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La traduction en coulisse nel mondo audiovisivo: il racconto di una vocazione tra parola, immagine e suono. Proposta di traduzione e commento della sceneggiatura di "Jacquot de Nantes" di Agnès Varda.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E

LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN LINGUISTICA

E TRADUZIONE

TESI DI LAUREA

La traduction en coulisse nel mondo audiovisivo:

il racconto di una vocazione tra parola, immagine e suono.

Proposta di traduzione e commento della sceneggiatura di

Jacquot de Nantes di Agnès Varda.

CANDIDATA

RELATRICE

Irene Stentella

Prof.ssa Lorella Sini

CORRELATRICE

Prof.ssa Rosa Cetro

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INDICE

INTRODUZIONE 4

CAPITOLO 1

LA TRADUZIONE AUDIOVISIVA: UN GENERE AL PASSO CON I TEMPI 8

1.1. Panoramica 10

1.2. Testo multimediale: un’unione indissolubile di parole, immagini e musica 14 1.2.1. Un approccio semiotico alla traduzione audiovisiva 18 1.3. Principali modalità della traduzione audiovisiva 21

1.3.1. Sottotitolazione e doppiaggio a confronto 22

1.4. Traduzione di sceneggiature come tipologia di traduzione audiovisiva 29

1.4.1. Che cos’è la sceneggiatura 29

1.4.2. La traduction en coulisse: cosa accade dietro le quinte 31

1.4.3. Un caleidoscopio di funzioni 33

CAPITOLO 2

PRESENTAZIONE DELL’OPERA. 35

2.1.L’autrice Agnès Varda e la Nouvelle Vague 37

2.1.1. Elle et lui : Agnès Varda et Jacques Demy. Un amour de cinéma 41 2.2. Jacquot de Nantes. L’évocation d’une vocation : trama 42

2.2.1. I luoghi 44

2.2.2. Retroscena storico 46

2.3. La sceneggiatura come genere letterario 47

CAPITOLO 3

JACQUOT DE NANTES. Traduzione con testo a fronte 52 CAPITOLO 4

COMMENTO LINGUISTICO E TRADUTTOLOGICO 260

4.1. Introduzione al commento 262

4.2. Le canzoni nel film 264

4.3. L’interazione tra immagine e testo 268

4.4. Il testo 271

4.4.1. Registro 271

4.4.2. Morfosintassi 275

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4.4.2.2. L’omissione della particella “ne” nella negazione 277 4.4.2.3. Uso frequente del pronome dimostrativo ça 278 4.4.2.4. Sostituzione del pronome personale “on” al “nous” 280 4.4.2.5. Uso marcato di “c’est…que…” e della frase scissa 281

4.4.3. Lessico 282

4.4.3.1. L’onomastica 283

4.4.3.2. Turpiloqui 286

4.4.3.3. Realia etnografici e sociopolitici 288

4.4.3.4. Espressioni idiomatiche 293

4.4.3.5. Giochi di parole 296

CONCLUSIONE 301

BIBLIOGRAFIA 305

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4

INTRODUZIONE

I prodotti audiovisivi sono ormai oggetti quotidiani: non c’è giorno in cui il nostro sguardo non incroci uno schermo di un qualsiasi genere di dispositivo attraverso il quale immagini, suoni e parole sono sottomessi alla nostra percezione, messaggi multimodali che noi decodifichiamo senza nemmeno rendercene conto. L’avvento della digitalizzazione ha favorito lo sviluppo di una forma di comunicazione globale che si avvale di prodotti complessi che attingono all’interazione di componenti semiotiche di vario tipo per la creazione e trasmissione di significato. Il loro carattere multimodale e multimediale rende ancora più arduo il compito di garantire lo scambio internazionale: il traduttore audiovisivo si trova a fronteggiare l’ostacolo di riuscire ad interpretare contemporaneamente tutti gli elementi testuali e extratestuali, che veicolano il significato, al fine di non compromettere l’equilibrio complessivo dell’atto comunicativo (Ranzato, 2010: 33). La pratica traduttiva che si occupa della resa di testi audiovisivi prende il nome, appunto, di “traduzione audiovisiva”, un vasto campo che di recente ha attratto l’interesse di numerosi linguisti ed esperti di traduzione, sia per la sua diffusione nel mondo della comunicazione di massa, sia per la dimensione polisemiotica che la contraddistingue, rendendola un’attività complessa che coinvolge molteplici fattori.

L’idea originaria di questo lavoro risiede nella volontà di approfondire la conoscenza della disciplina della traduzione audiovisiva, prima di questo momento noto all’autrice del presente elaborato solo in termini generali. L’interesse è nato a seguito della partecipazione a seminari che illustravano le principali modalità attraverso cui questa disciplina opera nel campo cinematografico, ovvero sottotitolazione e doppiaggio. Due modalità che sono trattate e descritte in maniera approfondita da ampi studi condotti a partire dal secolo scorso. Nel corso delle ricerche sono state riscontrate varie classificazioni che hanno portato alla luce diverse tecniche di trasferimento linguistico nei prodotti audiovisivi, oltre alle due principali sopramenzionate, che però non hanno goduto della stessa attenzione accademica. Lo scopo principale di questo lavoro, come si evince dal titolo, è quello di scoprire cosa si cela dietro le quinte, qual è la modalità di traduzione audiovisiva che costituisce la base di ogni produzione cinematografica che aspira a una carriera internazionale, ovvero la traduzione della sceneggiatura. Dalle ricerche effettuate, è risultato che la pratica traduttiva per le sceneggiature cinematografiche ha destato, fino a pochi anni fa, scarso interesse negli studiosi della traduzione, probabilmente dovuto dal fatto di essere considerata come semplice “modalità d’uso” per la produzione di prodotti filmici. Ultimamente, però, i

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ricercatori hanno iniziato ad ampliare i loro orizzonti intraprendendo studi sulla sceneggiatura come un vero e proprio genere letterario, dotato di strutture narrative, che dovrebbe richiedere una preparazione accademica sia per gli scrittori sia per i “lettori” e studiosi di questi testi (Cattrysse, 2002). Tra le figure professionali che si avvalgono della sceneggiatura, ci sono i produttori e i distributori cinematografici che, in campo internazionale, possono avviare da una parte trattative di co-produzione per la realizzazione di un film, dall’altra la promozione per la distribuzione internazionale di un prodotto già realizzato.

La traduzione della sceneggiatura è la modalità di traduzione audiovisiva che garantisce in questo caso lo scambio interculturale, svelando il contenuto del prodotto che si vuole promuovere per incentivare la produzione e/o la distribuzione all’estero.

Un ulteriore obiettivo del presente lavoro è quello di indagare quali siano le difficoltà e le varie strategie traduttive che un traduttore deve adottare nella resa di questa tipologia di testo, anche nei confronti delle componenti sonore e visive che in esso vengono descritte. Al fine di raggiungere tale obiettivo, nel presente lavoro è stato scelto di presentare una proposta di traduzione della sceneggiatura del film Jacquot de Nantes della regista francese Agnès Varda. Si tratta di un omaggio biografico dedicato al marito, il famoso regista francese Jacques Demy: un film che racconta l’infanzia vissuta in un contesto sereno, seppur disturbato dallo scoppio della Seconda guerra mondiale, di un bambino tormentato dalla crescente passione per il cinema che lo porterà alla realizzazione di tutti i suoi sogni. Il film si articola in un’alternanza di ricordi passati e di testimonianze presenti, date dal protagonista in persona e dalle inserzioni della maggior parte dei suoi film prodotti. È un film singolare che rappresenta la perfetta conciliazione degli elementi semiotici di cui un testo cinematografico si serve: oltre all’infanzia di Jacques Demy, la regista ci racconta di un’epoca e di una cultura attraverso suono, immagini e parole.

La scelta di tradurre la scenografia del suddetto film deriva dalla volontà di studiare e rendere evidente l’importanza dell’interazione tra le componenti del testo cinematografico per la trasmissione di significato e di dimostrare quanto essa sia importante in fase di traduzione, al fine di rendere un testo chiaro e coerente nella lingua di arrivo.

