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La configurazione dei sistemi Value-Based Management: analisi di evidenze empiriche nel Private Equity

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Scuola di Dottorato di Ricerca in

Scienze aziendali, economiche e matematico−statistiche applicate

all'economia "Fibonacci" (XXVI° Ciclo)

Corso di Dottorato in Economia Aziendale

Dissertazione di Dottorato

La configurazione dei sistemi Value-Based Management: analisi

di evidenze empiriche nel Private Equity

Direttore della Scuola:

Prof. Davide Fiaschi

Presidente del programma di Economia Aziendale

: Prof. Daniele Dalli

Tutor: Prof. Riccardo Giannetti

Dottorando:

Andrea Dello Sbarba

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Ringraziamenti

Un ringraziamento sincero va al mio Tutor, Prof. Riccardo Giannetti per avermi guidato nel

mio percorso di ricerca con saggi consigli ed avermi seguito costantemente nella realizzazione

della tesi di dottorato, nonché per avermi dato la straordinaria opportunità di entrare a contatto

con la dimensione internazionale della ricerca trasmettendomi, contemporaneamente, la sua

esperienza professionale ed umana.

Un ringraziamento speciale è rivolto al Professor Alessandro Marelli che mi ha sempre

seguito nei miei studi e supportato nel lavoro di tesi, dandomi preziosi suggerimenti e

mostrando costante interesse ed entusiasmo verso i risultati di questo lavoro.

Desidero inoltre ringraziare il Prof. Falconer Mitchell che mi ha accolto al Department of

Accounting and Finance della University of Edinburgh – Business School (UK) e mi ha

guidato nel corso dell’esperienza internazionale con i suoi consigli ed il suo indispensabile e

prezioso supporto nello sviluppo della struttura teorica della ricerca.

Sono molto obbligata nei confronti del Dott. Dario Gentile che mi ha supportato nella fase

operativa di realizzazione dell caso esplorativo, grazie ai costanti colloqui e scambi di idee

che mi hanno permesso di esplorare da vicino i sistemi di valutazione delle performance

basati sul valore adottati nel campo del Private Equity. Inoltre, ringrazio di cuore la Dott.ssa

Alessandra Bechi, Direttore dell’Ufficio Tax & Legal E Affari Istituzionali dell’Associazione

Italiana del Private Equity e del Venture Capital (AIFI) per aver mostrato una costante

disponibilità ed interesse nel mio lavoro di tesi, aiutandomi ad entrare in contatto con i casi di

studio oggetto della ricerca.

Vorrei inoltre esprimere la mia gratitudine per i preziosi consigli nei confronti del Prof. Lino

Cinquini, Dott. Emilio Passetti, Dott. Andrea Tenucci e della mia collega di lavoro Dott.ssa

Laura Risso.

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Indice

INTRODUZIONE

I. INQUADRAMENTO TEORICO DELLA RICERCA

I.1 Paradigmi e teorie

I.2 Metodologia e metodi di ricerca I.3 Le domande di ricerca

II. VALUE-BASED MANAGEMENT: ASPETTI TEORICI II.1 Introduzione

II.2 Il concetto di Value-Based Management

II.2.1 Value-Based Management e la massimizzazione della ricchezza degli azionisti II.2.2 Value-Based Management, teoria degli Stakeholder e sostenibilità aziendale II.3 Value-Based Management e creazione di “valore economico”

II.3.1 Il Value-Based Management e il “Capitale economico” II.3.3 La determinazione del “Valore economico” del capitale

III.3.3.1 Il Discounted cash flow

III.3.3.2 Il modello reddituale o “Economic Value of the Firm” III.3.3.4 I metodi misti: il modello del reddito residuale

III.3.3.3 Il metodo dei multipli

II.3.2 Value-Based Management, costo del capitale e rischio

II.4 Il Value-Based Management: da “Sistema di controllo manageriale” a “Sistema di gestione delle performance”

II.4.1 La visione, la missione e gli obiettivi II.4.2 I fattori chiave di successo

II.4.3 Le strategie

II.4.4 I " value driver operativi”

II.4.5 Gli indicatori chiave di prestazione II.4.6 Determinazione del livello degli obiettivi II.4.7 Il sistema premiante

II.4.8 Allineamento e cambiamento

III. VALUE-BASED MANAGEMENT: DALLA TEORIA ALLA PRATICA III.3.1 Introduzione

III.3.2 Il Value-Based Management negli studi empirici

III.3.2 Il concetto di sofisticazione nel Value-Based Management III.3.3 I fattori determinanti la sofisticazione

III.3.3.1 L’ambiente esterno III.3.3.2 La strategia III.3.3.3 L’organizzazione III.3.3.4 Il settore

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4 IV. UNA RICERCA EMPIRICA SULLA CONFIGURAZIONE DEI SISTEMI VALUE-BASED

MANAGEMENT NEL SETTORE DEL PRIVATE EQUITY IV.1 Obiettivi della ricerca

IV.2 Metodologia della ricerca

IV.2.1 L’ambito di ricerca: il settore del private equity IV.2.1.1 I Fondi chiusi di Investimento

IV.2.1.2 Le tipologie di investimento nel private equity IV.2.1.3 La catena del valore del private equity

IV.2.1.4 La rilevanza del fenomeno del private equity IV.2.1.5 Private equity e Value-Based Management IV.3 Il processo di selezione e raccolta dati

IV.4 Il profilo delle società di private equity e delle “backed firm” IV.5 Analisi dei risultati

IV.5.1 La sofisticazione dei sistemi Value-Based Management

IV.5.2 La relazioni tra le variabili contingenti e la sofisticazione dei sistemi Value-Based Management

CONCLUSIONI

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Introduzione

Il Value Based Management (VBM) rappresenta la storia di accademici, consulenti, dirigenti che

hanno creduto nella creazione di valore economico del capitale come obiettivo primario dell’azienda e che hanno contribuito con i propri lavori al continuo sviluppo e perfezionamento della disciplina (Arnold, 2000). Nonostante i concetti basilari sottostanti la creazione del valore economico per l’azionista risalgano a più di 200 anni fa (Smith, 1776), solo negli ultimi tre decenni il VBM si è diffuso presso un numero crescente di aziende. L’introduzione del concetto di valore economico del

capitale ha trovato inizialmente terreno fertile nell’ambito della finanza, che lo ha sviluppato

soprattutto nella prospettiva della valutazione degli investimenti. Dagli anni 80,

a seguito dell'emergere di un mercato attivo per il controllo societario, della crescente importanza del capitale proprio nei pacchetti retributivi dei dirigenti, la penetrazione dei piccoli risparmiatori nelle partecipazioni azionarie e la crisi dei sistemi pensionistici (Copeland et al., 2000: p. 4 e ss.),

la

valorizzazione del capitale secondo tali principi

ha subito un notevole impulso, spingendo progressivamente il management aziedale a pianificare, organizzare e controllare la gestione strategica ed operativa in termini di riflessi sul valore economico dell’investimento effettuato dagli azionisti (Rappaport 1981; Guatri, 1991; Donna 1999; Black et al., 2000). A tal fine, la limitata attenzione posta dal modello finanziario1 sull’intero processo decisionale ha reso opportuna la sua integrazione con altri approcci atti ad articolare ed approfondire il sistema delle variabili capaci di spiegare l’origine e l’evoluzione dei risultati, nonché dare la possibilità al management di controllarli. Una prima risposta in questa direzione proviene da numerosi contributi che hanno sviluppato metriche atte ad assistere i processi gestionali orientati al valore, attraverso la misurazione ma soprattutto l’indentificazione delle sue determinanti (Stewart, 1991; Rappaport, 1986; McTaggart et al., 1994; Fruhan, 1979). Sebbene lo sviluppo di principi e metriche abbia rappresentato un’importante momento di sviluppo della disciplina del VBM, negli ultimi 20 anni si è però assistito ad una spinta all’integrazione tra le diverse discipline, conducendo verso una considerazione del VBM secondo un approccio olistico, che non consideri solo l’aspetto della misurazione, ma anche aspetti connessi alla gestione (strategica ed operativa) e all’organizzazione. Si è arrivati così a considerare il VBM come un particolare approccio al management control system (MCS), caratterizzato dal “considerare ogni decisione (strategica o tattica), ogni relazione con l’ambiente esterno ed interno, ogni tecnica per misurare ed intervenire sulle

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6 fondamentali variabili economico e finanziarie, come finalizzata alla creazione di valore per gli azionisti” (Ittner e Larker, 2001).

