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L'evoluzione del concetto di Servizio Pubblico nelle Societa Partecipate. Cenni sulla situazione del Comune di Palermo

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INTRODUZIONE

La Pubblica Amministrazione si avvale di una pluralità di discipline giuridiche e strumenti di intervento aventi la finalità di curare gli interessi economici e sociali della collettività.1

In questa sede, di fondamentale importanza è il diritto privato, poiché le Pubbliche Amministrazioni, essendo dotate di una di soggettività piena nell‟ordinamento giuridico, possono instaurare relazioni con altri soggetti dell‟ordinamento.

Questa disciplina, come si vedrà, ha consentito di ricorrere al modello della Società di Capitali, in tutto o in parte a capitale pubblico,successivamente rappresentato dalla trasformazione degli enti pubblici economici (ENI, IRI, INA, ENEL) in Società per Azioni, destinata col tempo a sfociare nella soppressione dell‟Ente oppure nella sua privatizzazione sostanziale.2 In più, con l‟introduzione del modello della società a capitale pubblico minoritario3, si aprì una seconda via di societarizzazione dei servizi pubblici locali, che avrebbe dovuto condurre ad una sostanziale privatizzazione della gestione.

È iniziato così, nei primi anni del „900 un processo di dismissione delle società a partecipazione pubblica aventi oggetto mere attività industriali o commerciali, accompagnato da un‟evoluzione legislativa piuttosto complessa sia Nazionale che, soprattutto, Comunitaria la quale ha imposto rigidi vincoli di concorrenza che, in un certo senso, limitano il ricorso al‟azionariato pubblico come strumento di superamento della crisi.

È bene sottolineare che, la dismissione delle partecipazioni determina la retrocessione dell‟intervento pubblico, mentre la trasformazione degli enti economici in società esprime la sottomissione dell‟azione amministrativa alle regole del diritto privato, ma anche l‟azione immediatamente diretta alla soddisfazione dei bisogni collettivi.

1

Ad Esempio: la sociologia, le scienze politiche ed economiche, la pubblicchoise 2

Molte leggi settoriali hanno introdotto deroghe e limitazioni più o meno ampie alla disciplina del codice civile, dando origine al fenomeno delle società di diritto speciale (per esempio la Rai), per le quali valgono anche regole pubblicistiche.

Ma anche al di là del contesto dei servizi pubblici, in conseguenza alla spinta della privatizzazione che ha caratterizzato l‟ultimo ventennio, molti enti pubblici sono stati trasformati in enti privati anch‟essi assoggettati al diritto comune, salvo le deroghe previste dalle leggi speciali.

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4 Con la redazione di questa tesi, l‟obiettivo che si è tentato di raggiungere è quello di un‟analisi storico-giuridica del fenomeno delle privatizzazione facendo un focus sull‟attuale situazione del Comune di Palermo e come, la gestione di queste società possa influire sul benessere economico e sociale dell‟Ente e della collettività.

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CAPITOLO I

L’evoluzione del concetto di Servizio Pubblico, dalle origini al processo di liberalizzazione

1.1 Genesi ed evoluzione storica delle Società Partecipate del 1903 fino agli anni ‘90

La disciplina normativa dei Servizi pubblici ha assunto nel tempo modalità e forme diverse in relazione all‟evoluzione sociale e politica, nonché al progresso tecnologico che muta gradualmente i confini in cui vengono definiti i beni pubblici.

La legge Giolitti del 1903 e successivamente il Testo Unico del 1925, regolando la gestione pubblica dei servizi locali in Italia per circa un secolo, diedero risposta ad un generale e condiviso fabbisogno di un intervento sistemico della materia dei servizi pubblici, diretto a fronteggiare la richiesta di infrastrutture e servizi “basilari” legati ai processi di inurbazione ed industrializzazione.

Il modello di gestione dei servizi pubblici nei primi anni del 900, caratterizzato dalla diffusa presenza di gestori privati operanti in regime di monopolio, si era dimostrato, infatti, sempre più incompatibile tanto con la tendenza all‟efficienza del sistema economico, quanto con le condizioni di vita dei cittadini.

In risposta al sostanziale fallimento del precedente modello di gestione incentrato sulla concessione d‟opera e sull‟affidamento del servizio in base a contratti d‟appalto stipulati con imprese private, si dà vita ad un concetto nuovo di “Servizio Pubblico”, inteso quale attività economica, - svolta nell‟interesse generale da enti incardinati nell‟apparato dell‟Amministrazione - ed aventi modalità gestionali e finalità distinte da quelle proprie della logica di mercato.

In più, l‟impossibilità di conciliare le esigenze qualitative e di fruizione a basso costo con l‟obiettivo della massimizzazione del profitto proprio degli operatori privati, faceva nascere la necessità di ridisegnare l‟assetto organizzativo della fornitura dei servizi pubblici.

A tal riguardo, consistenti furono le iniziative di diversi Comuni che autonomamente costituivano aziende municipalizzate o riscattavano concessioni da imprese private per

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6 finanziare le casse comunali con le ingenti rendite connesse alla gestione dei servizi, oltre che per dare risposta ai problemi alimentati dai processi di inurbazione.

Nel suddetto contesto istituzionale, frutto della riforma dell‟inizio del secolo scorso, scaturì un sistema operativo le cui parti principali, vale a dire gestione, proprietà, governo e regolazione dei servizi pubblici locali venivano a coincidere in capo all‟Ente Comune.Infatti, nel nuovo assetto normativo il “Servizio Pubblico” si identificava con l‟attività esercitata dal soggetto pubblico, in virtù di uno specifico atto di assunzione secondo le modalità indicate dalla legge, nelle forme di: azienda speciale, gestione in economia ovvero concessione.4

L‟azienda municipalizzata – organo del comune ad alta competenza tecnico-specialistica operante entro i confini territoriali dell‟Ente – venne intesa come un

tertiumgenus tra il pubblico ed il privato, sottratta alle stringenti logiche di mercato

ma, al contempo, esposta alle pressioni per il raggiungimento di un punto di equilibrio tra economicità della gestione, efficienza ed attenzione all‟utenza.

A garanzia del buon funzionamento delle aziende municipalizzate venne prevista la responsabilità diretta dell‟Ente in ordine alla fornitura del servizio nei confronti del cittadino-utente, nonché, l‟obbligo di autosufficienza finanziaria mantenendo comunque l‟incondizionata valenza del principio di equilibrio finanziario, in modo da creare sull‟azienda municipalizzata, un controllo – sia pure indiretto - da parte della Pubblica Amministrazione di appartenenza.

La Legge Giolitti conferiva, quindi, ai Comuni la facoltà, non l‟obbligo, di ricorrere alla municipalizzazione dei servizi che venivano in essa indicati a titolo esemplificativo.5

In una prima fase questo assetto produsse effetti positivi dando risposta ai problemi ereditati dal precedente sistema di monopolio privato, sia dal punto di vista della sostenibilità sociale, sia consentendo un più adeguato sviluppo di infrastrutture e

4

Per alcuni specifici servizi - trasporti urbani, trasporti funebri, mattatoi – veniva riconosciuto uno specifico diritto di privativa, ossia la possibilità per il Comune di escludere le imprese private dalla gestione di tali servizi (rectius, la gestione di tali servizi da parte dei privati sarebbe potuta avvenire soltanto previa concessione dell’Amministrazione interessata).

5

La Legge del 1903, riformata con il R.D. n. 253 del 4 febbraio 1923, fu inserita nel T.U. n. 2578 del 15 ottobre 1925, che conteneva l’elencazione dei servizi pubblici riuniti in 19 categorie (cui non fece seguito il regolamento di esecuzione fino al 1986, quando venne emanato il D.P.R. n. 902 del 4.10.1986).

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7 servizi a supporto della crescita industriale e demografica, ed ebbe il suo massimo sviluppo fino alla fine della prima guerra mondiale.

Il periodo successivo alla guerra e soprattutto quello del fascismo segnarono, invece, una fase di stasi della municipalizzazione che portò all‟adozione del T.U. n. 2578 del 1925, il quale semplificò le procedure di municipalizzazione e riconobbe maggiori margini di autonomia agli Enti Locali, trasformando il rapporto di lavoro delle aziende da pubblicistico in contrattuale, definendo e tipizzando alcuni servizi pubblici.