L’elaborato si divide in quattro capitoli. Nel primo si introdurrà una panoramica generale sul concetto di “traduzione audiovisiva” (cui comunemente ci si riferisce con l’acronimo TAV) da un punto di vista accademico, in qualità di “giovane settore dei Translation Studies a lungo ignorato dalla ricerca, che […] ha ricevuto un potente impulso a partire dagli anni

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Novanta de secolo scorso” (Ranzato, 2010: 9). Dopo una definizione dei concetti di “multimedialità” e “multimodalità” del testo audiovisivo e le conseguenti nuove sfide che il traduttore si trova ad affrontare, si fornirà un quadro esaustivo dei tratti distintivi semiotici che costituiscono i suddetti testi e una breve focalizzazione sulla necessità di un approccio semiotico alla traduzione audiovisiva – sul modello semiotico testuale teorizzato da Eco (1979) – in virtù di una corretta trasposizione linguistica e culturale del messaggio di partenza in altre culture. Successivamente si cercherà di stilare una tassonomia delle principali modalità di traduzione audiovisiva, presentando brevemente le caratteristiche generali delle due modalità più diffuse nel mondo cinematografico, ovvero sottotitolazione e doppiaggio. In ultimo, si focalizzerà l’attenzione sulla modalità della TAV oggetto di questo studio, la traduzione della sceneggiatura, fornendone dapprima una definizione e mostrandone in seguito i vari ambiti di applicazione, per concludere con una classificazione delle molteplici funzionalità che le traduzioni di sceneggiature possono avere.

Il secondo capitolo sarà dedicato all’esposizione della sinossi del film oggetto del presente elaborato, preceduto da una breve presentazione della vita della regista e del movimento cinematografico nel quale si inserisce e di cui è considerata una delle esponenti principali. La Nouvelle Vague ha rappresentato un movimento rivoluzionario di grande importanza nel cinema degli anni ’50 e le sue impronte si riflettono in tutta la produzione cinematografica di Agnès Varda. Ai fini di una migliore comprensione dell’opera cinematografica, è risultato necessario, inoltre, descrivere sinteticamente il rapporto – personale e artistico – della regista con il marito Jacques Demy, anche lui famoso cineasta francese e protagonista della storia trattata in questa sede. Il capitolo si concluderà con una piccola parentesi sulla trattazione della sceneggiatura considerata come genere letterario, in cui ne verranno descritte le caratteristiche che le conferiscono lo statuto di “testo narrativo”, anche se, come si vedrà, non è facile dare al genere della sceneggiatura una definizione precisa.

Il terzo capitolo è interamente dedicato alla traduzione della sceneggiatura dell’opera cinematografica con testo a fronte.

Il quarto e ultimo capitolo comprenderà, infine, un commento linguistico e traduttologico. In un primo momento, saranno presentati brevemente gli strumenti utilizzati per ogni tappa del processo traduttivo effettuato e saranno illustrate le caratteristiche prevalenti del linguaggio del testo tradotto, nonché il registro linguistico e il marcato tratto di oralità. Successivamente sarà fornita una spiegazione delle strategie traduttive adottate, con particolare riferimento alla componente sonora, visiva e verbale. Per le prime due

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componenti verrà delineato un quadro teorico sulla loro funzione all’interno del testo audiovisivo e sul contributo che apportano in fase di traduzione, supportato da esemplificazioni prese dal testo tradotto. La terza componente, quella verbale, verrà infine analizzata da un punto di vista morfologico e lessicale e si spiegherà la soluzione adottata per ogni particolare fenomeno linguistico rilevato. La spiegazione di ogni resa traduttiva verrà sostanziata con esempi tratti dalla sceneggiatura originale del film, seguiti dalle corrispondenti versioni tradotte in italiano.

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CAPITOLO 1

LA TRADUZIONE AUDIOVISIVA.

UN GENERE AL PASSO CON I TEMPI

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1.1. Panoramica

La pratica della traduzione audiovisiva si configura come un’ovvia conseguenza in un mondo in cui globalizzazione e digitalizzazione hanno preso il pieno controllo. Queste due caratteristiche hanno permesso una sempre più rapida proliferazione di materiale audiovisivo, che circolando da una cultura all’altra e da un sistema linguistico all’altro, necessita di esser reso fruibile dall’ampio pubblico internazionale. In questo senso, la traduzione audiovisiva è un ambito di ricerca disciplinare che si pone come strumento di ausilio in una società in cui la comunicazione è diventata “un prodotto di mercato internazionale” (Gambier e Gottlieb, 2001) e per il quale lingua, immagini e suoni si configurano come mezzi attraverso cui i mass media trasmettono le informazioni. Gli schermi, infatti, invadono il nostro quotidiano in maniera perpetua e costante, che siano essi di cellulari, tv, computer, cinema o pannelli pubblicitari per le strade. Un fenomeno che non suscita stupore se si considera il mondo in cui viviamo oggi: un mondo multimodale (Perego, Taylor, 2016: 15) nel quale la maggior parte delle forme di comunicazione avvengono attraverso la combinazione di diversi canali semiotici: si aggiungono allo scritto e al parlato – identificati come mezzi principali di creazione di significato – altre modalità, quali lo sguardo, i gesti, le immagini, la musica, che sono in grado in egual modo di trasmettere un messaggio. Il testo che si inserisce in questo contesto viene definito pertanto “multimediale” in quanto, come si vedrà più avanti (vedi § 1.2.), trasmette il significato attraverso l’integrazione di diverse modalità semiotiche.

La realtà instabile e in continua trasformazione in cui si inserisce il mondo dell’audiovisivo ha portato, nel corso del tempo, all’assunzione di differenti definizioni per quanto riguarda il processo traduttivo. Negli studi condotti e nei vari contributi pubblicati è stato constatato, infatti, l’utilizzo di una diversa terminologia per etichettare la traduzione dei prodotti audiovisivi. Tali definizioni riflettono gli elementi sui quali gli studiosi hanno riposto la loro attenzione: così, l’espressione film translation (“traduzione filmica”) richiamava l’attenzione solo sul prodotto veicolato dalla traduzione, ovvero i dialoghi dei film; oppure screen translation (“traduzione per lo schermo”) mette l’accento sul mezzo di divulgazione del prodotto audiovisivo e quindi lo schermo televisivo, cinematografico o del computer. Queste formule, pur continuando a coesistere, colgono solamente uno degli aspetti dell’intero meccanismo di questo processo. Pertanto, negli ultimi tempi, si è scelto di adottare delle definizioni più onnicomprensive, come “traduzione multimediale” e “traduzione audiovisiva”, che sottolineano in maniera più appropriata la natura di questi

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prodotti, caratterizzata dalla presenza di numerosi elementi semiotici che si combinano in maniera organizzata al fine di generare un “aggregato artistico complesso” (Petillo, 2012: 14-16).

In questo senso, Heiss offre la seguente definizione, in cui utilizza il termine “multimediale” per riferirsi al processo traduttivo che deve mirare all’elaborazione di un prodotto che contenga anche altri componenti, oltre a quelle linguistiche, che tenga conto, dunque, della sua complessità:

[…] Traduzione multimediale significa elaborazione complessiva di un prodotto multimediale, e non solo delle sue componenti linguistiche (1996: 15, corsivo mio).

Uno degli esempi archetipici della multimedialità è costituito dai prodotti cinematografici moderni, in cui si ha una compresenza di elementi diversi atti a trasmettere significato.

La nascita del cinema sonoro ha richiesto nuove modalità di percezione da parte dello spettatore, in quanto si passa dall’onnipresenza dell’immagine nello schermo ad una copresenza di immagine e dialoghi. A partire dai primi decenni del secolo scorso, dunque, la realtà cinematografica si trova immersa nella dicotomia audiovisiva. Ma il passaggio dal cinema muto a quello sonoro è graduale: in un primo momento l’immagine ha accolto la parola scritta sotto forma di “intertitolo” o “didascalia”, diretto precursore del sottotitolo. Gli intertitoli sono usati per la prima volta in Europa nel primo decennio del Novecento e costituiscono delle brevi sequenze di commenti descrittivo-esplicativi o brevi dialoghi impressi su uno sfondo opaco e proiettati tra due scene del film (Perego, 2006: 34). Con la nascita del cinema sonoro, dunque, l’esigenza della traduzione filmica si impone con lo scopo – almeno inizialmente – di rendere accessibile a un pubblico internazionale la fruizione del prodotto cinematografico straniero servendo gli interessi economici da un lato e favorendo il superamento delle barriere linguistiche dall’altro.

