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Nell’ambito dello sviluppo della coesione terri-toriale europea, come si è detto, un importante ruolo ha giocato l’approvazione nel 1999 dello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo. Una delle conseguenze di quella approvazione è stata, sul piano tecnico, la formazione di una rete di centri di ricerca (ESPON), incaricata di approfondire l’analisi spaziale comunitaria. In particolare ESPON ha elaborato tre concetti operativi, cioè sottoponibili a misurazioni quan-titative, per definire “oggetti” spaziali comuni all’intero territorio dell’Unione: FUA (Funtional Urban Area), PUSH (Polycentric Urban Strategic Horizon), PIA (Potential Integration Areas).

Questa operazione ha un importante significa-della Commissione incominciarono ad essere

introdotti i concetti di sviluppo policentrico, di accessibilità ad infrastrutture e conoscenza, di sviluppo sostenibile. Successivamente, con la Strategia di Lisbona e Göteborg (2000-2001), con cui l’Unione Europea si pose l’obiettivo di divenire l’economia più competitiva e dinamica basata sui principi di conoscenza e sostenibilità ambientale, il concetto di sviluppo armonico del territorio europeo inizia ad occupare una posizione sempre più centrale nelle politiche promosse dalla Commissione.

Con il “Trattato Europeo di Lisbona del 2007”24 si giunge a definire lo sviluppo territoriale una competenza legislativa concorrente fra l’Unione e gli Stati membri, mentre la coesione, intesa come dimensione territoriale della sostenibilità, diviene la capacità di assicurare una ripartizio-ne equilibrata delle attività umaripartizio-ne fra territori considerati essi stessi attori dello sviluppo.

È in tale quadro che nel 2000 si avvia il programma di Cooperazione Interregionale

“ESPON (European Spatial Planning Observation Network)”, finanziato dai Fondi Strutturali anche per il periodo di programmazione 2007-2013, con il quale sono stati promossi studi e ricerche i cui risultati hanno significativamente in-fluenzato la definizione dei nuovi programmi di cooperazione interregionale e fortemente contribuito alla affermazione di concetti e indicatori utili alla rappresentazione unitaria e comparata del sistema territoriale europeo e alla valutazione della sostenibilità delle trasfor-mazioni economiche, sociali e ambientali che lo investono.

Più in generale, l’intera programmazione

24 Il cui percorso di adozione ha visto il 31 luglio 2008 l’appro-vazione all’unanimità del Parlamento Italiano, ma non la adozione definitiva da parte di tutti i 27 Stati membri.

comunitaria 2007-2013 dei fondi strutturali ha rivolto grande attenzione agli obiettivi di carattere territoriale, sia per le zone urbane che per quelle rurali, ambiti per i quali sono stati proposti orientamenti strategici comu-nitari specifici, particolarmente attenti sia ai possibili contributi delle città alla crescita ed all’occupazione, che all’esigenza di diversi-ficazione economica e funzionale delle aree rurali. Nell’ambito dell’Obiettivo Cooperazione Territoriale Europea la costruzione di reti di città e regioni si afferma come tema centrale; in particolare, nell’ambito dell’iniziativa “Regioni per il cambiamento economico” (2006) l’Unione si propone di contribuire agli obiettivi di Lisbona promuovendo su un insieme di temi di riferimento strategico europeo lo sviluppo di network regionali ed urbani, per individuare e diffondere buone pratiche nella moderniz-zazione economica, segnatamente per quanto riguarda l’occupazione e la crescita economica, la tutela dell’ecosistema e la difesa dai rischi, la salvaguardia e la crescita della dimensione so-ciale dello sviluppo, la riduzione delle disparità economiche.

Con la “Agenda Territoriale dell’Unione Europea – verso una Europa più competitiva e fatta di regioni diverse” (maggio 2007) la dimen-sione territoriale diviene anche formalmente elemento centrale della (rinnovata) strategia di Lisbona e Göteborg. Con la sua adozione i Ministri responsabili dello sviluppo territoriale dei Paesi membri hanno prefisso gli obiettivi di preservare la diversità territoriale come valore fondante del processo di integrazione europea e di promuovere la complementarietà e le sinergie tra i differenti territori.

