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Value-Based Management, teoria degli Stakeholder e sostenibilità aziendale

Obiettivi della ricerca

II.2 Il concetto di Value-Based Management

II.2.2 Value-Based Management, teoria degli Stakeholder e sostenibilità aziendale

Operando in un contesto sociale, le aziende si trovano ad essere immerse in una molteplicità di relazioni con altri attori economici, politici e sociale. In esse convergono e si armonizzano gli interessi, le attitudini e le azioni di coloro che ad essa dedicano le loro energie produttive e che in essa ritrovano i mezzi per l’appagamento dei propri bisogni (Zappa, 1927), imponendo all’azienda di dare conto delle proprie intensioni ed azioni non solo in termini economici ma anche sociali ed ambientali. Ciò significa che l’azienda, per assicurare il proprio benessere (equilibrio economico a valere nel tempo), deve soddisfare adeguatamente le attese di tutti gli interlocutori, in quanto, in caso contrario, essa verrebbe abbandonata a vantaggio di altre aziende e la propria capacità di operare sarebbe messa in crisi (Donna, 1999).

Nell’ottica del VBM, in prima istanza, esso sembra tendere al soddisfacimento degli interessi degli azionisti anche a spese degli altri soggetti che a vario titolo gravitano intorno all’azienda. A partire dai primi anni 1970, alcuni ricercatori hanno introdotto una nuova teoria, denominata "Stakeholder Theory” (o teoria degli stakeholder), che mira ad estendere la responsabilità delle aziende, non solo nei confronti dei soci, ma anche nei confronti di tutti gli altri stakeholder: dipendenti, fornitori, concorrenti, comunità, ecc. In particolare, tra gli altri, Robert Edward Freeman teorizzò che, tenendo conto degli interessi di tutti gli stakeholder aziendali, la società potrebbe ottenere prestazioni di business migliori rispetto a coloro che si concentrano solo sugli interessi degli azionisti (Freeman et al, 2010)42. Il management deve, non solo considerare gli interessi degli shareholder, ma ottimizzare i più vasti interessi degli stakeholders. Se tale teoria tenta di parificare il trattamento degli interessi di tutti i gruppi di stakeholder aziendali, il concetto di "sostenibilità aziendale" va oltre ampliando la responsabilità dell’azienda fino ad includere la gestione dell’impatto sull'ambiente e sulla società. In particolare, il concetto di sostenibilità si riferisce alla capacità di "soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni" (The Brundtland Commision, 1987: p. 43) e, quindi, un azienda sostenibile è quella che "contribuisce allo sviluppo sostenibile offrendo contemporaneamente benefici di ordine economico, sociale e ambientale (c.d. “three bottom line") (Hart e Milstein, 2003).

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Nel caso l’azienda abbia finalità lucrative, con l’espressione “adeguata remunerazione dei fattori produttivi “ si devono comprendere anche coloro che hanno conferito capitale, sia esso conferito a titolo di proprietà o di prestito.

41 Più recentemente molti studiosi nazionali hanno ripreso e approfondito i concetti del VBM, tra questi: Guatri, 1991, 1998, 2000; Donna,

1991, 1999, 2000; Olivotto, 2000; Amaduzzi, 1998; Russo, 2000; Coda, 1963; Pellicelli, 2000.

42 Sebbene vi siano stati numerosi contributi allo sviluppo della ricerca in questo settore, la teoria più importante nata dalla dottrina di

Freeman è sicuramente il " Corporate Social Responsibility " (CSR), che prevede l'integrazione di preoccupazioni di natura etica all'interno della visione strategica della società.

