DI LAVORO
Pio Filippo Becchino
A proposito dell'obbligatorietà dei re-cuperi dei contributi sugli importi a carattere retributivo corrisposti ai la-voratori a conclusione di transazioni avvenute presso gli Uffici del Lavoro ai sensi della legge 11-8-1973 n. 533 e delle precedenti norme (legge 628 del 22-7-1961, legge 604 del 15-7-1966, legge 300 del 20-5-1970), si ricorda: — dalla data della citata legge n. 628 si svolge presso gli Uffici del Lavoro attività conciliativa delle vertenze in-dividuali di lavoro (riguardanti in pre-valenza violazioni contrattuali con eventuali rinunce e transazioni sui di-ritti disponibili del lavoratore) senza che, da parte dell'Organo di Stato, sia stato curato l'inoltro dei verbali di composizione agli Enti competenti per i recuperi. Detto orientamento, pur non rispondendo alla rigida osservan-za delle norme relative alla correspon-sione degli oneri sociali, è stato tutta-via per lunghi anni mantenuto costan-te in tutta Italia, consapevole il Mini-stero del Lavoro. Finché il Ministro Bertoldi il 4-12-1973 diramava agli Uffi-ci del Lavoro una Uffi-circolare a sua firma ( 1 8 9 3 9 5 / G / 7 7 Gabinetto), tuttora in vigore, con cui disponeva che detti Uf-fici avrebbero dovuto provvedere al de-posito dei verbali di conciliazione presso la Pretura (v. art. 411 c.p.c. 2° comma) nel solo caso in cui dai verbali stessi non fosse risultata già soddisfatta ogni pretesa del lavoratore a chiusura di una vertenza. Questo significa che nella stragrande maggioranza delle controver-sie definite presso gli UPLMO (costituite da quelle la cui composizione è conte-stuale alla soddisfazione economica del lavoratore) il verbale di conciliazione non sarebbe premessa e non necessite-rebbe di ulteriore deposito e quindi di pubblicizzazione e pertanto non
sem-bra gli possano essere riconosciuti i connotati dello « strumento ufficiale di apprendimento di carattere generale ». Esistono prove amministrative collate-rali del fatto che i menzionati verbali non solo non sembrano muniti di porta-ta conoscitiva automatica erga omnes (non sono equivalenti cioè a pubblica-zioni nell'interesse di chicchessia) ma non potrebbero altresì essere fatti og-getto da parte della « vigilanza » di ri-chieste sistematiche di notizie concer-nenti i compensi a carattere retributivo corrisposti. Il Ministero del Lavoro ha infatti avuto a dichiarare ripetutamen-te, in risposta a quesiti postigli (ad es.:
nel 1 9 6 9 all'UPLMO di P o t e n z a , n e l 1 9 7 2
all'UPLMO di Padova) che i verbali delle conciliazioni raggiunte presso gli Uffici del Lavoro non debbono essere da questi costantemente trasmessi al-l'INPS in adesione ad eventuali richie-ste di detto Istituto.
Sino ad oggi alle parti contendenti ed ai loro rappresentanti sono sempre sta-te, a domanda, consegnate copie dei verbali di accordo raggiunto presso l'Or-gano di Stato: ma tale comportamento dell'Ufficio del Lavoro non è utile né sufficiente a dimostrare la raggiunta pub-blicizzazione della conciliazione: non significa, in altri termini, un obbligo generalizzato per il citato Ufficio di far pervenire agli Istituti Assicuratori (INPS, INAM, INAIL) copie degli atti costituiti dai verbali di conciliazione. Sul piano amministrativo la posizione dell'Ispettorato del Lavoro non si pre-senta in modo dissimile da quella degli Istituti citati. Infatti qualora da parte dell'UpLMO fossero inoltrati i verbali in esame (alcuni o tutti) all'Organo di Sta-to coordinaSta-tore della « vigilanza » e da quelli detto Organo venisse a rilevare pagamenti di importi a carattere retribu-tivo, Esso non potrebbe esimersi dal
renderli noti agli Istituti: e questi per-tanto entrerebbero per tale via indiretta in possesso dei dati che I ' U P L M O non ha loro direttamente provveduto a riferire. Lo scrivente peraltro ritiene che l'Ispet-torato del Lavoro, qualora fosse posto di fronte alla possibilità di ottenere i verbali in argomento e dovesse giudi-care Esso stesso se richiederli tutti o solo alcuni, per timore di un eccesso di potere (che si potrebbe ritenere anni-dato nella scelta dell'un verbale anziché dell'altro) si troverebbe in un notevole imbarazzo nel porre richieste in merito all'UPLMO e sarebbe tentato di pren-dere conoscenza di tutti i verbali delle conciliazioni avvenute presso l'Ufficio del Lavoro piuttosto che non essere edotto di alcuno.