Così, lo sviluppo territoriale policentrico dell’Unione e la cooperazione territoriale sono diventati i pilastri concettuali ed operativi di un processo di integrazione, che nei prossimi anni

di potenziamento della competitività regionale a scala internazionale e le strategie di integra-zione interna alla regione.

Le strategie territoriali regionali dell’Emilia-Romagna come sviluppo delle strategie europee

La svolta “territorialista” dell’Unione Europea ha dunque messo in campo nuovi strumenti di let-tura per preparare nuove politiche di sviluppo.

Questa svolta trova tutta la sua credibilità e il suo senso solo se le regioni europee apportano il proprio contributo di creatività in un quadro di integrazione delle problematiche territoriali.

Se da un lato, infatti, attraverso le imponenti elaborazioni di ESPON disponiamo oggi di basi di conoscenza sempre più approfondite e codificate a scala europea, d’altra parte appare ancora debole il quadro concettuale capace di esprimere la complessità dell’oggetto “territo-rio”.

Il Piano Territoriale dell’Emilia-Romagna si assume l’impegno di contribuire allo sforzo di elaborazione europea proponendo concetti che siano contemporaneamente in grado di cogliere la complessità territoriale e di indiriz-zare in questa chiave le politiche di intervento settoriali.

Lo schema concettuale che sostiene la questa impostazione è il “Capitale Territoriale”. Se-condo l’OCSE, che ne ha introdotto il concetto nel 2001, i fattori del capitale territoriale “…

possono includere la localizzazione geografica, il clima, la dimensione, i fattori di produzione, le tradizioni, le risorse naturali, la qualità della vita o le economie di agglomerazione determinate dai sistemi urbani, ma può includere anche gli incubatori d’impresa, i distretti industriali o altri network che possono ridurre i costi di tran-sazione. … altri fattori possono consistere in

codici, negli usi e nelle regole informali che fan-no sì che gli attori ecofan-nomici possafan-no lavorare insieme in condizioni di incertezza, o nella so-lidarietà, nella mutua assistenza e nell’integra-zione di idee che spesso si sviluppano in cluster di piccole e medie imprese che operano nello stesso settore (capitale sociale). … vi è infine un fattore intangibile chiamato ‘ambiente’ che è il risultato della combinazione di istituzioni, pra-tiche, produttori, ricercatori e policy makers che rendono possibile una determinata creatività e capacità di innovazione”.

La sua importanza deriva dal fatto che esso tende ad esprimere i potenziali territoriali in tutta la loro diversità quantitativa e qualitativa e, quindi, indica la strada per definire politiche territorialmente appropriate.

Il Piano Territoriale dell’Emilia-Romagna tenta di offrire (anche come contributo al dibattito europeo) una interpretazione di questo con-cetto e di applicarne operativamente alcune conseguenze. In questo senso si può dire che il PTR è un piano di sviluppo del capitale territoriale regionale, orientato all’integrazione della regione nello spazio europeo.

È opportuno chiarire preliminarmente alcune condizioni, di seguito indicate, anche al fine di evitare un immediato depotenziamento del concetto e una sua riduzione a categorie tradi-zionali di pianificazione.

Il capitale territoriale deve essere concepito secondo una visione relazionale. Il termine “tale” dà subito l’idea di una dotazione (di capi-tale tecnico come nell’economia di impresa, di capitale umano come nel possesso individuale di un certo livello di istruzione, di capitale di rapporti sociali come nell’approccio indivi-dualistico al capitale sociale), che un soggetto utilizza per perseguire i propri obiettivi. Se dun-que nei concetti di capitale menzionati è ben to analitico: ad esempio, i concetti di città, area

urbana, area metropolitana hanno declina-zioni diverse per ciascuno degli Stati membri dell’Unione, mentre appare del tutto evidente la necessità di assumere per ognuno di essi un significato univoco per raffrontare alla scala europea le diverse situazioni territoriali.

Nelle elaborazioni di ESPON le FUA sono aree locali all’interno delle quali si addensano gli spostamenti quotidiani per motivi di studio e di lavoro. Per l’Italia, le FUA coincidono con i Sistemi Locali del Lavoro, in uso da quasi due decenni da parte dell’ISTAT. Tipicamente le FUA contengono un comune centrale e circoscri-vono un’area costituita da uno o più anelli di hinterland. Per esempio, la FUA di Bologna circoscrive un territorio la cui popolazione è più che doppia rispetto a quella del comune capoluogo.