L’etichetta “traduzione audiovisiva” – indicata spesso con l’acronimo inglese AVT o con quello italiano TAV – si configura come la più esauriente, poiché il termine “audiovisivo” si riferisce da una parte al carattere multisemiotico del contesto in cui si inserisce il testo da tradurre, dall’altra parte al carattere multimodale del suddetto contesto che, come vedremo, è costituito da più canali che agiscono simultaneamente contribuendo a determinare il significato del prodotto in questione. La traduzione audiovisiva si configura quindi come il trasferimento da un testo source ad un testo cible, che tiene conto dei diversi canali multipli

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che il testo utilizza per la trasmissione del messaggio e riguarda tutti i documenti che includono differenti sistemi semiotici.

Come osserva Gambier, la TAV è un genre populaire (2004: 1) in quanto i media sono altamente diffusi. Per questo motivo a partire dall’inizio degli anni ’90 gli studiosi accademici si sono dedicati con sempre maggior interesse alla traduzione di film e altri prodotti audiovisivi che rappresentano, appunto, forme testuali determinate anche da fattori non linguistici – in questo caso visivi e uditivi – con le quali adottare tecniche nuove, fino ad allora completamente inesplorate. Un fattore principale che ha determinato l’incremento degli studi traduttologici in questo ambito, è dato sicuramente dal crescente successo e peso che i prodotti cinematografici hanno acquisito in campo internazionale. La continua espansione e il conseguente interesse suscitato per questa disciplina hanno fatto sì che la traduzione audiovisiva venga oggi inquadrata all’interno del vasto ambito di ricerca dei cosiddetti Translation Studies, la disciplina che a partire dal secondo dopoguerra si pone l’obiettivo di affrontare e studiare i problemi della traduzione con criteri metodologici e rigorosi (Nergaard 2002: 3), assumendo diverse impostazioni teoriche a seconda della definizione stessa dell’oggetto disciplinare.1 Nel trasferimento linguistico audiovisivo sono

diversi gli aspetti da tenere in considerazione e analizzare, come ad esempio la già citata relazione tra immagini, suoni e parole; la relazione tra le lingue straniere e la lingua d’arrivo; la relazione tra codice verbale e codice scritto. In accordo con Gambier e Gottlieb (2001: XIX), infatti, vediamo come la traduzione multimediale apporti contributi importanti ai

Translation Studies: ad esempio, rivela le sfide e le complessità della dimensione

multisemiotica della comunicazione odierna e si pone come testimone dei cambiamenti sociolinguistici della società contemporanea; inoltre permette di considerare il codice verbale e la sua relazione con altri sistemi semiotici in modo da focalizzare una maggiore attenzione sugli aspetti culturali e comunicativi e non esclusivamente a quelli testuali e linguistici; infine, questo tipo di traduzione obbliga ad una ridefinizione di concetti, quali “originale”, “fedeltà”, “significato”, “accettabilità”, “leggibilità”, “usabilità” e conduce soprattutto a definire delle nuove competenze e pratiche del traduttore audiovisivo.

1 Generalmente si tende a suddividere l’evoluzione della formazione di questa disciplina in tre “generazioni”:

fino agli anni ’60 il campo di indagine si limitava alla parola, considerando quindi la traduzione come trasposizione terminologica, che doveva essere equivalente al testo originale. Successivamente, gli studiosi si sono resi conto dell’inadeguatezza di tale definizione - troppo scientifica e prescrittiva - e nella successiva decade si sono consacrati non tanto alla “risoluzione” dei problemi che l’attività del tradurre provocava, quanto alla descrizione di essi; si prendono così in considerazione i testi letterari come oggetto di studio e non più i testi “tecnici”. Infine, a partire dagli anni ’80 si adotta una prospettiva multiculturale della traduzione, ponendo al centro dello studio non più solo il linguaggio ma anche i fattori culturali che interferiscono e influenzano il processo traduttivo (Nergaard, 2002).

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Infatti, oggi i film e altri prodotti audiovisivi rappresentano uno dei principali trasmettitori di cultura in quanto contengono stereotipi culturali, modi di dire e registri appartenenti a generi e diverse classi sociali. È in quest’ottica che gli studi sulla traduzione si inseriscono nel campo dell’audiovisivo: tradurre identità ed elementi culturali specifici da un codice verbale all’altro rappresenta una nuova sfida per il traduttore, in quanto ha il compito non solo di trasferire elementi linguistici, ma deve tener conto anche del contesto e dell’influenza che quest’ultimo esercita sui dialoghi. In breve, il traduttore audiovisivo non interviene solamente sulla componente verbale, ma deve essere in grado di riportare il sistema semiotico del testo audiovisivo nella sua totalità, altrimenti andrebbe a gravare sulla buona comprensione da parte dello spettatore (Dìaz Cintas, 2009: 9). Per ottenere questo risultato, il traduttore di questa tipologia di testi ricorre all’adozione di strategie traduttive che siano subordinate al codice visivo e sonoro: se una traduzione fedele al testo verbale originale non si sposa bene con gli elementi non verbali del prodotto audiovisivo, il traduttore deve intervenire sulla componente linguistica – l’unica componente modificabile dell’opera – in modo che la traduzione risulti in sincronia con i suddetti codici non verbali e provochi allo stesso tempo nel pubblico straniero lo stesso effetto che il testo originale produce nel pubblico di partenza. Il traduttore si ritrova dunque a dover mantenere la veridicità del messaggio contenuto nel testo audiovisivo di partenza, ritrovandosi al contempo costretto ad “arrendersi” agli ostacoli interpretativi che possono essere interposti, ad esempio, da giochi di parole o da forme idiomatiche che rimandano obbligatoriamente a immagini che compaiono sullo schermo. A titolo di esempio, Pavesi (2005: 18) riporta il seguente caso: la forma idiomatica inglese to be in somebody’s shoes ha in italiano l’equivalente “essere o mettersi nei panni di qualcuno”, che si presta nella maggioranza dei casi a fornire un’ottima traduzione; in un contesto audiovisivo, però, questa equivalenza può essere problematica se sullo schermo, contemporaneamente all’enunciazione della frase fatta, compare un bambino che effettivamente indossa le scarpe del padre.

Possiamo sintetizzare quanto detto con una citazione di Candace Whitman-Linsen (1992: 103)2:

La traduzione va scolpita e cesellata, affinché aderisca in modo convincente all’immagine visuale e stimoli al contempo l’impressione di autenticità. Pertanto,

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richiede acrobazie complesse sul contenuto semantico […], e deve costantemente arrendersi a banali costrizioni imposte dal mezzo stesso. (corsivo mio)

A questo proposito Irena Kovačič (1996), nel suo contributo in un convegno sulla traduzione audiovisiva, illustra quanta importanza possa avere la funzione pragmatica della lingua parlata dei dialoghi, ovvero l’intenzione che un parlante esprime attraverso l’atto linguistico3, e dedica particolare attenzione ai relativi processi traduttivi-decisionali basati sulla tipologia di pubblico a cui ci si rivolge, la struttura dei dialoghi, le relazioni interpersonali dei personaggi, ecc. Risulta importante variare di volta in volta le priorità, stabilendo una gerarchia flessibile nella scelta traduttiva per consentire al pubblico di comprendere quanto più possibile la totalità del prodotto multimediale. La traduzione audiovisiva e le scelte effettuate dal traduttore influenzano poi la percezione stessa del film nei paesi stranieri (Ramière, 2004: 104-108), come per esempio il modo in cui viene tradotto il contesto socioculturale e geografico in cui un film è ambientato, elemento che gioca un ruolo molto importante ed è determinante per il carico culturale del film. Inoltre, il modo in cui la versione tradotta presenta i personaggi e le relazioni che intercorrono tra di loro, può determinare e influenzare l’immagine e l’idea che lo spettatore si fa, da cui dipende, di conseguenza, la ricezione del film. In definitiva, al traduttore audiovisivo è richiesta una grande creatività verbale che gli permetta di mantenere la coerenza tra i vari livelli testuali, rispettando le funzioni e le motivazioni dell’originale.

Infine, la tesi sostenuta da Dìaz riguarda il considerare la TAV non soltanto come semplice variante della traduzione letterale, di poesie o di teatro, bensì come una pratica traduttiva di un tipo di testo che opera in opposizione ai tipi di testo solo scritti o solo orali. (Dìaz Cintas, 2009: 6).