(È evidente in conseguenza che un coor-dinamento fra i due Organi periferici del Ministero del Lavoro sarebbe oltre-modo vantaggioso: anche alla luce del-l'argomento presentato non è chi non veda quanto sarebbe auspicabile l'unifi-cazione degli Organi stessi: certi pro-blemi infatti non verrebbero a discutersi e chiaramente neanche dovrebbero na-scere).
Il compito della Commissione di conci-liazione e quindi dell'Ufficio si esaurisce dunque oggi nel momento in cui l'acco-stamento delle parti controvertenti è stato verbalizzato, non potendo l'Uffi-cio stesso mettere sotto accusa le inten-zioni di coloro che, avendo sottoscritto un accordo presso di Esso, non si sa an-cora se, su quella scorta, vorranno altre-sì versare i conseguenti contributi op-pure eludere la legge. È cioè in definitiva il datore di lavoro, che è stato chiamato in causa nella vertenza utilmente con-clusasi presso I ' U P L M O , a doversi rite-nere responsabile dell'eventuale omis-sione contributiva (rispondendo egli an-che per la parte dei contributi an-che fanno carico al lavoratore).
Tutti concordano sul punto che, sul piano del diritto, determinati adempi-menti siano obbligatori ed anelastici (ci si riferisce ai menzionati recuperi di contributi), tuttavia gli Uffici del Lavo-ro hanno conservato la citata linea di comportamento (indipendentistica) nei confronti degli Istituti assicuratori per non snaturare lo spirito cui l'attività conciliativa deve essere improntata e in nome del quale furono a suo tempo co-stituiti presso di loro appositi « reparti vertenze ».
Si precisano a tal proposito, per mag-gior comprensione, gli scopi seguiti nel corso degli anni dall'Organo di Stato conciliatore, scopi mettenti capo al par-ticolare indirizzo amministrativo sopra ricordato:
— il non dover trascinare per mesi od anni rapporti di lavoro ormai disfatti sino ad una qualsiasi definitiva conclu-sione giudiziaria (Giovenale, satira XVI, v. 50: « res atterritur longo sufflamine
litis »): — ritorno immediato quindi
al-l'equilibrio e alla normalità nei rapporti umani e civili;
— il poter mettere il lavoratore nelle condizioni di entrare nel modo più ra-pido in possesso d'importi che potreb-bero bensì' essergli riconosciuti spettanti nel giudizio di primo grado e di norma subito corrisposti per ordine del Magi-strato, ma sempre nel quadro di un di-sagio che proverrebbe dal rischio di ulte-riori gravami: — rapido ripristino quin-di del tessuto economico-sociale rotto con l'insorgere delle vertenze indivi-duali.
Si tratta di motivi o criteri fondati su scelte di politica del lavoro che lo Stato ha effettuato, ed altresì' di valutazioni di economia del lavoro, tutte impron-tate al merito.
Alla radice del comportamento dello Stato esiste cioè un raffronto fra quanto Esso eventualmente potrebbe perdere in oneri da corrispondere da parte di co-loro che hanno adito l'Organo perife-rico per una conciliazione e quanto in compenso esso verrebbe a guadagnare in termini di pace sociale.
È chiaro che nel confronto il piatto della bilancia che regge la pace sociale scende vistosamente e pertanto l'appa-rente agnosticismo dello Stato quantefal recupero dei contributi sugli importi a carattere retributivo corrisposti a con-clusione di vertenze definite transattiva-mente presso gli Uffici del Lavoro deve interpretarsi come una particolare « ra-gion di Stato »: in nome della stessa l'Amministrazione statale che si presta, a richiesta, per dirimere e comporre, presentandosi in veste di paciere (o me-glio come il Paciere per eccellenza) non ha convenienza a distribuire, a pace fat-ta, vergate punitive agli ex contendenti a mezzo della pubblicizzazione dei ver-bali di accordo, comportante conseguen-temente i recuperi menzionati.
