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IL RUOLO DELL’UFFICIALE DI POLIZIA GIUDIZIARIA NELL’ESECUZIONE DELLE INDAGINI PER INCHIESTE INFORTUNI E MALATTIE PROFESSIONALI: ASPETTI PROCEDURALI, ORGANIZZATIVI E COMPORTAMENTALI

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INDICE

1. INTRODUZIONE p. 5

2. ANALISI DEL CONTESTO p. 13

2.1 CENNI STORICI SUL SISTEMA DI VIGILANZA p. 13 2.2 INQUADRAMENTO DEL TECNICO DELLA PREVENZIONE p. 19 2.3 L’ATTIVITÀ DI POLIZIA GIUDIZIARIA p. 26 2.4 COMPITI DI POLIZIA AMMINISTRATIVA

E DI POLIZIA GIUDIZIARIA DELL'USL p. 35 2.5 INFORTUNI E MALATTIE PROFESSIONALI p. 47

2.6 OBBLIGO DI REFERTO p. 51

2.7 LESIONI PERSONALI E REATI CON PROCEDIBILITÀ

D’UFFICIO p. 55 3. DEFINIZIONI p. 58 3.1 INCIDENTE p. 58 3.3 INFORTUNIO p. 59 3.2 MALATTIA PROFESSIONALE p. 63 3.4 INCHIESTA INFORTUNI p. 68

3.5 INCHIESTA MALATTIA PROFESSIONALE p. 70

4. DESCRIZIONI DEI MODELLI RIPORTATI IN LETTERATURA

PER L’ANALISI DEGLI INFORTUNI p. 79 4.1TEORIE SULLA CAUSA UNICA ED INDIVIDUALE

(l’infortunato è l’unico responsabile della propria lesione) p. 79 4.1.1 Predisposizione individuale p. 80 4.1.2 Suscettibilità ad infortunarsi p. 81 4.1.3 Teorie della psicoanalisi p. 82

4.2MODELLI DECISIONALI p. 84

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4.2.2 Il metodo da Hale e Hale rielaborato da Corlett

e Gilbank p. 89

4.2.3 ModelloLagerlÖf p. 92

4.3MODELLI SEQUENZIALI E DECISIONALI p. 94

4.4MODELLI SISTEMICI p. 98

4.4.1 Teorie situazionali p. 100

4.4.2 L’albero delle cause e l’albero delle variazioni p. 102

4.4.3 Il MORT (Managerial Oversight and Risk Tree) p. 104

4.4.4. Commento ai modelli sistemici p. 106 4.5MODELLI ENERGETICI SEQUENZIALI E SISTEMICI p. 107 4.5.1 Il Modello Finlandese o Tuominen e Saari p. 109

4.5.2 Il Modello OARU p. 112

4.5.3 Commenti ai modelli energetici sequenziali

e sistemici p. 117

4.6STUDIO SISTEMICO DELL’ORGANIZZAZIONE

DEL LAVORO p. 119

5.PUNTI DI CONTATTO NEI METODI FIN QUI ANALIZZATI p. 123

6. MODELLO PROPOSTO PER L’ESECUZIONE DELLE

INCHIESTE INFORTUNI p. 125

6.1DESCRIZIONE E ANALISI DEL METODO p. 127

6.2ESCRIZIONE DEGLI ASSI p. 142

6.3ESEMPIO DI APPLICAZIONE SUL SINGOLO INFORTUNIO p. 151

7. APPLICAZIONE DEL METODO “SBAGLIANDO SI IMPARA”

COME MODELLO DI RIFERIMENTO p. 169

8. DEFINIZIONE DELLA PROCEDURA PER L’ESECUZIONE

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8.1 DEFINIZIONE DELLA PROCEDURA DI INTERVENTO

PER L’ESECUZIONE DELLE INCHIESTE PER INFORTUNI p. 174

8.2 DEFINIZIONE DELLA PROCEDURA DI INTERVENTO PER L’ESECUZIONE DELLE INCHIESTE PER MALATTIE

PROFESSIONALI p. 188

9. ASPETTI RELAZIONALI DURANTE L’ESECUZIONE

DELL’INCHIESTE p. 198

10.CONCLUSIONI p. 223

BIBLIOGRAFIA p. 227

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1. INTRODUZIONE

Considerando che in questo difficile momento dello stato economico del paese è sicuramente limitativo affrontare gli aspetti di sicurezza sul lavoro solo dal punto di vista del codice di procedura penale, il tecnico della prevenzione con la qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria addetto alla sicurezza nei luoghi di lavoro è diventato difensore dei diritti dello stato di salute. Infatti con l’evolversi della normativa è diventato sia tutore e sia consulente del benessere della collettività attraverso la sorveglianza ed il miglioramento degli ambienti di vita e di lavoro. A seguito della creazione dei Servizi di prevenzione igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro (P.I.S.L.L.) presso le Aziende UU.SS.LL, sin dai primi anni ottanta, la Regione Toscana ha evidenziato l’importanza di sostenere la funzione di vigilanza ed ispezione assegnata ai servizi, con una specifica azione formativa rivolta al personale a cui viene attribuita la nomina prefettizia di Ufficiale di Polizia Giudiziaria. A questo va associato l’importanza di dare un’approfondita conoscenza a coloro che effettuano le inchieste su infortuni e malattie professionali all’interno di un percorso di formazione, in quanto attività specifica e peculiare ai fini della prevenzione ma anche dell’azione penale e relative responsabilità.

Gli infortuni e le malattie sul lavoro sono eventi che hanno un elevato costo sociale. Chi ne è vittima subisce lesioni che possono pregiudicare l’integrità fisica, la sicurezza dell’impiego, il livello economico e la qualità della vita. Molteplici ed onerose sono le

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perdite ed i danni materiali ed economici che l’azienda e la società deve sostenere. Per questi ultimi basta pensare ai costi indiretti e intangibili che i familiari delle vittime devono sostenere senza tener conto dei costi diretti sanitari e non sanitari. Infatti:

- i costi indiretti sono i costi riferibili alla malattia in modo

indiretto, in corrispondenza di risorse impiegate senza un esborso diretto di denaro. Si riferiscono alle risorse che non è stato possibile produrre a causa della malattia. Tali costi sono a carico totale o parziale del malato o infortunato e dei familiari. Sono i così detti costi della perdita di produttività. Questi si riferiscono ad esempio alle:

• giornate di lavoro perse dal soggetto per il trattamento e l’assistenza sanitaria;

• giornate di lavoro perdute dal paziente per disabilità momentanee;

• giornate di lavoro perdute in termini di minore produttività del lavoratore;

• giornate di lavoro perdute dai familiari per l’assistenza al paziente.

- i costi intangibili: sono i costi di natura psicologica e

sociale riconducibili al dolore all’ansia, alla depressione, ai cambiamenti nell’aspetto fisico, alla modificazione delle proprie abitudini, all’impatto emotivo causato dalla malattia sul paziente e sui suoi familiari.

Nell’esaminare isolatamente la “storia” di ogni evento sia esso un infortunio che una malattia professionale è possibile avvertire la

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presenza di elementi aleatori, imponderabili ed anche se esiste un ruolo del “caso” nell’origine sia della malattia che dell’infortunio, la realtà delle cifre ci avverte che si tratta di un ruolo assolutamente secondario.

La prevenzione degli infortuni e delle malattie sul lavoro rappresenta quindi un obiettivo sociale dai molteplici vantaggi a breve, medio e lungo termine.

Per fare prevenzione vanno messe in relazione diverse attività tra loro complementari: la regolamentazione e la normalizzazione degli ambienti di lavoro, dei dispositivi, delle macchine e delle attrezzature; la formazione e l'informazione sui luoghi di lavoro; la preparazione e l'applicazione di programmi di prevenzione adatti ai bisogni di un settore di attività o di una data azienda, la ricerca e lo sviluppo.

I soggetti chiamati ad attuare le forme di prevenzione sono gli imprenditori e i lavoratori attraverso le loro rappresentanze, per quella diretta, gli organi di vigilanza per quella delegata e, infine, gli organi di polizia giudiziaria e la magistratura per quella giurisdizionalizzata.