Ciò nonostante, alcuni di essi, pur previsti nel T.U. del 1925 (quali ad esempio, la costruzione e l‟esercizio dei mulini e forni, stabilimenti per la macellazione, di essiccatoi di granturco, ecc..), hanno poi perso la loro connotazione; mentre altri assunsero la qualifica di servizio pubblico6entrando a pieno titolo nel novero dei servizi pubblici disciplinati da disposizione speciali (cosiddette norme di settore).7 Per i suddetti servizi, assunti in forma diretta, l‟Ente locale avrebbe dovuto costituire “un’azienda speciale, distinta dall’Amministrazione ordinaria del comune, con bilanci

e conti separati”. Al tempo stesso, veniva riconosciuta, per alcune categorie di servizi,

la possibilità di svolgerli in economia nei casi in cui tali servizi si fossero distinti per la loro “tenue importanza in rapporto a quella del comune” oppure per il fatto che essi non avessero un “carattere prevalentemente industriale”.

Nel secondo dopo guerra ed agli inizi degli anni sessanta, il sistema scaturito dal processo di municipalizzazione e dalle norme che lo avevano disciplinato cominciò a manifestare i propri limiti e finì per tramutarsi in un ostacolo al conseguimento dei suoi principi ispiratori di efficienza e di economicità. Involuzione dovuta principalmente alla crescita incontrollata dei costi e dei disavanzi, associata ad insufficienti risultati qualitativi e di efficienza.

6Tipico le centrali del latte che con legge 16/6/1938 n. 851, sono entrate nel novero per poi uscirne e (ri)diventare una normale attività di mercato di produzione e commercio

7

Va notato che la flessibilità è l’elemento che caratterizza ancora oggi il concetto di servizio pubblico. (Si vedano in dottrina il testo fondamentale di U. Pototschnig “I pubblici servizi”, Padova Cedam,1964, e quello di G. Pischel “La azienda municipalizzata” Roma, Cispel, 1972). Merita, al riguardo, ricordare che è stata la stessa Adunanza Generale del Consiglio di Stato, con sentenza n. 30/98 del 12/03/98, a suggerire al Governo, in sede di predisposizione di quello che poi sarebbe stato il D. Lgs n. 80 del 31/03/1998, che come è noto ha ampliato l’ambito delle materie soggette a giurisdizione esclusiva ricomprendendovi anche i “servizi pubblici”, di non fissare né la definizione, né l’elencazione dei servizi pubblici stessi, rinviando la prospettazione delle utilità espresse da talune attività ai rilievi pubblicistici che le stesse potevano acquisire, e quindi, perdere, tempo per tempo.

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8 Le aziende municipalizzate, per effetto del loro stretto legame con gli Enti Locali e in considerazione dell‟elevato squilibrio dei loro bilanci (specie quello dei trasporti) furono anch‟esse sottoposte ad una disciplina rigidamente vincolistica.

Per un verso si palesarono i guasti derivanti dal permanere di una organicità tra Enti Locali ed aziende; infatti, le aziende, che presentavano ormai connotazioni di sempre più marcata autonomia, furono accomunate agli Enti Locali e sottoposte a drastiche e indifferenziate misure di vincolo economico-finanziario, in cui spesso gli obblighi e i divieti si sovrapponevano determinando controproducenti ostacoli all‟esercizio della gestione (pareggio di bilancio, tetti alla crescita dei costi, blocco delle assunzioni di personale).

Per altro verso, lo shock prodotto da siffatte disposizioni accelerò lo sforzo finalizzato al raggiungimento degli obiettivi di risanamento imposti dalla legge, quali l‟obbligo alla redazione di piani di ristrutturazione (nel settore dei trasporti pubblici locali) e di riequilibrio economico-finanziario (negli altri settori).

In questo modo, cominciò a diffondersi l‟opinione che sarebbe stato indispensabile promuovere una più trasparente delimitazione dei ruoli tra i soggetti presenti nel sistema decisionale.

A partire da quegli anni prese le mosse un processo di vera e propria emancipazione dell‟azienda, volto a dare ad essa una veste più aderente alla forma di impresa.

Evento significativo in tal senso è costituito dal passaggio dalla contabilità finanziaria, tipica degli enti pubblici, a quella economica, più consona a soggetti imprenditoriali. Tale passaggio segnò una tappa importante in direzione di una separazione effettiva nei criteri e nelle concrete modalità di amministrazione e gestione dell‟azienda rispetto all‟Ente locale.

Questa innovazione fu tradotta sul piano normativo mediante l‟introduzione del “Bilancio tipo” (che fu decretata con il DM 4/2/80; successivamente con il DM 2614/95, tale schema fu adeguato alla IV Direttiva CEE, già recepita nel codice civile) che consentì da un lato di misurare il costo industriale del servizio, dall‟altro di disporre di bilanci e contabilità sostanzialmente analoghi a quelli dell‟imprese.

Con il DPR n. 902 del 1986, recante il nuovo Regolamento delle aziende pubbliche locali, i cambiamenti adottati negli anni precedenti trovarono uno sbocco. Il

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9 regolamento incorporava e sistematizzava in forma coerente le numerose misure, riconducendole ad un coerente disegno di modernizzazione.

Nell‟occasione, fu dato particolarmente rilievo ad uno strumento di indirizzo e programmazione, costituito dal Piano Programma, che delineava semplicemente un sistema di rapporti tra Enti locale e aziende, ispirato al principio del confronto tra distinte pianificazioni: la prima, quella degli Enti Locali, volta a definire il quadro di compatibilità economico-finanziario, la seconda, quella delle aziende, volta a delineare le traiettorie di recupero di efficienza, il trend dei costi e i piani di investimento, nel rispetto del suddetto quadro di compatibilità.

Ciò nonostante, le aziende, prive di personalità giuridica, non disponevano della proprietà del proprio patrimonio e, di conseguenza, non potevano esercitare un‟autonoma politica finanziaria; inoltre, erano sottoposte ad un sistema di controlli amministrativi di tipo burocratico (come l‟approvazione preventiva delle delibere aziendali) incompatibili con la natura di impresa; ed infine erano condizionate da un rapporto di dipendenza con l‟Ente Locale, il quale, non di rado entrava pesantemente in fatti squisitamente gestionali.

Il primo intervento volto a riformare in modo organico l‟ordinamento dei servizi pubblici locali fu attuato con la legge di riforma delle autonomie locali n. 142 del 1990 che, successivamente, è stata trasfusa nel Testo Unico 267 del 2000 (TUEL). Questa normativa, in effetti, data la sua natura, si è limitata a delineare ed indicare principi, la cui specifica attuazione avrebbe dovuto essere assicurata da successivi provvedimenti legislativi.

Con essa è stato fornito agli Enti Locali un più vasto ventaglio di possibilità per la gestione dei servizi pubblici di cui sono titolari.

Tra gli eventi più significativi individuiamo il passaggio dalla contabilità pubblica, tipica degli Enti Pubblici, a quella economica, più consona ai soggetti imprenditoriali. Accanto alle tradizionali forme, contemplate nella precedente normativa, quali la gestione in economia, l‟azienda municipalizzata e l‟affidamento in concessione a terzi; sono state contemplate nuove forme di gestione: l‟Istituzione, idonea per i servizi di natura sociale e la Società per Azioni, dapprima, a prevalente capitale pubblico e successivamente, con la legge n. 498 del 1992, anche a partecipazione minoritaria

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10 degli Enti Locali (a cui il servizio può essere affidato in forma diretta, nell‟ambito di condizioni e procedure definite nel successivo DPR n. 533 del 1996).

Infine, anche l‟azienda municipalizzata è stata significativamente riformata: in particolare essa è venuta a configurarsi come “azienda speciale”, concepita quale Ente pubblico economico, dotata di personalità giuridica, di un proprio patrimonio e di propri mezzi.8

Con la legge n. 95 del 1995, poi, i principi di autonomia delle aziende pubbliche locali sono stati riaffermati con efficacia, creando condizioni per una ulteriore emancipazione dal legame di organicità con gli Enti Locali.