1.2. Testo multimediale: un’unione indissolubile di parole, immagini e musica

I testi multimediali sono considerati testi sincretici, testi in cui agiscono diversi codici espressivi (immagine, parola, suono, musica). Una traduzione multimediale deve operare 3 Gli “atti linguistici” costituiscono l’oggetto di studio della pragmatica, una disciplina della linguistica che

studia i segni linguistici come espressione dell’agire. Il linguista inglese Austin fu il primo a teorizzare l’atto linguistico come “azione del parlante”, distinguendo il significato che l’enunciato esprime e il modo in cui l’enunciato è usato. La teoria si basa sulla distinzione tra atto locutorio (“dire qualcosa”, ovvero pronunciare un enunciato dotato di struttura morfosintattica e di senso), atto illocutorio (“fare nel dire”, in cui si utilizzano verbi come “minacciare”, “ordinare”, “trasformare” ecc.) e atto perlocutorio (quando il “dire qualcosa” ha conseguenze sui sentimenti, pensieri o azioni dei partecipanti.

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pertanto non solo sulle componenti linguistiche, ma anche sulle componenti non verbali del testo, attuando una traduzione della materia non verbale in cui si integra e completa il testo verbale (Bollettieri Bosinelli 1998: 14). Il contesto multimediale permette di parlare e ridefinire il concetto stesso di “testo” come entità stabile e analizzabile in tutte le sue componenti, che sono percepite contemporaneamente e in maniera complessa (Heiss, 1996: 14).

Un testo audiovisivo è, pertanto, una costruzione semiotica che comprende diversi codici significanti che simultaneamente operano per la creazione di significato. Ranzato (2010: 31-33), citando Chaume (2004), riporta così i dieci codici significanti del linguaggio filmico:

- il codice linguistico: il traduttore si ritrova ad affrontare un linguaggio che ha il carattere particolare di porsi come intermedio tra scritto e parlato: un testo scritto che deve apparire orale e spontaneo;

- i codici paralinguistici: codici identificati dai simboli convenzionali come indicatori di silenzi, le pause, il volume della voce ecc.;

- il codice musicale e degli effetti speciali: le canzoni di un film e gli effetti speciali – quali risate, applausi ecc. – accrescono l’immaginazione simbolica di ciascun spettatore e contribuisce a connotare il racconto;

- il codice dell’arrangiamento sonoro: in un testo audiovisivo il suono può essere diegetico, e quindi in scena, oppure non diegetico, e quindi fuori scena;

-il codice iconografico: è il codice più rilevante trasmesso dal canale visivo, in quanto obbliga il traduttore a una coerenza tra il testo e l’immagine alla quale si riferisce.

- il codice fotografico: questo codice interessa i cambiamenti di luce, di prospettiva, di uso del colore. È interessante notare la culturospecificità di questo codice, in quanto determinati colori possono trasmettere un’emozione, un sentimento o un concetto in una cultura, mentre significano qualcosa di completamente diverso in un’altra;

- il codice dei tipi di inquadrature: soprattutto per quanto riguarda il doppiaggio, i tipi di inquadratura sono sostanziali per la sincronizzazione articolatoria, perché, ad esempio, per il traduttore un primo piano è evidentemente più costrittivo rispetto ad un campo lungo o fuori campo;

- il codice di mobilità: nel doppiaggio, questo codice si riferisce alla posizione dei personaggi e al bisogno di coordinare il movimento, la gestualità e le parole al fine di ottenere un sincronismo espressivo;

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- il codice grafico: relativo alla traduzione di didascalie, titoli, cartelli ecc.;

- il codice sintattico: questo codice si riferisce al montaggio. Secondo Chaume, essere consapevoli della relazione di una scena con l’altra e la posizione della scena stessa all’interno dello sviluppo della trama, può aiutare a capire meglio il testo audiovisivo.

Pertanto, il testo di un prodotto multimediale articola e trasmette il suo significato attraverso la combinazione di tutti i codici succitati, del linguaggio verbale, non verbale e fattori extratestuali. Trascurare soltanto uno di questi trasmettitori di significato può pregiudicare l’equilibrio dei diversi componenti dell’atto comunicativo (Ranzato, 2010: 33). Dal punto di vista puramente linguistico, il linguaggio cinematografico4 ha il carattere

particolare di porsi come intermedio tra scritto e parlato. Come sintetizza Rossi (2006: 35), il testo filmico è un testo aperto, scritto per essere recitato e sincronizzato e all’interno del quale vi si realizza quindi la coesistenza di tratti linguistici propri dello scritto (come coerenza e coesione testuale, complessità morfosintattica e densità lessicale) e del parlato (determinato da sovrapposizioni, interruzioni, ricorso ad elementi para- ed extralinguistici, presenza di dialetto e di differenti registri linguistici, ecc.). In particolare, il testo filmico ha caratteristiche comunicative che si sviluppano su due livelli: da una parte abbiamo la comunicazione riprodotta dagli attori che dialogano tra loro e dall’altra abbiamo il livello di comunicazione tra un mittente (che sarebbe l’autore del film) e un destinatario (il pubblico) che non può rispondere, ma soltanto ricevere, attuando, quindi, una comunicazione a senso unico (ibidem, 29).

Dal punto di vista semiologico, invece, possiamo analizzare il linguaggio cinematografico in quanto “sistema di segni” sintetizzando nella seguente tabella5 (Tab. 1) i tratti semiotici

che oppongono il “testo che si legge” (prendendo come modello un romanzo) al “testo che si guarda” (prendendo qui in esame il testo cinematografico).

4 In questa sede ci riferiamo in particolare al testo filmico.

5 Tabella presa da Rossi (2006) che ricorre alla schematizzazione di Simone (2001), Il testo che si legge e il

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TRATTI SEMIOTICI VISIONE LETTURA

Ritmo autotrainato - +

Correggibilità - +

Convivialità + -

Multisensorialità + -

Gestione dei frames ed enciclopedia - +

Citabilità -/+ +

Livello zero di iconicità + -

Intelligenza attivata Simultanea Sequenziale

Amichevolezza Alta Bassa

Tabella 1. Peculiarità semiologiche dei testi audiovisivi rispetto ai testi scritti.

Come possiamo notare, il messaggio iconico del testo audiovisivo si avvale di un ritmo eterotrainato, ciò significa che la fruizione di un film è soggetta a tempi e ritmi imposti da altri, a differenza della lettura di un libro che è scelta liberamente dall’utente.

Vincoli interpretativi nel testo filmico sono implicati anche dal suo carattere non correggibile: durante la lettura di un libro, si ha la possibilità di tornare indietro in casi di fraintendimento di una frase; mentre durante la fruizione di un film cinematografico è impossibile tornare indietro per rivedere una scena6.

Per convivialità si intende la fruizione prevalentemente “di massa” del prodotto cinematografico, contrapposto alla lettura tipicamente solitaria di un libro.

La multisensorialità, come già detto, allude al coinvolgimento di più sensi durante la visione di un film (vista e udito), di fronte all’esclusività della vista chiamata in causa nella lettura. Inoltre, il messaggio scritto richiede una decodificazione che sia in grado di gestire più frames rispetto a quanto richieda il messaggio filmico. A questo proposito è bene precisare che per frame si intende una situazione già presente nella memoria dell’interlocutore, necessaria per interpretare situazioni nuove ma analoghe a quelle conosciute (Rossi, 2006: 638). Secondo la terminologia riportata da Eco (1979: 80), i frames si configurano come rappresentazioni del mondo che ci permettono di attuare processi cognitivi basilari come percezioni e comprensione linguistica. L’insieme di frames costituisce l’enciclopedia, la conoscenza del mondo del lettore (vedi § 1.2.1).

6 A meno che, ovviamente, non venga fruito mediante videoregistratore, lettore DVD o via Internet su

programmi di distribuzione a pagamento, ma in quel caso si ha un cambiamento di modalità più marcata di fruizione del film con conseguenti ripercussioni. Il fruitore preso in esame in questo paragrafo è da intendersi il pubblico nelle sale cinematografiche, soggetto a un’unica irripetibile visione (Rossi 2006: 25).