Quando si parla di organi di vigilanza in materia prevenzionale si pensa generalmente solo agli organi istituzionalmente preposti al controllo e alla repressione delle violazioni della disciplina antinfortunistica e di igiene del lavoro. In questo modo non si tiene conto del fatto che i livelli di prevenzione sono tre:

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1) quello primario, della cosiddetta «prevenzione spontanea» svolta dalle stesse forze interessate al processo produttivo e attuata a prescindere dall'esistenza di obblighi penalmente tutelati;

2) quello della prevenzione assunta come compito

fondamentale dello Stato, da espletare mediante organi amministrativi specialistici;

3) il terzo, infine, che riguarda la prevenzione

realizzata coattivamente attraverso l'applicazione di norme, la cui inosservanza è sanzionata penalmente e che, quindi, da luogo ad ipotesi di reati contravvenzionali per i quali è necessario l'intervento del giudice.

I tre piani di prevenzione, per realizzare seriamente la sicurezza in fabbrica e nel posto di lavoro, dovrebbero integrarsi e completarsi a vicenda, senza squilibri e prevaricazione dell'uno sugli altri, così da garantire la partecipazione più ampia al conseguimento del massimo risultato possibile.

L'ideale sarebbe il raggiungimento di una situazione di equilibrio dinamico fra le varie fasi, con la collaborazione di tutti gli interessati ad un programma concordato di sviluppo complessivo.

Purtroppo, però, la storia del nostro ordinamento dimostra che, di volta in volta, si è puntato sull'una o sull'altra forma di intervento, a seconda delle condizioni e delle concezioni dominanti, senza preoccuparsi di potenziare in modo adeguato le restanti funzioni e

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con l'inevitabile risultato di uno sbilanciamento e di una disarmonia generale, che hanno finito per pesare negativamente sul sistema comprendendone una giusta soluzione ed una sana crescita.

La riforma sanitaria del 1978, pur senza dirlo esplicitamente, è intervenuta a sancire la fine del principio della priorità dell'autotutela sindacale in materia di sicurezza sul lavoro, disegnando un sistema di gestione partecipata che toglie il primato alle rappresentanze sindacali, coinvolgendole nell' attività amministrativa di prevenzione svolta dagli organi pubblici di vigilanza. Le rappresentanze dei lavoratori e il sindacato finiscono così per passare quasi inavvertitamente dal ruolo di protagonisti a quello di semplici partecipanti.

Oggi attraverso il recepimento delle direttive europee l’ordinamento italiano è passato da una concezione in cui il datore di lavoro era semplicemente un debitore di sicurezza tenuto ad attuare obbligatoriamente alcuni precetti di prevenzione, ad una concezione che richiede un sistema di prevenzione della salute e della sicurezza fondato sulla partecipazione dei lavoratori quali soggetti attivi che, attraverso i loro rappresentanti (rls), intervengono nella predisposizione e nell’attuazione delle misure di sicurezza. In sostanza il Dlgs 626/1996 prima e il nuovo Testo Unico (D.Lgs 81/2008 smi) dopo, hanno dato vita ad un sistema di relazioni tra diversi soggetti (datore di lavoro, dirigenti, preposti, medico competente, responsabile del servizio di prevenzione, ecc) confermando senza alcun dubbio la scelta legislativa di un modello

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di prevenzione a carattere partecipativo obbligatorio, cioè la indispensabilità della presenza in ogni contesto lavorativo anche dei rappresentanti dei lavoratori.

La riforma sanitaria del 1978 ha esaltato soprattutto la fase della prevenzione amministrativizzata, delegandola al servizio sanitario nazionale. Questa norma non ha neppure cercato di superare l'ambiguità di fondo costituita dal contemporaneo permanere accanto alla prevenzione amministrativizzata una prevenzione giurisdizionalizzata comportante l'obbligo dell'accertamento e della denuncia delle contravvenzioni alla disciplina sulla sicurezza e, quindi, l'espletamento di compiti di polizia giudiziaria che fanno capo al medesimo organo di vigilanza.

Si perpetua, così, una delle più gravi contraddizioni del vecchio sistema, che ha pesato negativamente sul buon funzionamento del servizio di prevenzione svolto dallo Stato e che, se non lo ha paralizzato del tutto, ne ha certamente indebolito in modo notevole l'efficacia, creando anche complesse questioni interpretative circa l'ambito dei poteri, delle competenze e degli obblighi dell'organo di vigilanza.

Questi problemi, su cui in passato si è a lungo dibattuto, senza trovare soddisfacenti soluzioni, sono stati ora ereditati di sana pianta dal nuovo sistema, anzi si sono addirittura ulteriormente aggrovigliati, per effetto della distinzione, anche soggettiva, operata all'interno degli organi di vigilanza fra chi esercita compiti di

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prevenzione amministrativa e chi svolge, nel medesimo settore, attività di polizia giudiziaria. Si è creata, in tal modo, una spaccatura profonda, una dicotomia non solo funzionale, ma anche soggettiva che ha determinato problemi di coordinamento, di limiti e di autonomia, di non facile soluzione. L'intenzione del legislatore della riforma sanitaria di privilegiare il momento amministrativo della prevenzione in materia di sicurezza sul lavoro è rimasta, almeno finora, un semplice proposito, di fatto superato, da una realtà operativa che si muove irresistibilmente in senso opposto. Di fatto, è sempre sull'aspetto punitivo che finisce per cadere l'accento di tutta l'azione degli organi di vigilanza. La rilevazione di una situazione di rischio in contrasto con la normativa prevenzionale fatta da qualunque funzionario, impone l'obbligo della denuncia all'A.G. della violazione riscontrata e quindi, inevitabilmente fa scattare il meccanismo dell'intervento giudiziario repressivo spostando l'azione preventiva in punitiva.

L’attuale assetto economico e legislativo ha evidenziato l’importanza di sostenere la funzione di vigilanza ed ispezione assegnata ai servizi in modo da garantirne non solo l’autorità ma anche quell’autorevolezza e competenza tecnica richiesta al

personale incaricato a svolgere tali funzioni. Pertanto il tecnico

della prevenzione assunto nella pubblica amministrazione che in gran parte dei casi riveste la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, nell'affrontare il suo lavoro, deve tenere si conto degli aspetti di procedura penale e di indagine, ma deve tenere conto anche degli aspetti tecnici, dei metodi di comportamento e di

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indagine precisi che garantiscono l'effettivo raggiungimento del risultato in termini soprattutto preventivi, mettendoli sullo stesso piano di quelli penali.

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2. ANALISI DEL CONTESTO

2.1.CENNI STORICI SUL SISTEMA DI VIGILANZA

Per comprendere a fondo quale sia la portata del problema oggetto del presente lavoro e quali le sue conseguenze, occorre preliminarmente fornire alcuni cenni storici, senza pretesa di esaustività. Dopo alcuni tentativi partiti alla fine del 1800 con il governo Depretis, fu solo nel 1902 che il legislatore decise di creare, presso il Ministero dell'Agricoltura Industria e Commercio, un Ufficio del Lavoro che aveva il compito di raccogliere, coordinare e pubblicare informazioni relative al lavoro su tutto lo Stato e nei paesi esteri coinvolti dall'emigrazione italiana: gli impiegati di

questo ufficio furono i primi ispettori del lavoro nel nostro paese.

Si dovrà attendere il 1906 per avere un vero e proprio Corpo di Ispettori del Lavoro. Gli anni successivi videro nascere una prima organizzazione che rimase sotto il controllo centrale dello Stato italiano. Tale organizzazione venne modificata profondamente a seguito della prima guerra mondiale e dall'avvento del regime fascista. Conseguentemente gli Ispettorati divennero di volta in volta amministrazioni periferiche di differenti dicasteri (da quello del lavoro e della previdenza sociale, nato nel 1920, a quello dell'economia).

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Con il passaggio alla Repubblica, l'Ispettore del Lavoro conosce un'evoluzione segnata dalla rapida ascesa sociale ed economica e da nuove idee legislative e scientifiche.

