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Spazi affini

Nel documento A.A Geometria 2 UNICA. Stefano Montaldo (pagine 7-14)

Generalit`a sugli spazi affini

1.1 Spazi affini

Definizione 1.1. Uno spazio affine è una terna (A, V, η), dove A è un insieme, V è uno spazio vettoriale mentre η è una applicazione

η: A× A → V

che ad ogni coppia ordinata (A, B), A, B∈ A, associa un vettore v = η(A, B)====de f AB , tale che:

(i) per ogni punto A ∈ A, l’applicazione ηA : A → V definita, per ogni B∈ A, da ηA(B) = η(A, B) è una biezione;

(ii) per ogni A, B, C∈ A vale la relazione AB = AC +CB (regola di Chasles).

L’insieme A si chiama spazio dei punti, mentre lo spazio vettoriale V prende il nome di spazio vettoriale associato allo spazio dei punti A o giacitura dello spazio affine.

La dimensione di uno spazio affine (A, V, η) è definita come la dimensione dello spazio vettoriale V. Si osservi che quest’ultima potrebbe essere infinita.

In ogni caso in questo testo ci occuperemo esclusivamente del caso in cui la dimensione sia finita ed, in particolare, del caso di dimensione 1, 2 o 3.

Dalla definizione di spazio affine segue immediatamente che, per ogni A, BA, AA = 0 e AB =−BA.

Esempio 1.2.

(i) L’insieme vuoto è uno spazio affine rispetto a qualsiasi spazio vettoriale associato. Si conviene che in questo caso lo spazio affine non abbia dimensione.

(ii) L’insieme formato da un unico elemento è uno spazio affine, con spazio vettoriale associato V ={0}, di dimensione zero.

(iii) Uno spazio vettoriale V si può pensare in modo naturale (canonico) come lo spazio affine (V, V, η) con η(u, v) = v− u, u, v ∈ V.

(iv) Se (A1,V1, η1) e (A2,V2, η2) sono due spazi affini si consideri il prodotto cartesiano A1× A2. Definendo l’applicazione

η: (A1× A2)× (A1× A2)→ V1× V2

come η((A1,A2), (B1,B2)) = (η1(A1,B1), η2(A2,B2)) è facile verificare che η soddisfa la Definizione 1.1. Quindi la terna (A1× A2,V1× V2, η) definisce uno spazio affine chiamato spazio affine prodotto.

Da ora in poi, quando non vi è pericolo di ambiguità, indicheremo con A uno spazio affine intendendo che è chiaro dal contesto lo spazio vettoriale associato.

Osservazione 1.3. Dato uno spazio affine A e fissato un punto O ∈ A segue, dalla definizione, che ad ogni punto B ∈ A resta associato un unico vettore v ∈ V. Possiamo quindi introdurre sull’insieme dei punti A una struttura di spazio vettoriale nel modo seguente. Dati A, B ∈ A definiamo A + B = Q con OA + OB = OQ, mentre dato un numero λ∈ R definiamo λA come quel punto di A tale che OλA = λ(OA). Si noti, tuttavia, che la struttura di spazio vettoriale introdotta su A dipende dal punto O∈ A che gioca il ruolo del vettore nullo.

1.1.1 Sottospazi affini

Definizione 1.4. Un sottoinsieme F ⊂ A di uno spazio affine (A, V, η) è un sottospazio affine se è vuoto o se contiene un punto A tale che ηA(F) è un sottospazio vettoriale di V.

La definizione di sottospazio affine non dipende dalla scelta del punto A, infatti si ha

Proposizione 1.5. Sia F un sottospazio affine di A. Allora esiste un sottospazio vettoriale W di V tale che, per ogni B∈ F, ηB(F) = W.

Dimostrazione. Essendo F un sottospazio affine esiste A∈ F tale che ηA(F) = {AC : C ∈ F} = W è un sottospazio vettoriale di V. Sia adesso B ∈ F un altro punto e si consideri ηB(F) = {BC : C ∈ F}. Dalla regola di Chasles segue che BC = BA + AC =−AB + AC ∈ W. Quindi ηB(F)⊆ W. Dimostriamo che ηB(F) è un sottospazio vettoriale di W. Siano v, w ∈ ηB(F), dalla definizione esistono C, C ∈ F tali che v = BC e w = BC. Siccome v + w ∈ V esiste C′′ ∈ A con v + w = BC + BC = BC′′. Per dimostrare che v + w ∈ ηB(F) bisogna verificare che C′′ ∈ F. Da BC′′ = BA + AC′′ = AC′′ − AB, essendo BC′′,AB∈ W, segue che AC′′ ∈ W da cui, per definizione di W, C′′ ∈ F. Allo stesso modo si dimostra che se v ∈ ηB(F) e λ ∈ R allora λv ∈ ηB(F). In fine, AC = AB + BC =−BC + BC ∈ ηB(F) da cui W ⊆ ηB(F).  Vice versa, si ha la seguente

Proposizione 1.6. Sia W un sottospazio vettoriale di V e sia A ∈ A. Allora esiste un unico sottospazio affine F contenente A con giacitura W.