In effetti, già con la legge n. 142/90 il sistema dei controlli era stato profondamente modificato rispetto al passato. Pur essendo confermato il potere comunale di vigilanza e verifica dei risultati, infatti era stato attenuato quello di controllo esercitabile esclusivamente sugli “atti fondamentali” della stessa azienda.

8

“Ente strumentale dell’Ente Locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto approvato dal consiglio comunale o provinciale”.

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1.2 Concetto di Servizio Pubblico

La tematica dei servizi pubblici locali ha costituito da sempre oggetto di impegnati dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, in quanto su tale terreno si incrociano, spesso scontrandosi, interessi eterogenei e contrapposti. In tale contesto la stessa definizione di “Servizio Pubblico” appare “tra quelle più tormentate”9, rappresentando una variabile socio-economica più che un assioma indiscusso.

Nell‟ambito del diritto amministrativo, in passato, si operava una distinzione tra “funzione” e “servizio” di un pubblico potere, intendendosi per “funzione” l‟attività giuridica autoritativa posta in essere nell‟esercizio di una potestà giuridica e per “servizio” il risultato dell‟ingerenza dello Stato in settori a prevalente carattere economico e produttivo, senza estrinsecazione di un potere sovrano.10

Oggi tale distinzione può dirsi superata, pertanto, ricercare l‟essenza del pubblico servizio significa porre un problema di carattere storico, istituzionale oltre che giuridico11. Infatti, la questione investe, da un lato, la motivazione dell‟intervento pubblico nell‟economia e, dall‟altro, le trasformazioni dello Stato e dell‟Amministrazione nei rapporti con la società civile.12

In un contesto in cui si assiste ad un progressivo arretramento dello Stato dal settore dei servizi pubblici,”13

è necessario soffermarsi sulla trasformazione del significato di servizio pubblico e il nuovo rapporto tra quest‟ultimo e l‟Ente Locale, soprattutto alla luce del cd. processodi “privatizzazione” della pubblica amministrazione.14

9 M.S. Giannini, Il pubblico potere, Stati e amministrazioni pubbliche, il Mulino, Bologna, 1986 10

U. Pototschnig, I Servizi pubblici, Padova 1964; R. Alessi, Le prestazioni amministrative rese ai privati, Giuffré, Milano, 1956; F. Merusi, voce Servizio Pubblico, in Nov.ssimo Digesto Italiano, XVII, Torino, 1976; S. Cattaneo, voce Servizi Pubblici, in Enc. Dir., XLII, 1990.

11

A. Pioggia, Appunti per uno studio sulla nozione di pubblico servizio, in “Quaderni del Pluralismo”Giappichelli, Torino,1998.

12

A. Pajno, Servizi pubblici e tutela giurisprudenziale, in Dir. Amm. 1995. Parla di giudizio di valore G. Rossi,

Pubblico e privato nell’economia di fine secolo, in AA.VV. Le trasformazioni del diritto amministrativo, Milano,

1995. 13

G. Corso, La gestione dei servizi locali tra pubblico e privato, in AA.VV. Servizi pubblici locali e nuove forme di

amministrazione, Milano 1997.

14

S. Cassese, Le privatizzazioni in Italia, inStato e mercato, 1996; G. Amorelli, Le privatizzazioni e trasformazioni

in atto nell’Amministrazione italiana, in Dir. Amm., 1995; C. Pinelli, Privatizzazione dei servizi pubblici locali in Italia e in Francia, in Mercati, Amministrazioni e autonomie territoriali, Torino, 1999.

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12 Dalla normativa fondamentale15 si evince che il servizio pubblico è definibile come quel complesso di attività caratterizzate per il fatto di essere assunte e/o gestite da un soggetto pubblico, secondo le modalità indicate dalla legge.

La dottrina si è mossa tentando di trovare un‟articolazione unitaria alla materia.

Le elaborazioni teoriche hanno, infatti, focalizzato l‟attenzione sull‟aspetto soggettivo dell‟imputazione del servizio all‟amministrazione pubblica, ritenendo elemento qualificante della nozione l’assunzione e la gestione, da parte di un pubblico potere, di una determinata attività produttiva (concezione soggettiva)16

Secondo altro orientamento, il servizio pubblico è caratterizzato per il “modo” in cui si pone in concreto e si attua l‟erogazione delle attività; in sostanza, la qualificazione intrinseca dell‟attività assume una propria autonoma rilevanza giuridica (concezione

oggettiva). Ciò significa che, la natura e la disciplina del servizio pubblico non

scaturirebbe dal soggetto cui l‟attività istituzionalmente è collegata: il servizio potrebbe, dunque essere direttamente imputato oltre che ad un soggetto pubblico, anche ad un soggetto privato, il quale verrebbe ad essere sottoposto ad un ordinamento settoriale dal cosiddetto controllo pubblico economico. Si è così affermata, la piena coincidenza della fattispecie del servizio pubblico con quella “di attività economica e di controllo posto dalla legge a perseguimento di fini sociali”, in linea con quanto dettato dalla Costituzione. 17

È da sottolineare però, che in virtù del principio di libertà d‟iniziativa posto dal comma 1, dell‟art. 41 Cost, l‟esercizio del potere di programmazione e di controllo non può spingersi sino al punto di sottrarre al soggetto privato la sua autonomia imprenditoriale, né gli possono essere imposti oneri impropri. L‟assenza di siffatti limiti nei confronti delle attività pubbliche, cui si è accennato, evidenzia la diversità, ed anzi il contrasto, tra le due discipline.

15

In particolare la legge 29 marzo 1903 n. 103, modificata dal T.U. 15 Ottobre 1925 n. 2576 16

Per “Servizio Pubblico” si intende, pertanto, l’esercizio da parte di un soggetto pubblico, in modo diretto o attraverso specifiche articolazioni quali le Aziende autonome o ancora mediante affidamento in concessione, di un’attività imprenditoriale offerta in modo indifferenziato al pubblico.

17 Si vedano agli artt. 43 e 41 della Costituzione, secondo i quali il servizio pubblico deve intendersi,

indipendentemente dal soggetto agente, “ogni attività economica, pubblica e privata, sottoposta ai programmi

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13 Del resto, secondo l‟interpretazione comune, la nozione di “Servizio pubblico”, cui fa riferimento l‟art. 43 della Costituzione – come già l‟art. 1 della L. n. 103/1903 - concerne le attività economiche che incidono direttamente sulla collettività e che, per questa loro caratteristica, possono essere esercitate da enti pubblici.

Da tale duplicità di impostazione teorica, la nozione di “Servizio Pubblico” – dagli anni ‟90 in poi - è largamente mutata, con l‟elaborazione delle cc.dd. teorie miste che riconoscono la centralità sia del profilo soggettivo sia di quello oggettivo.

In base a dette concezioni, infatti, la nozione di “Servizio Pubblico” non può più riferirsi esclusivamente ad attività economiche incidenti sulla collettività, ma si è arricchita ed articolata in relazione all‟evolversi di quelle che sono state definite le “realtà ambientali” (e quindi dell‟organizzazione delle collettività locali sotto la spinta dell‟incessante processo delle trasformazioni tecnologiche) e le scelte politiche di singoli soggetti pubblici.

L‟art. 22, L. 142/90, non offre elementi a supporto dell‟una o dell‟altra tesi, in quanto non fornisce una definizione di servizio pubblico locale, ma enuclea i “servizi pubblici essenziali”, riservati in via esclusiva ex lege ai Comuni e alle Province (art. 22, comma 2°).

Nel contempo, si dispone che i servizi pubblici non riservati possono essere gestiti da Comuni e Province a mezzo di società (comma 1) anche per l‟erogazione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale, restando fermo, che i servizi pubblici devono avere per oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile della comunità locale (comma 2).