Negli anni cinquanta con il DPR 19 marzo 1955 n. 520 (“Riorganizzazione centrale e periferica del Ministero”), vennero poste le basi dell'attuale ordinamento dell'Ispettore del Lavoro: esso dipendeva dall'Ispettorato del Lavoro con sede in ogni Provincia, ed era organo periferico del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Pertanto fino al 1982 l’onere di svolgere la vigilanza era demandato al Ministero del Lavoro, organo centrale dello stato.

Le sanzioni comminate, erano tutte di natura penalistica e la funzione dell'Ispettore era quella di accertare e fare rapporto al magistrato inquirente (da qui la qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria, l'art. 8 del DPR n. 520/1955). Un sistema di questo tipo, pur esistendo meccanismi deflattivi dell'ambito penalistico, non permetteva una tutela rapida dei diritti dei lavoratori che venivano penalizzati dalle lungaggini che affliggevano già allora i processi civili e penali. Successivamente ad una serie di riforme avvenute negli anni sessanta, si ampliarono i diritti dei lavoratori, reprimendo fenomeni come il "caporalato" e riconoscendo la posizione dei sindacati nelle aziende, ponendo le basi per l'emanazione della Legge n. 300/1970 c.d. “Statuto dei lavoratori”. Con l'aumentare dei compiti dell'Ispettorato del Lavoro, nasceva l'esigenza di fornire strumenti sanzionatori più immediati, bypassando le lungaggini del

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processo penale ordinario: la soluzione venne trovata trasformando moltissime sanzioni penali in sanzioni amministrative pecuniarie (Legge n. 689 del 1981 ). Praticamente, l'ispettore poteva irrogare direttamente la sanzione con proprio provvedimento e il trasgressore poteva fare ricorso con costi e tempi contenuti, rispetto a quelli del processo penale. Esisteva comunque in estrema ratio la possibilità di rivolgersi al giudice per risolvere l'eventuale controversia. Il processo di depenalizzazione degli anni '70 costituì una modifica di enorme importanza per il lavoro dell'Ispettore, che rimane ancor oggi subordinato al sistema di vigilanza basato sul modello del comando/controllo. Nel frattempo, però, la Legge n. 833/78, istituenda del Servizio Sanitario Nazionale, aveva trasferito alle regioni gran parte delle funzioni di vigilanza in materia di igiene e sicurezza del lavoro. Il S.S.N. legittimato con la legge del 23 dicembre 1978, a partire dalle riforme legislative dei primi anni novanta, ha reso sempre più incisive ed autonome le funzioni delle Regioni in materia di legislazione concorrenziale sanitaria, assistendo ad una continua rimodulazione delle stesse. Le Regioni hanno visto, accrescere nell’ultimo decennio il ruolo ad esse conferito dal potere statale in questa delicata materia. Così ché, la modifica del Titolo V, Parte II, della Costituzione – che è intervenuta nel 2001 con la legge costituzionale n. 3 ha fornito al potere regionale ulteriori occasioni di crescita del proprio potere, conquistando ampi spazi di autonomia nella configurazione del regime organizzatorio e funzionale dei propri servizi sanitari, modificando profondamente l’assetto delle competenze tra Stato e Regioni.

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L’attuale art. 117 della Costituzione, contemplando una serie di materie concorrenti disciplinate nei loro principi fondamentali dallo Stato e nel dettaglio dalle Regioni, hanno contribuito alla evoluzione “in senso federalistico” dei decreti di riordino dei primi anni novanta e, più recentemente, in senso più deciso, l’accordo dell’8 agosto 2001 tra Stato e Regioni. E perché allora non valutare di legiferare in merito allo scorporo:

a) di un nuovo modello del sistema di vigilanza ASL; b) la terziarizzazione del personale del SSR.

Attualmente dunque la vigilanza in materia di sicurezza e igiene del lavoro è espletata, nell’ambito delle rispettive competenze, dalle regioni attraverso le Aziende Sanitarie Locali (AA.SS.LL) e dallo Stato attraverso l’ISPESL (oggi INAIL), le Direzioni Provinciali del Lavoro, i Vigili del Fuoco. Un’attività di solo accertamento, è svolta dall’INAIL per gli aspetti esclusivamente assicurativi.

La Legge di riforma sanitaria n. 833/78 ha trasferito alle AA.SS.LL le competenze amministrative primarie, ovvero la vigilanza in materia di sicurezza e igiene del lavoro. Agli Ispettori del lavoro sono rimaste le funzioni di Polizia Giudiziaria e il controllo sul contratto di lavoro (emersione del nero, controversie sulla tipologia di contratto, corrispettivi non pagati, ecc.). Pertanto, in materia di sicurezza e igiene del lavoro operano due diverse categorie di ufficiali di polizia giudiziaria:

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1) Ispettori del lavoro, che operano su denuncia o su richiesta dell’autorità giudiziaria, con obbligo di inoltrare sempre rapporto alla stessa in caso di constatazione di reato;

2) Ispettori delle AA.SS.LL ai quali, spetta l’esercizio dell’attività di vigilanza ordinaria.

Il Decreto Legislativo n. 81/08 s.m.i., sostanzialmente conferma le attribuzioni e le competenze di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro già assegnate alle AA.SS.LL ex art. 23 D.Lgs 626/94 – oggi D.Lgs 81/08 s. m. i. art. 13 c.1. La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro è svolta dall’Unità Sanitaria Locale e, per quanto di specifica competenza, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché, per il settore minerario, al Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato.

Il legislatore con l'art. 20 della legge 23.12.1978, n. 833 ha assegnato un ruolo chiave nell'attività di prevenzione al servizio sanitario nazionale. Infatti ha disposto che le Aziende Sanitarie partecipassero attivamente a:

a)l'individuazione, l'accertamento ed il controllo dei fattori di nocività, di pericolosità e di deterioramento negli ambienti di vita e di lavoro e ciò anche mediante collaudi e verifiche di macchine, impianti e mezzi di protezione prodotti, installati o utilizzati nel territorio dell'unità sanitaria locale;

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b)la comunicazione dei dati accertati e la diffusione della loro conoscenza, sia direttamente che tramite gli organi del decentramento comunale;

c)la indicazione delle misure idonee all'eliminazione dei fattori di rischio ed al risanamento di ambienti di vita e di lavoro;

d)la formulazione di mappe di rischio con l'obbligo per le aziende di comunicare le sostanze presenti nel ciclo produttivo e le loro caratteristiche tossicologiche ed i possibili effetti sull'uomo e sull'ambiente;

e)la profilassi degli eventi morbosi, attraverso l'adozione delle misure idonee a prevenirne l'insorgenza;

f)la verifica, secondo le modalità previste dalle leggi e dai regolamenti, della compatibilità dei piani urbanistici e dei progetti di insediamenti industriali e di attività produttive in genere con le esigenze di tutela dell'ambiente sotto il profilo igienico-sanitario e di difesa della salute della popolazione e dei lavoratori interessati».

Come si vede, alcune di queste attività prevenzionali non possono che essere espletate mediante interventi ispettivi e di vigilanza, che portano il funzionario dell'ASL a dover controllare direttamente il modo in cui le aziende applicano le misure prevenzionali e, quindi, a venire a contatto con una serie inevitabile di ipotesi contravvenzionali che fanno scattare l'obbligo di informare l'A.G., mettendo in moto il meccanismo repressivo penale.

Mantenere una precisa linea di discrimine fra l'attività prevenzionale amministrativa e quella di polizia giudiziaria è

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estremamente arduo, essendo molto facile e spesso inevitabile il trapasso dall'una all'altra.

Ancora più complicata appare, poi, la divisione, all'interno della stessa ASL, fra chi si occupa della prima funzione e chi della seconda.

