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Il sistema innovativo in Italia

L'Italia è un importante esempio di casi di successo della crescita economica del dopoguerra.

Nel nostro Paese sono presenti due sistemi innovativi: la rete di piccole imprese e il sistema della Ricerca e Sviluppo su larga scala.

Il primo è composto da una popolazione ampia di piccole e medie imprese che interagiscono intensamente a livello locale, mentre il secondo è dato da imprese di grandi dimensioni con laboratori industriali, da piccole unità produttive ad alta intensità tecnologica, da grandi istituti pubblici di ricerca, da università.

Circa i principali aspetti critici e strutturali dell'industria italiana si possono elencare i due punti seguenti (Malerba, 2000):

1) Industrializzazione recente: l'Italia è caratterizzata da un'industrializzazione tardiva (Graziani, 1979 citato Malerba, 2000). L'Italia ha sviluppato un'industria moderna soltanto a partire dagli anni cinquanta e questo vuol dire che le tecnologie avanzate, le capacità produttive, le infrastrutture e le competenze manageriali tipiche di un paese industrializzato hanno incominciato ad emergere negli anni cinquanta;

2) mancanza di una tradizione di Ricerca e Sviluppo industriale: in Italia manca una tradizione di Ricerca e Sviluppo che risalga fino al secolo scorso come è riscontrabile guardando gli altri paesi avanzati. In generale, fino alla seconda metà del XX secolo, le imprese italiane hanno speso molto poco in Ricerca e Sviluppo; 3) paese dualistico in termini di differenze tra Nord e Sud e di dimensioni d'impresa: si

hanno numerose imprese nei settori tradizionali e nei settori dei fornitori specializzati che costituiscono la maggior parte dell'industria italiana. Dall'altro lato, il cuore dell'industria italiana è costituito da poche grandi imprese che sono soprattutto attive nei settori ad alta intensità di scala. La maggior parte delle grandi imprese italiane e il cuore dell'industria avanzata da un punto di vista tecnologico sono situate nelle regioni settentrionali, mentre il meridione è caratterizzato da una scarsa intensità di Ricerca e Sviluppo, da un basso grado di industrializzazione e da una limitata diffusione delle tecnologie avanzate;

4) i diversi processi di internazionalizzazione dell'economia italiana: l'industria italiana, fino ad anni recenti, ha mostrato una grande capacità nel campo

dell'esportazione ma non un significativo livello di internazionalizzazione produttiva. Fino agli anni ottanta, le imprese italiane hanno esportato molto in settori tradizionali come quello tessile, i mobili, le calzature, ma gli investimenti diretti esteri delle imprese italiane sono stati limitati e la presenza delle imprese multinazionali straniere è stata esigua.

Facendo un breve accenno alla storia italiana per quanto riguarda le attività innovative, nel periodo tra il 1990 e il 1992, un terzo delle imprese considerate ha introdotto innovazioni tecnologiche, ma soltanto la metà di queste ultime ha effettuato delle attività in Ricerca e Sviluppo.

Solo una bassa percentuale di piccole imprese (il 26%) ha innovato, mentre tra le imprese con più di mille addetti quelle che hanno innovato sono state l'84%.

Se si esamina l'attività in Ricerca e Sviluppo, la percentuale delle piccole imprese è al di sotto del'11,7% mentre tra le grandi imprese è il 78,5% a svolgere attività innovative. Questo è a dimostrazione del fatto che gli investimenti specifici in ricerca sono prevalentemente svolti dalle imprese di grandi dimensioni.

Le più innovative risultano essere le industrie in campo informatico e delle telecomunicazioni, mentre in altri settori, la quota delle imprese innovative è piuttosto ridotta anche se si registra un'elevata percentuale di fatturato e di addetti (Archibugi et al 1996, citato da Malerba, 2000).

Per le imprese italiane, il reverse engineering e i fornitori sono i canali di conoscenza maggiormente utilizzati. Un ruolo importante è anche svolto dai clienti e dalle imprese affiliate ma, queste ultime rappresentano una fonte più importante per le imprese europee che per quelle italiane, ad eccezione del settore meccanico. Invece gli istituti di ricerca, le joint-venture e le università sono di scarso rilievo (Gavetti, Malerba 1996 citato da Malerba, 2000).

Circa le spese innovative, si osserva la prevalenza dell'acquisto e l'utilizzo delle tecnologie incorporate quale principale forma di innovazione: infatti questi investimenti rappresentano il 47% delle spese totali e sono seguiti dalle spese in Ricerca e Sviluppo che coprono il 35,8% del totale.

Invece, la spesa per l'acquisizione di tecnologie tramite licenze e brevetti appare molto limitata e, un rilievo scarso lo hanno anche le spese per la progettazione e per lo sviluppo di prototipi.

Ma, anche in questo caso, vi sono delle grandi differenze a livello di dimensione di settore e d'impresa: infatti, le imprese di grandi dimensioni innovano soprattutto tramite attività di Ricerca e Sviluppo mentre quelle di minori dimensioni preferiscono spendere nell'acquisto di tecnologie incorporate in impianti e beni capitali.

I settori che spendono di più per l'innovazione sono quelli ad elevate economie di scala, mentre nei settori tradizionali all'innovazione vengono destinate poche risorse.

Per quanto riguarda la tipologia delle innovazioni (di prodotto, di processo), questa è maggiormente legata al settore di appartenenza che alla dimensione delle imprese. I settori tradizionali, sono quelli che registrano una percentuale maggiore delle innovazioni di processo, mentre negli altri settori non si ha una prevalenza significativa delle innovazioni di processi rispetto a quelle di prodotto.

Invece, per quanto attiene agli ostacoli dell'innovazione, quelli principali sono legati ai costi troppo elevati, ad un periodo troppo lungo di recupero dell'investimento e alla mancanza di fondi.

Quindi, i fattori che limitano maggiormente l'innovazione sono più di natura economico- finanziaria che di natura tecnologica (ISTAT, citato da F. Malerba, 2000).