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La storia dell’evoluzione del VBM è la storia di accademici, consulenti, dirigenti che credono nella creazione di valore come obiettivo primario dell’azienda e che, con i loro contributi, hanno tentato d

III.4.1.4 I " value driver operativi”

Una tappa fondamentale del processo di VBM, date le scelte strategiche effettuate, è l' individuazione di dei driver di valore “operativi”, ossia di quelle variabili quantitative (finanziarie o non finanziarie) o qualitativa, che permettono, da un lato, di valutare le performance attuali e prevedere le possibili evoluzioni future dei driver finanziari, e dall’altro, avendo un livello di dettaglio coerente con le variabili di decisione che sono direttamente sotto il controllo dei manager, di assegnare le responsabilità per il perseguimento dei target, e più in generale della strategia. In particolare, l'identificazione di questi driver e le loro interrelazioni dovrebbe condurre ad un miglioramento della misurazione della performance, individuando fattori ed azioni specifiche che influenzano in maniera determinante i costi e ed i ricavi aziendali. Gli studi nel campo del Management Accounting circa i driver del valore sono stati molteplici. Se per driver del valore si intende tutto ciò che influenza costi,

85 ricavi e rischio, il panorama si amplia ancora di più. In tale senso le prime ricerche teoriche ed empiriche hanno concentrato l’attenzione sulla comprensione dei driver di costo e sulle loro relazioni reciproche (Kaplan, 1983, 1984; Porter, 1985; Cooper e Kaplan, 1987; Shank, 1989; Shank and Govindarajan, 1989). Kaplan (1983) fu uno dei primi a sottolineare l’importanza di sviluppare misure di performance non finanziarie che permettessero di valutare la competitività e la profittabilità di lungo temine a complemento delle misure finanziarie di breve termine (Kaplan, 1983, p. 688). Kaplan (1983) sottolineò come altre variabili diverse dal volume di produzione guidassero i costi, e dunque la profittabilità. Infatti, nei nuovi contesti produttivi, caratterizzati da una riduzione dell’incidenza dei costi variabili, da un aumento dei costi fissi e dalla nascita di nuove variabili competitive si sviluppa la necessità di introdurre nuove misure di efficienza da prendere in considerazione nella definizione delle strategie, e dunque di modelli di struttura dei costi che incorporano variabili rappresentanti le caratteristiche di design di prodotto e di processo.

Nello stesso periodo Porter (1985), introducendo il suo framework di gestione strategica, fu uno dei primi ad utilizzare il termine “driver di costo”, inteso come elemento strutturale che influenza il comportamento dei costi all’interno di un’attività135

, identificando 10 differenti drivers di costo.

Tabella 14. Driver di valore secondo Porter (1985)

Successivamente gli studi sulle drivers si suddivisero in tre filoni differenti di analisi che focalizzavano l’attenzione su particolare aspetti di questo studio. Un primo filone di studio, focalizzandosi sul concetto di transazioni o attività considerate come cost and profit drivers, si concentra sulla comprensione delle determinanti di costo finalizzate a migliorare l'allocazione dei costi fissi (ossia non legati al volume) e, quindi, il processo decisionale. In questo ambito il contributo principale e embrionale è sicuramente quello di Cooper e Kaplan e l’introduzione dell’Activity Based Costing (Cooper e Kaplan, 1987, 1991a, 1988b, 1992, 1998) e il susseguente, Activity Based Management (suddivso al suo interno in Strategic e Operational ABM) (Cooper e Kaplan, 1998). Un secondo filone, basandosi sul framework concettuale di Porter (1985), si sviluppa attorno allo “strategic cost analysis and management” (Shank and Govindarajan, 1989, 1993). Shank e

135 Pag 82 e ss Il vantaggio competitivo

Porter (1985) Scale

Learning and spillovers Capacity utilization

Linkages between activities across value chain (within firm, across extended value chain)

Linkages with business units within the firm Timing (first/late movers)

Policy choices (product design and mix (scope), service levels, investments, delivery times, distribution channels technology, materials quality) Geographic locations

86 Govindarajan concentrano la propria attenzione sul ruolo che l’informazione di costo ha nel processo di gestione strategica, definendo la gestione strategica dei costi come quel processo “definizione della catena del valore aziendale ed assegnazione dei costi alle attività; investigazione di come i cost drivers influenzano ciascuna attività; utilizzo delle informazioni sul comportamento dei costi al fine di ottenere un vantaggio competitivo controllando questi drivers o riconfigurando la catena del valore”. Esso dunque rappresenta la fusione tra tre concetti fondamentali: il posizionamento strategico, la catena del valore e l’analisi dei cost drivers.