Trattasi di una posizione pragmatica e mistiforme in cui sembra si possa intrav-vedere la caratteristica di un'esca non solo innocua ma spesso proficua per i litiganti che desiderano accedere al ten-tativo di composizione.
Il sistema accennato — scoordinato con la vigilanza — si presenta cioè come una valvola di sicurezza che funziona in modo da favorire al massimo l'incontro delle parti e la ripresa degli equilibri socio-economici indispensabili per una normale convivenza nel mondo del la-voro.
Vogliamo però approfondire e illustrare meglio la tesi sostenuta.
La conciliazione della vertenza di lavoro è il risultato, in genere, di un complesso di accomodamenti che si concreta nella liquidazione di un ammontare comples-sivo inteso a definire tutte le questioni inerenti la vertenza stessa.
Non è quasi possibile od è almeno assai difficile nella transazione scindere le va-rie quote oggetto di contestazione ed evidenziare con sicurezza quelle (o quella) che dovrebbero essere assogget-tate al trattamento economico contribu-tivo previdenziale.
Coloro che pensano che si possano, al-l'interno di una controversia, operare varie piccole singole e distinte vertenze (ad es., una per ferie non godute, l'altra per festività lavorate, l'altra ancora per indennità di mensa, ecc. ecc.) dimostra-no di dimostra-non codimostra-noscere il meccanismo e le difficoltà insite nel tentativo di compo-sizione.
In altre parole, una composizione con-ciliativa « per voci » moltiplicherebbe i casi d'insuccesso del tentativo di tran-sazione. Se in giudizio ciò può realizzar-si — in presenza dell'incontrastabile e dispositiva supremazia dell'arbitro giu-dice — non è possibile giungere alla stessa conclusione pratica in via tran-sattiva, quando siano svariate le voci dedotte in vertenza.
Tanto più che l'accesso agli Uffici del Lavoro per il tentativo di conciliazione non ha il carattere necessitato (o d'indi-spensabilità) che avrebbe se esso fosse « condizione oggettiva di procedibilità ». Pertanto lo svolgimento procedurale delle accennate sedute conciliative a ca-rattere facoltativo deve essere facilitato al massimo; deve essere assente ogni genere di intralcio amministrativo; le conclusioni dei tentativi di conciliazione debbono cioè dimostrarsi il più possibile incisive, sintetiche, riducibili ad un uni-co importo globale.
Non è conveniente che si aumentino, in sede di conciliazione facoltativa, i rischi di mancare l'accordo cercando di enu-cleare nelle voci dedotte in vertenza auelle a carattere retributivo sulle quali dovrebbero essere operati i recuperi. E neanche è opportuno, pare, dover mettere le parti nella tentazione di sfug-gire con degli accorgimenti ad eventuali determinazioni degli U P L M O di richiede-re, nei verbali di conciliazione, l'esposi-zione singola o « per voci » degli im-porti a carattere retributivo che il da-tore di lavoro è tenuto a corrispondere. Infatti le parti stesse e i loro rappre-sentanti (per ovviare a detto preciso incasellamento e prevedendo che tale inconveniente dovrebbe sfociare nella trasmissione sistematica di detti verbali agli Istituti) potrebbero accordarsi nel
dichiarare che la composizione viene effettuata a mezzo di una somma elar-gita dal datore di lavoro a titolo di mera liberalità, pretendendo che l'Organo di Stato verbalizzi in tal senso (sotto pena dell'abbandono della vertenza in sede statale).
Inoltre l'eventuale disponibilità, da par-te degli Uffici del Lavoro ad accogliere richieste di notizie sulla composizione di vertenze ovvero richieste di trasmis-sione dei verbali di accordo (da qualun-que Istituto od Ente provengano le richieste stesse) potrebbe influire nega-tivamente sulla volontà del datore di lavoro di pervenire alla composizione della vertenza e quindi sul buon esito di questa oppure, addirittura, sulla di lui scelta di utilizzare la forma stragiudizia-le di composizione della controversia, con possibile danno economico per il lavoratore che non sempre è in condi-zioni di adire la Magistratura e di atten-dere il giudizio definitivo, cui si giunge con un iter necessariamente molto più complesso e lento dell'esperimento con-ciliativo.