Dimostrazione. Sia A∈ A e definiamo

F ={B ∈ A : AB ∈ W} = η−1A (W) .

Chiaramente A ∈ F e ηA(F) = W, quindi F è un sottospazio affine contenente A il cui spazio vettoriale associato è W. Per l’unicità, supponiamo per assurdo che esista F , Fcon ηA(F) = W e A∈ F. Osserviamo per primo che Fnon può essere un sottoinsieme proprio di F, essendo entrami in corrispondenza biunivoca tramite ηA con W. Sia quindi C ∈ Fcon C < F. Segue che ηA(C)W e, per la biettività di ηA, si ha che C = η−1AA(C))∈ F.  Esempio 1.7.

(i) Tutti i punti di uno spazio affine sono sottospazi di dimensione zero.

(ii) Un sottospazio affine di dimensione uno si chiama retta affine.

(iii) Un sottospazio affine di dimensione due si dice piano affine.

Proposizione 1.8. Sia V uno spazio vettoriale visto come spazio affine e sia f : V → W un’applicazione lineare da V in un altro spazio vettoriale W. Per ogni w ∈ f (V), l’insieme delle contro immagini f−1(w) ⊂ V è un sottospazio affine di V con giacitura ker( f ).

Dimostrazione. Basta mostrare che, dato u∈ f−1(w), si ha ηu( f−1(w)) = ker( f ) ,

dove, per definizione, ηu(x) = x− u. Sia y ∈ ker( f ), allora f (y + u) = f (u) = w, quindi y + u = x ∈ f−1(w). Segue che y = x − u = ηu(x) ∈ ηu( f−1(w)), cioè ker( f ) ⊆ ηu( f−1(w)). Vice versa, sia y ∈ ηu( f−1(w)), allora y = x− u per qualche x ∈ f−1(w). Segue che f (y) = f (x)− f (u) = w − w = 0, quindi ηu( f−1(w))⊆ ker( f ).

 Osservazione 1.9. La proposizione precedente dice che tutti i punti del sotto-spazio affine f−1(w) si possono scrivere nella forma u0+ y dove u0 è un punto fissato di f−1(w) mentre y è un elemento del nucleo. Più in generale, si può mo-strare che i sottospazi affini di uno spazio vettoriale V sono della forma W + v0, dove W è un sottospazio vettoriale e v0è un vettore di V. Si osservi che W + v0 definisce un sottospazio vettoriale solo se v0 ∈ W o, in altri termini, W + v0

definisce un sottospazio vettoriale solo se contiene il vettore nullo.

1.1.2 Intersezione di sottospazi affini parallelismo

Proposizione 1.10. Siano F1 e F2due sottospazi affini di uno spazio affine A.

Allora l’intersezione F1∩ F2 è un sottospazio affine di A.

Dimostrazione. Sia V la giacitura di A. Se F1∩ F2 =∅ allora è un sottospazio affine. Altrimenti si scelga A ∈ F1 ∩ F2. Segue che ηA(Fi) = Wi ⊂ V è la giacitura di Fi per ogni i = 1, 2. Poniamo W = W1 ∩ W2. Allora F1∩ F2 è l’unico sottospazio affine passante per A con giacitura W. 

Definizione 1.11. Due sottospazi affini F1 e F2 di uno spazio affine A sono detti paralleli (si scrive F1 ∥ F2) se hanno la stessa giacitura.

Osservazione 1.12. Si noti che due sottospazi possono essere disgiunti senza essere paralleli, per esempio una retta affine la cui giacitura è un sottospazio della giacitura di un piano affine non è parallela al piano. In ogni caso in uno spazio affine di dimensione 2 due rette affini sono parallele se e solo se sono disgiunte.