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Per citabilità si intende la possibilità di riportare letteralmente delle porzioni di testo. A questo tratto è stato volontariamente aggiunto il segno “+” (evidenziato in grassetto) in quanto è comune ad entrambe le tipologie di testo: un libro può essere citato in ogni sua parte mediante l’utilizzo di note o virgolette, un film può essere citato attraverso la proiezione di una scena, aggiunta ad esempio con un’inserzione, in un altro film; altre citazioni possono essere costituite da immagini di altri film ai quali si allude.

Inoltre, paradossalmente, il livello di iconicità in un film è pari a zero nel senso che un’immagine significa anzitutto sé stessa (l’immagine di un “cane” rappresenterà essenzialmente un “cane”), a differenza del significato delle parole che può essere traslato (“sei veramente un cane”, “sono solo come un cane”, “il cane della pistola” ecc.).

Interessante osservare anche come il testo filmico sia quello che attiva un’intelligenza di tipo simultaneo, in quanto combina più livelli contemporaneamente durante la visione del film: si pensi alle diverse parti dello schermo cinematografico, necessarie alla completa decodificazione di una scena; per contro, la lettura attiva un’intelligenza di tipo sequenziale perché richiede di procedere inevitabilmente da destra verso sinistra, o viceversa, o dall’alto verso il basso, a seconda dei diversi tipi di scrittura. Concludendo questa breve analisi, si può affermare che tutti i tratti che oppongono il testo “letto” a quello “visto” caratterizzano il secondo come più “amichevole” del primo, ciò significa più adatto a conformarsi alle esigenze di chi decodifica il testo (Rossi, 2006: 22-27).

1.2.1. Un approccio semiotico alla traduzione audiovisiva

Inquadrando la traduzione audiovisiva nei Translation Studies, si deve di conseguenza riconoscere che un approccio esclusivamente linguistico non è sufficiente per poter trattare il concetto di traduzione. Il processo traduttivo deve essere altresì inserito in un determinato contesto comunicazionale e culturale: si deve pertanto tenere in conto tutta una serie di elementi e fenomeni oltre a quelli linguistici. Scrive, infatti, Eco:

Una teoria della traduzione deve tener conto di una serie di elementi che, se non linguistici, sono però semiotici in senso lato, nella misura in cui una semiotica tiene conto dell’enciclopedia generale di un’epoca e di un autore, quale viene postulata da un

testo, come criterio per la sua comprensione. (1995: 124)

In altri termini, l’operazione di traduzione non si può basare sull’idea che la lingua possa essere tradotta indipendentemente dal contesto in cui è inserita. Questo principio vale anche,

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e soprattutto, per la traduzione multimediale. In quest’ottica, Gambier e Gottlieb (2001: XVIII) affermano che è doveroso riformulare il concetto di “text” e di “meaning”, in quanto il significato non è generato solamente attraverso segni verbali e il testo non è più da considerarsi solo come “una sequenza di frasi ben ordinate”.

Come si è già anticipato, il testo rappresentato da un prodotto audiovisivo deve attivare simultaneamente almeno due canali percettivi diversi (quello visivo e quello uditivo) per poter essere decodificato. Inoltre, ha una natura polisemiotica, vale a dire che il significato è trasmesso attraverso la forza integrata di diverse modalità semiotiche, ovverosia di veri e propri strumenti, codici per la creazione del significato (Perego, Taylor, 2016: 15). Gambier (1996) suddivide questi codici semiotici in due categorie distinte: da una parte i codici verbali (linguistici e paralinguistici), dall’altra i codici non-verbali (iconografici, del vestiario, del trucco, i gesti, i suoni …). Nei testi filmici l’interazione tra la comunicazione verbale e non verbale si riscontra in modo continuo e sistematico, tanto da richiedere sempre un’analisi del testo nella sua complessità, in quanto, come abbiamo già visto, l’effetto di senso del testo è dato dalla coesistenza di tutti i suoi sistemi e non semplicemente dalla somma di essi (Nergaard, 1998: 432-434).

A questo proposito, risulta necessaria per il traduttore una breve analisi circa la dimensione polisemiotica del testo filmico, facendo riferimento alla disciplina della semiotica del testo. L’etimologia del termine, che deriva dal greco semeion, significa “segno” e indica la disciplina che si occupa in maniera scientifica dei segni, dei linguaggi e dei sistemi di comunicazione (Gagliano, 2006: 9). Come afferma Toury (1995: 103), uno dei compiti fondamentali della semiotica è senza dubbio quello di studiare sistematicamente i processi semiotici, ovvero fornire un’analisi delle diverse operazioni che è possibile compiere a partire da segni discreti, svolta attraverso lo studio dei loro componenti e delle loro articolazioni all’interno del testo. In quest’ottica è possibile applicare alcuni concetti salienti della semiotica del testo di Eco, come quelli di lettore modello, enciclopedia, intentio

operis. Benché questi concetti siano stati elaborati facendo riferimento ai testi verbali scritti

– e nello specifico ai testi letterari – essi sono applicabili anche ad altri tipi di testi, come a quelli multimediali (Nergaard, 1998: 438). Nel 1979, in Lector in fabula, Eco aveva infatti affermato che

il concetto semiotico di testo è più vasto di quello meramente linguistico, e le proposte teoriche che faccio aspirano, con gli opportuni aggiustamenti, a risultare applicabili

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anche a testi non letterari e non verbali. Rimane quindi aperto il problema della cooperazione interpretativa nella pittura, nel cinema, nel teatro. (1979: 10-11)

Eco afferma che ogni testo contiene un lettore modello, vale a dire un lettore in grado di aderire ai suoi segnali per poter individuare così il topic testuale (che consiste nell’“avanzare un’ipotesi su una certa regolarità di comportamento testuale”, Eco 1979: 90) e l’isotopia, ovvero la coerenza interna del testo. È pertanto compito del traduttore incarnare il ruolo di lettore modello, in modo da “costruire un’altra strategia testuale leggibile per il lettore modello della traduzione” (Nergaard 1998: 441).

Anche il concetto di enciclopedia di cui parla il semiologo italiano – questa conoscenza del mondo che comprende i concetti insieme al loro significato e al loro uso – può essere applicata agli altri linguaggi, come quello appunto visivo e sonoro: anche un oggetto rappresentato viene classificato nell’enciclopedia non solo per il suo significato, ma anche per il quando, per il come e per il contesto in cui viene rappresentato e utilizzato (ivi, 442). Ogni cultura possiede differenti enciclopedie e modalità di interpretazione del mondo ed è per questo, infine, che il traduttore (incarnandosi nel lettore modello) deve identificare l’intenzione del testo per poterne garantire una giusta interpretazione e, di conseguenza, una buona resa traduttiva per la cultura d’arrivo. In un articolo dedicato alla traduzione, Eco parla di “semiotica della fedeltà”, facendo riferimento al concetto di intentio operis e affermando che l’interpretazione che ha luogo nel tradurre deve

sempre mirare, sia pure partendo dalla sensibilità e dalla cultura del lettore, a ritrovare non dico l’intenzione dell’autore, ma l’intenzione del testo, quello che il testo dice o suggerisce in rapporto alla lingua in cui è espresso e al contesto in cui è nato. (1995: 123)

In tal senso, il traduttore deve sempre trasferire l’universo semiotico del testo originale adattandolo all’universo semiotico del lettore. Per fare ciò, deve essere disposto ad un’eventuale “infedeltà linguistica” per permettere una “fedeltà culturale”7. Tale concetto è

applicabile anche alla traduzione audiovisiva di quei testi che abbiamo definito “sincretici”: ogni singolo componente costitutivo deve essere interpretato in modo da percepire il messaggio che il testo audiovisivo vuole trasmettere e di riportarlo in modo da creare nel 7 Eco (1995: 123), per spiegare questo concetto, riporta l’esempio dell’espressione inglese “it’s raining cats

and dogs”, indicando che da un punto di vista linguistico sarebbe corretto tradurre “sta piovendo cani e gatti”, ma la frase è inusuale e non produce nessun tipo di significato; il traduttore fedele dovrà pertanto tradire la fedeltà linguistica e cercare un’espressione che garantisca la fedeltà “testuale”, come ad esempio “piove a catinelle”.