Cadrebbero tutte le motivazioni in oggi ostative a trasferire sic et simpliciter i verbali degli accordi avvenuti presso gli Uffici del Lavoro agli Enti che vigilano sugli adempimenti contributivi qualora fosse realizzata (o meglio se la legge imponesse di realizzare), presso gli Or-gani di Stato periferici del Ministero del Lavoro, un tipo di tentativo di transa-zione da compiersi — sempre e
indi-spensabilmente — prima di adire la
Magistratura.
In tal caso è chiaro:
— l'Organo di Stato verrebbe a scari-care la Magistratura di gran parte del suo impegno molto più che non oggi, con sollievo dello Stato e della Magistratura stessa per lo sfoltimento delle aule giu-diziarie (al disopra di ogni interesse corporativo della Magistratura a non cedere ad altri funzioni o prerogative, o meglio a non lasciare crescere d'inten-sità le funzioni attualmente già ad altri attribuite — e cioè, come si è detto, allo Stato amministrativo — benché in ter-mini imperfetti e contradditori); — l'odierno istituto (transazione facol-tativa) che può socchiudere una via in-diretta all'evasione di obblighi giuridici (la cui osservanza dovrebbe invece tra-scendere la volontà delle parti) verrebbe in tal modo sostituito da altro istituto più vasto e completo che in nessun caso potrebbe più prestarsi a fungere da sup-porto alle citate evasioni in quanto esso costituirebbe lo sfocio naturale e obbli-gato di ogni vertenza individuale di la-voro con tutte le conseguenze, anche contributive, connesse.
Oggi che tutte le funzioni dello Stato sono rimesse in discussione è indispen-sabile cercare di rendersi conto che la funzione di paciere che lo Stato sta espli-cando in termini particolari (con compi-ti ultra o supra partes nel caso in cui le parti stesse entrambe espressamente 10 vogliano e si sottopongano) ha da es-sere fortificata e resa più penetrante affinché sia anche possibile agevolare e migliorare la « vigilanza » dell'Ispetto-rato del Lavoro e degli Istituti assicura-tori nei confronti degli importi a carat-tere retributivo corrisposti ai lavoratori a conclusione di transazioni avvenute presso gli Uffici del Lavoro. La « vigi-lanza » infatti, oggi non chiamata auto-maticamente in causa, si sente mortifi-cata o quanto meno scollegata anche se in nome di una ragione di Stato palese la quale è insita e trova radice nella stessa limitatezza attuale della funzione conciliativa statuale a carattere facolta-tivo.
Solo quando l'accesso agli Uffici di Stato sarà reso obbligatorio e propedeutico ad ogni lite giudiziaria vera e propria, i due istituti pubblici — il tentativo di composizione ed il recupero dei contri-buti — potranno essere visti non come due mutilati che si camminano a fianco ignorandosi, ma come portatori di fun-zioni perfettamente connesse e conserte, che nella loro raggiunta completezza, da un lato faranno diminuire la litigio-sità (o almeno quella delle aule giudi-ziarie) e dall'altra automaticamente aumentare il gettito contributivo. Gli Enti preposti alla vigilanza potranno cioè essere finalmente (senza che più esistano le giustificate remore odierne) posti in condizione di conoscere, siste-maticamente e direttamente dall'UPLMO, le voci distinte di tutte le transazioni che presso l'Organo di Stato interver-ranno fra datori di lavoro e lavoratori affinché sia facile l'individuazione di quelle assoggettabili a contribuzione. La riforma che supererà il pragmatismo attuale e l'approssimatività delle istitu-zioni odierne (le quali, come si è dimo-strato, presentano profili piuttosto di-scutibili ed incerti sui quali hanno do-vuto necessariamente innestarsi adatta-menti ed interpretazioni autoritative) avrà in definitiva il pregio e la conse-guenza — se sarà adottata — di fare crescere il senso dello Stato di fronte alle parti sociali, ridando ad esso forza, chiarezza e lineare sicurezza.
E trarrebbe vantaggio d'altronde anche 11 superiore concetto della giustizia di-stributiva: chi volesse cercare di sfug-gire al pagamento dei contributi non verrebbe ad essere in qualche modo pri-vilegiato come talvolta oggi potrebbe