2.2 INQUADRAMENTO DEL TECNICO DELLA

PREVENZIONE

In questo quadro il legislatore ha voluto affrontare il ruolo del

tecnico della prevenzione. Il "Tecnico della Prevenzione

nell'Ambiente e nei Luoghi di Lavoro" è l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, è responsabile, nell'ambito delle proprie competenze, di tutte le attività di prevenzione, verifica e controllo in materia d'igiene e sicurezza ambientale nei luoghi di vita e di lavoro, di igiene degli alimenti e delle bevande, di igiene e sanità pubblica e veterinaria. Il profilo professionale del Tecnico della Prevenzione nell'Ambiente e nei Luoghi di Lavoro è disciplinato dal Decreto Ministeriale 17 gennaio 1997 n. 58.

La laurea triennale di 1º livello in Tecniche della Prevenzione nell'Ambiente e nei Luoghi di Lavoro, conseguito ai sensi dell'art. 6, comma 3, del Decreto legislativo 30 febbraio 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria), e successive modifiche, abilita all'esercizio della professione.

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Il Corso di Laurea in "Tecniche della Prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro" afferisce alla Classe delle lauree L/SNT4

stabilite dal Decreto Interministeriale 19 febbraio 2009

(Determinazione delle Classi delle lauree delle professioni sanitarie) ai sensi del D.M. 22 ottobre 2004, n. 270.

Il moderno profilo professionale del Tecnico della Prevenzione nell'Ambiente e nei Luoghi di Lavoro porta dentro se le esperienze e le competenze del Vigile Sanitario Comunale, Guardie di Sanità (1907), del Vigile Sanitario Provinciale, dell'Ispettore d'Igiene (1970-1984). La Legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale), nell'attribuire alle Unità Sanitarie Locali l'esercizio delle funzioni per le attività di prevenzione aveva previsto che le stesse si avvalessero degli operatori sia dei propri servizi di igiene sia dei servizi multizonali. Inoltre per quanto riguarda l'igiene del lavoro veniva disposto che alle Unità Sanitarie Locali venissero attribuiti i compiti svolti dall'Ispettorato del Lavoro in materia di prevenzione, di igiene e di controllo di salute dei lavoratori con l'organizzazione di propri servizi di igiene ambientale e di medicina del lavoro. Nulla veniva precisato, invece, in merito al personale di igiene e sanità pubblica. Con il DPR 20 dicembre 1979 n. 761 (Stato giuridico del personale delle USL) viene inquadrata la figura di "Personale di Vigilanza e Ispezione". Con il DM 30 gennaio 1982 (Normativa concorsuale) venivano stabiliti i nuovi titoli per l'accesso ai concorsi pubblici: diplomi di Perito Industriale, di Perito Agrario e di Geometra.

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Con il DPR 7 settembre 1984 n. 821, venivano attribuite al personale di vigilanza e ispezione attività e funzioni orientate verso l'autonomia professionale e la Legge 26 febbraio 1999 n. 42 (Disposizioni in materia di professioni sanitarie) cancella ogni residuo concetto di ausiliarietà e complementarietà. Al Tecnico della Prevenzione viene assegnato un proprio campo di attività; gli vengono riconosciute una propria responsabilità professionale, una propria autonomia professionale e pari dignità rispetto alle altre professioni sanitarie. Nel Decreto 27 luglio 2000 viene definita l'equipollenza di diplomi e attestati al diploma universitario di Tecnico della Prevenzione nell'Ambiente e dei Luoghi di Lavoro, ai fini dell'esercizio professionale e dell'accesso alla formazione post-base. Nel Decreto 3 novembre 2011, modifica del Decreto 27 luglio 2000, vengono aggiunti i titoli di Guardia di Sanità e Personale dell'ex-Comando antidroga e dell'ex-Comando antisofisticazioni e sanità transitato nel Comando Carabinieri per la tutela della salute, con il grado minimo di brigadiere. L'art. 4 della legge 10 agosto 2000 n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica) definisce gli ambiti e le attività degli operatori delle professioni tecniche della prevenzione mentre l'art. 5 del Decreto 29 marzo 2001 identifica le figure professionali del Tecnico della Prevenzione nell'Ambiente e nei Luoghi di Lavoro e dell'Assistente Sanitario quali costituenti le professioni tecniche della prevenzione.

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1. il tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro, operante nei servizi con compiti ispettivi e di vigilanza è, nei limiti delle proprie attribuzioni, ufficiale di polizia giudiziaria;

2. svolge attività istruttoria, finalizzata al rilascio di

autorizzazioni o di nulla osta tecnico sanitari per attività soggette a controllo.

3. Nell'ambito dell'esercizio della professione, il

tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro: a) istruisce, determina, contesta e notifica le irregolarità rilevate e formula pareri nell'ambito delle proprie competenze;

b) vigila e controlla gli ambienti di vita e di lavoro e valuta la necessità di effettuare accertamenti ed inchieste per infortuni e malattie professionali;

c) vigila e controlla la rispondenza delle strutture e degli ambienti in relazione alle attività ad esse connesse;

d) vigila e controlla le condizioni di sicurezza degli impianti; e) vigila e controlla la qualità degli alimenti e bevande destinati all'alimentazione dalla produzione al consumo e valuta la necessità di procedere a successive indagini specialistiche;

f) vigila e controlla l'igiene e sanità veterinaria, nell'ambito delle proprie competenze, e valuta la necessità di procedere a successive indagini;

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h) collabora con l'amministrazione giudiziaria per indagini sui reati contro il patrimonio ambientale, sulle condizioni di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro e sugli alimenti;

i) vigila e controlla quant'altro previsto da leggi e regolamenti in materia di prevenzione sanitaria e ambientale, nell'ambito delle proprie competenze.

4. il tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro svolge con autonomia tecnico professionale le proprie attività e collabora con altre figure professionali all'attività di programmazione e di organizzazione del lavoro della struttura in cui opera. È responsabile dell'organizzazione della pianificazione, dell'esecuzione e della qualità degli atti svolti nell'esercizio della propria attività professionale;

5. il tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro partecipa ad attività di studio, didattica e consulenza professionale nei servizi sanitari e nei luoghi dove è richiesta

la sua competenza professionale; contribuisce alla

formazione del personale e collabora direttamente

all'aggiornamento relativo al proprio profilo e alla ricerca. 6. il tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro svolge la sua attività professionale, in regime di dipendenza o libero professionale, nell'ambito del servizio sanitario nazionale, presso tutti i servizi di prevenzione, controllo e vigilanza previsti dalla normativa vigente.

Il diploma universitario di tecnico della prevenzione

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6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all'esercizio della professione.

Da qui si evince il preciso mandato e volontà del legislatore nell’affidare un compito di vigilanza e controllo al tecnico della prevenzione.

Dopo l’avvento del D.M. 58/97 il percorso di studio universitario per tecnici di prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro prevede la trattazione di argomenti che riguardano il diritto processuale ed il diritto penale ma niente è stato innovato relativamente al disposto dell’articolo 21 della L. 833/7. Al fine di integrare i contenuti del percorso universitario con gli ambiti propri della funzione da esercitare per le attività di vigilanza nei luoghi di lavoro è indispensabile un passaggio formativo specifico prima del conseguimento della nomina di UPG.

La formazione dovrebbe affrontare:

- i rapporti tra attività amministrativa e di polizia giudiziaria; - il regime di responsabilità delle aziende private;

- il regime di responsabilità nella pubblica amministrazione; - la tipologia delle attività di polizia giudiziaria;

- la regolamentazione del regime sanzionatorio; - l’inchiesta per infortunio e malattia professionale; - tecniche di comunicazione e gestione dei conflitti; - diritti e doveri dell’ufficiale di polizia giudiziaria

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- favorirebbe scambi di conoscenze;

- assicurerebbe l’integrazione delle competenze, anche

con la partecipazione dei PM;

- sarebbe indispensabile per l’attività che i tecnici

andranno a svolgere.

