L’art. 127 c.p.i. dispone sanzioni penali ed amministrative(386) in ipotesi di violazione di
marchio. E’ punita la condotta ingannevole mediante la quale un soggetto accredita una inesistente protezione del prodotto, facendo credere di disporre di un marchio registrato. Il nostro ordinamento accorda una protezione molto ampia per i marchi registrati. Tale tutela viene assicurata sia in ambito civile (Codice della Proprietà Industriale e artt. 2598(387), 2599 e 2600 c.c.) che penale (473 e 474 c.p.). Infatti, in aggiunta alle misure, alle
procedure ed ai mezzi di ricorso di natura civile ed amministrativa, anche le sanzioni penali costituiscono un mezzo per assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. L’impegno alla creazione di norme che potessero predisporre una tutela adeguata in tal senso era già stato assunto nell’art. 61 TRIPs, tuttavia l’impianto sanzionatorio contemplato dall’ordinamento italiano, contrariamente a quello cinese, contiene già «buona parte degli strumenti di coazione ed i mezzi procedurali per applicarli»(388). Il sistema di
tutela penale italiano in materia di privative industriali conferisce rilevanza a (quasi) tutti quei comportamenti che incidono sulla funzione distintiva del marchio se caratterizzati dal dolo, ovvero dalla consapevolezza della contraffazione. Si tratta di un sistema pressoché completo ma che presenta alcuni problemi di coordinamento; tuttavia i problemi esistenti
(386) Con d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 «Disposizioni urgenti nell' àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale», è stata introdotta una sanzione amministrativa pecuniaria anche a carico degli acquirenti di beni contraffatti. In fatti ai sensi dell’art. 1 comma 7 «Salvo che il fatto costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro fino a 10.000 euro l'acquisto o l'accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, a qualsiasi titolo di cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale […]». Pubblicato in G.U., 16 marzo 2005, n. 62 e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 14 maggio 2005, n.80. Il testo della legge è consultabile all’indirizzo http://legxv.camera.it/cartellecomuni/leg14/RapportoAttivitaCommissioni/commissioni/allegati/10/10_all_pi azione.pdf.
(387) Infatti può succedere che di fronte ad una violazione dei diritti di privativa industriale chi si rivolge all’Autorità giudiziaria possa indicare, oltre alla tutela dei diritti reali, anche la protezione disposta da tale art. sul tema della concorrenza sleale. Si deve precisare inoltre che l’azione di contraffazione tende a tutelare l’originalità della creazione nei suoi vari aspetti, la tutela contro la concorrenza sleale tende a colpire le riproduzioni idonee a generare confusione nei consumatori, in quanto si tratta della produzione e commercializzazione di prodotti con forma identica o simile a quelli già presenti sul mercato di un’ altra impresa. Trib. Torino, 20 marzo 2008, Trib. Bologna, 2 luglio 2008, cit. in A. SIROTTI GAUDENZI, La
tutela dei diritti di privativa, in Proprietà intellettuale e diritto della concorrenza, vol. II, 2010, op. cit., cit.
419, pp. 182-183.
(388) Alcuni orientamenti giurisprudenziali affermano che la prova del danno debba essere comunque fornita. Trib. Prato, 21 febbraio 1994, in Giur. ann. dir. ind, 1994, p. 3110.
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derivano da una scarsa incisività delle sanzioni, spesso non adeguate o non applicate correttamente. Gli artt. 473 e 474 del codice penale italiano (c.p.) puniscono le condotte di «contraffazione, alterazione o uso di marchio segni distintivi(389) ovvero di brevetti, modelli
e disegni»(390) nonché di «introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni
falsi»(391), e sono collocati nel Titolo VII del Libro II del codice penale dei «delitti contro la
fede pubblica». In ordine alla distinzione tra le suddette disposizioni la Corte di Cassazione afferma che l’uso dei marchi e dei segni distintivi, punito dall’art. 473 c.p., «essendo inteso a determinare un collegamento tra un marchio contraffatto e un certo prodotto, precede l’immissione in circolazione dell’oggetto falsamente contrassegnato, e comunque, se ne distingue; l’uso punito dell’art. 474 c.p. invece, strettamente connesso con l’immissione in circolazione del prodotto falsamente contrassegnato, in quanto presuppone già realizzato il collegamento tra contrassegno e prodotto, o più specificamente, il già apposto contrassegno su un determinato oggetto. Nel primo reato, la condotta ha per oggetto materiale il contrassegno, nel secondo, il prodotto contrassegnato»(392).