Sebbene a partire dagli anni ottanta, una folta schiera di studiosi, sia di stampo accademico che consulenziale, si siano interessati al tema del Value Based Management, trattandone ampiamente i concetti, le logiche e le tecniche, molte sono ancora le questioni che rimangono aperte. In primo luogo, la relazione tra adozione del VBM e il miglioramento della performance resta ancora oggi uno degli argomenti più incerti e dibattuti (Lueg e Shaffer, 2010; Bughin e Copeland, 1997; Olsen, 1999). In secondo luogo, nonostante la grande quantità di contributi di stampo “normativo” abbia contribuito ad apprezzare i fondamenti logici e le tecniche disponibili per realizzare un sistema di VBM, (Copeland et al., 2000, Mc Taggart et al., 1994; Rappaport, 1986; Stewart, 1991; Donna, 1999; Olivotto, 2000), le evidenze empiriche mostrano come nella pratica tali modelli siano applicati in maniera differente (Malmi e Ikaeimo, 2003). Infine, in terzo luogo, se fin dagli anni novanta il concetto di “Shareholder Value” è stato intensamente discusso come approccio manageriale per le imprese quotate, lo studio dell’applicazione di concetti e tecniche del VBM nella realtà delle aziende non quotate e medio-piccole è stato quasi totalmente trascurato (Krol, 2007). Infine, nonostante il tema della sostenibilità ambientale e sociale stia diventando un argomento di sempre maggior rilevanza per tutte le imprese a livello mondiale (Hart e Milstein, 2009), nella letteratura del VBM questi aspetti sembrano assumere un ruolo marginale, lasciando aperti notevoli opportunità di ricerca.

Nel tentativo di contribuire a colmare questi “gap” di ricerca, il presente lavoro intende indagare le pratiche di Value Based Management perseguendo un triplice obiettivo:

 esplorare il grado di sofisticazione dei sistemi di VBM, basati sul concetto di PMS, all’interno delle aziende non quotate;

 comprendere l’influenza di alcune variabili contingenti (strategia, organizzazione, settore, ambiente esterno) sul grado di sofisticazione dei sistemi di VBM.

 esplorare l’impatto del “movimento della sostenibilità” sui sistemi VBM.

Questi obiettivi di ricerca saranno perseguiti attraverso lo sviluppo di casi di studio multipli (Yin, 2003) selezionati nell’ambito di aziende acquisite dei fondi di private equity (PE) italiani. In particolare la ricerca si propone di fornire una prima risposta alle seguenti domande di ricerca:

 Come sono applicati i sistemi di VBM nelle aziende acquisite da fondi di PE?

 Come le variabili di contesto influenzano il grado di sofisticazione con il quale il VBM si configura?

 il concetto di sostenibilità impatta su tali sistemi VBM?

La scelta indagare aziende acquisite da fondi di PE è basata sulle seguenti considerazioni: 1) le prestazioni al di sopra della media: alcuni studi dimostrano come le imprese acquisite dai fondi di PE (“PE-backed”) abbiano raggiunto prestazioni superiori rispetto ad imprese comparabili che non sono state coinvolte in operazioni simili (Wilson et al, 2012; Beuselinck et al., 2009); 2) la “raison d’etre”

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7 dei fondi di PE è la creazione di valore economico, la quale è perseguibile soltanto attraverso una gestione dell’impresa acquisita effettivamente orientata alla creazioen di valore (Metrick e Yasuda, 2011; Malmi e Ikäheimo, 2003); 3) le "best practices" a livello di gestione delle aziende acquisite sono trasferibili: alcuni autori (tra gli altri Beuselinck et al. 2009; Katz, 2009), focalizzando la loro attenzione sulle cause delle migliori prestazioni delle “backed-firms”, hanno sottolineato come tali motivi fossero molto spesso estranei a elementi specifici del settore del PE; 4) Le aziende di PE investono esclusivamente in società non quotate (e spesso di medio-piccole dimensioni), fornendo la possibilità di studiare società “private” che avessero l’esplicito obiettivo di creare valore.

La risposta alle suddette domande in tale ambito drovrebbe dunque consentire al presente lavoro di contribuire alla letteratura sul VBM sotto diversi aspetti:

 Fornire una descrizione del concetto di sofisticazione nell’ambito dei sistemi VBM più articolata rispetto a quella di precedenti studi attraverso l’applicazione dello schema concettuale del Performance Management System presentato da Otley e Ferreira (2009);  Attuare la ricerca nell’ambito delle società di Private Equtiy, ambito che, sotto questo punto di

vista, è ancora largamente inesplorato. In particolare, oltre a far luce sui sistemi impiegati in tale campo, lo studio di questa realtà consente di escludere l’influenza di alcuni “fattori di disturbo” presenti negli studi volti a comprendere il gap esistente tra teoria e pratica (ad esempio caratteristiche del Management, ostacoli al processo di implementazione, finalità di impiego, ecc.), nonché studiare i sistemi VBM nella realtà delle società non quotate.

 studiare la sofisticazione dei sistemi VBM attraverso il confronto tra i modelli teorici e le pratiche rilevate all’interno delle aziende controllate da PE, presupponendo che, visto il forte background manageriale, date le elevate performance dimostrate dalle aziende partecipate, nonché vista la funzione consulenziale considerata da esse come contributo principe al perseguimento di simili risultati, il livello di sofisticazione rilevato nelle società controllate possa essere considerato funzionale alla sua gestione, e dunque adeguato al tipo di realtà.  collocandosi all’interno del filone di ricerca basato sull’approccio della teoria della

contingenze, spiegare le eventuali differenze nella sofisticazione tra i sistemi VBM esaminati ed i modelli previsti in letteratura attraverso l’analisi di quattro variabili contingenti: la strategia di business, il settore industriale, le caratteristiche organizzative e l’incertezza ambientale, basandosi su uno schema concettuale non impiegato in ricerche empiriche precedenti..

 evidenziare come il concetto di sostenibilità influenzi l’implementazione dei sistemi suddetti. Il lavoro si sviluppa in quattro capitoli. Il primo mira ad esporre le scelte di impostazione teorica attuate nella ricerca. In particolare, dopo una disamina dei principali paradigmi e teorie impiegate nelle ricerche delle scienze sociali e più in particolare nell’ambito della contabilità direzionale (o Management Accounting), si presentano i principi fondamentali della teoria sottostante questa indagine, ovvero la teoria delle contingenze. Successivamente si analizzano le principali metodologie

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8 di ricerca impiegate in tale ambito, con particolare attenzione ai casi di studio multipli ed ai metodi impiegati a tal fine. Il capitolo si conclude con una descrizione della ricerca sviluppata in termini di prospettiva teorica, metodologia della ricerca, obiettivi e domande di ricerca.

Il secondo capitolo presenta un’analisi della principale letteratura nazionale ed internazionale in tema di VBM. In particolare, si espongono i principali concetti e tecniche di VBM esaminati dalla letteratura normativa, nonché il ruolo e le caratteristiche di un sistema di VBM inteso come sistema di gestione della performance.

Nel terzo capitolo invece, si affronta il tema delle pratiche di VBM, esponendo i principali studi sull’argomento, il concetto di “sofisticazione” di tali sistemi come strumento atto a descriverne il grado di implementazione ed infine il ruolo delle variabili di contesto che su tale variabile agiscono. In tale ambito verranno sviluppate le principali proposizioni successivamente indagate attraverso l’analisi empirica.

L’ultimo capitolo è dedicato ad un’analisi dei casi oggetto di studio ed alla verifica delle proposizioni sviluppate in precedenza sulla base della letteratura esaminata. Più in dettaglio, l’analisi empirica che riassume i risultati si compone di due parti: nella prima sono presentati i risultati in termini di configurazione dei sistemi di VBM nelle aziende indagate, mentre la seconda parte si concretizza in un’analisi delle relazioni tra variabili contingenti e sofisticazione del VBM al fine di verificare la validità delle proposizioni suddette. Infine nelle conclusioni si svolgono delle considerazioni finali sui risultati della ricerca, i principali limiti e possibilità di ricerche future.

