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Valutazione

La valutazione formativa è generalmente intesa come un’attività di ricerca per verificare il successo di un’azione di training.

Si possono individuare quattro tipi di valutazione formativa:

reazioni, apprendimento, comportamento, risultati

a cui se ne aggiungono altri più recenti, che valutano l’attività formativa in termini di:

Rilevanza: coerenza tra azione formativa e problematica organizzativa che intende affrontare;

Efficienza: rapporto tra risorse impegnate e risultati ottenuti;

Efficacia: rapporto tra obiettivi dell’azione formativa e risultati conseguiti o benefici prodotti;

Utilità: risultati e benefici prodotti in rapporto alla problematica organizzativa che si intendeva affrontare;

Impatto: benefici prodotti in un determinato territorio o sistema;

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Le forme più consolidate e tradizionali di valutazione avvengono ex post, al termine dell’azione formativa; esse possono riguardare il gradimento dell’iniziativa, la verifica degli apprendimenti, l’impatto complessivo della formazione sulla vita organizzativa, il problema del transfert, l’efficacia e l’efficienza.

Ma si prevedono fasi di valutazione anche ex ante, prima della realizzazione dell’intervento; si possono effettuare studi valutativi previsionali sui potenziali effetti dell’azione formativa, sulle possibili difficoltà di attuazione del programma e di implementazione dei risultati conseguiti, sugli effetti attesi, sul come affrontare eventuali esiti non desiderati.

In questi casi si concretizza un nesso tra momento valutativo e fase dell’analisi del fabbisogno, in particolare per ciò che riguarda l’analisi organizzativa.

Infine, negli ultimi anni si è molto sviluppata la valutazione in itinere; si tratta di azioni di verifica, monitoraggio e accompagnamento dell’attività formativa che avvengono in corso d’opera secondo una scadenza temporale ben definita e hanno lo scopo di verificare l’andamento del processo formativo, il raggiungimento degli obiettivi, il conseguimento progressivo dei risultati, l’emergere di eventuali criticità, permettendo di intervenire con prontezza.

Il modello teorico di riferimento nella valutazione degli apprendimenti è quello di Kraiger, Ford e Salas (15).

Esso si basa sulla classificazione dei vari tipi di prodotti dell’apprendimento (cognizioni, competenze e atteggiamenti) e per ogni esito sono individuate diverse categorie che specificano in modo più puntuale i tipi di prodotti formativi dell’apprendimento da sottoporre a valutazione. Infine, per ogni categoria di apprendimento sono identificati ed

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analizzati diversi fuochi su cui concentrare la valutazione e, di conseguenza, diversi approcci e strumenti valutativi (vedi fig. 2)

Fig. 2: struttura degli esiti dell’apprendimento e loro valutazione. Il modello di Kraiger, Ford e Salas.

Le categorie di apprendimento sono:

1. Conoscenza verbale. Fa riferimento al sistema del sapere dichiarativo che può essere acquisito all’interno di un programma di training. La modalità valutativa più usuale è costituita dalla misurazione della ritenzione di materiale da parte del soggetto, mediante test o interrogazione.

2. Organizzazione della conoscenza. L’acquisizione di expertise e competenza professionale passa attraverso il conseguimento di conoscenza procedurale (16). Alla base di questo processo, basato sull’esperienza, vi è l’organizzazione di strutture di conoscenza più elaborate, complesse e ordinate gerarchicamente.

Le modalità di misurazione più diffuse, riguardano la costruzione di mappe, di algoritmi e di strutture basate sulla similarità/differenza di diversi concetti.