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pubblico di destinazione lo stesso effetto che l’autore aveva ottenuto sul pubblico di partenza. Questo processo può essere ostacolato da fattori socioculturali della comunità di arrivo: ad esempio una scena che, attraverso la combinazione di immagini e giochi di parole, riporta una situazione stereotipata della cultura di partenza, ha solitamente lo scopo di provocare un effetto di ilarità nel pubblico; la stessa scena stereotipata, se tradotta letteralmente, può risultare del tutto ordinaria per il pubblico della cultura di arrivo e non provocare alcun effetto di ilarità. Saper interpretare l’intentio del testo audiovisivo aiuta il traduttore ad affrontare questi ostacoli, in quanto sarà in grado di riprodurre l’effetto del testo originale, a scapito di una resa vicina a quella letterale.

Come si è potuto constatare, un approccio semiotico alla traduzione di testi multimediali è importante nella misura in cui consente di tener conto dei diversi modelli con i quali questa tipologia di testo comunica e produce significato. L’integrazione del modello semiotico testuale teorizzato da Eco risulta così utile all’analisi e all’interpretazione del testo multimediale in virtù delle trasposizioni in altre lingue e culture.

1.3. Principali modalità della traduzione audiovisiva

Una tassonomia delle modalità della traduzione audiovisiva è stata fornita da Gambier (2004: 2-5), che sostenendo la necessità di “guardare oltre il doppiaggio e la sottotitolazione”, individua altre modalità che rendono la traduzione audiovisiva un genere “aux multiples facettes” (Gambier, 2004: 2).

La prima modalità è rappresentata dalla “traduzione di sceneggiature”: si tratta di un genere particolare di traduzione che viene effettuate per ottenere sovvenzioni - ma non solo (come si vedrà più nel dettaglio nel § 1.4.), in caso di co-produzione per un progetto televisivo o cinematografico.

Successivamente, Gambier individua le modalità a cui maggiormente si fa ricorso nella traduzione filmica, ovvero la “sottotitolazione interlinguistica” (contrapposta alla “sottotitolazione intralinguistica per prodotti audiovisivi destinati ai non udenti) e il “doppiaggio”. Le due modalità verranno approfondite brevemente nel paragrafo successivo. Si passa poi al “voice-over” che, a differenza del doppiaggio, è caratterizzato dalla mancanza di sincronizzazione labiale, la quale viene compensata da un accurato sincronismo cinetico e gestuale, affinché i movimenti del corpo e i gesti dei personaggi producano senso rispetto a quanto lo spettatore ascolta (Petillo, 2012: 22).

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Proseguendo nella classificazione delle modalità, troviamo “l’interpretazione” che può essere effettuata in tre maniere differenti: consecutiva, utilizzata ad esempio nelle interviste alla radio; simultanea (in diretta) nel caso di dibattiti televisivi; per ultimo, l’interpretazione che viene effettuata attraverso la lingua dei segni.

Infine, abbiamo la “sopratitolazione” che viene utilizzata in ambito teatrale. Si tratta di una modalità di traduzione simile alla sottotitolazione, ma presenta delle peculiarità: i “titoli” sono proiettati sulla parte superiore del palcoscenico per trasmettere le didascalie di una pièce teatrale o di un’opera e sono proiettati in diretta, per via delle differenze che intercorrono tra una rappresentazione e l’altra.

1.3.1. Sottotitolazione e doppiaggio a confronto

Le principali modalità di traduzione audiovisiva – e anche le più diffuse e note in ambito europeo – sono la sottotitolazione e il doppiaggio. Vediamo brevemente come vengono definite nella letteratura e le principali differenze.

Secondo Dìaz Cintas, la sottotitolazione interlinguistica è definita come “una pratica di traduzione che consiste a presentare, generalmente sulla parte inferiore dello schermo […] un testo scritto che mira a restituire: 1) i dialoghi originali dei locutori; 2) gli elementi discorsivi che appaiono nell’immagine (lettere, inserzioni, graffiti, schermi di computer ecc.); 3) altri elementi discorsivi che fanno parte della colonna sonora, come le canzoni, le voci provenienti da televisioni, radio, computer ecc.” (Diaz Cintas, 2008: 28).

Il doppiaggio, invece, è definito da Minutella (2018: 35) come una traduzione che “sostituisce il dialogo originale con un dialogo tradotto, il quale necessita di far combaciare i movimenti delle labbra e dei corpi degli attori”.

Da un punto di vista geografico, per quanto semplicistica e in buona parte obsoleta, esiste una bipartizione europea tra Europa nord-orientale che predilige la sottotitolazione, e un’Europa sud-occidentale che, al contrario, è ancorata al doppiaggio (Petillo, 2012: 56). La preferenza tra l’una e l’altra dipende anche dal modo in cui il prodotto straniero è percepito e apprezzato dal paese in cui viene distribuito: generalmente scelgono la sottotitolazione i paesi che hanno lingue a diffusione limitata, che sono pertanto aperti al contatto con altre lingue, altri paesi e culture; contrariamente il doppiaggio viene scelto da quei paesi ufficialmente monolingui, la cui politica scoraggia in qualche modo il contatto con le culture

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e le lingue esterne, proteggendo tradizionalmente la lingua nazionale (Perego, Taylor, 2016: 122).8

Il doppiaggio si è diffuso, inoltre, soprattutto in quei paesi che hanno conosciuto dinamiche storico-sociali complesse, in cui lo Stato ha giocato un ruolo fondamentale nello scoraggiare i contatti con l’estero, in quanto cercava di salvaguardare la purezza della lingua e dell’identità nazionale attraverso il divieto di circolazione di opere audiovisive in lingua originale (Petillo, 2012: 58): ci si riferisce in particolar modo ai paesi europei – Italia, Germania, Spagna – in cui i regimi totalitari del Novecento adottarono da una parte misure protezionistiche in favore delle industrie cinematografiche locali, per far fronte all’ingerenza dell’industria hollywoodiana, dall’altra utilizzarono il doppiaggio come strumento a fini censori o propagandistici.

L’Italia ne rappresenta, appunto, un caso emblematico: durante il periodo fascista il cinema rappresentava uno degli strumenti principali della propaganda, attraverso il quale si difendeva e si promuoveva l’identità nazionale. Dopo l’avvento del sonoro, per tutelare gli interessi della cinematografia italiana, vennero imposte tasse altissime sul doppiaggio, finché non si arrivò ad adottare misure legislative atte al protezionismo della lingua nazionale, attraverso il divieto ai produttori esteri di distribuire prodotti cinematografico in Italia. Pertanto, il nostro paese vide uno sviluppo nella produzione italiana in questo campo da un lato e un controllo puristico sulla lingua dei film dall’altro. I dialoghi dei personaggi non contenevano alcuna forma di regioletto, socioletto o idioletto, la lingua recitata si basava sulla “pronuncia” romano-toscana e bandiva ogni sorta di forestierismo. Una legge del 1930 sanciva: “Il ministero dell’Interno ha disposto che da oggi non venga accordato il nulla osta alla rappresentazione di pellicole cinematografiche che contengono del parlato in lingua straniera sia pure in qualche parte e in misura minima. Di conseguenza tutti indistintamente i film sonori, ad approvazione ottenuta, porteranno sul visto la condizione della soppressione di ogni scena dialogata o comunque parlata in lingua straniera”.9 Da qui, successivamente,

iniziò la lunga strada per rendere il risultato del doppiaggio italiano tale da risultare meno controllato e più aperto a sfumature di carattere sociale e dialettale, ma soprattutto in grado

8 Non sono da escludere però i fattori economici che contraddistinguono le due tecniche e possono in questo

modo influenzare la scelta dei vari paesi: la sottotitolazione può essere effettuata in breve termini e con costi molto più bassi rispetto al doppiaggio, che invece è una procedura laboriosa e lenta e richiede l’impiego di un numero maggiore di strumenti tecnici e figure professionali (Cfr. Perego, Taylor, 2016: 122-125).

9 In S. Raffaelli (1992), La lingua filmata. Didascalie e dialoghi nel cinema italiano, Le Lettere, Firenze, p.

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di adeguarsi alle varietà di codici e registri presenti nelle versioni originali di un film straniero (Petillo 2012: 62).