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I

Inquadramento teorico della ricerca

Il termine “Scienza”, dal latino “Conoscenza”, si riferisce ad un sistematico ed organizzato corpo di conoscenza, con riferimento a qualunque area di indagine, che è acquisita attraverso l’utilizzo del metodo scientifico (Bhattacherjee, 2012). La conoscenza scientifica si riferisce ad un corpo generalizzato di leggi e teorie che spiegano un fenomeno o un comportamento di interesse attraverso l’utilizzo di un metodo scientifico. La creazione della conoscenza scientifica avviene attraverso la ricerca scientifica il cui scopo è quello di scoprire leggi e ipotizzare teorie che spieghino fenomeni naturali o sociali. Le “leggi” sono modelli del fenomeno o di comportamenti osservati, mentre le teorie sono una spiegazione sistematica del fenomeno sottostante o del comportamento. Il perseguimento di tale scopo avviene attraverso un processo di logica and evidenze. La logica (Teoria) e l’evidenza (Osservazione empirica) sono fortemente interrelate e rappresentano i due, ed i soli due, pilastri su cui è basata la conoscenza scientifica. Da un lato, la teoria fornisce senso e significato a ciò che osserviamo, mentre, dall’altro, le osservazioni consentono di validare o perfezionare la teoria o costruirne di nuove. La ricerca scientifica opera dunque su due livelli: a livello teorico e a livello empirico. Il livello teorico riguarda lo sviluppo di concetti astratti circa i fenomeni naturali o sociali e la costruzione di relazioni tra quei concetti (costruzione della teoria), mentre il livello empirico riguarda la verifica dei concetti teorici e relazioni al fine di verificare come questi riflettono la realtà osservata, con l’obiettivo ultimo di costruire una teoria migliore.

Figura 1. Il ciclo della ricerca scientifica. Tratto ed adattato da (Bhattacherjee 2012)

Condurre una ricerca scientifica richiede perciò due insiemi di abilità, teoriche e metodologiche, al fine di operare sia a livello teorico che empirico. Questo primo capitolo è dunque incentrato sull’esposizione delle basi teoriche e metodologiche che istruiscono gli approcci alla ricerca nel campo delle scienze sociali e più specificatamente in questa tesi. La prima sezione del capitolo ha l’obiettivo di chiarire le basi filosofiche e teoretiche alla base della selezione dei metodi di ricerca utilizzati. In

TEORIA

OSSERVAZIONE Generalizzazione

delle osservazioni

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10 particolare, basandosi su assunzioni circa la natura delle scienze sociali e la natura della società, esso vuole illustrare i principali paradigmi e teorie a disposizione dei ricercatori in scienze sociali ed esplicitare la posizione assunta nello sviluppo di questa ricerca. Nella seconda parte del capitolo, ci focalizzeremo sulla metodologia di ricerca impiegata, per concludere nel terzo con le domande di ricerca indagate.

I.1 Paradigmi e Teorie

Nel management Accounting, come in tutti gli ambiti disciplinari, il percorso di ricerca, ed implicitamente la scelta della metodologia scientifica per l’investigazione dei problemi ad esso connessi, deve inevitabilmente prendere avvio da un problema prettamente filosofico, ossia dalle assunzioni filosofiche attribuite al termine scienza. Il punto di vista filosofico del ricercatore è importante quanto gli strumenti ed i metodi da esso utilizzati in quanto, senza quest’ultimo, una scienza non avrebbe “né orientamenti né criteri di scelta, perché tutti i criteri, i problemi e le tecniche diventano ugualmente rilevanti” (Corbetta 2003: p. 13). Dunque, tutti gli scienziati che si approcciano al loro oggetto di ricerca definiscono, esplicitamente o implicitamente, quelle che sono le loro assunzioni circa la natura del mondo ed il modo in cui questo deve essere investigato.

Il termine “paradigma”2

nell’epistemologia contemporanea trae il suo significato dall’opera di Thomas Samuel Khun del 1979, “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”: “una prospettiva teorica3: (a) condivisa e riconosciuta dalla comunità degli scienziati di una determinata disciplina; (b) fondata sulle acquisizioni precedenti della disciplina stessa; (c) che opera indirizzano la ricerca in termini sia di (c1) individuazione e scelta dei fatti rilevanti da studiare, sia di (c2) formulazione di ipotesi entro le quali collocare la spiegazione del fenomeno osservato, sia di (c3) approntamento delle tecniche di ricerca necessarie” (Corbetta, 2003: p. 13). Nella sua opera, Khun rigetta la concezione tradizionale di scienza come accumulazione progressiva di nuove scoperte, sostenendo l’esistenza di periodi di “scienza normale” interrotti da momenti detti “rivoluzionari”. In particolare, Khun sostiene che la scienza attraversi in maniera ciclica alcune fasi che sono indicative di come essa operi (Figura 2).

2 Il termine “paradigma”, di derivazione latina, significa”modello, esempio”.

3 Il termine “prospettiva teorica” è volutamente utilizzato per distinguere il concetto di paradigma da quello di teoria, considerando il primo

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Figura 2. Il ciclo della scienza secondo Kuhn (1962)

La prima fase, denominata “Periodo pre-paradigmatico”, e’ caratterizzata dalla presenza di molteplici scuole differenti, in competizione tra loro, e dall’assenza di un sistema di principi condivisi4

. A un certo punto della storia della scienza in esame, viene sviluppata una teoria5 in grado di spiegare la maggior parte degli effetti studiati dalle scuole precedenti, dando vita così ad un paradigma. Esso può essere definito6 come una prospettiva teorica (un insieme di assunzioni teoriche) che è condivisa e riconosciuta dalla comunità scientifica, all’interno della quale si raccolgono un insieme di teorie, leggi e strumenti accettate. Questa adesione sancisce la Fase di “accettazione del paradigma”. Una volta definito il paradigma ha inizio il periodo di “scienza normale”, nel quale gli scienziati, basandosi sull'insieme dei principi di fondo dettati dal paradigma dominante e ampiamente condiviso, sono considerati “risolutori di rompicapi volti a migliorare l'accordo tra il paradigma e la natura. Questa fase costituisce il momento in cui la scienza si sviluppa secondo quel modo di procedere lineare e cumulativo (visione tradizionale) e dove viene prodotta la maggior parte della conoscenza scientifica7. Durante la fase di scienza normale si otterranno successi, ma anche insuccessi; tali insuccessi, per Kuhn, determinano il passaggio alla fase della “Nascita delle anomalie”, ovvero eventi che vanno contro il paradigma. Quando tali anomalie risultano particolarmente persistenti, in quanto non risolte da ulteriori studi, può avvenire che l'anomalia metta in dubbio tecniche e credenze consolidate con il paradigma, aprendo così alla fase della “crisi del paradigma”. In questa fase, alcuni scienziati abbandoneranno degli schemi precostituiti del paradigma dominante dando vita a nuovi paradigmi diversi, la cui nascita determina il passaggio alla fase della “rivoluzione scientifica” (o periodo di

4 Nel suo libro Kuhn enuncia: “…early develompment stages of most sciences have been caracterized by continual competition between a

number of distinct views of nature, each partially derived from, and all roughly compatible with, the dictates of scientific observation and method. What differentiated these various schools was not one or another failure of method – they are all scientific – but what we shall come to call their incommensurable ways of seeing the world and of practicing science in it” (Kuhn, 1962, p. 4).

5 Kuhn descrive due caratteristiche di questo risultato raggiunto: deve essere “sufficiently unprecedented to attract an enduring group of

adherents away from competing modes of scientific activity” e “sufficiently open-ended to leave all sorts of problems for the redefined group of practitioners to resolve.” “Achievements that share these two characteristics I shall henceforth refer to as ‘paradigms,’…I mean to suggest that some accepted examples of actual scientific practice – which include law, theory, application, and instrumentation together– provide models from which spring particular coherent traditions of scientific research.”

6 Kuhn non fornisce una definizione precisa del termine paradigma; altri autori, sulla scia del suo lavoro, hanno tentato di definire tale

termine. Tra gli altri Capra F. (1996) definisce il “paradigma come “a constellation of concepts, values, perceptions and practices shared by a community, which forms a particular vision of reality that is the basis of the way a community organizes itself

7 Kuhn (1962) in proposito enuncia: “il compito dell scienza normale non è scoprire nuovi generi di fenomeni”, bensì “l’articolazione di quei

fenomeni e di quelle teorie che sono già fornite dal paradigma” (p. 44).

FASE 0: "PERIODO PRE-PARADIGMATICO " FASE 1: "ACCETTAZIONE DEL PARADIGMA" FASE 2: "SCIENZA NORMALE" FASE 3: "NASCITA DELLE ANOMALIE" FASE 4: "CRISI DEL PARADIGMA" FASE 5: "RIVOLUZIONE SCIENTIFICA"

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12 scienza straordinaria) nel quale si aprirà una dibattito all'interno della comunità scientifica su quali dei nuovi paradigmi accettare, dal quale si determinerà la soluzione della crisi e la selezione del nuovo paradigma In particolare, in questo modo si realizza un riorientamento della disciplina, ossia la “trasformazione della struttura concettuale (o paradigma) attraverso la quale gli scienziati guardano il mondo” (Kuhn, 1962: p. 131).

