PERICOLO → ESPOSIZIONE → DANNO
4. DESCRIZIONI DEI MODELLI RIPORTATI IN LETTERATURA PER L’ANALISI DEGLI INFORTUN
4.1 TEORIE SULLA CAUSA UNICA ED INDIVIDUALE
(L’INFORTUNATO È L’UNICO RESPONSABILE DELLA PROPRIA LESIONE)
Tra fine ottocento ed inizio novecento, gli infortuni sul lavoro
venivamo ancora considerati come dipendenti da forze
sovrannaturali, contro le quali nessuna misura preventiva poteva offrire una soluzione efficace, un atto divino, una fatalità. In seguito, si è creduto di poterli prevenire con correzioni ed adattamenti sulle macchine e sulle attrezzature di lavoro, ma i risultati di questi interventi sono stati insoddisfacenti. Alla fine della prima guerra mondiale, con lo sviluppo delle scienze umane, prima fra tutte la psicologia, ha preso piede un interesse via via crescente per il fattore umano nello studio degli infortuni.
Negli stessi anni i risultati delle ricerche condotte sugli infortunati hanno indirizzato gli studi verso le cause individuali d'infortunio. I contributi più importanti sono quelli di Greenwoond e Wood dell'Industrial Fatigue Research Board (1919), che mirano soprattutto a verificare se la distribuzione degli infortuni, all'interno di una popolazione lavorativa, risponde ad un particolare modello matematico. I tre modelli considerati furono:
il puro caso: la distribuzione degli infortuni in una
rischi è casuale fra gli individui e pertanto tutti hanno la stessa probabilità di subire un infortunio;
la suscettibilità modificata: in una popolazione
lavorativa gli individui hanno un'identica probabilità iniziale di infortunarsi. Dopo aver subito un primo infortunio, la probabilità di subirne un altro risulta diversa rispetto alla media della popolazione. Questo perché l’infortunato può accrescerla (ipotesi del “Contagio”) o ridurla (ipotesi del “Dito scottato”);
la diversa suscettibilità iniziale: gli individui che
appartengono ad una stessa popolazione lavorativa non hanno tutti inizialmente lo stesso rischio d'infortunarsi, ma esiste invece un piccolo sottogruppo al cui interno si può registrare una forte incidenza infortunistica.
Il fattore umano visto come causa unica d'infortunio ha dato luogo allo sviluppo di due correnti di pensiero (Cazamian e coll, 1971); quella della predisposizione individuale e quella della suscettibilità ad infortunarsi.
4.1.1 Predisposizione individuale
La prima si ricollega a caratteristiche proprie della natura umana che risulta disomogenea tra gli individui. Essa parte dal presupposto che tale natura nel corso della vita, renda alcuni individui più vulnerabili, indipendentemente dal lavoro svolto. L'approccio preventivo che ne deriva consiste nella “selezione” al momento dell'assunzione. Quindi, gli psicologi del lavoro, attraverso
la selezione al momento dell’assunzione, hanno anche il compito di individuare e ed eliminare dal gruppo gli individui che possiedono quei tratti “immutabili”. Sono numerose le critiche metodologiche avanzate nei confronti delle ricerche condotte su questo tema, dalla mancanza di omogeneità nella formazione dei gruppi di controllo, dovuti in particolare alla valutazione della gravità delle lesioni riportate od al rischio a cui l’individuo è esposto. È importante rilevare che nelle ricerche di Schulzinger (citato in Baudot de Nève, 1975), la predisposizione agli infortuni non è innata ma acquisita essendo legata ad un momento particolare di un ciclo di vita dell’individuo, il quale risulta più a rischio per l'influenza di determinati fattori (età, preoccupazioni personali, ecc,).
4.1.2 Suscettibilità ad infortunarsi
La seconda corrente di pensiero non si preoccupa più dell’ereditarietà di tali caratteri ma piuttosto si basa sulla capacità di modellare l’individuo in senso favorevole alla sicurezza acquisendo quei tratti della struttura della personalità e delle attitudini individuali attraverso la formazione. Questo rappresenta un grande passo in avanti all’idea di predisposizione definitiva e stabile. Si passa ad una
predisposizione trasformabile con l'esperienza, influenzata
dall'ambiente in generale, dall'ambiente sociale e, più in particolare, dalla formazione specifica.
4.1.3 Teorie della psicoanalisi
Le teorie più spesso citate per spiegare perché i tratti, i comportamenti, e le attitudini individuali possono essere cause d'infortunio hanno origini diverse ma tutte ispirate alla psicoanalisi.
La prima teoria cerca di spiegare la genesi degli infortuni tramite le motivazioni inconsce dell’individuo, presupponendo
che il ferirsi rappresenti un gesto di autopunizione al desiderio del lavoratore di sfuggire a conflitti personali od al bisogno di evadere dal lavoro o di contestare l'autorità. La teoria pone l'accento esclusivamente sull’individuo e sulla interazione che esiste tra la sua personalità e la percezione che ha dell’ambiente.
La seconda, teorizzata da Hill e Trist, avanza l’ipotesi della fuga dell’individuo dalla propria situazione lavorativa.
L’individuo infelice del lavoro che svolge ha una tendenza ad allontanarsene.
La terza, sviluppata da Kerr negli anni 50 prende il nome di teoria dello stress da adattamento e della vigilanza. Gli individui
che non riescono ad adattarsi all'ambiente di lavoro avranno la tendenza ad avere più infortuni degli altri a causa dello stress fisico e psicologico. L’individuo, dovendo reprimere i propri scopi, subisce un infortunio a causa della mancanza di vigilanza, derivante dal fatto che non può scegliere gli obiettivi della sua condizione lavorativa. In questo caso l’aumento dello stress psicologico può danneggiare la salute degli individui e un individuo ha maggiori
probabilità di provocare un incidente, che potrà a sua volta generare un infortunio.
Se invece la situazione lavorativa diventasse più gratificante e l’individuo avesse l’impressione di avere una certa autonomia nell’ambiente di lavoro, la vigilanza crescerebbe e con questa diminuirebbe la probabilità di provocare l’incidente.
La quarta, ma non per ordine di importanza, è la teoria delle tessere del domino che ha influenzato notevolmente il pensiero
sulla sicurezza del lavoro. La teoria elaborata da Heinrich nei primi anni 30 afferma che nel corso di un infortunio esiste una catena di eventi che si producono secondo un ordine fisso, logico od invariabile nel tempo. Ciascun evento dipende da quello che lo precede e provoca quello successivo. Per spiegare questa sequenzialità lo studioso paragona questa catena ad una serie dì cinque tessere di domino. L’ordine delle tessere è il seguente:
ereditarietà e ambiente sociale
errore individuale
azione o condizione pericolosa
infortunio
Secondo Heinrich, eliminando le azioni pericolose si impedisce il verificarsi degli infortuni