ESITI APPRENDIMENTO

CATEGORIE

APPRENDIMENTO FUOCO DELLA VALUTAZIONE 1. Conoscenze

verbali

Quantità conoscenza; accuratezza recupero memoria; rapidità e accessibilità conoscenza

3. Strategie cognitive 2. Organizzazione

delle conoscenze

Mappe mentali; relazioni tra elementi; ordinamento gerarchico Autoconsapevolezza; autoregolazione 4. Compilazione 5. Acquisizione automatismi 6. Atteggiamenti

Velocità e fluidità prestazione; errori; generalizzazione; concatenazione elementi Richieste attentive; problemi di interferenze; disponibilità risorse cognitive

Direzione atteggiamenti; forza e convinzione atteggiamenti

7. Motivazione Impegno verso gli obiettivi; complessità struttura obiettivi; autoefficacia percepita

Esiti cognitivi Competenze Esiti effettivi Apprendimento

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La somiglianza di tali mappe e rappresentazioni spaziali rispetto a quelle prodotte da soggetti esperti costituisce il criterio per valutare l’organizzazione della conoscenza (17).

3. Strategie cognitive. Si tratta di acquisire delle meta-competenze cognitive in merito alla pianificazione, monitoraggio, regolazione del proprio comportamento lavorativo. La valutazione relativa a tali meta-competenze passa attraverso la verifica della consapevolezza del soggetto nell’eseguire il compito.

4. Compilazione. Questa consiste nel costruire, lungo il percorso di apprendimento, alcune routine comportamentali e nel comporre mentalmente una più complessa articolazione del compito.

La valutazione, in questo ambito, si basa sull’osservazione del comportamento del soggetto in formazione, valutandone tempi di esecuzione, frequenza di comportamenti desiderati, progressivo abbandono di comportamenti non funzionali, numero di errori, riorganizzazione della procedura secondo regole di livello più elevato.

5. Acquisizione automatismi. Dall’esecuzione di un compito secondo modalità controllate e consapevoli, si passa progressivamente ad una prestazione con un più blando monitoraggio consapevole del soggetto. Ciò implica una più ampia disponibilità di risorse per eseguire compiti addizionali. Per misurare l’acquisizione di automatismi si adottano strategie di indagine che si rifanno al paradigma del compito secondario; si tratta di chiedere al soggetto di compiere, oltre al compito primario collegato con la competenza oggetto di formazione, un secondo compito e mano a mano che aumenta l’automaticità nell’eseguire il compito primario, migliorerà anche la prestazione nel compito secondario.

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6. Atteggiamenti. La valutazione formativa può riguardare anche processi relativi alla sfera affettiva, come l’acquisizione di nuovi atteggiamenti o la modifica dei vecchi. Le modalità di misura più adottate sono quelle basate su self-report mediante questionario e puntano a verificare la direzione, la forza e l’intensità dell’atteggiamento.

7. Motivazioni. La formazione può avere effetti diretti o secondari sull’assetto motivazionale delle persone, in quanto può rafforzare la motivazione intrinseca, l’autoefficacia percepita, l’orientamento al conseguimento di obiettivi, con ricadute sul piano comportamentale. La modalità di valutazione avviene attraverso questionari strutturati in cui è richiesto al soggetto di descrivere alcuni stati motivazionali.

Transfert

Un’attività formativa ha bisogno del trasferimento delle competenze dal contesto formativo al contesto organizzativo.

Perché il transfert avvenga, il soggetto, non solo deve apprendere e memorizzare, ma deve anche generalizzare l’uso delle competenze e applicarle in contesti diversi da quello formativo, con forti differenze in rapporto al tipo di job oggetto di formazione.

È possibile identificare un continuum di situazioni e di teorie del transfert, che vanno dalla trasposizione di comportamenti appresi dalla formazione, alla prestazione di lavoro, a un complesso processo di adattamento e di autonoma elaborazione del soggetto circa gli usi più appropriati delle nuove competenze al contesto di lavoro.

Il tema del transfert viene affrontato secondo la teoria degli elementi identici fondato sui principi del condizionamento operante, che agevola il compito del soggetto nel recupero e utilizzo delle competenze apprese.