Da un punto di vista scientifico ciò che caratterizza le scienze sociali rispetto a quelle naturali è il minor grado di precisione, accuratezza, determinatezza e indipendenza delle persone che effettuano le osservazioni scientifiche (Capra, 1998) . Ciò significa che le scienze sociali presentano un maggior grado di “errore di misurazione”, il quale determina un’elevata incertezza ed una ridotta concordanza sulle metodologie della ricerca. Ciò determina che, mentre le scienze naturali, in tempi di scienza normale, possiedono un paradigma unico, le scienze sociali sono multi-paradigmatiche, ossia presentano un pluralismo paradigmatico, teorico, metodologico e tecnico, che identifica diversi approcci alle scienze sociali (Capra, 1998). A questo proposito, (Burrell and Morgan, 1979) hanno proposto un framework volto a classificare e comprendere paradigmi e teorie sociologiche, sulla base del modo in cui i ricercatori vedono e studiano i fenomeni sociali, e sulle assunzioni che essi fanno relativamente a due dimensioni: la natura delle scienze sociali e la natura della società. In particolare, con riferimento alla prima dimensione (“natura delle scienze sociali”) scaturiscono dalle posizioni assunte dal ricercatore su quattro elementi tra loro interrelati8:

 la “natura della realtà” (o Ontologia), ossia assunzioni che concernono l’essenza del fenomeno sotto osservazione. Blaikie (2010) definisce l’ontologia come “assunzioni circa la natura della realtà sociale, come si presenta, quali elementi la compongono e come questi interagiscono a vicenda. In breve, le assunzioni ontologiche si riferiscono a ciò che crediamo costituisca la realtà sociale”. Burrell e Morgan (1979) evidenziano due posizioni estreme e contrastanti presenti in letteratura: il nominalismo (visione soggettiva), che considera il mondo esterno come prodotto della coscienza individuale, consistente semplicemente di nomi, concetti e classificazioni create dalle persone per comprendere e descrivere la realtà, e il realismo, che parte dall’assunto che il mondo è costituito da una struttura esterna e concreta, che esiste indipendentemente dalla cognizione di qualsiasi individuo (visione oggettiva) (Burrell e Morgan, 1979: p. 4). In definitiva, ci si chiede se “il mondo dei fatti sociali sia un mondo reale e oggettivo dotato di una sua autonoma esistenza al di fuori della mente umana e indipendente dall’interpretazione che né da il soggetto” (Corbetta, 2003: p. 17).

 la “natura della conoscenza” (o Epistemologia), ossia la forma da questa assunta e il modo in cui può essere acquisita e trasmessa. L’Epistemologia9 (derivante dal Greco “Episteme”

8 A tal proposito, è utile sottolineare come le assunzioni fatte su ciascuno di questi elementi influenzano in maniera determinante quelle fatte

sulle altre (Corbetta, 2003: p. 18). Ad esempio, se il mondo sociale esiste in quanto tale, indipendentemente dall’agire umano, sarà legittima l’aspirazione a raggiungerlo, a conoscerlo con obiettivo distaccato, senza timore di alterarlo nel corso del processo conoscitivo.

9 L’Epistemologia è strettamente legata alla posizione ontologica assunta, in quanto quest’ultima risulta determinante del modo in cui tale

realtà debba essere indagata; se l’ontologia risponde alla domanda “What we may know”, l’epistemologia si riferisce a “How we come to know what we know”.

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13 (conoscenza) e “Logos” (ragione) è la branchia della filosofia e riguarda la teoria della conoscenza, con riferimento a ciò che concerne “i possibili modi di acquisire la conoscenza della realtà sociale, le assunzioni su come ciò di cui si presume l’esistenza possa essere conosciuto” (Blaikie, 2010). Burrell e Morgan (1979) individuano due posizioni epistemologiche contrapposte: “positivisti”, ossia coloro che “cercano di spiegare e predire fenomeni sociali cercando regolarità e relazioni causali tra gli elementi che gli compongono”(Burrell e Morgan, 1979: pp. 4-5), e anti-positivisti, secondo cui il mondo sociale non può che essere compreso solo attraverso una previa acquisizione della conoscenza dei soggetti investigati (Burrell e Morgan, 1979: p. 5). Crotty (2003) distingue invece tre generiche impostazioni epistemologiche: Oggettivismo10 (riconducibile alle correnti di filosofiche del positivismo, neo-positivismo e post-positivismo), nel quale l’investigatore, partendo dall’assunto che il mondo è costituito da una struttura esterna e concreta, che esiste indipendentemente dalla cognizione di qualsiasi individuo, e seguendo i principi dell’empirismo, si approccia alla ricerca in maniera oggettiva e presuppone che le conclusioni della ricerca siano considerate vere e generalizzabili; Costruttivismo (riconducibile alle corrente filosofica dell’Interpretativismo) secondo cui non esiste una verità oggettiva, ma il significato della realtà deve essere ottenuto indagando le pratiche ed i costrutti che nascono dalla relazione tra i soggetti e la realtà in cui questi ultimi sono inseriti; Soggettivismo (riconducibile alle correnti filosofiche dello strutturalismo, del post-strutturalismo e post-modernismo) considera il mondo esterno come un puro prodotto della coscienza individuale, e dunque la conoscenza ha natura essenzialmente personale, cosicché il mondo sociale può essere compreso solo indagando la conoscenza dei soggetti investigati. Al di là delle classificazioni,è possibile individuare un continuum di approcci epistemologiciche presentano un maggior o minor grado di oggettività/soggettività nel modo in cui indagare i fenomeni sociali Dalle assunzioni fatte a livello epistemologico discende poi la “forma” che la conoscenza può assumere, “che può andare da “leggi naturali” deterministiche, dominate dalle categorie di causa-effetto, a leggi meno cogenti (probabilistiche), a generalizzazioni di differente forma, a nessuna forma di generalizzazione (Corbetta, 2003: p. 18).“natura del soggetto”, la quale si riferisce alla relazione tra gli esseri umani ed il loro ambiente. In particolare, il comportamento e le esperienze di un soggetto possono essere considerate come, da un lato, completamente determinate e forzate dall’ambiente esterno (determinismo), oppure, dall’altro, come potenzialmente autonome e determinate dalla libera volontà, cosicché ogni soggetto risulta capace di creare un proprio ambiente personale (volontarismo) (Burrell and Morgan, 1979: p. 6). “Metodologia della Ricerca”, la quale può essere definita come “la strategia, il piano di azione o processo nella scelta e nell’uso di particolari metodi e il collegamento di questi con gli output desiderati”

10 I termini "oggettività" e "oggettivismo" non sono sinonimi, ma l’oggettivismo è una teoria ontologica che incorpora l’assunzione

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14 (Crotty, 1998, p.3). A tal proposito, Burrell e Morgan (1979)11 individuano due approcci opposti: un approccio metodologico “idiografico”, secondo cui il mondo sociale può essere conosciuto solo attraverso l’indagine della conoscenza del soggetto, e questa deve essere generata attraverso l’osservazione minuziosa della vita quotidiana per trarne un quadro complessivo; un approccio “Nomotetico”, che presenta una tendenza a generalizzare, tipica delle scienze naturali, nel tentativo di derivare leggi che spiegano i fenomeni in maniera oggettiva, focalizzandosi sull’impiego sistematico di tecniche e protocolli nel processo di costruzione e test delle ipotesi (Burrell e Morgan, 1979: p. 6).

Dall’analisi degli elementi relativi alla natura delle scienze sociali notiamo come, al di là della classificazione,è possibile individuare un continuum di approcci alla “natura delle scienze sociali”che presentano un maggior o minor grado di oggettività/soggettività.

Figura 3. Tipologie di approccio allo studio delle scienze sociali. Adattato da Burrell e Morgan (1979)

L'ordine seguito non è casuale ma nasce dalla volontà di sottolineare il legame logico che lega l'ontologia all’epistemologia e che a sua volta lega l’epistemologia alla metodologia (Hay, 2002). Il fine è quello di evidenziare chiaramente l'interrelazione tra quello che un ricercatore pensa possa essere ricercato (posizione ontologica), come questo debba essere indagato (posizione epistemologica) e come debba essere acquisita la conoscenza (approccio metodologico), e chiarire l’impatto che una particolare visione del mondo ha sull’intero processo di ricerca.

