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VITTIMA E CRIMINAL JUSTICE: ACCOGLIENZA O INDIFFERENZA?

3.4. Vittima e riabilitazione: quale relazione?

Come si è potuto notare fino ad ora, è difficile trovare una compatibilità fra le richieste della vittima, le sue aspettative e gli scopi dell’intero procedimento penale. Se “per la vittima non è

232 Service publique fédéral, L’effacement e la réhabilitation, in http://justice.belgium.be/fr/ [traduzione mia].

233 Service publique fédéral, Vous êtes victime, in http://justice.belgium.be/fr/

riconosciuto alcun ruolo all’interno della giustizia penale, in quanto il crimine è considerato primariamente una infrazione alla legge di una società”234, ci si può ora domandare se esse ricoprano un ruolo, e quale, all’interno del procedimento della riabilitazione penale.

Nella legislazione italiana, la figura della vittima è associata alla riabilitazione penale del condannato in quanto “non può concedersi riabilitazione al condannato che «non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempiervi» (così l’art. 179, ult. cpv., c.p.)”235. Dunque la vittima detiene, secondo il codice penale, l’obbligo di essere risarcita da parte del reo che le ha provocato il danno subito. Tale dovere è da ritenersi valido anche se non ne viene fatta menzione nella sentenza di condanna, se la vittima non si costituisce parte civile e anche se il delitto è caduto in prescrizione. L’istante deve quindi aver risarcito la vittima al fine di ottenere il beneficio della riabilitazione: se da un lato la dimostrazione dell’avvenuto risarcimento può essere fornita attraverso qualsiasi modalità, specularmente dall’altro il reo deve provare l’impossibilità di adempiere a tale condizione, o presentare una dichiarazione della vittima in cui essa affermi di non avere nulla a che pretendere per il danno subito (questa documentazione non deve essere prodotta se la vittima risulta risarcita dalla sentenza di condanna, con il riconoscimento della circostante attenuante comune di cui all’art. 62 n.6 c.p.). La vittima può non essere risarcita se l’istante si trova in determinate condizioni, indipendenti dalla sua volontà, che ne impediscono il compimento; inoltre anche la Corte di cassazione italiana, attraverso una sentenza (Cass. Pen., sez III, sent n. 685, 31.03.2000) ha stabilito che la rinuncia alla compensazione alla vittima può non rappresentare un ostacolo all’ottenimento della riabilitazione.

Anche per quanto concerne il diritto penale belga, vi è una condizione, affinché la riabilitazione venga concessa al condannato, che è legata alla presenza della vittima. Proprio come nel caso italiano, l’art. 623 Code d’instruction criminelle afferma che il reo deve essere “libero dalle restituzioni, dai danni e dalle spese per i quali è stato condannato”. Pertanto l’elargizione di tale beneficio è subordinata alla restituzione dei danni alla persona offesa: il reo deve quindi avere risarcito la vittima. La corte d’appello ha però deliberato che si possa venire meno a tale condizione se si presentano motivi che il condannato non può prevedere, quindi indipendenti dalla sua volontà.

Un esempio può essere rappresentato dall’indigenza economica: il reo non può riparare al danno provocato se non ha i mezzi materiali finanziari per farlo; oppure non è in grado di rintracciare la persona offesa; oppure quest’ultima è deceduta.

Pertanto dal punto di vista legislativo italiano e belga, la figura della vittima è presente nel procedimento riabilitativo in quanto deve ottenere una compensazione ed acconsentire al

234 A. Crawford, J. Goodey, op. cit., p. 228 [traduzione mia].

235 M. L. Covino, “Riabilitazione”, Enciclopedia giuridica, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, volume XXVII, Tomo I, Roma, 1991, p.3.

pagamento del risarcimento. Si può quindi presumere che se una vittima dovesse non accettare la proposta di risarcimento determinata dal condannato, in quanto, ad esempio, ritenuta esigua rispetto al danno subito, possa far negare la riabilitazione allo stesso: essa ha facoltà di rendere inammissibile un’ istanza , perché può essere l’artefice della caduta di una delle condizioni basi per il suo ottenimento. Conseguentemente, si può ipotizzare che sia la persona offesa, con l’accettazione o la negazione del risarcimento, a decidere le sorti di un condannato per quanto concerne la riabilitazione.

D’altra parte, è stato osservato come sia in Italia che in Belgio siano presenti deroghe in merito alla condizione del risarcimento del danno subito. Infatti, la Corte di Cassazione italiana e la Corte d’Appello belga hanno stabilito che non compensare la vittima (ciò deve comunque essere motivato da condizioni contingenti non dipendenti dalla volontà del reo) non costituisce un impedimento all’ottenimento della riabilitazione.

La giurisprudenza italiana e belga quindi rendono possibile il fatto che la vittima di un crimine, detentrice del diritto di essere risarcita per i danni subiti, non riceva alcun tipo di compensazione:

materiale, economica, simbolica. Ciò che si può dedurre da questa analisi è che viene a decadere un beneficio importante per una vittima, che è quello di ottenere un conforto, seppur minimo, dopo essere stata danneggiata dal crimine che ha dovuto, suo malgrado, subire. Si può affermare criticamente che il fatto di non riconoscere alla vittima il dritto di essere risarcita, confini la vittima ad un ruolo secondario, sicuramente marginale e passivo, all’interno del procedimento riabilitativo.

A tal proposito, infatti, si può notare come la legislazione italiana e belga non prevedano il fatto che le persone offese vengano consultate sull’opportunità di concedere la riabilitazione al condannato.

Esse non sono neanche informate direttamente, per esempio da operatori del mondo giudiziario, che una riabilitazione è avvenuta o ha avuto luogo. Le vittime quindi vengono a conoscenza che un’istanza riabilitativa è stata presentata nel momento in cui si deve verificare se la condizione della riparazione del danno è stata soddisfatta, oppure quando vengono contattate direttamente dallo stesso condannato, o da un suo avvocato, in merito ad un’offerta di risarcimento. Il processo di riabilitazione è infatti un procedimento pubblico, in cui non possono rientrare gli interessi privati della persona lesa da un reato. Se anche la vittima venisse avvisata, questo contatto avverrebbe a distanza di anni, se non di decenni, dalla commissione del reato: ci si può domandare pertanto se questa informazione possa essere controproducente e risvegliare in essa sentimenti di dolore e angoscia verso l’autore del reato e l’evento delittuoso. Queste sensazioni rischiano di far insorgere il problema della vittimizzazione secondaria: tale difficoltà infatti non appartenente al procedimento riabilitativo, ma può proprio manifestarsi nel momento in cui la vittima viene contattata per sapere se è stata risarcita. Anche il victim impact statement e la mediazione penale non rappresentano delle

pratiche che possano riguardare la riabilitazione, presente alla fine dell’iter giudiziario, quando ormai la sentenza di colpevolezza è stata emanata.

La vittima dunque non trova posto nel processo riabilitativo, che è focalizzato interamente sulla figura del criminale, dello Stato e sull’entità dell’offesa e della punizione.

CAPITOLO QUARTO