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Lo studio dei culti degli eroi in Magna Grecia e Sicilia consente di comprendere alcuni caratteri della grecità in Occidente nel loro naturale sviluppo. Tali aspetti si esplicitano in un ambiente differente rispetto alla madrepatria, e sono influenzati da condizioni peculiari quali l’ambiente, la situazione politica in cui versa la regione di origine, le popolazioni indigene con le quali i coloni vengono in contatto e il bagaglio di conoscenze ed esperienze che essi importano nei nuovi territori. Nelle poleis nascenti, questi elementi convergono a formare una struttura istituzionale che sperimenta, quindi, nuove soluzioni. Il culto degli eroi in Magna Grecia e Sicilia è stato analizzato nei casi in cui ho ritenuto di possedere materiale a sufficienza per sviluppare un’indagine comparativa di fonti letterarie, archeologiche, e, in misura incidentale, anche epigrafiche e numismatiche, al fine di delineare un quadro storico il più possibile attendibile. Presento nel capitolo conclusivo i dati emersi e alcune considerazioni personali riguardo ai culti di eroi che ho ritenuto essere più controversi, ma dei quali sono disponibili dati sufficienti a fornire un quadro delle linee-guida seguite nella tesi e dei risultati ottenuti. È ormai assodato che il culto degli eroi, inquadrato dalla convergenza di fonti letterarie e di dati archeologici, non è soltanto oggetto di studio della storia della religione, ma rappresenta un punto cardine per qualsiasi indagine di tipo storico-archeologico. Nell’esaminare i casi, ho sempre inserito le notizie tramandate dalle fonti, accompagnate da una interpretazione critica; esse rappresentano un punto di partenza per le indagini successive. Il mito, nel mondo greco, ha un’importanza fondamentale: è impiegato per spiegare la nascita di stirpi di uomini, per comprendere in chiave narrativa eventi realmente accaduti, giustifica molte realtà esistenti, non solo inerenti all’uomo, ma anche alla natura. Dalla sfera del mito si traggono informazioni sul contesto religioso, politico e sociale in cui si innesta il culto degli eroi, le quali sono vagliate alla luce delle fonti epigrafiche, numismatiche e soprattutto dai dati che emergono dalle scoperte archeologiche in continua evoluzione. L’epos omerico è l’opera fondativa per eccellenza del popolo greco ed in esso il nucleo narrativo dei nostoi, ovvero i viaggi degli eroi di ritorno dalla guerra di Troia, costituisce un espediente comune per giustificare l’arrivo in Italia di personaggi poi assurti al ruolo di fondatori. Ciò avviene nel caso di Filottete, in cui il mito riflette un contatto stabilito con la realtà occidentale già da età miceneo-troiana. La tradizione subisce in nuce

192 un’elaborazione progressiva, per cui la vicenda della fondazione si accresce determinando diverse versioni del mito. Le fonti al riguardo, si rifanno a tradizioni che possono con probabilità risalire al VII-VI secolo. Esse accennano alla fondazione dei centri di Petelia, Crimisa, Chone e Macalla, siti pertinenti all’area della cosiddetta Crotoniatide, in cui era ancora forte l’influenza indigena. Gli abitati citati sono di minore importanza rispetto a Crotone, e si prestarono più facilmente ad assimilare, come fondatore, un personaggio mitico appartenente a una tradizione miceneo-troiana. Indagini di tipo archeologico, condotte sul campo già da Orsi, hanno effettivamente rilevato la presenza di abitati indigeni ellenizzati nell’area compresa tra Crotone e Sibari. I dati a disposizione non sono sufficienti a identificare con sicurezza i siti con ciascuno dei centri minori citati dalle fonti, tuttavia Crimisa doveva con molta probabilità sorgere nell’area in cui oggi si trova Cirò Marina, Chone corrisponde a Cirò Superiore, Macalla è identificabile con l’altipiano Le Murgie, Petelia con Strongoli. Secondo la tradizione, nel tempio di Apollo citato dalle fonti ed identificato con il tempio di Apollo Aleo a Cirò Marina, sarebbero state deposte le armi di Filottete, donate da Eracle. Nella tesi ho presentato le caratteristiche del tempio di età arcaica, che mostrano chiare influenze indigene riflesse nella planimetria e nell’architettura della struttura. Sono convinta del fatto che la narrazione dello spostamento degli oggetti sacri da Crotone a Sibari, sia stata correttamente interpretata come la trasposizione mitica della situazione storica contemporanea: all’indomani della distruzione di Sibari per mano di Crotone, sul finire del VI sec.a.C., gli equilibri politici magnogreci vengono destabilizzati. Si tratta di un evento di portata epocale, sia per il peso che ciascuna polis ha nel sistema di alleanze con le popolazioni indigene, sia per il rapporto altalenante sul piano politico che Crotone e Sibari intrattennero l’una con l’altra.