La “Natura della società” riguarda, invece, le assunzioni che riflettono il punto di vista sulla natura dell’oggetto investigato. Molti autori hanno tentato di delineare le differenze che demarcano le diverse scuole di pensiero circa le assunzioni fatte sulla natura della società. Burrell and Morgan suggeriscono una distinzione basata sulla nozione di “Regolamentazione” e “cambiamento radicale” (Burrell e Morgan, 1979: pp. 10 e ss.). Il termine regolamentazione fa riferimento all’interesse dei ricercatori verso lo studio della regolamentazione, dell’ordine e della stabilità, nel tentativo di spiegare perché la

11 Tale distinzione deriva dall’introduzione da parte Windelband (1901) della separazione tra “scienze nomometiche”, cioè finalizzate

all’individuazione di leggi generali, e “scienze ideografiche”, ossia orientate a cogliere l’individualità dei fenomeni, nella loro unicità e irripetibilità. Nominalismo Anti-positivismo Volontarismo Idiografica Realismo Positivismo Determinismo Nomometica Ontologia Epistemologia Natura umana Metodologia Soggettivismo Oggettivismo

(15)

15 società tende a stare unita e coesa, a rimanere un’entità. Dall’altro lato, il termine “cambiamento radicale” si riferisce alla maggiore focalizzazione di un ricercatore sullo studio della separazione di interessi, sui conflitti e sull’iniqua distribuzione del potere al fine di spiegare o prevedere un cambiamento. La questione principale concerne l’emancipazione degli individui da strutture che limitano o arrestano il loro sviluppo.

Dalla combinazione delle due dimensioni sopraesposte Burrell e Morgan (1979) individuano quattro paradigmi che tendono ad escludersi a vicenda: funzionalismo, interpretativismo, umanesimo radicale e strutturalismo radicale.

Figura 4. I quattro paradigmi della ricerca nelle scienze sociali. Adattato da Hopper e Powell (1985)

Il paradigma funzionalistico rappresenta una prospettiva di studi che affonda le sue radici nella “sociologia della regolamentazione” (orientamento verso l’ordine sociale) e si approccia all’oggetto di studio secondo un punto di vista “oggettivo” (realismo, positivismo, determinismo, metodi nomotetici). Esso racchiude tutte quelle scuole di pensiero che, in diversi gradi, enfatizzano l’oggettività delle scienze sociali e della società, e l’interesse verso la spiegazione dell’”ordine sociale”. Questo paradigma trae le sue radici dal positivismo (tra i principali filosofi che hanno contribuito a questa corrente di pensiero ricordiamo Auguste Comte, Herbert Spencer e Vilfredo Pareto) e assume che il mondo sociale sia un’entità concreta e oggettiva e che può essere studiata e descritta mediante proprietà misurabili, indipendentemente dall’osservatore (ricercatore) e dagli strumenti utilizzati, attraverso l’applicazione di metodi e modelli tratti dalle scienze naturali (Burrell and Morgan, 1979; Behling, 1980; Daft, 1983; Shon et al., 1984). In particolare, del positivismo è possibile individuare due versioni principali: una versione “originaria” ottocentesca” (cosiddetta “positivismo”), ormai scomparsa, ed una “novecentesca” (“Neopositivismo” e “Postpositivismo”), che rappresenta una riformulazione della precedente.

Soggettivismo Oggettivismo Cambiamento Radicale Ordine Sociale Strutturalismo Radicale Funzionalismo Umanesimo Radicale Interpretativismo

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16

Tabella 1. Caratteristiche del paradigma funzionalistico-positivista. Adattamento da Corbetta (2003: p. 19) POSITIVISMO NEOPOSITIVISMO/POSTPOSITIVISMO ONTOLOGIA Realismo ingenuo Realismo critico

EPISTEMOLOGIA Dualismo/oggettività Risultati veri Scienza sperimentale in cerca

di leggi Obiettivo: spiegazione Generalizzazione: leggi “naturali immutabili”

Dualismo/oggettività modificati Risultati probabilisticamente veri Scienza sperimentale in cerca di leggi. Molteplicità di teorie per lo stesso fatto.

Obiettivo: spiegazione Generalizzazione: leggi provvisorie aperte

a revisioni METODOLOGIA Osservazione

Distacco osservatore-osservato Prevalentemente induzione

Tecniche quantitative

Analisi “per variabili”

Osservazione Distacco osservatore-osservato

Prevalentemente deduzione (falsificazione delle ipotesi) Tecniche quantitative con apertura a quelle

qualitative Analisi “per variabili

Nato intorno alla metà del XIX secolo (epoca del trionfo delle scienza naturali), grazie al contributo di Comte e Spencer, il paradigma positivista presuppone, da un punto di vista ontologico, l’esistenza di “una realtà sociale oggettiva, esterna all’uomo, che è conoscibile nella sua “reale” essenza (realismo ingenuo). Lo studioso e l’oggetto studiato sono considerati due entità indipendenti (dualismo), e dunque egli può studiare l’oggetto senza influenzarlo o essaerne influenzato (oggettività). La conoscenza assume “la forma di “leggi” fondate sulle categorie causa-effetto (…) che esistono nella realtà esterna indipendentemente dagli osservatori e la sovraintendono (leggi naturali); (…) il compito dello scienziato è quello di scoprirle” (Corbetta, 2003: p. 24). Questa impostazione di fondo porta ad una sostanziale “unità metodologica” fra il mondo naturale e il mondo sociale, sia nel modo di procedere per induzione12 sia nella sua formalizzazione matematica (metodi quantitativi e analisi per variabili13). Questa tradizionale visione, nel corso del ‘900, ha subito un processo di revisione e aggiustamento, approdando prima al “neopositivismo” (tra gli anni ’30 e ’60), e poi al “postpositivismo” (dalla fine degli anni ’60). In questa nuova impostazione, sebbene si continui a presumere una realtà esterna all’uomo, essa risulta imperfettamente conoscibile e le sue leggi soltanto “probabilistiche”14

, cosicché il ricercatore deve assumere un atteggiamento critico nei confronti della conoscenza (leggi provvisorie aperte a revisioni)15. Un elemento importante introdotto in questo nuovo pensiero scientifico è il concetto di “falsificabilità”, assunto come criterio di validazione empirica di

12 L’induzione può essere definito come “il processo per il quale dall’osservazione empirica, dall’individuzione di regolarità e ricorrenza

nella frazione di realtà empiricamente studiata, si perviene a generalizzazioni o a leggi universali. Nel procedimento induttivo è implicito l’assunto di un ordine e un’uniformità della natura” (Corbetta, 2003: p. 22).

13

“Ogni soggetto sociale, a cominciare dall’individuo, veniva analiticamente definito sulla base di una serie di attributi e proprietà (variabili), e a queste ridotto; ed i fenomeni sociali analizzati in termini di relazioni tra variabili.” (Corbetta, 2003: pp. 26)

14 Questo cambiamento coincide con il passaggio dalla fisica classica (di impostazione Newtoniana) a quella quantistica, secondo cui vi sono

dei processi nella fisica elementare (i salti quantici) che non sono analizzabili secondo i tradizionali meccanismi causali, ma soltanto attraverso leggi probabilistiche.

15 Il termine “critico” fa riferimento ad un atteggiamento di continuo sospetto e messa in discussione di ogni acquisizione della conoscenza

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17 una teoria o ipotesi teorica16. Si afferma inoltre la consapevolezza della presenza di elementi di disturbo introdotti sull’oggetto studiato dal soggetto studiante, facendo venir meno l’oggettività del dato rilevato, della neutralità e dell’inetrsoggettività del linguaggio osservativo17

. Nel processo conoscitivo viene valorizzato il modo di procedere per deduzione e, sebbene le fasi operative della ricerca siano ancora fondamentalmente ispirate da un sostanziale distacco fra ricercatore e oggetto studiato (esperimenti, manipolazione delle variabili, interviste quantitative, analisi di fonti statistiche, ecc.), vi è un importante apertura verso le tecniche qualitative.

Il paradigma interpretativo rappresenta una prospettiva di studio che propone un impostazione coerente con la “sociologia della regolamentazione” (interessata a spiegare da un punto soggettivo la realtà sociale cosi come si presenta) ma si approccia all’analisi del mondo sociale secondo un punto di vista “soggettivo” (nel suo approccio alle scienze sociali tende a porre enfasi su nominalismo, anti-positivismo, volontarismo e metodi ideografici).