37 Sebbene i principi enunciati siano in larga parte condivisibili ed abbiano guadagnato un crescente interesse da parte di investitori e aziende43, l’affermazione di questo nuovo paradigma ha incontrato numerosi ostacoli. Dal un lato, il perseguimento delle aspettative degli stakeholder e la sostenibilità delle imprese rimane difficile da conciliare con l'obiettivo di aumentare il valore degli azionisti; infatti, non vi è alcuna chiara evidenza empirica sulla relazione tra responsabilità sociale ed ambientale dell’azienda e la sua performance finanziaria (Schaltegger et al., 2002; Petty et al. 2009). D'altro lato, sia la teoria degli stakeholder (ST) che l'approccio allo sviluppo sostenibile descrivono una strategia generale di gestione senza fornire ai manager una regola per bilanciare interessi concorrenti (Guatri, 2009; Copeland, 2000). Al contrario, la definizione degli obiettivi dell’azienda in termini di creazione di valore per l’azionista risulta razionale, largamente condivisibile, stimolante e, soprattutto misurabile (Guatri, 2009, p. 9). A questi ostacoli si aggiunge poi una folta schiera di sostenitori del VBM che considerano gli azionisti “i soli stakeholder che, cercando di massimizzare il proprio interesse, contemporaneamente massimizzano le rivendicazioni di ciascunaltro” (Copeland, 1994, p. 103). A tal riguardo sembra doveroso precisare che operando in economcità, la gestione massimizzaza il valore dell’impresa nel suo complesso (enterprise value), e con esso il valore del capitale azionario (equity value). Se tale affermazione può essere ritenuta vera in assoluto, il contrario, invece, non sempre si realizza. In particolare, “non è detto che ponendo l’enfasi esclusivamente sulla creazione di valore per il capitale azionario il valore dell’impresa sia automaticamente massimizzato” (Dallocchio e Salvi, 2004: p. 6). In particolare, “l’attenzione esclusiva alla creazione di valore potrebbe rivelarsi una strategia miope e sfavorevole persino per gli stessi azionisti (Dallocchio e Salvi, 2004: p. 8). Sulla base di questa doverosa precisazione, è utile evidenziare come “l’azienda si trova al centro di una complessa catena di giudizi di valore”(Donna 1999) ed il fine principale dell’azienda è dunque “il durevole soddisfacimento dell’insieme di interessi economici dei soggetti ad essa legati” (Dallocchio e Salvi, 2004: p. 3). Ad esempio, i clienti potenziali valuteranno se il prodotto che l’azienda offre vale il prezzo da pagare; i dipendenti valuteranno se i compensi (monetari e non monetari) valgono l’impegno e i sacrifici loro richiesti; i suoi finanziatori, se il ritorno atteso dal loro impegno di capitale vale il rischio connesso all’incertezza dei risultati reddituali. Dato che ognuno di questi interlocutori tende ragionevolmente a massimizzare il valore del proprio contributo (i clienti tendono a massimizzare il rapporto qualità-prezzo dei prodotti che acquistano, i dipendenti tendono a massimizzare il rapporto compenso-condizioni di lavoro, ecc.) e che tali istanze sono in qualche misura conflittuali, l’azienda è sottoposta alla continua sintesi e mediazione tra questi interessi al fine di individuare un equilibrio che sia complessivamente soddisfacente. Tra i molteplici interlocutori, coloro che vedono la soddisfazione delle proprie attese subordinata a quelle degli altri stakeholder sono gli azionisti. L’azionista, infatti, è colui che apporta il capitale accettando la condizione di essere remunerato dopo tutti gli altri. Da ciò si deduce logicamente che la loro soddisfazione implica

43 Secondo Fortune, la percentuale delle prime 250 aziende al mondo che propongono report su questioni ambientali, sociali e di

38 necessariamente la soddisfazione degli altri interessi in gioco. La remunerazione degli azionisti rappresenta dunque un obiettivo capace di assicurare la soddisfazione delle attese di tutti i soggetti coinvolti, ed il perseguimento di tale obiettivo, in maniera continuata, può essere assicurato solo se all’azionista spetta “il primato in termini di potere, cioè che gli sia riservato il diritto di determinare le decisioni (…) che possono avere massimo impatto sulla capacità dell’azienda di creare valore e sulle modalità di distribuzione del valore creato” (Donna, 1999, p. 32). Porre come obiettivo principe la massimizzazione del valore per l’azionista non significa massimizzare tale obiettivo a scapito delle attese degli altri stakeholder. Collegandosi a quanto detto in precedenza, tale obiettivo dovrebbe essere inteso come compatibile con gli interessi degli altri stakeholder i modo tale che questi rinnovino il loro consenso all’attività aziendale e la stessa possa svolgersi in maniera economica (Coda 1988; Coda e Russo, 2003). In caso contrario, verrebbe meno il concetto di “durabilità” espresso precedentemente. Dunque, in tal caso, più che parlare di massimizzazione del valore per l’azionista, si dovrebbe parlare di massimizzazione vincolata44, ossia massimizzare il ritorno dell’azionista assicurandosi che la soddisfazione degli altri portatori d’interesse non scenda al di sotto di adeguati livelli di accettabilità. In conclusione, riteniamo che il VBM non sia incompatibile con la Stakeholder Theory o con la “sostenibilità di azienda” in quanto esso, non disconoscendo le esigenze dei molteplici stakeholder45

, consente, da un lato, di capire come la creazione di valore influenza, o sia interessata, dai molteplici attori che ruotano intorno alla società, e dall’altro, fornire le indicazioni su come allocare le risorse tra gli interessi in competizione (Holler, 2009), integrando così la gestione ambientale e sociale nella gestione convenzionale economicamente orientata (Schaltegger et al. 2002).