La realizzazione dell’intervento formativo dovrebbe di fornire gli elementi per :

- favorire l’omogeneità dei comportamenti indipendentemente dalle peculiarità del territorio nel quale i tecnici si trovano ad operare. Tali scelte sono state più volte sottolineate positivamente dalle forze sociali che hanno ritenuto l’attività formativa uno strumento indispensabile al fine di evitare disparità di trattamento legate a comportamenti individuali;

- essere in grado di individuare, per i vari soggetti attori della

prevenzione previsti nella normativa italiana, l’ambito di

responsabilità per la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, nelle aziende pubbliche e private;

- la redazione degli atti di polizia giudiziaria;

- essere in grado di indicare gli elementi costitutivi del regime sanzionatorio, le procedure previste, gli atti;

- essere in grado di applicare il percorso previsto dal decreto legislativo 758/94;

- essere in grado di fornire gli elementi per conoscere le tappe fondamentali, a partire dal danno, per la ricostruzione del nesso causa-effetto in un infortunio o una malattia professionale, ai fini

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delle ricadute in termini di prevenzione e all’individuazione degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 590/589 del C.P.;

- essere in grado di conoscere gli elementi costitutivi degli atti di P.G. nell’inchiesta infortuni e malattia professionale da riportare al Pubblico Ministero a fini processuali.

- essere in grado di gestire con il suo comportamento le situazioni conflittuali e di tensione che si vengono a determinare durante le indagini.

2.3. L’ ATTIVITÀ DI POLIZIA GIUDIZIARIA

L’ambito in cui si colloca l’attività di polizia giudiziaria è determinato dall’art. 326 cpp. Il cpp. stabilisce che “il pubblico ministero e la polizia giudiziaria, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, svolgono le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale”. Quindi durante le indagini preliminari il pubblico ministero e la polizia giudiziaria operano, all’interno del proprio ruolo istituzionale, per svolgere le indagini necessarie a promuovere l’azione penale. In questa fase del processo penale i due soggetti sono accomunati dal perseguimento di un’unica necessaria finalità: svolgere le indagini dirette a promuovere l’azione penale. Tra i due organi (P.M. e P.G.) non c’è un rapporto, paritario ma una gerarchia, definita all’art. 327 cpp (Direzione delle indagini preliminari): “ il PM dirige le indagini e dispone direttamente della polizia giudiziaria”. Considerando che la responsabilità delle scelte all’interno del procedimento penale appartiene alla magistratura la direzione delle indagini preliminari

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spetta al P.M. e non può essere altrimenti. Il complesso rapporto che lega il PM alla polizia giudiziaria durante la fase delle indagini è espresso anche nell’art. 109 della Costituzione “l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria”. In questo potere di direzione è anche racchiusa una gerarchia funzionale che la legge esprime con il potere di “disporre direttamente”. Questo tipo di gerarchia ed organizzazione è stato molto discusso nella fase costituente. Infatti erano emerse due posizioni, tra loro non conciliabili: da una parte si voleva istituire un corpo di P.G., alle

dirette dipendenze della Magistratura completamente ed

esclusivamente dedicato a compiti di polizia giudiziaria. Da altri si voleva l’istituzione di corpi di P.G. appartenenti alle varie forze di polizia (in particolare Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza), organicamente da queste dipendenti, di cui i magistrati si sarebbero serviti per le indagini e per le operazioni di polizia giudiziaria.

Prevalse la seconda posizione e il legislatore costituente ebbe cura di specificare che la magistratura poteva disporre direttamente della P.G.. Questo stava a significare che i corpi di appartenenza non potevano e non dovevano costituire un ostacolo nel rapporto diretto tra l’autorità giudiziaria e i singoli ufficiali di P.G.

Dunque il rapporto che intercorre tra autorità giudiziaria e polizia giudiziaria ha ricevuto una sistemazione costituzionale. E’ confermata la dipendenza della P.G. dal proprio corpo di appartenenza, per quanto riguarda l’assetto organico, il profilo

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economico, quello disciplinare, quello organizzativo, ecc. Si afferma però una dipendenza funzionale della P.G. dal PM, ristretta cioè al mero ambito processuale, nella quale il rapporto è diretto tra PM e organi di P.G., senza nessun “filtro gerarchico” del corpo di appartenenza.

Questo assetto determina che:

- il PM non potrà intervenire nella “organizzazione” dei corpi di P.G. o nella definizione dell’azione di polizia di sicurezza o di polizia di prevenzione dei vari corpi che indubitabilmente spetta alla gerarchia di ciascun corpo;

- i singoli atti di indagine, all’interno del procedimento penale, vedono la direzione del PM in un rapporto “diretto” tra PM e organi di P.G..

Definita l’attività della polizia giudiziaria nel quadro

costituzionale, si devono definire le funzioni che la legge assegna agli organi di polizia giudiziaria. Tali funzioni sono descritte nell’art. 55 cpp.. “La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”.

Dunque le funzioni assegnate alla P.G. sono quattro:

1) prendere notizia dei reati anche di propria iniziativa. Più propriamente le notizie non si “ prendono”, si ricevono; ma qui con

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l’espressione “prendere notizia” il legislatore ha voluto sottolineare come una caratteristica dell’azione di P.G. sia quella diretta ad acquisire le notizie di reato, anche di propria iniziativa. La P.G. non si limita cioè a ricevere notizie da altri, denunce, querele, esposti, ecc., ma si attiva per “cercare” e “indagare” anche senza una sollecitazione esterna;

2) impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori. Si tratta di una funzione essenziale che non è lasciata alla discrezionalità della P.G. Essa si pone come servizio essenziale, non potendosi dubitare che evitare le ulteriori conseguenze dannose o pericolose di un reato, o addirittura la sua reiterazione, sia un preminente interesse sociale. Tale funzione trova particolare risalto quando, come nel nostro caso, l’organo di P.G. abbia, anche istituzionalmente, funzioni di prevenzione. In questo caso, il ripristino e il mantenimento di condizioni di sicurezza per i lavoratori (che è la finalità che la legge assegna agli organi di prevenzione nei luoghi di lavoro) singolarmente coincide con gli obblighi di polizia giudiziaria che maturano dopo l’avere appreso una notizia di reato;

3) Ricercare gli autori del reato. Si tratta di una delle funzioni più delicate che comprende la fase dell’attribuzione di un fatto reato ad una o più persone e alla loro identificazione. Vi è stato in passato un atteggiamento di scarsa attenzione a questo essenziale profilo dell’azione di P.G. da parte di qualche organo di polizia giudiziaria, come se la ricerca degli autori del reato dovesse essere compito della magistratura. Ma il compito della magistratura è processare ed eventualmente condannare gli autori dei reati; mentre nessuno si trova in migliore condizione per individuarli dell’U.P.G. che abbia

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ricevuta una notizia di reato; l’immediatezza della ricerca è uno dei fattori che favorisce l’individuazione degli autori. E’ accaduto in passato che gli organi di vigilanza sui luoghi di lavoro indicassero quale autore del reato un ente, una società o una persona giuridica. E’ del tutto intuitivo che nel nostro ordinamento penale la responsabilità può attribuirsi solo alle persone fisiche (art. 27 Costituzione “la responsabilità penale è personale”). Pertanto, anche se la ricerca si presenta difficile, occorre individuare colui o coloro che materialmente hanno commesso il fatto sanzionato penalmente. Tanto più, per quanto specificamente riguarda le contravvenzioni alle norme di igiene e sicurezza del lavoro, che a norma del D.l.vo 758/94 l’organo di vigilanza deve individuare il contravventore al quale obbligatoriamente indirizzare le prescrizioni;

4) Compiere gli atti necessari per assicurare le fonti prova. E’ chiaro che un peso decisivo avranno durante le indagini preliminari gli elementi raccolti dalla P.G., utili a dimostrare che il reato è stato commesso con definite modalità, in un certo tempo, in un luogo con certe caratteristiche, con alcuni strumenti e non con altri, con la violazione delle norme di sicurezza, ecc. Si tratta cioè di assicurare le fonti di prova che consentiranno al PM di sostenere l’accusa in maniera puntuale e documentata. Non c’è dubbio che proprio nell’esercizio di tale funzione di ricerca e documentazione degli elementi utili al processo penale si misuri la professionalità della polizia giudiziaria e la sua capacità di costituire un valido aiuto per il PM. Non va dimenticato che, proprio nella nostra materia, la specializzazione tipica degli organi della ASL, deve costituire un decisivo sostegno per il PM che talvolta è privo delle conoscenze

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tecniche che pure sono rilevanti nell’indagine. Spetta dunque alla P.G. assicurare nella fase delle indagini preliminari le necessarie conoscenze per particolari tipi di reati.

