un altro Stato; d) si considera che un gruppo costituisce un particolare gruppo sociale in particolare quando — i membri di tale gruppo condividono una caratteristica innata o una storia comune che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, e — tale gruppo possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante. In funzione delle circostanze nel paese d’origine, un particolare gruppo sociale può includere un gruppo fondato sulla caratteristica comune dell’orientamento sessuale. L’interpretazione dell’espressione «orientamento sessuale» non può includere atti penalmente rilevanti ai sensi del diritto interno degli Stati membri. Ai fini della determinazione dell’appartenenza a un determinato gruppo sociale o dell’individuazione delle caratteristiche proprie di tale gruppo, si tiene debito conto delle considerazioni di genere, compresa l’identità di genere; e) il termine «opinione politica» si riferisce, in particolare, alla professione di un’opinione, un pensiero o una convinzione su una questione inerente ai potenziali persecutori di cui all’articolo 6 e alle loro politiche o metodi, indipendentemente dal fatto che il richiedente abbia tradotto tale opinione, pensiero o convinzione in atti concreti. 2. Nell’esaminare se un richiedente abbia un timore fondato di essere perseguitato è irrilevante che il richiedente possegga effettivamente le caratteristiche razziali, religiose, nazionali, sociali o politiche che provocano gli atti di persecuzione, purché una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall’autore delle persecuzioni».

137 Art. 6, dir. 2011/95/UE: «I responsabili della persecuzione o del danno grave possono essere: a) lo

Stato; b) i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio; c) soggetti non statuali, se può essere dimostrato che i responsabili di cui alle lettere a) e b), comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire la protezione contro persecuzioni o danni gravi di cui all’articolo 7».

138 Art. 7, dir. 2011/95/UE: «1. La protezione contro persecuzioni o danni gravi può essere offerta

esclusivamente: a) dallo Stato; oppure b) dai partiti o organizzazioni, comprese le organizzazioni internazionali, che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, a condizione che abbiano la volontà e la capacità di offrire protezione conformemente al paragrafo 2. 2. La protezione

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pericolo sia preesistente all’arrivo dello straniero nel territorio nazionale, l’art. 5, par. 1, della direttiva 2011/95/UE afferma che «Il timore fondato di essere perseguitato o il rischio effettivo di subire un danno grave può essere basato su avvenimenti verificatisi dopo la partenza del richiedente dal suo paese di origine», normando dunque quei casi nei quali dopo la partenza dalla propria patria si verifichi un mutamento di condizione personale del richiedente tale da generare una minaccia sopravvenuta previamente inesistente (cd. refugees sur place). Naturalmente, lo Stato incaricato di valutare la domanda deve constatare che la variazione non sia stata volontariamente indotta dallo straniero al solo fine di ottenere la protezione139.

Gli artt. 11140 e 12141 della direttiva qualifiche riprendono poi il concetto

ginevrino di clausole di cessazione e di esclusione. Con riferimento alle seconde, viene