Pertanto risulta evidente una soluzione di carattere pragmatico ed il conseguente superamento di ogni definizione dogmatica (soggettiva e oggettiva): l‟Ente Locale deciderà l‟ampiezza del “raggio” che, grazie al 1° comma dell‟art. 22 della sopracitata Legge, il legislatore ha attribuito alle singole “autonomie locali.” In proposito, infatti, si è autorevolmente sostenuto che le autonomie locali “dovranno e potranno - interpretando adeguatamente i bisogni, le esigenze, le istanze delle varie collettività di

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14 cui sono esponenti - operare, esercitando appunto la propria specifica autonomia, le scelte più idonee al soddisfo dei servizi pubblici locali”.18

Infatti, il disposto del 1° comma, recepito dall‟art. 112 della legge n. 267/2000 (testo unico delle autonomie locali) testualmente precisa: “I Comuni e le Province,

nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attivitàrivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle Comunità locali”.

18

M.A. Venchi Carnevale, I servizi pubblici e le norme associative e di cooperazione, Nuovo ordinamento delle

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15

1.3 Il concetto di Servizio Pubblico in ambito Comunitario

Vivendo in un contesto europeo non possiamo esimerci da un‟analisi del concetto di servizio pubblico anche da un punto di vista del diritto comunitario.

Una moderna nozione di servizio pubblico locale deve necessariamente confrontarsi anche con i principi europei: innanzitutto perché l‟Ente Locale, in quanto parte integrante dello Stato, è tenuto al rispetto degli obblighi comunitari e in secondo luogo poiché in ambito comunitario trova ampio spazio il principio della libertà di

concorrenza che costituisce l‟aspetto che maggiormente rischia di essere

compromesso dall‟assunzione totalitaria o maggioritaria da parte dell‟Ente locale di un pubblico servizio.19

In proposito due aspetti meritano di essere evidenziati:

- La nozione di servizio affermatasi nel diritto comunitario (in parte diversa da quella degli Stati membri);

- I rapporti tra concorrenza e controllo pubblico.

La regolamentazione comunitaria non conosce la figura del servizio pubblico o d‟interesse pubblico o comunque di rilevanza pubblica, ma soltanto quella del

“servizio”. Con tale termine si intende una realtà concettualmente diversa da quella

utilizzata dagli Stati membri. Infatti, in base alla direttiva 92/50 CEE del 18 giugno 1992 i servizi si intendono come quelle attività a contenuto economico svolte dalle pubbliche amministrazioni e, più precisamente, ai sensi dell‟art. 50 (ex art. 60) del Trattato CEE “sono considerate come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro

retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. In particolare i servizi comprendono: attività di carattere industriale, commerciale, attività artigiane e le attività delle libere professioni.”

Se dunque con il termine “servizio” – secondo la normativa europea – può essere astrattamente definita “l‟attività economica fornita in modo imprenditoriale nel settore dell‟artigianato, del commercio, dell‟industria, delle libere professioni, dietro il pagamento di una retribuzione che trae di norma fondamento in un negozio giuridico bilaterale redatto in forma scritta”, ciò significa che le relative attività non sono

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16 soggette a formule organizzative tipizzate e possono essere prestate sia in concorrenza che in monopolio, sia da imprese private che pubbliche.

L‟elemento rilevante, che giustifica la deroga al regime concorrenziale, risulta dunque la finalità del servizio, la cd. mission20, consistente nel perseguimento degli obiettivi di

interesse generale che negli Stati membri caratterizzano i servizi pubblici.

Rispetto a queste attività, che il Trattato qualifica come “servizi di interesse generale”, l‟azione dell‟Unione Europeaspinge verso una progressiva ma costante opera di demolizione dei condizionamenti pubblicistici per favorire la più ampia concorrenza. In tale ottica si ricorda la valenza dei principi di: non discriminazione, di liberalizzazione, il divieto agli Stati membri di emanare o mantenere condizioni di privilegio nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui essi stessi riconoscono diritti speciali (art. 86, ex articolo 90).

L‟ordinamento comunitario lascia le amministrazioni pubbliche libere nella individuazione degli obiettivi da assicurare ai cittadini e quindi nella definizione del servizio pubblico.

Un chiaro contributo normativo per una definizione aggiornata ed attuale di servizio pubblico è scaturita dalla Direttiva della presidenza del Consiglio del 27 gennaio 1994 che ha dettato i principi sull‟erogazione dei servizi pubblici. Con riguardo a tale Direttiva sono considerati servizi pubblici, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli tesi a garantire il godimento dei diritti alla persona, tutelati dalla Costituzione (salute, assistenza e previdenza sociale, istruzione e libertà di comunicazione, libertà e sicurezza della persona, libertà di circolazione, e di erogazione di energia elettrica, acqua e gas).

In definitiva l‟evoluzione dei bisogni delle collettività locali (della domanda) ha determinato una riconsiderazione delle valenze assegnate al servizio pubblico(l‟offerta), influendo di conseguenza sulle funzioni che la pubblica amministrazione (l‟offerente) è chiamata ad assolvere.

20 Le finalità assegnate ai servizi di interesse generale e i diritti speciali che ne possono derivare, discendono da considerazioni di interesse generale, quali, segnatamente, la sicurezza dell’approvvigionamento, la tutela dell’ambiente, la solidarietà economica e sociale, la sistemazione generale del territorio, la promozione degli interessi dei consumatori (punto 7 della comunicazione).

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17 Inoltre, il dinamismo ambientale ha sicuramente determinato una mutazione dei mercati di riferimento e l‟avvento della globalizzazione ha poi marcatamente inciso sugli ambiti nazionali e locali.

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18

CAPITOLO II

La Privatizzazione dei Servizi Pubblici e il quadro normativo di riferimento

2.1 Il processo di privatizzazione dei Servizi Pubblici

Nel corso dell‟ultimo decennio la consapevolezza del fallimento del tradizionale modello dell‟impresa pubblica, in ordine sia alla qualità dei servizi erogati, sia al basso livello di redditività degli stessi, ha determinato un progressivo snellimento delle partecipazioni pubbliche nelle imprese economiche e, nel contempo, ha avviato un massiccio processo di trasformazione degli enti e delle imprese pubbliche.21

Questo processo è ormai conosciuto col termine di privatizzazione, riguardante la trasformazione della forma giuridica da pubblica a privata (cd. Privatizzazione formale), che il trasferimento al privato dell‟assetto proprietario e della gestione d‟impresa (cd. Privatizzazione sostanziale)22.

La filosofia ispiratrice di tale cambiamento, però, lungi dal concretarsi in un disinteressamento dello Stato per il settore economico, si estrinseca nel passaggio da un modello di gestione ad un altro: da una gestione diretta ad una incentrata sul controllo pubblico dell‟economia. In altri termini, la pubblica amministrazione, pur continuando a rivestire un ruolo di primo piano nella dinamica delle interazioni economiche, non è più operatrice di mercato in prima persona, ma diviene l‟autorità deputata, attraverso la formulazione di regole e l‟enucleazione di meccanismi di controllo, all‟assicurazione della regolarità e della correttezza dei rapporti economici. La presenza di un pubblico potere o la sussistenza di condizioni che rilevino l‟influenza dominante dello stesso all‟interno della proprietà pubblica dell‟impresa si ritiene irrilevante nel caso in cui si accerti che l‟attività svolta consiste nella prestazione di servizi o cessione di beni in condizioni di sostanziale concorrenzialità. In questo contesto, però, il riconoscimento di diritti speciali ad un competitore, ancorché pubblico, si presterebbe ad alterare le condizioni concorrenziali del mercato,

21 A. Ziroldi, studi in tema di società a partecipazione pubblica, Giappichelli, 2008, II, p.17 ss.,

22 P.G. Jaeger, Problemi attuali delle privatizzazioni in Italia, in Giur. Comm, 1992, I, P.989; F. Bonelli, La

privatizzazione delle imprese publiche, Giuffrè, Milano, 1996, p.3 ss. G.Guzzo, società Miste ed affidamento In House, Giuffrè, Milano, 2009, pag.130.

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19 che trovano comunque un limite solo in presenza dello svolgimento di pubbliche funzioni.