Tabella 2. Caratteristiche del paradigma funzionalistico-positivista. Adattamento da Corbetta (2003: p. 19) INTERPRETATIVISMO

ONTOLOGIA Costruttivismo

EPISTEMOLOGIA Non-Dualismo/non-oggettività Scienza interpretativa in cerca di significati

Obiettivo: comprensione Generalizzazione: enunciati di possibilità

METODOLOGIA Interpretazione

Interazione osservatore-osservato Induzione

Tecniche qualitative Analisi “per casi”

Le ricerche interpretative partono dal presupposto che il mondo conoscibile è quello del significato attribuito dagli individui (costruttivismo), e dunque l’indagine della realtà è possibile esclusivamente attraverso il ricorso a costruzioni sociali, come il linguaggio, la consapevolezza e i significati condivisi. Non si considera infatti l’esistenza di realtà sociale al di fuori della coscienza dei singoli individui (realtà assoluta), ma esistono molteplici realtà (realtà multiple), in quanto molteplici e diverse le prospettive attraverso quale gli uomini vedono ed interpretano i fatti sociali (relativismo)18. In questa concezione tende a scomparire la separazione tra studioso e oggetto di studio, e l’interazione diventa la base del processo conoscitivo. Lo scopo è quello di pervenire alla comprensione del significato attribuito dal soggetto alla propria azione e dunque le tecniche di ricerca non possono che essere qualitative e la raccolta della conoscenza avvenire attraverso un processo di induzione (ossia lo

16 Secondo il concetto di falsificabilità, la validazione empirica di una teoria (attraverso il confronto tra la teoria e il ritrovato empirico) può

essere effettuata soltanto in negativo, ossia mediante la constatazione che i dati non contraddicono l’ipotesi. (Corbetta, 2003: p. 28)

17 Si afferma la convizione in base alla quale, sebbene la realtà esista indipendentemente dall’attività conoscitiva, l’atto del conoscere resti

condizionato dalle circostanze sociali e dal quadro teorico di riferimento (molteplicità di teorie).

18 Questo è il prodotto diretto dell’Idealismo Tedesco e trova le sue fondamenta nel lavoro di Kant nel quale si enfatizza la natura

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18 studioso si avvicina alla realtà senza teorie precostituite). Dato che le ricerche interpretative mirano alla comprensione dei fenomeni attraverso un approccio “soggettivo”, esse non predefiniscono variabili dipendenti ed indipendenti ma, al contrario, si focalizzano sullo studio complessivo del fenomeno, così come viene percepito attraverso lo “human sense making” (Kaplan e Maxwell, 1994). Il paradigma dell’umanesimo radicale rappresenta una prospettiva di studio che propone un impostazione coerente con la “sociologia del cambiamento radicale” e di un punto di vista soggettivo. Una delle nozioni fondamentali di questo paradigma è che la coscienza umana è dominata da una sovrastruttura con la quale essi interagiscono e che determina una dissonanza cognitiva tra se stessi e la coscienza reale (c.d. wedge of alienation). L’ipotesi sottostante a questa visione è che gli individui siano capaci di interferire e cambiare il contesto sociale in cui agiscono ma la loro azione è limitata ed ostacolata da varie forme di limitazione: sociale, culturale e politica. In tale prospettiva la ricerca assume una connotazione definibile come critica rispetto alle restrizioni ed alle condizioni di alienazione che caratterizzano lo status quo ed il ricercatore si focalizza sulle opposizioni, sulle contraddizioni e sui conflitti che caratterizzano la realtà osservata. Le fondamenta intellettuali di tali pensiero possono essere rintracciate in quelle dell’interpretivismo (idealismo tedesco di Kant e Hegel) e dall’influenza della “radical social Philosophy” di Marx.

Il paradigma dello strutturalismo radicale rappresenta una prospettiva di studio che propone un impostazione coerente con la “sociologia del cambiamento radicale” e di un punto di vista oggettivo. Mentre l’umanesimo radicale si focalizza sulla “coscienza” degli individui per criticare lo “status quo”, lo strutturalismo radicale si concentra sulle relazioni all’interno di un mondo sociale considerato concreto e oggettivo.

Una volta identificati i principali paradigmi teorici sviluppatisi nell’ambito delle scienze sociali, vista l’impostazione teorica di questa tesi ed il suo ambito di ricerca, ci proponiamo di approfondire brevemente le teorie afferenti il paradigma funzionalistico19 (in special modo la “Contingency Theory”), con specifico riferimento all’ambito di ricerca del Management Accounting.

Come in altri campi, anche la ricerca nell’ambito del Management Accounting si trova ad affrontare questioni riguardanti la scoperta, l’interpretazione e la comunicazione delle conoscenze, cosicché, anche in tale ambito, le assunzioni circa la natura delle scienze sociali e della società rimangono fondamentalmente imprescindibili, ed il quadro generale sopra delineato da Burrell e Morgan (1979) rappresenta per molti ricercatori un caposaldo nello studio dell’insieme dei paradigmi e teorie che informano tali ricerche. Al fine di facilitare il processo di creazione e valutazione della ricerca nell’ambito del Management Accounting, Hopper e Powell (1985), basandosi sul precedente schema, hanno proprosto una classificazione che vede la suddivisione degli studi in tre paradigmi di riferimento: funzionalista, interpretativo e radicale. Il paradigma funzionalista rappresenta il “mainstream” della ricerca nell’ambito del Management Accounting e riguarda lo studio della

19 Nonostante il collocamento teorico della ricerca, riconosciamo le critiche che molti autori hanno mosso nei confronti di questo paradigma

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19 “funzione” degli strumenti di accounting nel perseguire la massimizzazione dell’”utilità” aziendale. Ontologicamente, le ricerche individuabili in questo paradigma si approcciano all’oggetto di studio secondo un punto di vista “oggettivo”, considerando il mondo come costituito da una struttura esterna e concreta, che esiste indipendentemente dalla cognizione di qualsiasi individuo, il quale viene visto come un soggetto passivo (non senziente) e deterministico (Hopper e Powell, 1985; Chua, 1986; Ryan, Scapens, 2002). Da un punto di vista epistemologico, questa concezione della realtà porta il ricercatore ad assumere che la stessa sia osservabile e scopribile attraverso un approccio deduttivo (netta separazione tra teoria e la realtà empirica, definizione di ipotesi a priori), la verifica delle ipotesi sviluppate (Hempel, 1966) attraverso la nozione di “falsificazione” (Popper, 1972; Chambers, 1966) e l’impiego di metodi prettamente quantitativi, al fine di ricercare regolarità universali e di relazioni causali. Due importanti assunzioni sono effettuate anche a livello di natura della società: da un lato, i soggetti sono caratterizzati dal possedere il sopraordinato obiettivo di “massimizzazione dell’ utilità”20

e, dall’altro, vi è un’implicita assunzione di un’ordine sociale controllabile (Hoppel e Powell, 1985)21

. Le principali teorie sviluppatesi nell’ambio del funzionalismo sono state la contingency theory (Chenhall, 2003), la teoria dei costi transazionali (Chandler e Daems, 1979) e la teoria dell’agenzia (Fama e Jensen, 1982), le quali ricercano una generale connessione tra lo sviluppo dei sistemi di accounting, il cambiamento dei fattori di contesto e le forme organizzative (Chua, 1986). La loro posizione teorica è costruita sui principi dell’economia neoclassica (New Institutional Economics), la quale fornisce un framework in base al quale studiare il Management Accounting come un insieme di pratiche atte a fornire informazioni che aiutano i decisori a massimizzare la propria utilità, e della teoria organizzativa, la quale tenta di comprendere le relazioni tra i sistemi gestionali e fattori interni/esterni all’organizzazione (Wickramasinghe e Alawattage, 2007). In particolare, la “Teoria dei costi di transazione” considera il coordinamento gestionale all'interno delle organizzazioni la chiave per perseguire l'efficienza (Coase, 1998), ed il ruolo del Management Accounting è quello di ridurre il costo di questo coordinamento gestionale. La “Teoria dell’Agenzia” concentra, invece, l’attenzione sul rapporto tra mandanti e agenti, al fine di assicurare che questi ultimi siano adeguatamente motivati ad agire nell'interesse del committente. Il ruolo del Management Accounting è quello di risolvere i problemi legati alla divergenza di interessi attraverso lo sviluppo di sistemi di misurazione delle performance, di controllo gestionale e di decision making (Rutherford, 1994). Infine, la “teoria delle contingenze”, basandosi su un’approccio che studia l'organizzazione come “sistema aperto”, ha l'obiettivo è studiare il rapporto tra ambiente, organizzazione e variabili contabili, nel tentativo di definire come il Management Accounting possa essere utilizzato al meglio in differenti situazioni.

20 I soggetti, sebbene presentino una razionalità limitata (Simon, 1976), sono considerati capaci di fissare obiettivi (in termini di utilità) in

maniera razionale (Fama e Jensen, 1982) ed implementare strategie volte al perseguimento di tali obiettivi. In particolare, il concetto di utilità è da considerarsi astratto e diversificato a seconda del soggetto di riferimento: nella teoria dell’agenzia, l’agente preferirà sempre un minore carico di lavoro (Baiman, 1982), mentre nella teoria finanziaria l’obiettivo dell’azionista sarà la massimizzazione del valore economico creato (Friedman, 1963). Inoltre tali soggetti possono essere rappresentati sia da individui che da collettività che presentano obiettivi consensuali.