L’art. 474 c.p. invece, fa riferimento a due ben precise condotte, la prima è l’introduzione nel territorio dello Stato di prodotti contraffatti, la seconda si riferisce alla messa in vendita
(389) In seno all’art. 473, pertanto, oltre alla tutela dei marchi il legislatore ha voluto garantire adeguata protezione anche ai “segni distintivi”, si tratta di «quei segni che vengono apposti sui prodotti industriali o sulle opere dell'ingegno e che hanno la funzione di distinguere un determinato prodotto da altri prodotti dello stesso genere, indicandone la provenienza aziendale, l’origine geografica o la qualità». Cfr. L. CAMALDO,
La tutela penale dei marchi e dei segni distintivi: analisi dei recenti orientamenti della giurisprudenza,
consultabile all’indirizzo www.indicam.it/index.php?option=com.it. Inoltre si deve chiarire che «per “contraffazione” si intende la fabbricazione di prodotti da parte di chi non vi sia legalmente autorizzato, che risulti idonea ad ingannare i consumatori; l’”alterazione”, invece, si realizza attraverso la modificazione parziale di un segno genuino, ottenuta mediante l’eliminazione od aggiunta di elementi costitutivi marginali». Cfr. http://www.rivista.ssef.it/site.php?page=20051122105955573&edition=2005-11-01.
(390) Entrambi gli artt. 473 e 474 c.p sono stati modificati dagli artt. 15, comma 1, lett. a), b) , L. 23 luglio 2009, n. 99 e così cita «Chiunque , potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.500 a euro 25.000». Il testo di Legge si può consultare su G. FIANDACA, A. GIARDA, Codice penale Codice di procedura penale. Leggi
complementari, XVI ed., Milano, WOLTERS KLUWER ITALIA, 2012.
(391) Art. 474 c.p. «Fuori dei casi di concorso nei reati previsti dall’art. 473, chiunque introduce nel territorio dello Stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 3.500 a euro 35.000. 2. Fuori dei casi di concorso nella contraffazione, alterazione, introduzione nel territorio dello Stato, chiunque detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione, al fine di trarne profitto, i prodotti di cui al primo comma è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000. 3. I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale». Ibidem.
(392) Cass. pen., 2 aprile, 1996, Vollero, C.E.D, n. 204/837, cit. in N. ZILIO, Il marchio di lusso. Difesa
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e alla circolazione dei suddetti prodotti. Si potrebbe pensare perciò che «la gravità di un’azione d’importazione di merce contraffatta da uno Stato estero sia maggiore di quella che si occupa della vendita e commercializzazione di quei prodotti in Italia»(393); è opinione
comune che le rappresentanze imprenditoriali e l’Alto Commissariato per la lotta alla contraffazione avrebbero così potuto limitare l’importazione di merce contraffatta, in particolare dalla Cina.
Nel titolo «dei delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio», troviamo gli artt. 514 e 517 c.p.; il primo viene scarsamente applicato, e fa riferimento a «frodi contro le industrie nazionali» tutelando il marchio contro colui che «ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione, sui mercati nazionali o esteri, prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, cagiona un nocumento all’industria nazionale»(394) con una pena da uno a cinque anni di reclusione e con una multa non
inferiore a 516 euro. Di maggiore applicazione è l’art. 517 c.p. che sanziona penalmente con la reclusione fino a due anni o con una multa fino a 20.000 euro il comportamento di chi ponga in vendita o metta in circolazione «opere dell’ingegno o prodotti industriali con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti ad indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto»(395). In questo caso anche la
giurisprudenza interpreta tali norme distinguendo l’art. 473 che fa riferimento all’effettiva contraffazione del marchio regolarmente registrato, contrariamente all’art. 517 che si riferisce alla similitudine di marchi o segni distintivi anche non registrati, mirando a colpire l’utilizzazione di marchi mendaci che «senza costituire in senso stretto copia o imitazione di un marchio registrato, per il contenuto o per il rapporto in cui si trovano con il prodotto sono idonei ad indurre in errore i consumatori»(396).
L’art. 517 c.p. prevede due condotte alternative: «la messa in vendita», di un determinato bene a titolo oneroso, e la «messa in circolazione» di prodotti ingannevoli, che
(393) ivi, cit. 10, p. 14.
(394) Art. 514 c.p. (395) Art. 517 c.p.
(396) Lo stesso concetto si è ribadito all’interno della recente sentenza della V Sezione penale (n. 15069) del 18 marzo 2011 secondo cui «si era ricondotto nell’alveo dell’art. 473 c.p. la realizzazione di una serie di articoli di pelletteria recanti l’apparente marchio “Adidas”, tuttavia caratterizzato, anziché dalla pedissequa imitazione del trifoglio a tre punte, dalla presenza di quattro o cinque punte». Cfr. N. ZILIO, Il marchio di
lusso. Difesa penale e lotta alla contraffazione, 2011, op. cit., cit. 10, pp. 15-16. Inoltre sull’argomento si
vedano M. RONCO; S. ARDIZZONE (a cura di), Codice penale ipertestuale, Torino, UTET, 2007, p. 2151;
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«ricomprende qualsiasi forma di messa in contatto della merce con il pubblico, anche a titolo oneroso»(397).
Una ultima notazione riguarda l’abrogazione del primo comma dell’art. 127 c.p.i.(398)
apportata dalla legge n. 99/2009(399), la quale ha messo in evidenza che le condotte in
precedenza punite dal codice della proprietà industriale rientrano ora nell’art. 517 c.p. o negli artt. 473, 474 c.p., avendo questi ultimi un raggio di tutela del mercato più ampio.