Oltre agli aspetti di natura pratica, la differenza fondamentale tra queste due tecniche traduttive risiede nel loro rapporto tra il testo originale e il testo tradotto: abbiamo da una parte la sottotitolazione che non può manipolare in maniera eccessiva il messaggio originale perché, mantenendo le voci originali degli attori, lo spettatore ha la possibilità di confrontare le due versioni; dall’altra, invece, il doppiaggio deve confrontarsi con la sincronizzazione del verbale col visivo, un vincolo che permette la corretta credibilità dei dialoghi nella nuova lingua e una maggiore illusione cinematografica – se l’articolazione delle parole udite non combacia con i movimenti labiali, si avrà una percezione distorta tra ciò che lo spettatore vede e ciò che sente, avendo come effetto la perdita di attendibilità del film stesso. Per questo motivo il doppiaggio consente di manipolare – addirittura di censurare – il messaggio originale senza che lo spettatore abbia la possibilità di verificarne il contenuto originale (Perego, Taylor, 2016: 121-130).10

Sintetizzando con termini linguistici, la traduzione finalizzata al doppiaggio è di natura

isosemiotica (perché utilizza gli stessi canali del testo di partenza), mentre nel caso della

sottotitolazione la natura della traduzione è di tipo diasemiotico, in quanto utilizza canali diversi, sottoponendo il testo ad una variazione diamesica e a conseguenti processi laboriosi di riduzione e trasformazione del testo di partenza.

Dal canto suo, quindi, la sottotitolazione deve essere selettiva ed economica in funzione di una corretta leggibilità e una buona comprensione da parte dello spettatore e per rispondere alle restrizioni che dipendono dalla variazione diamesica alla quale deve sottostare. Con i sottotitoli abbiamo, infatti, un cambio di mezzo: la lingua orale si trasforma in lingua scritta con il paradosso di pretendere la conservazione dei tratti essenziali di oralità; ne risulta in tal modo una modalità ibrida di scrittura, che combina le convenzioni sia della lingua parlata che di quella scritta (Petillo, 2012: 112). Si aggiunga inoltre la sottrazione di una parte dell’immagine all’attenzione visiva. Henrik Gottlieb, studioso con una lunga esperienza professionale in questo campo, afferma che

10 Richiede, inoltre, un minor sforzo da parte dello spettatore perché esige l’ascolto e non la lettura; pertanto lo

mette nella condizione di poter seguire i dialoghi del film anche distogliendo lo sguardo dallo schermo. Al contrario, la sottotitolazione è considerata più dispersiva e comporta un affaticamento maggiore, in quanto lo spettatore deve dividere la propria attenzione su diversi livelli contemporaneamente.

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sottotitolare non è solo una questione di tradurre alcune righe di un copione e confezionarle in bei blocchi. Sottotitolare è un’attività in cui si ricrea il dialogo condotto in una lingua straniera mettendolo in forma scritta nella propria madrelingua, come parte integrante del film originale, il cui contenuto visivo aiuta ad interpretare il significato delle righe mentre vengono recitate. (Gottlieb, 1996: 284)

Il traduttore dei sottotitoli deve saper quindi trasferire i contenuti e le intenzioni comunicative veicolate dal codice della lingua di partenza, codice quindi orale, al codice della lingua d’arrivo, codice scritto. A questo si aggiungano, però, i vincoli tecnici e situazionali del mezzo filmico con i quali la componente verbale visiva (il sottotitolo) deve ben amalgamarsi: rispetto alla traduzione letteraria, la traduzione filmica dei dialoghi deve tenere in considerazione sia il contesto “intrafilmico” – e quindi la resa delle immagini, i gesti degli attori, i movimenti, il modo di parlare, la trama – sia il contesto “extrafilmico” nel quale il film si inserisce, ovvero l’epoca di realizzazione, il genere cinematografico al quale il film appartiene, il sapere condiviso della comunità di persone appartenenti alla cultura d’arrivo. Il sottotitolo intrattiene un rapporto di interdipendenza con i due contesti e la sua traduzione deve pertanto essere soggetta a questa dialettica contestuale (Vayssière, 2012: 2-5).

Come sostiene infatti Jorge Dìaz Cintas (2009: 1-12), il traduttore deve avere l’abilità di raggiungere l’adeguato equilibrio semiotico tra linguaggio gestuale e linguaggio verbale e considerare che lo spettatore necessita di un minimo di informazione verbale per comprendere quello che accade nell’immagine e, allo stesso tempo, l’immagine (e quindi l’informazione visuale) lo può assistere nell’interpretazione dei sottotitoli. Il fruitore del testo audiovisivo ha dunque la possibilità di avvalersi di due canali paralleli, ovvero quello visivo per la fruizione dell’immagine e del testo scritto, e quello uditivo per la fruizione della colonna sonora e dei dialoghi. La fruizione di un prodotto audiovisivo sottotitolato richiede uno sforzo cognitivo maggiore rispetto a quello doppiato, in quanto lo spettatore ricava delle informazioni significative anche dai tratti soprasegmentali del linguaggio. Ciò significa che la sottotitolazione fornisce allo spettatore due canali di percezione che gli trasmettono simultaneamente due messaggi e sta allo spettatore stesso il compito di ricostruire il puzzle di informazioni appunto verbali, visive, cinetiche e gestuali (Petillo, 2012: 113).

Inoltre, per una buona fruibilità dei sottotitoli bisogna tener conto anche da meccanismi cognitivi coinvolti nella lettura: vari studi condotti sulle modalità di fruizione e sulla misurazione dell’usabilità dei testi audiovisivi, si sono serviti del tracciamento oculare, una

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tecnica che consente di registrare e osservare i meccanismi del sistema visivo umano.11 La tecnologia per il tracciamento oculare permette di acquisire informazioni circa i comportamenti di lettura non solo su carta, ma anche su supporti multimediali. Grazie all’analisi dei risultati del tracciamento oculare, si sono ascritte alcune caratteristiche che non rappresentano altro che vincoli per il traduttore audiovisivo. Ad esempio, un primo vincolo ineludibile è costituito dalla “regola dei sei secondi”, secondo cui i sottotitoli devono apparire sullo schermo per non più di sei secondi, durata di tempo necessaria affinché il nostro cervello elabori gli stimoli giunti dal doppio canale (immagini e testo scritto da un lato, suoni e rumori ambientali dall’altro). Contrariamente, però, applicare lo stesso tempo di permanenza per sottotitoli più corti, conduce lo spettatore ad effettuare una rilettura del sottotitolo che provoca la perdita di concentrazione e l’interruzione del ritmo di lettura. È stato verificato come corollario di quanto detto, che la velocità di lettura dei sottotitoli è proporzionale alla loro lunghezza: tanto più il sottotitolo è lungo e fitto, più veloce sarà il ritmo della lettura da parte dello spettatore. A questo proposito, anche la disposizione grafica gioca un ruolo fondamentale in quanto è preferibile segmentare il sottotitolo seguendo regole sintattiche e in caso di presenza di due righe di differente lunghezza, la collocazione della riga più corta in alto permette un minor affaticamento dell’occhio e una minor perdita di tempo nella lettura (Perego, Taylor 2016; Petillo, 2012).

Restrizioni di tipo tecnico e al contempo linguistico, rendono il traduttore di sottotitoli molto più “vulnerabile” rispetto al traduttore di dialoghi per il doppiaggio o qualsiasi altro traduttore di testi letterari perché, come già accennato, l’efficacia della sottotitolazione dipende sì dal rispetto di vincoli di natura formale e quantitativa, ma soprattutto da un’elevata accuratezza linguistica: si ricordi che, a differenza del doppiaggio, il fruitore di prodotti sottotitolati – specialmente se possiede conoscenze della source language – ha perennemente la possibilità di cogliere qualsiasi tipo di incongruenza tra contenuti linguistici del testo source e quelli dei sottotitoli. Inoltre, una tra le più grandi restrizioni linguistiche è costituita dal fatto che la sottotitolazione non permette di utilizzare le strategie in ausilio al traduttore nei casi di intraducibilità, quali, ad esempio, inserire la spiegazione di un particolare gioco di parole o di un realia in una nota a piè di pagina.

Dato la composizione semiotica del film, il traduttore ha quindi a che fare con differenti aspetti che nel processo traduttivo deve tenere in considerazione, come l’interazione tra

11 In particolare, Elisa Perego ha condotto degli studi i questo ambito, traendo conclusioni rilevanti e di

vastissimo interesse sui comportamenti di lettura dei film al fine di perfezionare e rendere più accessibile per lo spettatore la fruizione del prodotto sottotitolato (Cfr. Elisa Perego, 2006).