Si comprende, in questo modo, come il sistema complessivo dell‟intervento pubblico nell‟economia – fondato sulla centralità delle figure dell‟azienda autonoma e dell‟ente pubblico economico sovvenzionate in via diretta o indiretta dallo Stato e sottratte, di fatto, all‟alea del mercato – avvertisse in modo sempre più rilevante la propria incompatibilità con l‟esigenza di garantire eguali condizioni di competizione nel mercato che soltanto il ricorso al iuscommuneavrebbe potuto consentire.

Il cammino verso le privatizzazioni sostanziali, che comportano la scelta del quanto privatizzare (ossia di quante azioni dismettere e quanto riservarle alla mano pubblica) e del come privatizzare (cioè se provvedervi ricorrendo a procedure che consentano solo a imprese private forti e gruppi di imprese pubbliche di acquistare per realizzare un azionariato diffuso o se permettere l‟accesso alla collettività dei risparmiatori) si presenta estremamente complesso e delicato, implicando scelte strategiche di grande rilievo politico- sociale ed economico-giuridico.

Tale processo è risultato nei fatti molto impervio e più difficile del previsto, tant‟è che, gran parte delle societàsi trovavano ancora in una fase di stallo caratterizzata da marcate anomalie.

Nella fase di privatizzazione solo formale (consistente nel mutamento della sola veste formale delle imprese pubbliche) non risultava, pertanto, agevole l‟inquadramento giuridico di tali società tra quelle di diritto comune, disciplinate dagli artt. 2247 ss. c.c., non solo perché l‟unico azionista è un soggetto pubblico che le gestisce in via diretta ed esclusiva, ma anche perché sembra del tutto assente, nella fase genetica, un vero e proprio rapporto tra società costituenda e socio. D‟altra parte, il codice civile prevedeva come unico modello di Società di Capitali unipersonale quello della società a responsabilità limitata e non anche quello della Spa, che è il modello cui prevalentemente si ispiravano le neo-costituite società.23

(18)

20 Nonostante ciò, il processo di trasformazione delle imprese pubbliche in Spa, ha avuto la spinta decisiva con il D.L. 11 Luglio 1992 n.333, convertito in L. 8 Agosto 1992 n.359.24

La scelta di rimettere l‟avvio del processo di privatizzazione attraverso la presentazione del Governo del programma di riordino delle partecipazioni, ne decretò l‟insuccesso.

L‟art.15 della suddetta L.359/92 prevedeva, infatti, la trasformazione di Enti quali l‟IRI, ENI, ENEL e INA in S.p.a. con effetto dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo. Una trasformazione eteronoma ed exlege, nella quale l‟effetto costitutivo della compagine societaria veniva fatto discendere da un atto di formazione primaria che collocava il procedimento di trasformazione nell‟ambito dell‟autonomia privata. C‟era comunque un problema, il Decreto n. 333/1992, oltre ad inaugurare la prassi della trasformazione “caso per caso” (prevista cioè da una specifica disposizione di legge in relazione ad un singolo soggetto) conteneva anche una disposizione di più vasta portata, destinata a consentire delle privatizzazioni ad oggetto indeterminato. Con l‟articolo 18, si attribuiva al CIPE la facoltà di deliberare la trasformazione in S.p.a. di enti pubblici economici qualunque fosse il loro settore di attività.25

Una disciplina specifica hanno avuto, invece, le procedure di privatizzazione delle imprese pubbliche operanti nel settore dei pubblici servizi. Tale specificità derivava dalla natura strategica del settore, caratterizzato da situazioni di monopolio o quasi monopolio pubblico, rispetto ai quali la fuoriuscita del capitale pubblico dalla società conseguente alla dismissione, imponeva sia di garantire la continuità e l‟effettività della gestione del servizio, ma anche di evitare la trasformazione della titolarità del monopolio, da pubblico a privato.

24

Il processo era stato precedentemente “inaugurato” con la L. 29 Gennaio 1992 n.25, di conversione del D.L. 5 Dicembre 1991 n. 386. Destinata a regolare la trasformazione degli enti di gestione delle partecipazioni statali, degli enti pubblici economici e delle aziende autonome statali, questa Legge prevedeva una privatizzazione facoltativa, caratterizzata da una proposta dell‟ente, formulata in conformità degli indirizzi di politica economica ed industriale deliberati dal CIPE, soggetta ad approvazione del Ministro del bilancio e della programmazione economica, di concerto con il Ministro del tesoro e di ministri di volta in volta competenti.

(19)

21 In questo contesto era importante dover individuare gli strumenti che permettessero la tutela dell‟interesse pubblico durante la fase di transizione. Sono state quindi, individuate un duplice ordine di misure.

Sul versante interno della società, si è prevista una riserva in favore dell‟azionista pubblico di un complesso di “poteri speciali” diretti a temperare la perdita del controllo pubblico delle società, ovvero di limitazioni al possesso di partecipazioni azionarie da parte di terzi.

Su quello esterno, cioè il settore economico in cui opera la società, si è condizionato l‟avvio delle procedure di privatizzazione di particolari settori alla creazione di autorità di regolazione, le cd. Authorities, al fine di razionalizzare e controllare il sistema degli affidamenti e delle revoche delle concessioni; a concorrere a definire standard di qualità dei servizi e i livelli di efficienza della loro erogazione; a determinare l‟entità delle tariffe da praticare all‟utenza secondo il principio del

pricecup26ed infine ad assicurare il più ampio soddisfacimento delle esigenze degli utenti, attraverso la previsione di efficaci strumenti di tutela per contrastare i ritardi e le inesattezze nell‟erogazione del servizio.

Per le aziende che operavano in determinati settori di interesse pubblico27, prima di ogni atto che comportasse la perdita del controllo pubblico, l‟assemblea straordinaria avrebbe dovuto introdurre una modifica statutaria volta a garantire più diritti speciali, volti ad evitare che questi settori economici nevralgici fossero lasciati privi di regole e controlli.

Su un altro versante, l‟art. 1bis, della L.474/1994, condizionava l‟avvio delle procedure di dismissione di queste società, alla creazione di organismi indipendenti per la regolazione del regime tariffario e il controllo della qualità dei servizi di

26Letteralmente “cappello dei prezzi” è un sistema per definire le tariffe dei servizi pubblici tenendo conto del loro grado di efficienza, della qualità del servizio offerto e degli investimenti effettuati. Rappresenta, altresì, uno strumento di controllo dei prezzi, idoneo a garantire la tutela dei consumatori in un contesto di pubblic utilities privatizzate, stabilendo un limite massimo alla dinamica dei prezzi dei singoli e/o servizi offerti dalle imprese regolate, tenendo in considerazione anche l‟andamento dell‟inflazione, creando un collegamento fra l‟Italia e i paesi dell‟Unione Europea. (Delibera CIPE – Comitato interministeriale per la programmazione economica – del 24 aprile 1996.

27

(20)

22 rilevante interesse pubblico,28soprattuttonei settori in cui facilmente poteva verificarsi il passaggio da un monopolio pubblico ad un monopolio privato.

In merito è, però opportuno, segnalare un‟ambiguità. Si è osservato che, se la ratio dell‟articolo 1bis andava individuata nella necessità di introdurre questi meccanismi di regolazione degli effetti della perdita del controllo pubblico, il suo ambito di applicabilità non avrebbe potuto risultare che circoscritto alle situazioni di monopolio statale nelle quali, per l‟appunto, tali funzioni risultavano inscindibilmente connesse alla natura pubblica del soggetto erogatore e della sua stretta dipendenza con gli organi di governo. Solo in questi casi la creazione di Authoritiesavrebbe tratto la propria ragion d‟essere, riflettendo la reale esigenza di impedire il succedersi di monopolio privato a quello pubblico.29

In un contesto come questo, dunque, era necessaria l‟inaugurazione di un sistema incentrato su nuove figure organizzative: le Autorità amministrative indipendenti, figure istituzionali indipendenti sia dal potere politico che dai forti gruppi economici. In attuazione di ciò, la legge n. 481/1995 ha istituito le Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità nei settori dell‟energia elettrica e del gas.