Con riferimento a quest’ultimo punto, la letteratura sulla strategica gestione dei costi estende il concetto espresso nell’ABC concentrandosi, non solo sulle determinati “strutturali” dei costi, ma anche sui fattori di costo “operative”, focalizzati sulla capacità la capacità dell'organizzazione di'' eseguire'' le sue operazioni in modo efficiente ed efficace (Porter, 1985; Riley, 1987; Shank e Govindarajan, 1994; Shields e Young, 1995).

Tabella 15. Driver di valore secondo Riley (1987)

Riley (1987) Structural drivers

Scale Scope Experience

Production technology, for each stage of the value chain

Product line complexity Executional drivers Workforce commitment to

continuous improvement Quality management

Capacity utilization Plant layout efficiency Product design configuration

Linkages with suppliers and customers (extended value/ supply chain)

In particolare, i drivers denominati “Structural” riflettono cinque scelte strategiche riguardanti la sottostante struttura dei costi che determina il posizionamento in termini costo per ciascun gruppo di prodotto; mentre i drivers denominati “Executional” riflettono l’abilità dei manager di eseguire le scelte strategiche effettuate.

Un ultimo filone di studio si focalizza sullo sviluppo e la stima empirica di modelli atti a spiegare le reciproche relazioni esistenti tra costi, ricavi e profitto. In particolare, Kekre & Srinivasan (1990), Ittner e Larker, 1997) e Banker et al. (1997) sottolineano con i propri modelli che le decisioni che guidano i costi sono derivanti da scelte manageriali di fondo riguardanti la strategia aziendale, il mercato dei prodotti, il design dei prodotti, e quindi il valore per il cliente, i costi, i ricavi ed i profitti. Di questo avviso, è anche il concetto espresso dal Balanced Scorecard (Kaplan e Norton, 1996) il quale muove oltre l'analisi dei fattori di costo per sottolineare come la misurazione della performance

87 debba avvenire lungo molteplici dimensioni dei ''value driver '', tra cui la performance finanziaria , relazioni con i clienti , i processi interni e apprendimento e l'innovazione , collegate da una relazione causale di “Leading e lagging” drivers. Gli studi all'interno di questo filone di ricerca di solito esaminano le relazioni tra driver di tipo non finanziario e quelli finanziari, nel tentativo di provare come i cosiddetti “leading indicator” siano dei rivelatori delle performance future. Ad esempio, molti studi tentano di mettere in connessione la soddisfazione del cliente con i risultati finanziari (Banker e Johnston, 2007; Behn e Riley, 1999, Ittner e Larker, 1998b) sostenendo che le misure di customer satisfaction sono indicatori anticipatori delle prestazioni aziendali.

Sebbene questi studi rappresentino un contributo basilare all’interpretazione dei driver di valore aziendale, essi presentano alcuni limiti (Ittner and Larker, 2001): da un lato, essi esaminano solo uno unico driver potenziale del valore per volta, ignorando le possibili interazioni tra i diversi driver, mentre, dall’altro, ignorano i fattori contingenti che possono determinare la maggiore o minore importanza dei driver in determinate situazioni, nonostante sia ragionevole che variabili quali la strategia, l’ambiente competitivo, e le richieste del cliente agiscano da moderatori nella relazione tra i driver e le performance. A tal fine, Ittner e Larker (2001), sulla base di una classificazione di 10 tipologie di value driver136, hanno sviluppato uno studio che mette in relazione alcune contingenze aziendali (capacità di predire i cambiamenti esterni, strategia innovativa, la flessibilità aziendale) evidenziando come: i driver relativi ai clienti sono considerati più importanti per le aziende che perseguono una strategia innovativa, ma non alla flessibilità o all’imprevedibilità ambientale; per un azienda che ha l’obiettivo di servire clienti o mercati esistenti, i drivers relativi alle relazioni con la comunità sono ritenuti essere più importanti; infine, flessibilità e innovazione sono associate con una maggiore attenzione verso i dipendenti, la qualità, alleanze, rapporti con i fornitori e l’innovazione. La letteratura sul VBM sostiene che, sulla base delle strategie (e dei KSF) le aziende dovrebbero sviluppare modelli che esplicitino le relazioni tra contingenze aziendali e driver di valore “operativi” al fine di valutare le performance attuali e prevedere le possibili evoluzioni future dei driver finanziari e, soprattutto, consentire che i manager con le proprie decisioni e azioni abbiano il maggiore impatto sulla creazione di valore (Copeland et al , 1996; Kaplan e Norton, 1996). Dunque dati gli obiettivi organizzativi, i KSFs e la strategia, in un approccio VBM le aziende dovrebbero identificare "Value Drivers Operative" che portano a una maggiore valore per gli azionisti.