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testo, immagini e suoni. E per fare ciò deve fronteggiare diversi tipi di transfer: prima di tutto deve attivare uno spostamento dalla dimensione paralinguistica a quella verbale, anche dal punto di vista diamesico (dalla lingua parlata alla lingua scritta); inoltre deve trasformare immagini e suoni in parole.

Dall’altra parte, la tecnica del doppiaggio presenta delle caratteriste opposte. Il trasferimento linguistico è orale, quindi la voce originale degli attori viene completamente sostituita dalla voce dei doppiatori nella lingua del paese ricevente. Alla base di questa modalità di trasferimento linguistico vi è l’intenzione di voler creare un “doppione”, un senso di simulazione e di inganno. Come sostiene Isabella Malaguti, il doppiaggio è

un trucco, una convenzione, un’arte d’intarsio che si propone di sostituire a voci e parole pronunciate in un certo modo e in una data lingua, altre voci in un’altra lingua, tentando al tempo stesso di mantenere l’illusione di un tutt’uno organico, aggiungendo cioè illusione all’illusione congenita del cinema (2004: 74).

In sostanza, il doppiaggio ha lo scopo primario di annullare la natura “tradotta” del testo filmico al fine di rendere lo spettatore ignaro della considerevole contraddizione insita nell’idea stessa di “doppiare”, ovvero quella di far parlare un attore straniero nella lingua del paese ricevente e di far credere che il prodotto filmico sia stato concepito per quella stessa cultura. Pertanto, l’adattamento dei dialoghi non fa altro che “riscrivere” l’opera originale e durante tale pratica è inevitabile non tradirne l’intento, in quanto la nuova versione deve inserirsi in un contesto socioculturale diverso in cui si percepisce e si interpreta la realtà (Petillo 2012: 54). Secondo Osimo (2011: 186-188), infatti, uno degli svantaggi del doppiaggio è costituito dalla perdita di autenticità: la voce di un attore, la prosodia, il ritmo, le inflessioni sono elementi fondamentali della sua espressione mimica e per quanto professionale e competente possa essere il doppiatore, non riuscirà mai a sostituire in toto tutti i tratti soprasegmentali di una battuta di un dialogo. Siamo di fronte ad un paradosso in quanto meglio un doppiaggio è realizzato, più si occulta la percezione che si tratti di un testo tradotto. Ne consegue che il fruitore del film doppiato si configura come un individuo che si “disabitua” alle differenze culturali e perde la curiosità per ciò che è diverso ed estraneo alla propria cultura.

Nonostante tali considerazioni, è bene ricordare che il doppiaggio si è imposto come una – se non l’unica – modalità di traduzione che, a seguito dell’avvento del sonoro, è stato in grado di risolvere il problema della comprensione del linguaggio cinematografico ed è anche largamente diffuso e apprezzato (cfr. supra).

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In quanto modalità di traduzione audiovisiva, il doppiaggio deve sottostare a restrizioni di natura tecnica, come la sincronizzazione con l’immagine e il rispetto del corollario di caratteristiche dell’articolazione orale, ovvero la resa dei cosiddetti elementi prosodici del discorso (intonazione, intensità, velocità di pronuncia).

In primo luogo, affinché il film doppiato acquisisca una buona credibilità, è necessario stabilire una buona sincronizzazione dei dialoghi con il movimento labiale degli attori; ciò comporta rispettare anche i silenzi e le pause. Se tale isocronia venisse meno, si produrrebbe nello spettatore una percezione distorta e incongruente tra quanto visto e quanto udito, generando una perdita di attendibilità del film stesso (Petillo, 2012: 66). Ma la difficoltà del doppiaggio non sta solo nell’ottenere un’isocronia linguistica, bensì globale tenendo conto dell’apparato dei gesti extralinguistici, costituiti da smorfie, mimica facciale, grugniti, schiarimenti di voce, false partenze, ecc. che, in generale, si rivelano di particolare importanza nella comunicazione umana. Questi elementi sono portatori di istanze culturali (elementi culturospecifici, vedi cap. 4) e devono essere risolti nel transfer linguistico in quanto le norme dell’espressività fisica variano notevolmente da cultura a cultura.

In secondo luogo, un vincolo che, ad esempio, non riguarda la sottotitolazione, è costituito dalla trasposizione degli elementi prosodici: ogni parlante è in grado di modulare la voce in vari modi al fine di trasmettere informazioni che vanno oltre il contenuto semantico delle frasi; ad esempio, l’intonazione è in grado di manipolare il significato denotativo di una frase, dando vita addirittura a connotazioni diametralmente opposti (Malaguti 2004: 80). Da qui, si sviluppano spesso l’ironia, il sarcasmo, le allusioni, anche questi tratti che devono essere accuratamente tradotti in quanto alterano, e allo stesso tempo determinano, il contenuto semantico di un messaggio. Doppiando litigi e dispute verbali tra attori di un film inglese, ad esempio, necessitano un aumento di qualche decibel durante il missaggio sonoro italiano, dal momento che un identico livello di volume potrebbe non trasmettere all’audience italiana la stessa intensità di rabbia (Petillo, 2012: 68).

Come abbiamo visto per i sottotitoli, la difficoltà più grande che il traduttore incontra nel sottostare alle restrizioni sopracitate sta nel fatto che, contrariamente ai traduttori dei testi letterari, non dispone di risorse comunemente impiegate in casi di intraducibilità di giochi di parole linguistici o culturali, o di elementi polisemici. Nei testi letterari si può spiegare l’umorismo, ad esempio, usando parentesi o virgolette all’interno della narrazione stessa; i testi filmici sono perennemente condizionati dai vincoli che il canale visivo (immagine) comporta e nell’impossibilità di un “nota del traduttore” a piè di pagina, si deve ripiegare sulla creazione di nuovi dialoghi che mantengano sempre un’equivalenza con l’originale.

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1.4. Traduzione di sceneggiature come tipologia di traduzione audiovisiva

Nel paragrafo precedente, introduttivo alle varie forme di traduzione audiovisiva, si sono brevemente analizzati i due prototipi più diffusi e noti in ambito europeo: la sottotitolazione e il doppiaggio. Due modalità che presuppongono una storia già creata e fissata concretamente nero su bianco in un testo scritto. Come ogni opera letteraria, anche la storia di un film ha un suo autore che nell’atto della scrittura pone particolare attenzione alla scelta delle parole che, accompagnata da movimenti ed espressioni facciali, mira a trasmettere il significato del messaggio, provocando delle reazioni nell’animo del destinatario, in questo caso dello spettatore: la forza di tale significato deve superare una barriera imponente, costituita dallo schermo che si interpone fra l’autore e lo spettatore.

Le sfide e le problematiche che questa barriera apporta alla traduzione audiovisiva sono state, come si è visto, largamente esplorate e trattate in traduttologia (quasi) esclusivamente per quanto riguarda il doppiaggio e la sottotitolazione. Tuttavia, esiste un’altra forma di traduzione audiovisiva che risulta importante e utile in quest’epoca in cui gli scambi culturali si effettuano maggiormente attraverso gli schermi di ogni genere: la traduzione di sceneggiature, che rappresenta un settore di attività ancora poco esplorato ma che comporta delle difficoltà traduttive tanto uniche quanto interessanti (Vandal-Sirois, 2014: 51).

Vediamo brevemente di seguito come una sceneggiatura è definita in quanto testo.

1.4.1. Che cos’è la sceneggiatura

La sceneggiatura è una narrazione, un testo che solitamente non viene pubblicato e che sta alla base di ogni produzione cinematografica. In un intervento critico sul cinema, Pier Paolo Pasolini (1991: 188) definisce la sceneggiatura come “dato concreto del rapporto tra cinema e letteratura” nel caso in cui la sceneggiatura si configura con la funzione mediatrice tra un’opera letteraria e un’opera cinematografica; ma nel caso di una sceneggiatura scritta da uno scrittore e non tratta da un romanzo, ne difende il suo statuto autonomo, definendola “una tecnica autonoma, un’opera integra e compiuta in se stessa” (ibidem) in cui lo scrittore fa la scelta di una tecnica narrativa. Tuttavia, Pasolini afferma che se si considera la sceneggiatura nient’altro che un prodotto di un tipo di scrittura il cui elemento fondamentale sia quello di scrivere, allora va giudicata e inquadrata come un nuovo “genere” letterario.

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