Le PUSH sono aree (di norma costituite da più FUA) accessibili, in condizioni ideali di traffico, dal comune centrale in un tempo abbastanza limitato, dai 45 ai 50 minuti. Esse esprimono dunque i territori in cui potenzialmente si possono fondere le relazioni quotidiane di diverse FUA. Queste aree, come quelle delle FUA sono ampiamente variabili in dipendenza delle morfologie insediative: la loro dimensione frequentemente si colloca intorno ai 2.000.000 di abitanti. Per esempio, la PUSH di Bologna comprende oltre al proprio territorio provincia-le anche la gran parte dei territori provinciali adiacenti.

Le PIA, invece, sono aggregati complessi di PUSH, che segnalano la sovrapposizione e la concatenazione fra diverse accessibilità locali.

Esse disegnano dunque l’intensità di conurba-zione a vasta scala, spesso si situano attorno ai 10 milioni di abitanti.

L’analisi dei diversi livelli di agglomerazione delle popolazioni viene poi integrata da analisi di concentrazione delle funzioni di alto rango:

università, centri direzionali di medie e grandi imprese, piattaforme di mobilità a largo raggio, ecc.. Si forma così una prima, molto somma-ria rappresentazione delle gerarchie urbane all’interno dello spazio insediativo europeo.

Le gerarchie funzionali individuate secondo gli standard europei ripartiscono le FUA in tre livelli principali: aree di interesse europeo, aree di interesse transnazionale/nazionale, aree di interesse regionale/locale.

La Regione Emilia-Romagna utilizza e quali-fica nel PTR questa impostazione territoriale europea individuando tre livelli principali di azione territoriale descritti, come di seguito, in termini di integrazione. L’integrazione alla scala urbana: costruire la “città effettiva”, cioè la città vissuta quotidianamente dalla popolazione locale a prescindere dai confini amministrativi, in genere molto più frammentati. L’integrazione alla scala di area vasta: individuazione di “aree complesse” in cui emergono forti conflitti fra i sistemi insediativi interurbani e le strutture ecologiche; queste aree di norma interessano due o più province. L’integrazione alla scala regionale e interregionale: costruzione della

“città-sistema regionale” con una forte impron-ta progettuale che muove dalle necessità di guardare l’Emilia-Romagna dal punto di vista europeo, cioè esterno al locale, stimolando strategie di attrazione di conoscenze e relazioni internazionali; di far uscire la progettualità loca-le e regionaloca-le dagli ambiti sempre più asfittici di una competizione locale per le risorse, spesso concentrata su singoli episodi (ad esempio:

fiere, mobilità, poli di servizi tecnologici), che contrappone una località con un’altra invece di spingere a sinergie territoriali di ampio respiro;

di definire un discrimine strategico fra le azioni

simità organizzativa, che struttura le relazioni individuali in forme organizzate di luoghi di lavoro (imprese piccole, medie, grandi, imprese internazionalizzate e imprese locali), di associa-zionismo cultuale, di apparati istituzionali, la cui tendenza è quella di allargare la propria sfera d’azione a territori sempre più vasti; prossimi-tà socio-culturale, che coglie le distinzioni fra diversi gruppi culturali, etnici, religiosi, politici e associa individui caratterizzati da medesimi gusti estetici e stili di vita; prossimità cognitiva, che coglie le affinità che si creano fra individui dotati di uno stesso tipo di istruzione, di analo-ghi profili professionali e culturali.

Tutte queste prossimità non possono più coordinarsi spontaneamente alla scala della prossimità fisica, cioè dei luoghi, in quanto, pur essendo compresenti in diverse proporzioni nei singoli luoghi, si proiettano in spazi fisici e vir-tuali differenti creando in numerose circostanze fenomeni di segmentazione e segregazione fra le componenti della società locale.

Definire il capitale territoriale di una comunità

o di una regione, conservarlo e innovarlo è dunque un compito complesso perché si deve rintracciare ciò che è di interesse comune in luoghi segmentati da diversi tipi di prossimità.