21 I conflitti, percepiti come disfunzioni rispetto all’obiettivo ultimo dell’azienda, sono considerati gestibili e la ricerca nell’ambito

dell’accounting tenta di sviluppare procedure volte a correggere tali disfunzioni. Ad esempio, il conflitto tra principale e agente viene considerato gestibile attraverso l’impiego di un adguato sistema di controllo (Hopwood, 1974; Zimmerman, 1979).

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20 Nell’ambito del paradigma interpretativo, da un punto di vista ontologico, gli studi si approcciano all’analisi del mondo sociale secondo un punto di vista “soggettivo” (enfasi su nominalismo, anti-positivismo e volontarismo), basandosi sulla convinzione che la realtà non sia un fenomeno naturale, bensì un insieme di costrutti sociali suscettibili di modifica da parte degli attori sociali (Hopper e Powell, 1985; Kakkuri-Knuuttila e Lukka, 2007), e che questi non possono essere interpretati se non studiando il modo in cui sono socialmente generati e sostenuti.22 A livello epistemologico, ciò implica che i ricercatori interpretativi abbiano l’obiettivo principale di interpretare e comprendere le azioni umane (ad esempio il Management Accounting come pratica sociale), tenendo conto dei constesti storici, economici, sociali ed organizzativi (Ryan e Scapens, 2002; Kakkuri-Knuuttila e Lukka, 2007). Una delle principali teorie sviluppatesi nell’ambio del costruttivismo è la cosiddetta “Teoria Istituzionale”, la quale può essere distinta in due principali filoni di ricerca: la New Istitutional Sociology, adottata da quei ricercatori che considerano il Management Accounting come un “rational mith”, influenzato dagli ambienti tecnici ed istituzionalizzati (legali, professionali, ecc.), che conferisce all’azienda una legittimazione esterna (Meyer and Rowan (1977); DiMaggio and Powell (1983, 1991)); e la Old Istitutional Economics, adottata dai quei ricercatori che cercano di spiegare le pratiche di Management Accounting come un insieme di regole e procedure che consentono alle organizzazioni di riprodurre comportamenti e raggiungere la coesione organizzativa (Busco, 2006). Altri filoni di studio riguardano la cosiddetta “Structuration Theory” (Giddens, 1984), la quale si concentra sull’interconnessione tra l’agire dell’individuo (le sue capacità di effettuare scelte) ed le strutture sociali (che forniscono regole e risorse), riconoscendo la possibilità che l'agire umano possa apportare dei cambiamenti nelle strutture attraverso "scelte consapevoli dell’agire diversamente o conseguenze non intenzionali di comportamenti" (Roberts e Scapens, 1985; Macintosh e Scapens, 1990), nonché il cosiddetto “Latourian Approach” (Latour, 1987, 1993), anche conosciuto come Actor-Network Theory, il quale è interessato a dimostrare come il Management Accounting sia progettato per soddisfare differenti interessi all'interno dell'organizzazione (Busco, 2006).

Nell’ambito del paradigma “radicale”, da un punto di vista ontologico, gli studi considerano la società (realtà) sia oggettivamente reale (essa fornisce le necessarie e materiali condizione per l’agire umano), sia soggettivamente creata (le azioni umane sono una condizione necessaria perché vi sia una struttura sociale).23 Le teorie sociali sviluppate in tale ambito hanno l’“imperativo critico” di identificare e rimuovere i “sistemi di potere” ed i “costrutti ideologici” al fine di correggere le

22 L’interpretazione del significato delle azioni non può essere fatta riferendosi ad un singolo individuo come a se stante, ma d quest’ultimo

nell’interzione con altri individui, e viceversa. E’ attraverso questo processo di interazione sociale che i significati e le norme diventano oggettivamente reali.

23

Gli individui sono considerati come possessori di potenzialità inespresse limitate da sistemi di potere che portano disuguaglianze e alienazione delle persone dalla completa realizzazione. Questi limiti materiali possono agire sia a livello di coscienza (costrutti ideologici) sia attraverso attraverso relazioni economico-politiche (regole che governano le relazioni sociali ed il possesso e distribuzione della ricchezza) (Chua, 1986). Con riguardo alla relazione tra le parti (individui, gruppi, organizzazioni) e l’intero (società), essi considerano la società come un’insieme di pratiche oggettive e convenzioni che gli individui riproducono e trasformano. Bhaskar (1979) sostiene come “la società non esiste indipendentemente dall’attività umana (errore del , ma essa non è solo una produzione di quest’ultime (errore dell’interpretativismo)” (p. 45-46).

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21 ingiustizie e le inuguaglianze24 (Chua, 1986). Tra gli studi di Management Accounting è possibile identificare tre approcci generali al paradigma “critico” (Baxter e Chua, 2003): la “labour process theory” (vedere Braverman, 1974; Hopper e Armstrong, 1991), la “critical theory” (vedere Habermas, 1968; 1976; Laughlin, 1987) e la “post-structuralism theories of power and idendity” (Foucalt, 1977; Cooper e Hopper, 2007).

Nella tabella sottostante riassumiamo brevemente i caratteri generali dei tre paradigmi dominanti nell’ambito del Management Accounting.

Tabella 3. Caratteristiche dei paradigmi teorici nell'ambito del Managament Accounting. Adattato da Chua (1986). PARADIGMI NEL MANAGEMENT ACCOUNTING

FUNZIONALISMO INTERPRETATIVISMO RADICALE

Assunzioni sull’oggetto di studio

Natura della realtà

(ONTOLOGIA)

Realtà oggettiva ed esterna ai soggetti. Individui passivi ed aventi

un comportamento “deterministico”.

Realtà è soggettivamente creata e oggettivizzata attraverso

interazione umana. Individui “attivi” ed azioni

intenzionali ed aventi un significato basato su pratiche

sociali e storiche.

Realtà è oggettiva, ma essa è trasformata e riprodotta dall’interpretazione soggettiva. Individui presentano potenzialità che sono alienate da meccanismi

restrittivi. Natura della società Società e organizzazioni sono considerate essenzialmente stabili e ordinate, e le eventuali disfunzioni gestibili.

Si assume un ordine sociale, dove i conflitti sono mediati dai

significati sociali.

Si assume che il conflitto sia endemico nella società date le ingiustizie sociale che reprimono

la libertà umana. Assunzioni sulla conoscenza Natura della conoscenza (EPISTEMOLOGIA)

Separazione tra teoria e osservazione. Approccio deduttivo.

La teoria è impiegata per offrire spiegazioni scientificche delle intenzioni umane. Adeguatezza

della teoria (o spiegazione) valutata attraverso criteri della consistenza logica, interpretazione

soggettiva e senso comune dell’interpretazione con il soggetto

studiato.

Enfasi sullo studio dello sviluppo storico e cambiamento

dell’oggetto nella totalità delle relazioni.

Teorie valide entro determinati limiti contestuali e temporali. Metodologia della

ricerca

Preferenza per metodi

quantitativi. Preferenza per metodi qualitativi.

Preferenza per metodi qualitativi. Assunzioni sulla relazione tra

conoscenza e mondo empirico Razionalità mezzo-fine.

La teoria tenta di spiegae le azioni e comprendere come l’ordine

sociale si riproduce.

La teoria ha un “imperativo critico”: identificazione e rimozione meccanismi restrittivi.

Come detto, ciascun paradigma rappresenta una struttura generale rispetto alla visione della realtà da parte del ricercatore. All’interno di uno specifico paradigma, il ricercatore effettua una scelta, più o meno consapevole, relativa alla teoria in base alla quale indagare i fenomeni sociali. Una teoria può essere definita come un set interrelato di costrutti e proposizioni finalizzati a spiegare e/o predire un fenomeno o comportamento di interesse, all’interno di certe condizioni e assunzioni (Corbetta, 2003). Come analizzato, la contingency theory affonda le proprie radici nel paradigma funzionale: da un punto di vista ontologico, essa possiede una concezione della realtà come reale e oggettiva25, mentre, da un punto di vista epistemologico, essa può essere considerata fortemente positivista, in quanto presuppone la possibilità di definire e studiare le relazioni che intercorrono tra variabili, per poi

24 Da un punto di vista epistemologico, quanto appena sottolineato, determina tre conseguenze: l’oggetto di studio può essere compreso

soltanto studiando il suo sviluppo storico e cambiamento nel suo insieme; la validità di una teoria è limitata ad un determinato lasso temporale ed entro determinati limiti contestuali; propensione verso l’impiego di metodi qualitativi.