Un posto di rilievo assumono, nella mia tesi, gli eroi fondatori. La loro impresa è vista come atto necessario dall’intera comunità di coloni che si appresta a recarsi in un ambiente nuovo per fondare una città. L’istituzione del culto dell’ecista riflette la volontà di creare, una o due generazioni dopo la sua morte, una forma di aggregazione e di identità culturale; si tratta di un culto nuovo, non importato dalla madrepatria, in cui l’eroe assurge al ruolo di polissouchos, da polis ed echein, ovvero eroe guardiano della polis nascente, da lui “posseduta”. Il forte sentimento identitario tra l’eroe fondatore e la polis, è chiaramente esplicitato

193 nella realizzazione di un heroon collocato nell’agora, luogo simbolo della città. L’erezione nell’agora di un monumento che celebra il fondatore, costituisce dunque l’emanazione concreta della sua influenza nel cuore della polis appena fondata. A Megara Iblea si riscontra la presenza di un edificio certamente di culto, come è confermato dalla presenza di elementi tipicamente riconducibili a rituali di offerta: si tratta di vaschette incavate nei blocchi lapidei della soglia, di cui è chiara la relazione con riti di passaggio fisico, svolti presso l’ingresso di un ambiente sacro, e di tre bacini privi di fondo che si prestano allo svolgimento di libagioni. Tali offerte, sulla base dell’inquadramento preliminare svolto nella mia tesi, pertinente alle tipologie di sacrificio che vengono destinate agli eroi, possono essere definite con il termine di nephalia, offerte incruente tra le quali può annoverarsi anche l’anfora di tipo SOS rinvenuta nei pressi dell’ingresso dell’edificio dell’oikopedon tipo e che conteneva dell’olio. Ritengo inoltre che le vaschette, oltre a costituire dei contenitori per l’offerta di cereali o materiali non liquidi, possano invece essere destinate ad accogliere anche dei liquidi, quali proprio l’olio, che con molta probabilità era contenuto nell’anfora rinvenuta in prossimità delle stesse. La presenza di una vaschetta situata tra due lastre lapidee, non mi sembra una motivazione così determinante da escludere a priori la libagione di liquidi che avrebbe potuto svolgersi insieme all’offerta di materiale

solido. Il supposto heroon occupa la superficie di 120 m2 circa, superficie

corrispondente ad un lotto urbano, e la sua organizzazione interna ne riproduce la suddivisione, dunque risulta chiara la trasposizione in termini spaziali dell’oikopedon, unità di misura base per la definizione urbanistica della città. L’heroon è in stretta correlazione con il principio di suddivisione base della polis in formazione, ma non si tratta, chiaramente, di una tomba. Ho avuto modo di sottolineare in vari punti della tesi come la presenza reale dei resti dell’eroe non costituisca presupposto necessario all’istituzione di un culto in suo onore. L’assenza di una tomba non preclude comunque il fatto che in essa il fondatore della città non possa essere stato oggetto di culto o, sulla base del legame con la suddivisione urbanistica della città, di un personaggio eminente che larga parte ebbe nella fase di sistemazione urbanistica dei primi anni di vita della polis, tesi che a mio avviso è più attendibile per le caratteristiche della struttura relativamente al suo inquadramento nel sistema urbanistico della città.