A queste quattro fondamentali funzioni della P.G. occorre aggiungere che essa è tenuta a svolgere le indagini e le attività disposte o delegate dall’autorità giudiziaria. Questa attività delegata non pone problemi, dal momento che il magistrato indica non solo quale attività deve essere svolta, ma anche le modalità con le quali svolgerla.

A questo punto si devono definire i soggetti ai quali la legge attribuisce le funzioni sopra descritte.

L’art. 56 cpp innanzitutto precisa che le funzioni di P.G. sono svolte: dai servizi di p.g. previsti dalla legge, dalle sezioni di P.G. istituite presso ogni procura della Repubblica e dagli ufficiali e agenti di P.G. appartenenti agli altri organi cui la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato.

Le sezioni di P.G. istituite presso le procure sono formate con personale appartenente ad altre amministrazioni quando siano presenti particolari esigenze di specializzazione. In passato talvolta è stato chiamato a far parte delle sezioni di P.G. anche personale appartenente agli organi di vigilanza sui luoghi di lavoro, ispettorati del lavoro o servizi di prevenzione delle USL. Non si può dire che questi esperimenti abbiano fatto buona prova. Questo personale,

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sottratto al suo lavoro istituzionale, che è la prevenzione nei luoghi di lavoro, ha perduto, dedicandosi al lavoro di indagine che è tipico delle procure, proprio quel contatto con la materia specializzata che era il motivo principale per il quale era stato chiamato.

L’art. 57 cpp, infine, elenca i soggetti che rivestono la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria. Nelle lettere a) b) e c) dell’articolo vengono ricordati i dirigenti, i commissari, gli ispettori e i sovrintendenti della polizia di stato; gli ufficiali superiori ed inferiori e i sottufficiali dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, degli Agenti di Custodia e del Corpo Forestale dello Stato; il Sindaco nei comuni ove non abbia sede un ufficio della Polizia di stato o un comando dei CC o della GdF.

Tutti questi soggetti sono U.P.G. in virtù della loro condizione di appartenenti ai corpi sopra elencati e lo sono senza limitazioni, per così dire, a tempo pieno di giorno e di notte, in servizio o fuori servizio.

Il 3° comma dell’art. 57 aggiunge all’elenco “ le p ersone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall’art. 55, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni”.

Si tratta dunque di “persone” che non appartengono ai corpi indicati nelle lettere a) e b), ma ad altre pubbliche amministrazioni, cui le leggi attribuiscono l’obbligo di compiere indagini a seguito

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della notizia di reato. Per quanto riguarda gli organi di vigilanza delle ASL sono U.P.G. le persone che, ai sensi dell’articolo 21 della legge 833/78, sono state nominate dal Prefetto su proposta del Presidente della Giunta Regionale, alle quali dunque spetta di svolgere le funzioni previste dall’art. 55 cpp.

Questo tipo di U.P.G., come altri appartenenti ad altre amministrazioni che la legge chiama a svolgere funzioni di polizia giudiziaria (vigili urbani, ispettori dei monopoli, vigili del fuoco, servizi di igiene sul territorio delle USL, funzionari doganali, addetti ai servizi veterinari delle ASL, ecc.), si differenziano profondamente dagli altri U.P.G. che abbiamo sopra elencato.

La differenza è data sostanzialmente dal fatto che, rispetto agli U.P.G. a tempo pieno, le categorie indicate dal 3° comma dell’art. 57 trovano nell’esercizio delle funzioni di P.G. due sostanziosi limiti.

Il primo limite è dato “ dall’essere in servizio”. Pertanto si possono esercitare le funzioni di P.G. solo in quanto si sia in servizio. I limiti del servizio sono prima di tutto limiti di orario. O meglio, quale che sia l’orario di servizio, occorre che, nella organizzazione che si è data l’ente di appartenenza, la persona che esercita funzioni di P.G. sia considerata in servizio.

Che poi sia in servizio ispettivo, o di vigilanza o di mera reperibilità, poco importa. Basta che l’organizzazione dell’ente in quel momento la preveda in servizio. Dal che discende che non è

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lecito svolgere funzioni di P.G. quando ci si trovi in itinere e si torni a casa, o quando si sia in ferie o in malattia, ecc.

Il secondo limite è espresso dalla norma con l’inciso “ secondo le rispettive attribuzioni”. Questa limitazione comporta il divieto di invadere altrui competenze nell’esercizio delle funzioni di P.G.. Se la legge attribuisce ai servizi di prevenzione dell’ASL la vigilanza sui luoghi di lavoro, è evidente che l’U.P.G. appartenente a questo servizio non potrà occuparsi dei reati in materia di igiene pubblica o di alimenti o di inquinamento ecc. Materie tutte che sono attribuite ad altri organi amministrativi.

L’altro limite è quello territoriale. Quando l’ente amministrativo sia organizzato per competenze territoriali, è inevitabile che anche le funzioni di P.G. (che sono legate, come s’è visto, al servizio), siano legittime solo se esercitate nell’ambito territoriale di competenza. Ciò vale naturalmente per tutte le attività a iniziativa della polizia giudiziaria, ma non può valere per l’attività delegata dell’autorità giudiziaria. Nessuna norma ostativa impedisce che il magistrato si serva di uno piuttosto che di un altro organo di polizia giudiziaria, dal momento che la responsabilità dell’indagine degli atti relativi appartiene per intero all’autorità giudiziaria.

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2.4 COMPITI DI POLIZIA AMMINISTRATIVA E DI POLIZIA GIUDIZIARIA DELL'USL

L’operatore del servizio nominato ufficiale di polizia giudiziaria con provvedimento del Prefetto, non cessa di essere un funzionario del servizio di prevenzione della ASL. E’ chiaro perciò che continuano ad incombere su di lui i doveri e i compiti diretti al perseguimento delle finalità istituzionali attribuite all’organo amministrativo cui appartiene.

Vi sono degli atti di natura spiccatamente amministrativa, che nei luoghi di lavoro possono essere compiuti “solo” da chi sia U.P.G. all’interno dei servizi. Come sostiene la Cassazione l’ispezione e la vigilanza nelle aziende sono compiti che appartengono all’attività di polizia amministrativa e cioè ai controlli amministrativi, e devono essere compiuti da coloro che hanno qualifica di U.P.G. e hanno natura di polizia amministrativa tutti gli atti che l’U.P.G. compie nel corso dell’ispezione, finalizzati all’accertamento dello stato dei luoghi ( rilievi, misurazioni, prelievi ambientali, visione di registri, sommarie informazioni presso il datore di lavoro od i lavoratori, ecc.).

Di fronte al manifestarsi più o meno esplicito di certe tendenze

rivolte ad individuare e ad accentuare una sorta di

contrapposizione, nella stessa legge di riforma sanitaria, fra attività di prevenzione e attività ispettiva o di vigilanza, con il conseguente privilegio della prima e la degradazione della seconda a mero strumento poliziesco di repressione, c'è chi ha giustamente

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sostenuto e difeso l'unità e complementarità di tutte le funzioni e dei compiti attribuiti alle USL, rilevando che: «Le attività ricognitive e

conoscitive, accertative, elaborative di giudizi, dispositive,

diffidatorie, repressive e di verifica dei risultati si fondono in un'azione unica che è quella di vigilanza, la quale non va concettualmente ristretta all'attività repressiva, ma deve essere intesa nel senso più ampio, come azione globale che, ancorché svolgente si attraverso fasi successive, mira ad un unico obiettivo ed un unico risultato».

Tale impostazione è più corretta ed equilibrata nell'affrontare il delicato e complesso problema della definizione delle funzioni dei nuovi organi del decentramento regionale cui è stata attribuita la competenza in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro. Ed emerge, inoltre, una precisa linea di continuità storica con la precedente situazione degli Ispettorati del lavoro, linea che non vi era alcuna ragione di interrompere, per tornare a posizioni di separatezza, fortemente criticate in passato e causa di non poche disfunzioni del servizio.

