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4) L‟armonizzazione delle discipline di settore con quelle generali, individuando, ad esempio, quali norme di carattere generale risultino applicabili in materia di rifiuti,

3.1.4 La Spending Review: il Decreto Legge 95/

I temi specifici sui quali è intervenuta la riforma sono: la nomina del CdA di società partecipate da pubbliche amministrazioni e la dismissione delle società a partecipazione pubblica.

In merito, l‟aspetto fondamentale sul quale ci si è soffermati è quello dell‟art.4 del Decreto Legge 95/2012, convertito in Legge 135/2012, meglio noto come “spending review”.

Nello specifico il legislatore era intervenuto sul tema delle partecipazioni societarie in mano pubblica imponendo la dismissione di una specifica “categoria” partecipazioni57

:

si tratta delle “società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche

amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento” (art. 4, comma 1).

Il decreto prevede, di fatto, il divieto per le pubbliche amministrazioni di avere partecipazioni in società controllate, direttamente o indirettamente (con fatturato a favore superiore al 90%), mentre quelle a partecipazione totalitaria verranno sciolte entro il 31 dicembre 2013 (o, in caso di mancato scioglimento, non potranno ricevere affidamenti diretti di servizi). Inoltre il provvedimento pone un punto interrogativo anche per quel che riguarda l‟ingresso dei privati nella PA: i sindacati, comunque, hanno subito mandato un appello per impedire dismissioni, privatizzazioni e

57In realtà, “categoria” non può dirsi stante la completa assenza di un criterio oggettivo che accomuni le

società che rientrano nell’ambito applicativo della disposizione, ulteriore rispetto al mero dato fattuale di aver maturato una determinata quota percentuale di fatturato nei confronti delle pubbliche amministrazioni

46 operazioni di business ad esclusivo vantaggio di soggetti, come le banche, interessati solo ai profitti e non ai lavoratori ed utenti. In questo modo, Comuni, Provincie e Regioni si trovano a fare i conti con uno stravolgimento dell‟attuale sistema delle partecipazioni, oltretutto in controtendenza con quello che prevede una direttiva dell‟Unione Europea, con l‟obiettivo proprio di rilanciare il ruolo delle società in

house a partire dal 2013 per obbligare le amministrazioni Pubbliche ad affidare a

queste società il 90% dei loro servizi e di quelli delle loro partecipate e controllate.58

Sullo sfondo, è bene ricordare, vi è l‟intento del legislatore nazionale, e prima di esso dell‟ordinamento comunitario, di tenere ben distinti i due diversi fenomeni delle società partecipate da pubbliche amministrazioni che operino come una “quasi- amministrazione”, dalle società, pur esse a partecipazione pubblica, che agiscano invece quali veri e propri operatori di mercato.

Di conseguenza è necessario evidenziare, come pure la Corte Costituzionale ha avuto modo di stigmatizzare, che il meccanismo volto ad imporre la dismissione delle partecipazioni oggetto della norma, non ha dato applicazione al predetto principio di separazione fra affidatari diretti e operatori di mercato, colpendo invece proprio quei soggetti che, nel rispetto di tale doverosa distinzione, avevano maturato una soglia percentuale di fatturato a favore di pubbliche amministrazioni tale da far presupporre il pieno rispetto della distinzione in parola.

È infine noto che l‟art.13 D.L. 223/2006, impone alle società di gestione di attività strumentali (diverse dai servizi pubblici locali), tra l‟altro, di non intrattenere rapporti con terzi, pubblici e privati, ma esclusivamente con l‟ente socio ed affidante le attività strumentali.

Ma se il sopracitato art.4 evidenzia che solo le società che generano più del 90% dei ricavi in rapporto con il proprio ente socio ed affidante solo soggette a liquidazione o privatizzazione obbligatoria, allora si deve concludere che sono “premiate” le società che hanno mantenuto in capo a se stesse, nonostante il divieto ex art.13 D.L. 233/2006 ed ex parere Corte dei Conti Lombardia 517/2011, servizi pubblici ed attività strumentali, se non addirittura attività di libero mercato (il che sarebbe l‟estremo della contraddizione, giacché lo sfruttamento dell‟affidamento di retto di attività dall‟Ente

47 Pubblico, per ottenere vantaggi nel libero mercato, costituiva la ragione principale della ragione stessa dell‟art. 13 D.L. 223/2006, in relazione alla normativa Antitrust ex Legge 287/1990).

Sempre all‟art.4 ma al comma 3, si specifica che gli obblighi di privatizzazione non riguardano anche le società di gestione di servizi pubblici locali. Eppure, tra questi ultimi, devono evidenziarsi almeno due servizi pubblici locali di notevole importanza i quali si fondano su corrispettivi erogati dai Comuni e non da tariffe erogate da utenza diffusa sul territorio: si tratta del ciclo dei rifiuti e della pubblica illuminazione.

Con parere 19/03/2013 n. 13354 della Presidenza del Consiglio dei Ministri è stata affrontata la problematica di cui sopra, concludendo che, qualora la società ancorché di gestione dei servizi generi più del 90% del proprio fatturato in rapporto con il Comune affidante, essa non deve essere obbligatoriamente posta in liquidazione o privatizzata, ma ad essa si applicano in ogni caso i rigidi vincoli specifici che in materia di personale sono previsti dall‟art.4, comma9 e ss, D.L. 95/2012, in aggiunta a quelli tipici di tutte le società a totale partecipazione pubblica affidatarie dirette.

I contenuti dell‟art. 4 delD.L. 95/2012 avevano poi ad oggetto almeno altri due temi di interesse in riferimento alla innovazioni (ed alle conferme) derivanti dalla pronuncia n. 229/2013 della Corte Costituzionale.

Si tratta, in primo luogo, dei commi 4 e 5, relativi all‟inserimento di specifici obblighi in termini di individuazione del numero massimo dei membri di consigli di amministrazione in società a totale capitale pubblico, nonché di individuazione di specifici obblighi nell‟attribuzione di tali cariche a specifici soggetti: sintetizzando e semplificando, i consigli di amministrazioni possono essere composti da tre o da cinque membri e due membri (o tre in ipotesi di consiglio con cinque membri) devono essere scelti fra i dipendenti delle amministrazioni (o delle società) socie, salva comunque la possibilità di optare per un amministratore unico della società.

In secondo luogo, ha rilievo che il comma 8 del medesimo art. 4 del D.L. 95/2012 avesse previsto, inizialmente, un limite massimo per gli affidamenti diretti a partire dal primo Gennaio 2014 per un valore di euro 200.000 euro (in ciò riproponendo un limite quantitativo al valore dell‟affidamento che già, in passato, era stato inserito nel settore dei servizi pubblici locali).

48 Su entrambi tali temi ha avuto modo di intervenire la Corte costituzionale con la pronuncia in esame.