136 Le dieci categorie di Value Driver impiegate da Ittner e Larcker (2001) comprendono: (p. 374):

- Aspetti finanziari (ad esempio, i utili annuali; return on assets);

- clienti (ad esempio, la quota di mercato, customer satisfaction, fidelizzazione del cliente/ritenzione); - dipendenti (ad esempio, la soddisfazione dei dipendenti , turnover del personale ; forza lavoro capacità ): - aspetti operativi (ad esempio, la produttività, la consegna di tempo, la sicurezza, il tempo di ciclo); - qualità (ad esempio, tassi di difettosità; ritorni/di rimborso; premi di qualità);

- Alleanze (es. marketing congiunto, la ricerca e lo sviluppo in comune di prodotti in comune design); - fornitori (ad esempio , la consegna di tempo; input in prodotti/servizi di progettazione);

- ambiente (ad esempio, conformità ambientale);

- innovazione (ad esempio, sviluppo di nuovi prodotti, lo sviluppo del tempo di ciclo del prodotto); - comunità (ad esempio, immagine pubblica, il coinvolgimento della comunità).

88 III.4.1.5 Gli indicatori chiave di prestazione

I “Key Performance Indicator” (o KPI) sono " le misure finanziarie e non finanziarie utilizzate ai diversi livelli organizzativi per valutare il successo nel raggiungimento di piani, strategie e obiettivi, e dunque il grado di soddisfazione delle aspettative delle diverse parti interessate" (Ferreira e Otley , 2009: p. 271). La questione più importante riguardante gli indicatori di performance è relativa al concetto di allineamento, ossia se le misure di performance derivano direttamente dagli obiettivi, KSF e strategie, per la principale ragione che l’identificazione di coerenti misure di risultato rappresenta una parte notevolmente importante del processo di implementazione della strategia (Johnson et al., 2005), e dunque indicativo dell’allineamento esistente tra gestione strategica e operativa. Questa idea di allineamento è coerente con l’idea di Chenhall (2005) che considera il collegamento tra gestione operativa e strategica come una caratteristica integrante del sistema di misurazione delle performance strategico. Otley e Ferreira ricollegano il concetto di allineamento al carattere di coerenza dei PMS, definendo come uno degli aspetti principali di quest’ultima il grado con cui KPI sono collegati alla strategia e di come le strategie a loro volta sono collegate ai fattori di successo e alla visione/missione. Inoltre, Ittner e Larker (2001), nell’indagare gli studi sui sistemi di misurazioni delle performance, sottolineano come la maggioranza degli studi non indaghi la coerenza delle misure di performance utilizzati con i driver di valore specifici dell’azienda, nonostante molti autori sostengono che vi sia una relazione positiva tra perfomance e allineamento delle misure di risultato con i fattori critici di successo (Dixon et al., 1990; Lingle e Schiemann, 1996). Dato che l’obiettivo principe del VBM è rappresentato dalla massimizzazione del valore per gli azionisti, questo stadio richiede “una profonda conoscenza dei principali driver di valore” al fine di procedere ad “una loro conversione in significativi indicatori di performance che possono essere usati all’interno di una business unit, di una funzione o di un processo” (Ashworth e James, 2001, p.64) al fine di valutarne correttamente il contributo alla creazione di valore.