Probabilmente, a favorire l'opposto indirizzo ha concorso in misura determinante il fatto che la legge, a differenza del passato, ha limitato l'attribuzione dei poteri di p.g. solo ad alcuni funzionari dell'USL, così mostrando di volere quasi concretizzare a livello soggettivo la separazione delle funzioni e delle attività anche nell'ambito dello stesso organo. Ma, se non ci si lascia trarre in inganno da certe suggestioni immediate, è facile accorgersi che, in

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effetti, tutte le attività non solo tendono ad un unico risultato, ma sono fra loro strettamente collegate ed interdipendenti.

Un intervento di natura prevenzionale, che voglia articolarsi in forma sistematica e razionale, non può, infatti, prescindere da una fase conoscitiva, da una fase propositiva, da una fase di controllo e da una fase eventualmente repressiva, se ed in quanto vengano accertate delle inadempienze costituenti reato.

D'altra parte, tranne casi tutto sommato abbastanza limitati in cui l'USL agisce su delega espressa del magistrato o dietro segnalazione di una precisa notitia criminis, il più delle volte le visite di ispezione presso le aziende o gli ambienti di lavoro dovrebbero

essere promosse nell'ambito di un programma di attività rientrante nelle tipiche funzioni amministrative dell'organo locale di prevenzione. L'iniziativa, dunque, dovrebbe scattare con

queste caratteristiche e mantenerle fino a quando gli addetti non si trovino di fronte a fatti costituenti ipotesi di reato. È allora che si verifica l'inevitabile passaggio dai compiti amministrativi a quelli di polizia giudiziaria.

Tale momento di trapasso, facilmente individuabile in teoria, lo è molto meno nella pratica e rappresenta uno dei più delicati nodi del sistema, perché l'autonomia dell'attività amministrativa, finalizzata al perseguimento di obiettivi di tutela di interessi e beni generali, viene inevitabilmente a scontrarsi con l'esigenza di garantire i diritti di difesa del privato di fronte all'esercizio di un potere che,

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attraverso il rapporto di denuncia all'A. G., mette in moto il meccanismo penale e tende, quindi, all'accertamento giudiziale della sussistenza di uno o più reati e di uno o più colpevoli.

Su questo, come su altre questioni cruciali, quali, ad esempio, il problema dell'alternatività o non della diffida rispetto all'obbligo della denuncia e della natura delle prescrizioni e delle disposizioni, la legge di riforma sanitaria e quelle di attuazione di essa, avrebbero dovuto fare estrema chiarezza, precisando, in modo netto, esplicito e definitivo, poteri, ruoli e limiti dei funzionari delle USL. Invece, purtroppo, non soltanto sono state perpetuate l'ambiguità e l'indeterminatezza di prima, ma si sono anzi aggiunte nuove ombre a rendere la situazione ancora più confusa ed incerta.

Per definire natura e finalità degli atti di P.G., è necessario porre attenzione a due aspetti importanti capaci di rappresentare l’intero ambito di attività:

• “ l’attività di polizia giudiziaria compiuta dai servizi di prevenzione è sempre destinata al processo penale. Il che equivale a dire che può ipotizzarsi attività di P.G. solo quando sia ipotizzabile un reato”.

• “l’attività di polizia giudiziaria svolta dai servizi di prevenzione ha come referente un altro organo esterno, la Magistratura, sotto la cui direzione gli U.P.G. svolgono i loro compiti”.

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Tali assunti determinano una situazione del tutto insolita rispetto agli ordinari compiti dei servizi amministrativi e organi di polizia giudiziaria classici.

Essi infatti sono chiamati, da una parte a svolgere attività amministrativa finalizzata direttamente alla prevenzione, dall’altra devono obbligatoriamente svolgere le loro funzioni di P.G., dirette alla celebrazione del processo penale. In quest’ultima fase hanno come referente un altro organo appartenente all’ordine giudiziario con il quale collaborano e sono sottoposti, il pubblico ministero.

Ciò non facilita il perseguimento della necessaria unità di indirizzo del servizio di prevenzione che di fatto è un complesso organismo si impone per l’evidente intenzione del legislatore di garantire la complementarietà di tutte le funzioni e di tutti i compiti attribuiti ai servizi di prevenzione stessi. La legge vuole che le attività conoscitive, dispositive o repressive si articolino nell’azione unica di vigilanza che spesso è stata considerata sinonimo di attività repressiva.

In realtà il concetto di vigilanza è assai più ampio e sta ad indicare un’attività globale che pur svolgendosi attraverso fasi successive, mira ad una unico fine ed a un unico risultato, Un intervento di prevenzione sistematico e razionale non può prescindere da una fase conoscitiva, da una fase propositiva, da una fase di controllo e da una fase eventualmente repressiva, quando vengano accertate violazioni sanzionate penalmente.

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L’intervento prevenzionale pertanto deve essere gestito superando i punti critici che vengono proposti dalla “doppia anima” del servizio la quale deriva appunto dalla duplicità delle funzioni istituzionali assegnate al servizio, doppia anima che nella vigilanza si manifesta con più evidenza.

Da quanto sopra si possono evidenziare alcuni punti critici

a) Il primo punto deriva dal fatto che l’art. 21 della l. 833 “estende” il potere di accesso nei luoghi di lavoro che già spettava all’Ispettorato del Lavoro, ai funzionari delle ASL, specificando che l’estensione riguarda coloro che il Prefetto ha nominato U.P.G.. In una interpretazione letterale della norma si potrebbe ritenere che solo gli U.P.G. possono considerarsi disponibili per le attività che presuppongono l’ingresso nei luoghi di lavoro, mentre gli altri soggetti del servizio dovrebbero essere adibiti ad altri compiti ed attività. Non sembra che una simile interpretazione sia quella più opportuna, anche perché è necessario distinguere tra la “facoltà di ingresso” nel luogo di lavoro e il “potere di accesso”, espressione che costituisce la sostanza del potere ispettivo che spetta solo agli U.P.G. Si deve evidenziare che i pubblici ufficiali che non hanno la qualifica di U.P.G. devono, per esercitare le loro attribuzioni, entrare nei luoghi di lavoro. Sebbene la legge non lo dica esplicitamente, quando si attribuiscono ad un organo determinate funzioni, devono contemporaneamente assegnarsi anche i mezzi e i modi per poterle esercitare. Tra i compiti “amministrativi” dei servizi in materia di prevenzione e sicurezza ve ne sono certamente alcuni che

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presuppongono per gli addetti la facoltà di accedere all’interno dei luoghi di lavoro, perché non sarebbe possibile, ad esempio, “provvedere alla individuazione, accertamento e controllo dei fattori di nocività, di pericolosità e di deterioramento negli ambienti di vita e di lavoro” (art. 20 lett.a) L. 833/78); oppure “alla comunicazione dei dati accertati e alla diffusione della loro conoscenza anche a livello del luogo di lavoro” (art. 20, lett. c), senza poter entrare nei luoghi di lavoro.Questi compiti certamente non richiedono di essere svolti da personale con la qualifica di U.P.G. e dunque tutti indistintamente gli addetti ai servizi possono essere impiegati ed impegnati in un programma di prevenzione diretto agli scopi sopra enunciati. Proprio per la carenza di potere ispettivo, i soggetti del servizio non muniti della qualifica di U.P.G. non potranno richiedere di visitare tutta la azienda, ciò che comunque non è necessario per assolvere l’incarico che è stato loro affidato; così come non potranno controllare e verificare se siano state rispettate le norme in materia di prevenzione nei luoghi di lavoro, che è un contenuto tipico dell’azione di vigilanza.

b) Altro problema assai controverso nel coordinamento tra

attività amministrativa e di P.G., all’interno dei servizi è quello relativo alla garanzia e alla tutela dei diritti di difesa, durante le visite ispettive. Non vi è dubbio che l’esercizio del potere ispettivo conferito agli U.P.G., così come il potere di accertamento spettante agli altri componenti del servizio delle ASL nell’espletamento dei loro compiti, debba esser considerato espressione di un’attività essenzialmente amministrativa, che non è soggetta all’osservanza delle norme di procedura, poste a salvaguardia del diritto di difesa.