Il nuovo Piano Territoriale Regionale dell’Emilia-Romagna tenta di avanzare su questo terreno innovativo e, allo stesso tempo, insidioso e tenta di definire non solo nuove politiche territoriali, ma anche nuove prospettive della territorialità stessa.

In questa direzione, il concetto di “capitale territoriale” non punta a ricostruire in modo statico una semplice incastellatura di spazi istituzionalmente definiti, secondo una logica antiquata di primato dell’istituzione o, peggio ancora, di gerarchia istituzionale dei poteri. Esso punta invece a esplorare e promuovere spazi di azione concreti in cui collaborare a costruire network sociali, economici e culturali, con un ruolo istituzionale sempre più orientato alla programmazione strategica e alla progettazio-ne condivisa.

presente la dimensione relazionale, tuttavia ciò che deve essere esaltato nell’azione di pianifi-cazione è l’aspetto di dimensione collettiva del capitale territoriale: ciò che più interessa, infatti, è che le dotazioni private di capitale devono essere valorizzate in quanto capaci di produrre beni pubblici. Il capitale territoriale deve essere concepito non solo come dotazione di un certo territorio (che è solo la base di partenza), ma come risorsa per costruire il nuovo. Quali che siano le dimensioni messe in evidenza, il capita-le sociacapita-le è soggetto a logoramento e quindi deve essere rinnovato e innovato.

Il territorio di cui si considera il capitale deve essere visto secondo due prospettive com-plementari, ma in forte tensione fra di loro: lo spazio dei flussi (di beni, di servizi, di risorse finanziarie, di manodopera, di informazioni) che lo attraversano, lo formano e lo trasformano; lo spazio dei luoghi, in quanto centri di attività, con le proprie risorse specifiche, le proprie logi-che produttive, le proprie istituzioni, la propria socialità della vita quotidiana.

La tendenza spontanea di sviluppo e trasforma-zione territoriale è quella verso una crescita di importanza dello spazio dei flussi e di relativa perdita di coesione interna dei luoghi.

Per comprendere questo processo è utile confrontarlo con la tradizionale visione del territorio, che lo ha rappresentato come una distribuzione nello spazio di agglomerazioni urbane di diversa dimensione, separate da spazi rurali a diversa intensità d’uso e a diversa naturalità residua.

Questa visione tradizionale ha un importante spessore culturale: essa non considera le agglo-merazioni come una pura e semplice concen-trazione spaziale di popolazione, ma anche come concentrazione locale di relazioni sociali, produttive, culturali, istituzionali, con un forte

effetto identitario. In essa, tuttavia, la distanza fisica è interpretata come una barriera allo sviluppo di relazioni e i rapporti fra agglomera-zioni tendono rapidamente ad indebolirsi con la distanza stessa.

Questa visione tradizionale è stata la base essenziale che ha guidato la pianificazione in Emilia-Romagna e ha consentito di costruire un grande tessuto di “capitale sociale”, distribuito fra le diverse agglomerazioni (partecipazione civica e politica, condivisione di valori, pro-duzione di servizi collettivi, intensa attività di programmazione e pianificazione). Dunque, un elevato livello di auto-organizzazione locale è stato alla base dello sviluppo territoriale della nostra regione: oltre alle pratiche di “buongo-verno”, l’esempio più noto è quello dei “distretti industriali”, cioè di formazioni territoriali ad alto coordinamento interno, che si sono presentate alla competizione internazionale come veri e propri sistemi unitari.

I concetti e le pratiche tradizionali di governo del territorio sono messi oggi sotto tensione dalla globalizzazione e dalla crescita di impor-tanza dei “flussi” che si intrecciano ad ogni scala territoriale. In particolare, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione creano network di relazioni tra attività di individui e organizzazioni che prescindono dalla distanza e dallo specifico contesto di riferimento spaziale.

Oggi è pertanto necessaria una visione diversa e nuova del territorio su cui basare le strate-gie di sviluppo. Il concetto di territorio inteso come sequenza di agglomerazioni (e di spazi vuoti interclusi), deve aprirsi a un concetto complesso di “prossimità”: prossimità fisica (la più tradizionale), che coglie l’ineliminabile bisogno di relazioni comunitarie, che ancora in misura preponderante si dipanano in termini di contatti interpersonali e di identità locali;

pros-capitolo

ATTUAZIONE E

PARTECIPAZIONE