Le suddette previsioni, confluiscono nelle Carte dei servizi pubblici che ciascun gestore, pubblico e privato, è tenuto ad adottare, autovincolandosi alla loro osservanza.

28

Con la L.14 Novembre 1995, n. 481 fu istituita l’Autorità per l’energia elettrica e il gas. 29

(21)

23

2.2 Il quadro normativo sotteso al processo di privatizzazione

Nonostante l‟appartenenza a diversi apparati pubblici e la diversa dimensione e rilevanza dei servizi, la tipologia dei modelli organizzativi risulta sostanzialmente incentrata sulle formule della gestione direttae della gestione indiretta.

La gestione diretta ricorre quando l‟amministrazione decide di organizzare e gestire il servizio con il proprio apparato di uffici ovvero quando costituisce un apposito ufficio-organo cui conferisce ampi poteri autonomistici (organizzativi, gestori, patrimoniali, finanziari e di bilancio).

La gestione indiretta, viceversa, presenta una maggiore varietà di modelli ed attribuisce agli Enti Locali la possibilità di ricorrere a seconda dei casi all‟istituzione di appositi enti pubblici economici, all‟affidamento del servizio a terzi tramite lo strumento della concessione o alla costituzione di Società di Capitali a partecipazione pubblica (maggioritaria e minoritaria).

A fronte dell‟intenzione di procedere ad un riassetto delle relazioni tra i soggetti coinvolti nel concetto di servizio pubblico, in molti casi, alcuni servizi venivano ancora gestiti dagli Enti Locali secondo quella che è la cd. gestione diretta, forma gestionale che doveva essere meramente residuale rispetto le presumibili intenzioni del Legislatore. Questo non era sicuramente una condizione di vanto, perché pur rappresentando una forma di esternalizzazione, tale strumento si prestava a numerose obiezioni, soprattutto in relazione alla normativa a tutela della concorrenza.

In proposito l‟Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avuto modo di sottolineare più volte30 che le concessioni possono essere impiegate come strumenti di regolazione, attraverso i quali discrezionalmente limitare l‟accesso al mercato ad un numero circoscritto di operatori economici, in posizione privilegiata grazie alla costituzione di diritti speciali o esclusivi in capo agli stessi. Esse, inoltre, possono attribuire penetranti poteri di controllo all‟amministrazione concedente, al limite dell‟ingerenza gestionale. Secondo AGCM, il loro uso andrebbe, quindi,

30 Cfr. AGCM, segnalazione AS 152 del 28.10.1998: Misure di revisione e sostituzione di concessione amministrative; Vedasi, in tema, anche Circolare Presid, del Cons. dei Ministri – Dip. Per le politiche comunitarie, n. 12727 del 19.10.2001, Affidamento a società miste della gestione di servizi pubblici locali (pubblicata in G.U. n. 264 del 13.11.2001).

(22)

24 rigorosamente circoscritto solo alle ipotesi di riserva exlege della titolarità delle funzioni pubbliche, proprietà o attività economiche a favore dei pubblici poteri.

Il primo intervento diretto a riformare l‟ordinamento dei servizi pubblici locali fu attuato con la Legge di Riforma delle autonomie locali n.142 del 1990, successivamente trasfusa nel T.U. 267/2000. Con essa, all‟art.22, venne riconosciuta agli Organi consiliari dei Comuni e delle Province la possibilità di scegliere tra le diverse forme di gestione per i servizi pubblici.

In tale contesto normativo, la gestione dei servizi poteva avvenire in maniera diretta (ossia direttamente esercitata da parte dell‟Ente stesso, senza l‟ausilio di un organismo autonomo strumentale, ovvero associata ad altri soggetti) attraverso:

1) le gestioni in economia (lett. a); 2) le aziende speciali31 (lett. b); 3) le istituzioni32.

La gestione indiretta poteva, invece, concretizzarsi, nelle forme delle: 1) concessioni33;

2) società per azioni, costituita o partecipata in misura prevalente dall‟Ente locale, titolare dei servizi (lett. e)34.

Il Legislatore, sempre con la Legge 142/1990, accanto alle forme già collaudate, ha introdotto la nuova figura della società per azioni a partecipazione comunale o provinciale. Con tale modello, si voleva disporre di forme di gestione privatisticheche, potessero permettere di ottenere flessibilità eliminando, al contempo, le fasi procedurali disciplinate dal diritto amministrativo35.

31

Sono enti strumentali del Comune, dotati di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e contabile, di propri statuti (a differenza delle istituzioni), approvati dal Consiglio Comunale e bilanci separati dall‟Ente locale.

Il rapporto di strumentalità implica che l‟attività posta in essere sia ad esclusivo vantaggio dell‟Ente, e, pertanto, è da escludersi la possibilità che l‟Azienda possa svolgere la propria attività al di fuori dei confini territoriali dell‟Ente locale.

32

Per la gestione dei servizi sociali privi di rilevanza imprenditoriale. Anch‟esse sono organismi strumentali dell‟Ente, ma a differenza delle Aziende speciali non è previsto né un autonomo collegio dei revisori (sono revisori del Comune incaricati del controllo contabile) né un proprio statuto.

33

Quando sussistono ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale. Viene effettuata attraverso l‟affidamento della gestione del servizio ad un soggetto estraneo alla PA, la quale conserva un controllo parziale del servizio. La concessione del servizio può essere affidata ad un privato, ma l‟Ente può ritenere opportuno affidare la concessione del servizio a società controllate dall‟ente stesso o da altri soggetti pubblici, realizzando così una modalità di gestione mista.

34

Qualora si renda opportuna in relazione alla natura del servizio da erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati.

35

Cfr. Consiglio di Stato Ad. Gen. 16 maggio 1996, n. 90, in CdS, 1996, I, Vol. III, pag. 1640, in secondo il quale “la gestione a mezzo di società a prevalente capitale pubblico suppone la determinazione dell’Ente locale di non estraniarsi dall’attività di gestione, come avviene nell’ipotesi di concessione, ma di essere presente nella

(23)

25 Il problema posto sia in dottrina che in giurisprudenza, riguardava il fatto se il servizio pubblico potesse essere attribuito direttamente o se la Società in questione necessitasse di una concessione, con la conseguenza della sottoposizione ad una gara per l‟affidamento del servizio.

Secondo l‟orientamento prevalente, anche se il favore manifestato per l‟affidamento diretto risiederebbe nella presenza del socio pubblico detentore del controllo sulla società36, è da tenere a mente che esse sono, comunque, assoggettate allo statuto proprio delle Spa, così come dettato dal Codice Civile. Pertanto la legge non prevede alcuna limitazione circa lo scopo di lucro e la distribuzione di utili, né contempla alcuna alterazione nella struttura organizzativa propria della società; la nomina degli amministratori da parte del socio pubblico, non essendo oggetto di alcuna previsione specifica da parte della legge, dipende dal normale esercizio dei poteri propri del socio di maggioranza in quanto tale ed infine non sono introdotti controlli da parte dell‟ente pubblico che non siano quelli derivanti dalla normale gestione delle partecipazioni. Di conseguenza, l‟art. 22 della L.142/90 pone alcune limitazioni, quali, appunto:l‟assegnazione del servizio pubblico ad una società per azioni (e non ad altre figure societarie) e la prevalenza “del capitale pubblico locale”, che sembrano, per ciò stesso, comprimere la generale capacità privatistica degli enti pubblici (capacità che legittima qualsiasi partecipazione pubblica a società di diritto comune).

La scelta dell‟Ente locale sarà, dunque, frutto di una attenta ponderazione di tutti gli interessi implicati da tale opzione, con l‟obbligo di evidenziare, nella delibera di affidamento mediante convenzione,37la convenienza economica, per le finanze dell‟Ente locale, di tale soluzione rispetto alle altre possibili e consentite; tenendo conto della qualità del servizio da erogare, del diverso grado di efficienza del suo svolgimento a seconda dello strumento di gestione prescelto; dei costi-benefici, etc..38

compagine sociale tramite il capitale conferito (in misura maggioritaria) e con la presenza di amministratori e sindaci”.