194 Il caso di Selinunte, colonia secondaria di Megara Iblea, lascia molte domande aperte; anch’essa ha restituito una struttura localizzata in una parte centrale dell’agora, ed identificata come heroon. Le fonti non riportano notizie precise sulla sorte di Pammilo dopo la fondazione di Selinunte, ma ciò non deve necessariamente far escludere a priori che possa essere a lui riservata quantomeno la fossa inquadrata all’interno dal temenos. Nonostante il contesto in esame sia stato spoliato di tutti i materiali in esso contenuti, in quanto soggetto ad interventi clandestini protrattisi nel tempo, concordo nel ritenere plausibile che in esso sia stato deposto il fondatore. Recenti scavi hanno aggiunto nuovi dati alla questione: il rinvenimento di una seconda fossa in pessimo stato di conservazione, sembra da una parte indebolire l’ipotesi che debba trattarsi dell’edificio contenente le spoglie mortali dell’eroe fondatore. Tuttavia la seconda fossa scoperta, è situata all’esterno del temenos, e pur essendo in asse con la prima, è necessariamente meno importante di questa, almeno da un punto di vista di localizzazione spaziale. Dunque, a mio avviso, nonostante i recenti dati, non ritengo sia da escludere a priori il fatto che l’heroon sia adibito ad accogliere le spoglie mortali dell’ecista, per il legame che esso stabilisce nell’agora. Sulla base degli studi relativi al processo di eroizzazione di un personaggio storico, l’ecista, di cui ho delineato i tratti salienti nella tesi, emerge chiaramente che tale ubicazione rende evidente il valore civico a lui attribuito ed immediata la ricezione del suo ruolo. D’altro canto, come conferma dell’arcaicità della struttura, il rinvenimento di tre frammenti ceramici di produzione locale, collocati tra l’esterno dei blocchi lapidei della fossa meglio conservata e le pareti della cavità scavata nella roccia, testimoniano una datazione alta della struttura, la cui messa in opera è certamente databile ai primi anni della fondazione di Selinunte. Mi riservo comunque di studiare i nuovi dati che emergeranno a seguito degli scavi che avranno luogo nell’area in questione e nella necropoli altoarcaica indagata dalla Rallo, al fine di rilevare eventuali legami cronologici con l’heroon, cui ho fatto solo un accenno, dal momento che parte della bibliografia è ancora in fase di pubblicazione.

In questa parte conclusiva desidero sottolineare che ciascun culto di eroi, il cui valore è riconosciuto dall’intera comunità, è strettamente dipendente da alcuni fenomeni di natura politica che ne hanno determinato un progressivo sviluppo, riscontrabile sia dalla lettura delle fonti letterarie, epigrafiche e numismatiche, che delle evidenze archeologiche. In tutti i casi analizzati in questa sede, il culto degli

195 eroi non è soltanto “influenzato”, ma a mio parere “determinato” da motivazioni politiche, come conseguenza del contatto con le popolazioni autoctone a seguito dello stanziamento di gruppi greci in maniera provvisoria o permanente o come esito del mutamento di equilibri tra poleis greche. Alcune fondazioni, come Selinunte appena citata, stando a Tucidide, sorgono su un territorio vergine, nel caso specifico donato dal re siculo Iblo. Altre, invece, insistono su un territorio occupato da popolazioni autoctone: l’ “imposizione” più o meno netta del culto degli eroi, contribuisce alla progressiva acquisizione dei territori, perpetrata tramite l’esercizio di un’influenza esercitata su più livelli. La realizzazione di strutture sacre, così come i riti che in esse hanno luogo, costituisce una priorità all’arrivo dei coloni nelle nuove terre. L’analisi dei diversi casi ha mostrato la compenetrazione di elementi autoctoni e greci riscontrabile su tutti i piani che pertengono l’architettura sacra e le forme di culto. Nella fase di realizzazione della tesi, mi sono proposta di sottolineare, laddove possibile, in che maniera si attuasse la progressiva ellenizzazione del territorio in cui si insediavano i coloni greci, anche col tramite dei culti rivolti agli eroi. Si tratta, e mi si perdoni il termine, di un’operazione di propaganda, una forma di promozione di personaggi dalle qualità eccezionali, di forte impatto per le comunità vicine, ma soprattutto per i coloni greci che di essi si avvalevano come strumento identitario.

Il principio appena esposto è chiaro nel caso della congruenza esistente tra le fonti letterarie che narrano la fondazione di Taranto sotto la guida di Falanto, personaggio storico, e il riscontro archeologico della progressiva acquisizione dei territori a partire dal centro di Satyrion, sito a est di Taranto. Tale insediamento indigeno, sviluppatosi a partire dell’età del Bronzo, mostra chiari contatti con il mondo miceneo e, sul finire dell’VIII secolo, viene ad essere occupato in forma stabile da un gruppo di Spartani, con la fondazione di Taranto. Il sito in cui sorge la polis era dunque occupato originariamente da un abitato indigeno, attestato per la fase più antica da corredi sepolcrali che confermano la datazione della fondazione di Taranto. La spinta colonizzatrice in Occidente, nel caso in questione, è determinata dalla situazione politica vissuta dalla madrepatria che si trova a dover fronteggiare dei problemi sociali, conseguenti alla conclusione della guerra Messenica. Questa, stando alla data fornita dalla Cronaca di Eusebio, ebbe inizio nel 743 a.C. e alla sua conclusione i cosiddetti Partheni, non godendo dei pieni diritti di cittadinanza, vennero allontanati col pretesto di fondare Taranto. In