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Per pacifica ammissione giurisprudenziale, gli accertamenti compiuti in questa fase, i rilievi, le misurazioni, il controllo dei registri e della documentazione aziendale, i prelievi e le analisi di sostanze adoperate nella lavorazione, ecc., tendono solo alla verifica della corretta e puntuale osservanza della legge da parte dei soggetti tenuti all’obbligo della sicurezza e non alla ricerca e raccolta di prove per eventuali reati.

Già la Corte Costituzionale, con la notissima sentenza n.10 del 2.2.1971, nel riconoscere la legittimità dell’art. 8 DPR 520/55, ha stabilito che l’attività di vigilanza, anche se possa trarre origine dal sospetto di violazione di leggi penali, è espressione di un compito amministrativo, in quanto non è finalizzata alla raccolta di prove da

utilizzare in un successivo procedimento penale, ne è

necessariamente provocata dalla opportunità di verificare la fondatezza di una notizia criminis.

Può avvenire però che durante gli accessi in un luogo di lavoro, rientranti nella normale attività disposta nel quadro della programmazione del servizio, i funzionari del servizio si trovino di fronte a fatti che integrano gli estremi del reato. In questo caso se i funzionari non sono U.P.G. hanno l’obbligo di denuncia ma non possono procedere ad accertamenti di alcun tipo. Se invece si tratta di U.P.G., è chiaro che la percezione di un fatto-reato, segna il passaggio dalla funzione amministrativa di vigilanza a quella di polizia giudiziaria. L’U.P.G., dunque, procederà con le forme e con il

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rispetto delle garanzie difensive previste dal codice di procedura penale.

E’ naturale, però, che quanto l’U.P.G. dei servizi si muove su delega del magistrato o in base a una notizia di reato e si trova nella necessità di compiere atti di coercizione penale (rilievi, sequestri, assunzione di sommarie informazioni, ecc.), avrà l’obbligo di procedere al compimento di tali atti con l’osservanza delle forme processuali.

Da ciò si evidenzia che l’attività dei servizi di prevenzione si articola nei diversi momenti, con valenza e rilievi diversi, e che i servizi, sicuramente configurabili come organi della P.A. cui sono assegnati compiti di prevenzione relativi all’igiene e alla sicurezza nei luoghi di lavoro, partecipano alternativamente all’attività amministrativa e all’attività processuale attraverso il compimento di atti di polizia giudiziaria.

Il riconoscimento di queste particolari caratteristiche del servizio, impone di considerarlo nel suo insieme (e non solo i singoli U.P.G.) come interlocutore del PM, specie per quanto riguarda l’attività delegata.

Pare perciò corretto che il dirigente si ponga come il rappresentante e il coordinatore del servizio per quanto riguarda l’attività di Polizia Giudiziaria, anche se non potrà svolgerla personalmente nel caso che non sia munito della nomina di U.P.G..

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Questo schema di rapporti del resto non è sconosciuto nel nostro ordinamento. L’esempio più significativo è fornito dal Questore, soggetto non munito della qualifica di U.P.G., ma sicuramente tenuto a garantire e organizzare i servizi di P.G.

A tal proposito il rapporto interno che lega il dirigente del servizio a coloro che ne fanno parte e i profili relativi ai rapporti tra servizi e magistratura determina un riflesso della “doppia anima” del servizio di cui si è parlato.

Infatti l’attività di P.G. propone un referente esterno al servizio: il Pubblico Ministero. Il dirigente del servizio si trova nei confronti dell’attività di P.G., ad essere nella delicata situazione di chi deve garantire le prestazioni degli U.P.G. (sia nell’attività delegata che in quella di iniziativa) senza peraltro esserne né il coordinatore, né colui che esercita un controllo gerarchico sul merito di tale attività.

Un tempo esistevano quei pittoreschi U.P.G. nei servizi (e, chissà, forse in qualche parte esistono ancora) che erano soliti affermare: “io rispondo solo al PM”. In realtà, le cose non stanno così, anche se l’equivoco spesso ha trovato alimento in due atteggiamenti egualmente censurabili: da una parte alcuni Pubblici Ministeri che pretendevano di disporre degli organi di P.G. appartenenti alla Pubblica Amministrazione come se vi fosse un rapporto di dipendenza organica; dall’altra alcuni dirigenti dei servizi di prevenzione i quali accettavano che gli U.P.G. avessero un sostanziale distacco dal programma di lavoro del servizio o che,

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comunque, rinunciavano a incardinare le funzioni di P.G. nel complessivo programma di lavoro del servizio.

Sotto il profilo teorico l’effettiva separazione dei poteri accolta nel nostro ordinamento, impedisce lo sconfinamento del magistrato negli ambiti di competenza della Pubblica Amministrazione, così come l’indipendenza dei giudici è garantita contro l’invadenza della Pubblica amministrazione. Dall’altro evidentemente gli atti di P.G., per quanto riferibili al servizio, impegnano direttamente la responsabilità di chi li compie e non del superiore gerarchico. Si è già detto che per l’attività di P.G. si configura una dipendenza “funzionale” del magistrato che è il dominus dell’indagine.

Un particolare aspetto del rapporto tra il dirigente del servizio e gli U.P.G. è quello relativo alla segretezza degli atti di indagine. Qualcuno lo chiama ancora “il segreto istruttorio”.

In realtà il codice dispone il segreto d’ufficio sugli atti di indagine preliminare, nel senso che essi non sono destinati alla pubblicità (art. 329 cpp), fino alla conclusione delle indagini preliminari o fino a che la persona su cui si indaga non abbia conosciuto l’atto.

A tutti è chiaro che la riservatezza degli atti impegna gli uffici e le persone che li compiono e non va fatta valere nei confronti degli uffici medesimi.E’ chiaro, per esempio, che la dattilografa che scrivendo al computer viene a conoscenza di un delicato provvedimento del PM è impegnata al segreto.

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E’ evidente inoltre che nei servizi di prevenzione nei luoghi di lavoro, costruiti sulla base di competenze pluridisciplinari, può ben accadere che l’indagine abbia bisogno di più competenze specialistiche (si pensi all’indagine di laboratorio, alle misurazioni del rumore, alla quantificazione delle polveri o delle fibre, ecc.); ebbene, tutti coloro che partecipano all’indagine anche solo con un ruolo specialistico, sono tenuti al segreto d’ufficio sugli atti destinati al procedimento penale.

Allo stesso modo il dirigente del servizio, a conoscenza di una delicata indagine di P.G. è vincolato al segreto né può pensarsi che egli possa o debba ignorare l’attività dei suoi subordinati, anche se si tratti di persona non munita della qualifica di U.P.G. Spetta al dirigente di coordinare le varie attività del servizio, ivi compresa quella di polizia giudiziaria che egli è tenuto ad assicurare allo stesso modo delle altre attività.

L’Autorità Giudiziaria delega le indagini relative agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali al personale dell’AUSL - in particolare al personale dei settori di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro - al quale sono attribuite funzioni di Polizia Giudiziaria.

Con la delega di indagini l’A.G. richiede di svolgere tutti gli accertamenti necessari all’eventuale esercizio dell’azione penale e in particolare:

Figura

Figura 1 Rappresentazione grafica del modello descrittivo  di Hale ed Hale  situazione  Informazione  disponibile  Informazione  percepita  Informazione  attesa    Azioni  possibili    Costi/Vantaggi Decisioni  Azione Vantaggi Attesi Repertorio delle abili
Figura 2 Il metodo da Hale e Hale rielaborato da Corlett e Gilbank  SITUAZIONE  Informazione  disponibile  Caratteristiche fisiche delle attrezzature  Azione Azioni Possibili  Manifestazioni  interiori dell’azione Efficacia prevista dalle
Figura 3 rappresentazione grafica Modello Lagerl Ö f
Figura 4 Rappresentazione dei due cicli
+3

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