36 Conforme a questo orientamento anche il Ministero dell’Interno – Ufficio per l’attuazione della Riforma degli Enti Locali – parere n. 15900/527 del 10 maggio 1994 che ha sostenuto che la Società mista “deve essere necessariamente affidataria della gestione del servizio in quanto si esula dal campo di applicazione delle norme, anche comunitarie, sulle procedure di appalto di opere o di servizi, che dettano norme per l’attività rivolta all’Ente Territoriale”. Nel caso delle Società miste, invece, è l’Ente territoriale che deve erogare un servizio pubblico tramite una struttura privata. servizio sia affidata alle Società a cui partecipa l’Ente locale. 37 Ex art. 32, comma 2, lett. f) L. n. 142/90,

38

(24)

26 Benché la legge italiana nulla dica in proposito,39 sarà la convenzione che il comune dovrà stipulare con la società, in occasione del trasferimento diretto dello specifico servizio, a fissare i contenuti di merito sulle modalità del suo espletamento, sui rapporti patrimoniali che ne derivano, sulle forme eventuali di controllo, etc.…

E‟ da aggiungere, infine, sempre con riguardo alla posizione del Comune, che il vuoto normativo segnalato (della lett.e, dell‟art. 22 cit.), in ordine al vincolo da instaurare, non può essere colmato dallo Statuto dell‟Ente locale. Quest‟ultimo, infatti, è abilitato a disciplinare i rapporti fra l‟ente stesso e la forma di gestione dei servizi, ex art. 4, comma 2, L. n. 142/90 (“sull‟ordinamento dei servizi pubblici”), ma non può incidere né modificare le caratteristiche strutturali e funzionali delle società per azione che gestisce il servizio.

Tali caratteristiche sono, infatti, fissate dalla disciplina di diritto comune – cioè dal Codice Civile – e, in base ai noti principi costituzionali, “non possono essere

modificati dalla normativa regionale e locale”, non abilitata ad incidere sugli istituti

di diritto privato.

In conclusione, la presenza della mano pubblica – che fa denominare queste società come società miste –non ne altera il regime giuridico che, come già detto, è di diritto comune (e non speciale), pertanto, esse possono essere accomunate, sotto tale profilo, a società ove gli Enti Locali detengono quote di minoranza40.

Il requisito esaminato della “prevalenza del capitale pubblico locale” relativo al modello di società mista, così come configurato dalla L. n. 142/90, è stato oggetto di prime modifiche sostanziali. Infatti “è stato soppressodalla successiva Legge 23

dicembre 1992, n. 498 – “Interventi urgenti in materia di finanza pubblica”, il cui art.

12, dispone che “le province e i comuni possono, per l’esercizio dei servizi pubblici e

per la realizzazione di infrastrutture ed altre opere necessarie al corretto svolgimento del servizio, nonché per la realizzazione di infrastrutture ed altre opere di interesse pubblico…costituire apposite società per azioni senza il vincolo della proprietà

39

A differenza della legge francese relativa alle “socieétés d‟économie mix-te locales” ex artt. 5 e 6 della legge 7 luglio 1983, n. 597.

40 A tali società potevano far ricorso gli Enti Locali secondo un distinto modulo di gestione quale l‟affidamento de servizio in concessione, ai sensi dell‟art. 22, comma 3 lett. b), almeno sino alla legge n. 498/92, che ha modificato detto regime, escludendo l‟obbligatorietà della concessione.

(25)

27 maggioritaria di cui al comma 3, lett. e) dell‟art. 22 della Legge 8 giugno 1990, n. 142”.

Con la legge del 29 marzo 1995, n. 95 “Disposizioni urgenti per la ripresa dell‟attività imprenditoriale” – all‟art. 4 relativo alle “società miste per i servizi pubblici degli Enti Locali” si introdusse il concetto di contratto di servizio.

Grazie a quest‟ultima norma, le relazioni tra il momento politico e quello gestionale hanno acquisito una connotazione diversa dal passato. L‟Ente locale sempre più ha cercato di configurare il proprio ruolo come quello di soggetto di governo e regolazione, limitando le proprie interferenze nei fatti gestionali; all‟Azienda, invece, sono stati conseguentemente riconosciuti margini più vasti di autonomia e responsabilità.

In questo quadro, il contratto di servizio ha assunto il rango di strumento cardine della regolazione dei rapporti tra governo e gestione, assicurando, ai soggetti titolari delle rispettive funzioni, la possibilità di realizzare i propri specifici obiettivi nell‟ambito del confronto negoziale, delineando la tendenza a trasformare le vecchie aziende municipalizzate in imprese a tutti gli effetti, superando, al contempo, anche quel carattere di “specialità” che ne ha connotato l‟origine e la storia ed avviando il processo di inserimento nel diritto comune.

A questo punto è opportuno fare una digressione riguardo la distinzione tra il ruolo “politico” di chi provvede al servizio, cioè di chi si assume la responsabilità del servizio, decidendo quali debbano essere i servizi da assicurare alla popolazione e le norme che regolano la loro fornitura, ed il ruolo “gestionale” di chi produce il servizio pubblico, occupandosi materialmente della produzione e distribuzione.

L‟Ente pubblico si configura come il “garante” della corretta erogazione del servizio pubblico.

Con la Legge Bassanini I (abrogatrice/ribaltatrice della precedente disposizione) e, precisamente all‟art 4, si prevede che il conferimento di compiti e funzioni agli Enti Locali deve avvenire nel rispetto del principio di sussidiarietà secondo il quale

“restano attribuite ai comuni le generalità dei compiti e delle funzioni amministrative con l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni dell’ente”. Ciò

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28 competenza amministrativa generale e residuale; quindi, tutto ciò che la legge non assegna ad altri soggetti è funzione esclusiva del Comune, in quando istituzione più vicina al cittadino, nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale secondo il quale la ripartizione gerarchica delle competenze deve essere spostata verso gli enti più vicini al cittadino e, quindi, più vicini ai bisogni del territorio.

Alle previsioni sopra richiamate hanno fatto seguito le disposizioni dettate dalla Legge n. 127/1997 recante “Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e

dei procedimenti di decisione e di controllo” c.d. “Bassanini bis” il cui art. 17, comma

58 ha esteso la possibilità per l‟Ente locale di gestire i servizi pubblici, oltre che facendo ricorso al modello della società per azioni, anche attraverso il tipo societario della S.r.l. a partecipazione pubblica prevalente, non escludendo, in ogni caso, la possibilità che l‟Ente locale partecipi in misura minoritaria in una S.r.l. il cui oggetto sociale non sia però costituito dall‟esercizio di un servizio pubblico.

Strettamente collegata a quanto summenzionato è anche la facoltà riconosciuta agli Enti locali, disciplinata dagli art. 17, commi 51-59 della Legge n. 127/97, di trasformare le aziende speciali in Società di Capitali, sia nel modello della società per azioni che in quello della società a responsabilità limitata. Le disposizioni sopraccitate hanno operato una drastica semplificazione di un percorso complesso che prevedeva, come primo adempimento, la revoca dell‟azienda speciale, la liquidazione della stessa, la devoluzione dei beni all‟Ente locale e, solo dopo aver adempiuto a tali obblighi procedurali, la costituzione della S.p.a. o S.r.l., cui affidare il servizio precedentemente gestito dall‟azienda.

Con la procedura “semplificata”, prevista dal citato provvedimento, invece, gli Enti locali possono trasformare le aziende speciali in società mediante atto unilaterale e cioè con la sola adozione da parte del Consiglio Comunale della relativa delibera che assume, pertanto, il rango di atto costitutivo della società stessa. In tal modo, l‟Ente locale acquisisce la posizione di azionista unico della società derivata dalla trasformazione e può conservare questo ruolo per un periodocomunque non superiore a due anni dalla data della trasformazione. Entro tale termine, dunque, l‟Ente locale ha l‟obbligo di alienare in tutto o in parte le proprie azioni perdendo il controllo sulla società, mutando la partecipazione da totalitaria a maggioritaria ovvero minoritaria.