196 un momento successivo della tradizione, che non è possibile contestualizzare con precisione, si riscontra nel mito la figura di Taras, eroe eponimo figlio della Ninfa Satyria e di Poseidone. Il fatto che Taras sia figlio della Ninfa Satyria, marca il legame con il centro indigeno Satyrion, sul quale si impone la presenza greca. La diffusione del mito di fondazione ad opera di Taras, consente di avere presso il sito indigeno un margine di accettazione maggiore della presenza greca: egli è, infatti, un eroe mitico, differentemente da Falanto, personaggio storico le cui imprese sono inquadrate nel contesto delle guerre messeniche e dell’iniziativa espansionistica intrapresa da Sparta all’indomani delle stesse. Sono convinta del fatto che la presenza di un doppio mito di fondazione, alla luce delle vicende storiche che hanno contribuito all’adozione dell’una e dell’altra versione, sia un caso assolutamente comune e che è stato debitamente inquadrato nel contesto che lo ha prodotto. Oltre al mito di fondazione, ho esaminato le differenti tradizioni che riferiscono della presenza di un culto in onore Falanto, ora a Taranto ora a Brindisi. Quest’ultima versione presente in Strabone, che la attinge a sua volta da Antioco, è relativa alla collocazione delle spoglie mortali e all’istituzione di un culto dell’eroe a Brindisi. Le vicende sono interpretate in chiave storica, come un tentativo di espansione condotto da Taranto in territorio Iapigio verso Brindisi e di tale evidenza si hanno testimonianze archeologiche chiare. Personalmente, sulla base delle notizie tramandate dalle fonti, ma anche degli studi condotti su altri casi in Magna Grecia e Sicilia nella presente tesi, sono maggiormente incline a pensare che sia più utile indagare nell’agora di Taranto al fine di poter affermare o negare in via definitiva la presenza di un heroon in onore di Falanto, storico fondatore della polis. Tuttavia, la continuità di frequentazione del sito, su cui si collocano i centri abitati Taras-Tarentum-Taranto, rende difficoltoso il lavoro per la presenza della città moderna e dunque la questione sull’ipotetica presenza di una taphè a lui dedicata, rimane aperta.

Il culto degli eroi non marca soltanto la presa di possesso di territori indigeni, ma in alcuni casi segna il mutamento degli equilibri politici esistenti tra poleis greche in ambiente coloniale. La narrazione mitica dell’intervento di Eutimo e dell’uccisione del Demone che annualmente richiedeva un odioso tributo, è interpretato alla luce della conquista di Temesa da parte di Locri negli anni compresi tra il 476-475 a.C. Nel lavoro ho presentato le caratteristiche del tempio sito in località Imbelli, che si presta ad essere identificato come il tempio in cui si

197 praticava il culto dell’Eroe di Temesa, che venne sconfitto da Eutimo di Locri. Non deve stupire l’alone di sacralità che avvolge un personaggio che si distingue nelle prestazioni atletiche: Eutimo, il vincitore olimpico, che per ben tre volte primeggiò nella disciplina del pugilato alla 74a, alla 76a ed alla 77a Olimpiade, assurge al ruolo di paladino della giustizia nel ristabilire a Temesa l’ordine infranto dalle ingiuste pretese dell’Eroe. Nella persona di Eutimo, convergono le qualità migliori riscontrabili in un eroe, ovvero le qualità fisiche che consentono di primeggiare nel contesto agonistico, unite alla bontà d’animo e al coraggio. Tenendo conto del successo degli atleti alle Olimpiadi, la polis di appartenenza si fa spesso carico di onorare il personaggio con la costruzione di statue e monumenti a lui dedicati, ma si spinge anche ad inglobarlo in un sistema di culti, dal momento che la religione greca è fortemente dinamica e abbraccia diverse categorie di divinità o di eroi. Quest’ultimo concetto lo si risontra presso Grotta Caruso, a Locri, in cui era presente una forma di culto indirizzata ad Eutimo di cui nella tesi ho delineato i tratti in maniera esaustiva.

Per concludere, il sistema regolamentato della polis, comprende le potenzialità di culti degli eroi e se ne appropria, adattandoli alle esigenze politiche più disparate e provvedendo alla loro diffusione con la realizzazione di luoghi sacri ad essi dedicati. Per cui, ritengo certamente che, nel complesso, il fenomeno del culto degli eroi sia molto intricato, e che non consenta delle generalizzazioni a priori o delle categorizzazioni. Esse sono utili ad un inquadramento generale, ma devono necessariamente essere integrate dall’analisi dei caratteri che sono propri a ciascun eroe e che emergono dallo studio comparato di fonti letterarie, epigrafiche, numismatiche ed evidenze archeologiche.

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