25 Società, organizzazioni e sistemi di accounting sono visti come possessori di un’esistenza empirica indipendentemente da cognizione

individuale, e un sistema di accounting ottimale può essere definito in ogni situazione. (Burns e Stalker, 1961; Woodward, 1965; Lawrence e Lorsh, 1967; Thompson, 1967).

(22)

22 generalizzare (Donaldson, 2001)26. La nascita e lo sviluppo della “teoria delle contingenze” rappresenta uno allontamento da quella impostazione più estrema del funzionalismo che Hopper e Powell (1985) definiscono “oggettivismo”. In particolare, in questa “regione” del funzionalismo, gli autori collocano quegli studi nei quali l’organizzazione (oggetto di studio) è trattata come un fenomeno empirico avente un obiettivo unitario (massimizzazione del profitto) e dove le persone al suo interno sono considerate razionali e essenzialmente passive. In questa prospettiva, il Management accounting è dipinto come strumento volto a stabilizzare e programmare i comportamenti, fornendo informazioni limitate ad una valutazione economica, definendo sotto-obiettivi coerenti con l’obiettivo unitario e monitorando le performance con un processo di feed-back ed un collegato sistema premiante. E’ in tale ambito che si collocano le Teorie Manageriali Classiche, tipizzate da Taylor (1947) e Fayol (1949), che rappresentano le basi scientifiche dell’amministrazione, basate sulla convinzione che il mondo organizzativo possieda le caratteristiche di quello fisico, e che dunque i principi dell’amministrazione possono essere dedotti da uno studio sistematico di relazioni causa-effetto. Tipici esempi sono rappresentati dallo Standard Costing (Solomons, 1968) e dal controllo budgetario (Fayol, 1949). A causa delle limitazioni dell’oggettivismo rispetto alla natura sociale dell’uomo e all’influenza che fattori extraorganizzativi hanno sul controllo, alcuni studi di accounting iniziano ad applicare modelli organizzativi più complessi, sulla spinta degli studi sperimentali di organizzazione aziendale che, tra gli anni ’60 e ’70, tendevano ad utilizzare la “Social System Theory” nella descrizione dei propri oggetti di studio.

In particolare, a partire dagli anni ’50, diversi studi comportamentali sui sistemi di accounting notano come vi sia la presenza di conseguenze indesiderate nell’applicazione dei metodi tradizionali (Accounting Disfuction)27. Un primo corso di ricerche, volto ad interpretare tale fenomeno, rientra in quelle che che Burrell e Morgan (1979) denominano ”teorie delle disfunzioni burocratiche”28, le quali, riconoscono come le organizzazioni non possiedano finipropri di per se, ma sono composti da individui e gruppi che si impegnano verso molteplici obiettivi, ed i quali risultano spesso in conflitto rispetto a quelli formalmente definiti dall’organizzazione. Un secondo filone di studi, riconducibile alle cosiddette “Teorie Spicologiche”29 tenta di spiegare queste “disfunzioni contabili” come causa dell’errata o differente interpretazione dei messaggi, focalizzando la loro attenzione sul processo di elaborazione delle informazioni da parte degli individui e su come le tecniche alternative di accounting influenzino le decisioni manageriali A queste, in modo complementare, si affiancano poi i contributi che ricadono nelle cosidette “teorie della psicologia sociale” (Argyle, 1972), i quali, sebbene presentano il medesimo obiettivo di ridurre tali “disfunzioni” attraverso il miglioramento della configurazione dei sistemi di accounting, concentrano la propria attenzione sul concetto della motivazione anziché su quello dei processi informativi. Un terzo gruppo di contributi, riconducibile

26 A tal proposito, Otley (1980) sostiene come “la teoriadella contingenza deve identificare aspetti specifici del sistema contabile che sono

associati a certe definite circostanze e dimostrarne un appropriata corrispondenza” (p. 413).

27 Tra gli altri ricordiamo gli studi di Ridgeway (1956), Dearden (1961), Rosen e Schneck (1967), Lowe and Shaw (1968). 28 Tra gli altri autori sull’argomento ricordiamo Selznick (1949), Gouldner (1954) e Merton (1968).

(23)

23 alle cosiddette “teorie strutturali”30, sposta l’attenzione sull’influenza che gli aspetti organizzativi

(struttura organizzativa, strategia, ecc.) hanno sui sistemi di accounting. Tra i contributi più noti ricordiamo Argyris (1953), Simon (1954) e Chandler (1966) e Chandler e Daems (1979). Un quarto, ed ultimo, filone di contributi, muovendo oltre i precedenti lavori, i quali adottavano un approccio di “sistema chiuso” (variabili interne all’organizzazione), assume un approccio di “sistema aperto” (open system theory) al fine di indagare l’interdipendenza tra i sistemi di accounting organizzativi e ambiente esterno (tra gli altri Argys, 1967; Ansari, 1977).

La Teoria delle contingenze nasce dal tentativo di riconciliare e sintetizzare i vari studi organizzativi precedentemente emersi (Hopper e Powell, 1985). In particolare, essa trova le sue prime applicazioni negli studi di organizzazione aziendale in cui si sostiene che non sia possibile trovare delle soluzioni organizzative univocamente valide per ogni organizzazione (Woodward, 1965; Burns and Stalker, 1961; Thompson, 1967; Lawrence and Lorsch, 1967; Galbraith, 1973). La sua principale tesi è che i differenti principi organizzativi sono appropriati sotto differenti circostanze ambientali e in differenti parti dell’organizzazione, e che l’efficacia delle operazioni dell’azienda è il risultato della congruenza (fit) fra le caratteristiche dell’organizzazione e le contingenze che riflettono la situazione dell’organizzazione stessa (Donaldson, 2001). In generale, dunque, essa mira ad indagare come alcune “variabili contingenti” (ambiente, tecnologia, dimensione, settore, ecc.) influenzano l’organizzazione aziendale. Solo a partire dagli anni settanta questa teoria si estende anche al campo del management accounting riscuotendo nel tempo un interesse crescente (tra gli altri Waterhouse and Tiessen, 1978; Otley, 1980; Simons, 1987; Langfield-Smith, 1997). Numerose sono infatti le variabili contingenti che nel tempo sono state indagate, e che sottolineano come i sistemi di Management Accounting siano variamente influenzati da molteplici aspetti: aspettative degli stakeholder chiave (Merchant, 1998; Groot e Lukka, 2000); tecnologia impiegata ed incertezza ambientale (Khandwalla, 1972; Amigoni, 1977; Otley, 1987; Merchant, 1998); competitività e possibilità di accesso alle risorse (Groot e Lukka, 2000); la cultura nazionale (Hofstede, 1980 e 1991; Bhimani, 1996) che organizzativa (Otley, 1987; Anthony et al., 1995); la strategia (Amigoni, 1977; Simons, 1987; Merchant, 1985; Govindarajan e Gupta, 1985); la struttura organizzativa (Macintosh e Daft, 1987; Otley, 1987)31.

La teoria delle contingenze è stata utilizzata nell’ambito di questa ricerca per indagare come i diversi fattori contingenti, sia interni che esterni, possano influenzare la configurazione dei sistemi di Value Based Management. Infatti, sebbene la completezza nell’implementazione dei sisitemi VBM possa spiegare, in specifiche circostanze, i differenti risultati perseguiti da aziende implementatrici (Lueg e Shaffer, 2010), i fattori contingenti della sofisticazione possono giocare un ruolo importante nello spiegare i risultati contrastanti rilevabili in letteratura. In particolare, come suggerito da differenti

30 Le “teorie strutturali” sono quelle teorie che tentano di spiegare l’impatto che la struttura dell’organizzazione ha sul fenomeno indagato

(Hopper e Powell, 1985).

31 Tra i molteplici aspetti studiati dalla teoria delle contingenze nell’ambito del Management Accouting ricordiamo l’Activity Based Costing

(ABC)/Activity Based Management (ABM) (Anderson e Young, 1999; Gosselin, 1997), le misure di performance non finanziaria (Ittner e Larcker , 1998), il balanced scorecard (Hoque, 2004), analisi del valore economico (Biddle et al., 1997), valutazione delle performance (Emsley, 2000), sofisticazione del capital budgeting (Haka, 1987), ecc.

Figura

Figura 3. Tipologie di approccio allo studio delle scienze sociali. Adattato da Burrell e Morgan (1979)
Figura 4. I quattro paradigmi della ricerca nelle scienze sociali. Adattato da Hopper e Powell (1985)
Tabella 1. Caratteristiche del paradigma funzionalistico-positivista. Adattamento da Corbetta (2003: p
Tabella 2. Caratteristiche del paradigma funzionalistico-positivista. Adattamento da Corbetta (2003: p
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