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29 In tal modo, l‟ordinamento ha proceduto, in sostanza, a una privatizzazione delle aziende speciali attraverso il ricorso al modello privatistico delle società, ritenuto preferibile da un punto di vista organizzativo e gestionale e al fine di facilitare la ricerca sul mercato di capitali necessari per la gestione dei servizi pubblici locali.41 Si introduce, inoltre, la possibilità di costituire società per azioni o responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico (costituite o partecipate dall‟ente titolare del servizio) qualora sia opportuna in relazione alla natura e all‟ambito territoriale del servizio, la partecipazione di più soggetti pubblici o privati.42

2.3 Gli artt. 113 e 113bis del Tuel: la precedente ed attuale disciplina della gestione dei servizi pubblici locali.

La tappa successiva è rappresentata dal D.Lgs. 267 del 18 Agosto 2000, quale “Testo Unico in materia di ordinamento degli Enti Locali”43 che, nonostante abbia abrogato la L.142/90 e l‟art.12 della L.498/92, non ha però introdotto alcuna innovazione sostanziale. Infatti il testo del vecchio art.22 della sopraccitata Legge appare essenzialmente trasfuso negli artt.112 e 113 del Tuel.L‟art. 113 essenzialmente riscrive il 3° comma dell‟art. 22 introducendo ex novo la lettera f) quale sesta forma di gestione dei servizi pubblici, relativa alle società per azioni senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria.

Lo spirito di tale articolo, nella sua formulazione originaria, però, non era propriamente comunitario; il Legislatore lasciava esistere forme di gestione dei servizi pubblici provenienti dal passato, quali l‟azienda speciale, la gestione in economia, la società mista e, quindi, non si preoccupava realmente della politica dell‟Unione Europea che sembrava proiettarsi in una diversa direzione. Da tempo, infatti, l‟Unione,

41 Si consideri, a tal proposito, secondo dati forniti da Confservizi, che le S.p.a. presenti nel comparto dei servizi pubblici locali erano solo 22 nel 1995, sono passate a 56 nel 1997 e all‟inizio del 2002 avevano raggiunto il numero di oltre 450. Quanto, poi, alla trasformazione e ai criteri di parziale dismissione del capitale, risulta che nella maggioranza dei casi (53%) sono state utilizzate le procedure semplificate sopra descritte, che in moltissime circostanze (circa il 75 %) la quota di capitale ceduta ai privati è al di sotto del 10%, che circa la metà delle società di capitale intende comunque cedere ulteriori quote con la prospettiva prevalente di perdere la maggioranza del capitale. Per quanto concerne, infine, le procedure di alienazione la più frequente è quella fondata sulla selezione del partner (33%), seguita dall‟azionariato dei dipendenti (11%) e dalla quotazione di Borsa (10%).

42 Comma 58, dell‟art. 17 della L. n. 127/97 che sostituisce il comma 3, lett. e) dell‟art. 22 della L. n. 142/90. 43 Il Titolo V tratta de “Servizi ed Interventi pubblici locali”. Vedi artt.112-113 del D.Lgs.267/2000

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30 nel Trattato istitutivo e nelle sue direttive, aveva affermato il principio della libera concorrenza e la necessità per i Paesi membri di avvalersi, attraverso lo strumento della gara pubblica, di società operanti sul mercato per gestire i servizi fruibili dagli utenti.

E‟ con la Legge Finanziaria del 2002 – Legge 28 dicembre 2001, n. 448/2001 – ed in particolare con l‟art. 35 che viene nuovamente ridisegnato il modello gestionale dei servizi pubblici locali provenienti dal “vecchio” art. 113 Tuel.Infatti, prevedendo l‟affidamento dei servizi tramite gara a Società di Capitali, si sanciva in modo netto la separazione tra le funzioni di gestione dei servizi pubblici locali (spettanti alla società) ed il relativo controllo (che rimaneva invece in capo al Comune).

La stessa Legge, inoltre, introduceuna distinzione tra i “servizi pubblici locali di rilevanza industriale” e “servizi pubblici privi di rilevanza industriale”, da intendersi come differenza attinente alle modalità di esercizio del servizio.

Per i servizi pubblici a rilevanza industriale (art. 113) è stata prevista una differente gestione per le reti rispetto all‟erogazione del servizio. Infatti, richiamandosi alle disposizioni dei singoli settori e alle normative nazionali di attuazione delle direttive comunitarie, il 2° comma prevede che gli Enti Locali non possano cedere la proprietà degli impianti, delle reti e delle dotazioni, anche se possono conferire tale proprietà a Società di Capitali di cui detengono la maggioranza. L‟erogazione dei servizi, invece, deve avvenire in regime di concorrenza, secondo le discipline di settore e deve essere attribuita a Società di Capitali mediante procedure ad evidenza pubblica.44

Invece, la gestione dei servizi pubblici privi di rilevanza industriale, (art. 113-bis) è conferita mediante affidamento diretto (Istituzione, Azienda Speciale oad una Società di Capitali interamente pubblica).

In particolare l‟Azienda Speciale, dotata di personalità giuridica è stata, per lungo tempo, lo strumento principale di gestione dei servizi imprenditoriali fin quando, in seguito alle disposizioni dell‟art. 35 della Finanziaria 2002, è stata confinata al solo ambito di gestione dei servizi privi di rilevanza industriale.45

44 L. Migale, “La disciplina revisionata dell‟art. 35 della legge n. 448/2001” Giappichelli, Torino, 2004, pag. 22 e ss. G.Guzzo, Società Miste ed affidamenti In House, Giuffrè, Milano, 2009, pg. 136 e ss.

45 Il comma 8 dell‟art. 35 della legge n. 448/2001 aveva previsto l‟obbligo per gli Enti Locali proprietari, entro il 31 dicembre 2002, di trasformare in Società di Capitali le aziende speciali e i consorzi che gestivano servizi di

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31 In questo modo, raccogliendo i costanti inviti formulati dalla Commissione Europea all‟apertura al mercato del sistema dei servizi pubblici, si è operato il definitivo superamento dei modelli di gestione diretta, ritenuti ormai incompatibili con i nuovi servizi a carattere industriale, che avevano caratterizzato la precedente esperienza del municipalismo.

Ancora una volta, la normativa adottata non era del tutto esaustiva della materia. Nell‟art.35, infatti, erano contemplate delle ipotesi di affidamento diretto non compatibili con l‟ordinamento comunitario.46

Il Governo Italiano, dopo aver ricevuto una messa in mora dalla Comunità Europea, ha in un certo senso giustificato le ipotesi di affidamento diretto a Società di Capitali a partecipazione interamente pubblica (cd. Relazioni in house) facendo riferimento alla sentenza Teckal.47In merito la Corte di Giustizia, dopo aver affermato l‟obbligatorietà della procedura ad evidenza pubblica per la scelta del contraente di una fornitura all‟ente pubblico, ha deciso che: “Può avvenire diversamente solo nel caso in cui, nel

contempo, l’ente locale eserciti su tale soggetto un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e quest’ultimo realizzi la parte più importante della propria attività, con l’ente o con gli Enti Locali detentori”.

Risultava necessario, quindi, un nuovo intervento che, incidendo sulla disciplina dettata dall‟art.35, permettesse di chiudere definitivamente la procedura d‟infrazione, senza ulteriori rilievi da parte della Commissione e soprattutto al fine di evitare l‟intervento della Corte di Giustizia di Lussemburgo.

È anche vero, però, che tra i motivi del nuovo intervento è da menzionare anche il tentativo di prevenire possibili eccezioni di incostituzionalità della norma: alcune Regioni, infatti, erano ricorse alla Corte Costituzionale per supposta interferenza del legislatore statale in una materia ritenuta di competenza esclusiva regionale ai sensi della Riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione.La materia dei servizi pubblici locali, infatti, non era citata espressamente nell‟art.117, come modificato dalla L.Cost.

rilevanza industriale, prevedendo l‟utilizzo di una procedura semplificata in luogo di quella ordinaria, pur sempre ammissibile.

46

Basti pensare alle modalità di affidamento della gestione delle reti nel caso di separazione dalla gestione del servizio, oppure il regime derogatorio al principio della concorrenza per il settore del servizio idrico integrato. 47

Riferimenti

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