Qualche volta si utilizza una definizione di parallelismo più debole: due sot-tospazi affini F1 e F2 di uno spazio affine A sono detti debolmente paralleli se la giacitura di uno è un sottospazio vettoriale della giacitura dell’altro. Con questa terminologia ha senso parlare di retta affine parallela ad un piano affine.

Esempio 1.13. Se f : V → W è una applicazione lineare, allora tutti i sotto-spazi f−1(w), w∈ f (V), sono paralleli avendo la stessa giacitura ker( f ).

1.1.3 Coordinate affini

Sia (A, V, η) uno spazio affine. Fissato un punto O∈ A, ad ogni altro punto A ∈ A resta associato un unico vettore OA ∈ V. Scelta una base B = {e1, . . . ,en} dello spazio vettoriale V il vettore OA ammette un unica decomposizione ri-spetto alla baseB:

OA = a1e1+· · · + anen = Xn

i=1

aiei, ai ∈ R.

Definizione 1.14. Definiamo coordinate affini del punto A rispetto alla base B ed al punto O la n-pla (a1, . . . ,an) delle componenti del vettore OA rispetto alla baseB. La coppia (O, B) prende il nome di riferimento affine.

Al punto O resta associata la n-pla (0, . . . , 0) ed è comunemente chiamato origine.

Quando l’origine O e la baseB sono fissate useremo la notazione breve A = (a1, . . . ,an)

per indicare un punto di uno spazio affine. Facendo riferimento alla struttura di spazio vettoriale definita su uno spazio affine nella Osservazione 1.3, si vede facilmente che le operazioni ivi descritte diventano:

A + B = (a1, . . . ,an) + (b1, . . . ,bn) = (a1+ b1, . . . ,an+ bn)

λA = λ(a1, . . . ,an) = (λa1, . . . , λan) A, B∈ A, λ ∈ R.

Osservazione 1.15. Se A = (a1, . . . ,an) e B = (b1, . . . ,bn) rispetto ad un ri-ferimento affine (O,B) su A, allora le componenti del vettore AB sono (b1a1, . . . ,bn− an). Infatti, dalla regola di Chasles si ha

AB = AO + OB = OB− OA.

1.1.4 Cambiamenti di coordinate affini

Sia (A, V, η) uno spazio affine. Siano (a1, . . . ,an) le coordinate affini di un pun-to A ∈ A rispetto ad un origine O ∈ A ed ad una base B = {e1, . . . ,en} di V.

Vediamo come cambiano le coordinate affini se si cambia l’origine e/o la base della giacitura.

Iniziamo cambiando solo l’origine. Sia O ∈ A un altro punto di A di coor-dinate affini (o1, . . . ,on) e siano (a1, . . . ,an) le coordinate affini di A rispetto al riferimento (O,B). Dalla regola di Chasles si ha

OA = OO+ OA o, equivalentemente,

OA = OA− OO

da cui segue che per un cambiamento d’origine le coordinate affini rispetto alla nuova origine sono le vecchie coordinate meno le coordinate della nuova origine rispetto alla vecchia. In formula

(a1, . . . ,an) = (a1, . . . ,an)− (o1, . . . ,on).

Vediamo adesso il caso in cui cambiamo la base dello spazio vettoriale V. Sia dunque B = {e1, . . . ,en} una nuova base di V. La matrice M = (mi j) del cambiamento di base è definita da

ei = m1ie1+· · · + mnien, ∀i = 1, . . . n.

Se le componenti del vettore OA rispetto alla baseB sono (a1, . . . ,an) allora le componenti di OA rispetto alla baseBsono date da

ai = Xn

j=1

mi jaj. (1.1)

Infatti, da una parte si ha

OA =

dall’altra, scomponendo il vettore OA rispetto alla baseBsi trova

OA = Xn

i=1

aiei.

Per semplificare le notazioni da ora in poi indicheremo con

AO,B=

il vettore colonna delle componenti del vettore OA rispetto al riferimento affine (O,B). Con questa notazione la (1.1) diventa

AO,B = M AO,B.

Combinando il cambiamento di origine con quello di base si ha:

Proposizione 1.16. Sia (A, V, η) uno spazio affine e siano (O,B) e (O,B) due riferimenti affini. Allora per ogni A∈ A si ha

AO,B = M(AO,B− OO,B),

dove M rappresenta la matrice del cambiamento di base (la i-esima colonna di M rappresenta le componenti del i-esimo vettore diB rispetto alla base B).

Nel documento A.A Geometria 2 UNICA. Stefano Montaldo (pagine 7-14)