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Un approccio intermedio è denominato della generalizzazione dello stimolo basato sui principi della teoria dell’apprendimento sociale e del modellamento comportamentale, che prevede l’abilità del soggetto nell’applicare le competenze acquisite anche in contesti lavorativi che non presentano esattamente le caratteristiche della condizione formativa.

Lungo il continuum vi sono poi situazioni formative più articolate dove in transfert è considerato come un complesso processo cognitivo di acquisizione, memorizzazione, recupero e interpretazione delle informazioni. Secondo tale modello, il trasferimento dipende essenzialmente dall’abilità del soggetto nel recuperare saperi e competenze nelle situazioni di lavoro più adatte.

In tal senso risulta importante favorire, durante il percorso formativo, la costruzione di schemi cognitivi che favoriscano il recupero di determinate informazioni a fronte di determinate situazioni di lavoro.

Infine, all’altro polo del continuum si trovano situazioni e modelli interpretativi fondati sul self-management delle competenze; tale modello si applica laddove sono in gioco competenze pregiate e un elevato livello di discrezionalità operativa, come ad esempio nella formazione manageriale sul problem-solving e sulla definizione di scenari strategici.

Il transfert coinvolge direttamente i concetti di efficacia, utilità della formazione, nonché della capacità di impatto sulla vita produttiva delle organizzazioni; infatti apprendimento e formazione senza trasferimento organizzativo significa dispendio di risorse finanziarie e organizzative, mancato raggiungimento di obiettivi sovra-individuali, produzione di cambiamento individuale senza cambiamento organizzativo.

Si può ritenere che il successo del transfert dipenda da alcuni attributi individuali, dalle caratteristiche del percorso formativo e da alcune qualità dell’organizzazione del lavoro.

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abbia acquisito nuovi elementi di conoscenza, non si sente in grado di applicarli nella concreta realtà lavorativa; si tratta di un deficit di autoefficacia, caratterizzato da mancata fiducia nel proprio nuovo sapere professionale.

In questo caso alcuni accorgimenti in fase di progettazione, come il testare le competenze progressivamente acquisite, possono aggirare queste difficoltà.

Si può avere un mancato trasferimento anche a causa della convinzione personale che le nuove competenze non siano effettivamente utili per svolgere meglio il proprio lavoro, processo etichettato come “resistenza al cambiamento”. Il problema in questo caso risiede in un deficit di progettazione del cambiamento e sviluppo organizzativo e l’esigenza del miglioramento delle competenze non è stata sufficientemente condivisa e partecipata.

Un altro motivo di fallimento del transfert può avvenire quando non si raggiungono gli obiettivi formativi perché i partecipanti non hanno appreso nuove conoscenze, ovvero, quando i partecipanti hanno acquisito conoscenza, che non rientrava nei propositi dei formatori.

In altri casi, l’esperienza formativa può favorire l’apprendimento ma non è in grado di promuovere la ritenzione dei materiali a medio-lungo termine, le nuove procedure tendono a logorarsi, ad essere rapidamente dismesse; il problema, in questi casi, è connesso con la progettazione formativa: le soluzioni adottate in termini di strategie educative, metodi e strumenti, feed-back e valutazione non sono ottimali.

Le organizzazioni invece, dovrebbero predisporre una serie di condizioni facilitanti che permettano ai soggetti in formazione di tradurre le competenze apprese in pratiche di lavoro, come ad esempio, associare un sistema premiante o una evoluzione di carriera all’uso delle nuove competenze. In definitiva bisogna sviluppare un clima organizzativo favorevole al transfert, cioè la percezione condivisa di condizioni organizzative favorevoli

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all’uso delle competenze acquisite nel contesto di lavoro; alcuni item favorevoli al transfert sono rappresentati per esempio dall’affiancare un lavoratore esperto alle persone che rientrano al lavoro dopo un periodo di formazione, dall’alleggerire le richieste di efficienza e di produttività nei periodi immediatamente successivi il periodo di training, o dall’utilizzare durante il training attrezzature simili a quelle presenti sul lavoro.